«Come volete, Ksaverij Feofilaktovič, però è ben strano!» ripetè accalorato Fandorin. «Lì un qualche mistero c’è, parola d’onore!» E sottolineò ostinato: «Sì, proprio un mistero! Giudicate voi. Tanto per cominciare, si è sparato in un modo assurdo, ‘alla ventura’, con una sola pallottola nel tamburo, quasi non intendesse spararsi. Che scalogna fatale! Anche il tono del suo biglietto estremo, ne converrete, ha qualcosa di strano, come se l’avesse scritto in fretta e furia, tra una faccenda e l’altra, ma intanto qui si tocca un problema della massima importanza. Un problema che non è per niente uno scherzo!» disse Erast Petrovič con voce addirittura squillante dal sentimento. «Ma su questo problema ci torno dopo, adesso parliamo del testamento. Non vi sembra sospetto?»
«E cosa mai ci sarebbe lì da parervi sospetto, colombello mio?» gli chiese con voce carezzevole Grušin, che stava sfogliando con aria annoiata il Bollettino di polizia degli eventi cittadini per la giornata appena trascorsa. Questa lettura non priva di interesse conoscitivo avveniva solitamente nella seconda metà della giornata, giacché in quel documento eventi di importanza particolare non se ne trovavano — fondamentalmente, si trattava dei fatterelli più meschini, le più totali sciocchezze, sebbene di tanto in tanto ci si imbattesse anche in qualche storiella curiosa. C’era anche la comunicazione del suicidio avvenuto il giorno prima ai giardini di Sant’Alessandro, ma, come aveva previsto il molto esperto Ksaverij Feofilaktovič, senza il benché minimo dettaglio e, naturalmente, senza il testo del biglietto vergato in punto di morte.
«Ma è questo il problema! Kokorin è come se non si fosse sparato sul serio, eppure il testamento, nonostante il tono di sfida, è stato redatto nel pieno rispetto delle regole, con tanto di notaio, firme dei testimoni, e l’indicazione degli esecutori testamentari», continuò Fandorin tormentandosi le dita. «Bisogna anche dire che si tratta di un patrimonio immenso. Mi sono informato: due manifatture, tre stabilimenti, palazzi in varie città, cantieri navali sul Baltico, di soli titoli fruttiferi mezzo miliardo!»
«Mezzo miliardo?» chiese stupefatto Ksaverij Feofilaktovič, staccandosi dalle sue carte. «Ha avuto una bella fortuna quell’inglese, una bella fortuna davvero.»
«Fra l’altro vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa c’entra qui lady Esther. Perché mai il testamento è proprio in favore di lei, e non di qualcun altro? Che genere di legame c’era fra lei e Kokorin? Ecco cosa ci sarebbe da spiegare!»
«Ma l’ha scritto lui stesso, che non si fida dei nostri malversatori, mentre quell’inglese, quanti mesi ormai che la portano alle stelle su tutti i giornali. No, caro mio, spiegatemi questo piuttosto. Com’è successo che la vostra generazione attribuisce un valore così misero alla vita? Basta un nulla, e voi subito piff paff, e per giunta con quel tono solenne, con pathos, ostentando disprezzo per il mondo intero. E in base a quali vostri meriti provate tanto disprezzo, vorrei proprio saperlo», prese ad adirarsi Grušin, che nel frattempo si era ricordato del tono aspro e irrispettoso con cui gli si era rivolta la sera prima la sua adorata figlia, Sasenka, una liceale di sedici anni. Comunque la domanda era del tutto retorica: che opinione avesse in proposito il segretario interessava assai poco il rispettabile commissario, motivo per cui tornò a immergersi nel bollettino.
In compenso Erast Petrovič si scaldò ancora di più.
«È proprio questo il problema su cui volevo fermarmi. Considerate un uomo come Kokorin. Ha avuto tutto dalla sorte: ricchezza, libertà, educazione, bellezza (la bellezza Fandorin la nominò così, nella foga del discorso, sebbene non avesse la minima idea dell’aspetto del defunto). Ma lui gioca con la morte e alla fine si uccide. Vorreste sapere perché? A noi giovani il vostro mondo dà la nausea. Kokorin ha scritto proprio questo, senza però sviluppare il concetto. Tutti i vostri ideali — la carriera, il denaro, le onorificenze -per molti di noi non contano proprio nulla. Non si sogna questo al giorno d’oggi. Cosa pensate, che lo scrivano così senza pensarci, ‘epidemia di suicidi’? I migliori fra i giovani colti se ne vanno, soffocati dalla mancanza di ossigeno spirituale, mentre voi, i padri della società, non ne traete nessuna lezione per voi!»
L’effetto fu che tutto il pathos accusatorio finì per rivolgersi allo stesso Ksaverij Feofilaktovič, visto che altri «padri della società» lì vicino non se ne vedevano; tuttavia Grušin non se la prese affatto, anzi, annuì con palese soddisfazione.
«A proposito», soggiunse beffardamente guardando il bollettino, «per quanto riguarda la mancanza di ossigeno spirituale. ‘Nel vicolo Cichečevskij, terzo distretto della sezione Mescanskaja, alle dieci del mattino è stato rinvenuto il cadavere impiccato del calzolaio di 27 anni Ivan Eremeev Buldygin. Secondo la testimonianza dello spazzino Petr Silin, il movente del suicidio era la mancanza dei mezzi necessari a smaltire la sbornia.’ E così se ne vanno i migliori. Restiamo solo noi, vecchi imbecilli.»
«Voi ridete», disse con amarezza Erast Petrovič. «Mentre a Pietroburgo e a Varsavia non passa giorno senza che degli studenti, delle studentesse, perfino dei liceali si avvelenino, si sparino, si anneghino. Ci trovate da ridere, voi…»
Ve ne pentirete, Ksaverij Feofilaktovič, ma quando sarà troppo tardi, pensò vendicativo, sebbene fino a quel momento il pensiero di uccidersi non gli fosse ancora mai balenato alla mente: aveva una natura troppo vivace, il nostro giovane. Seguì un silenzio: Fandorin si immaginò una tomba modesta, fuori dalla terra consacrata e priva di croce, mentre Grušin ora seguiva col dito le righe, ora voltava pagina con un fruscio.
«Ma comunque è davvero una scemenza», brontolò infine. «Cosa gli sarà preso, sono usciti di senno? Ecco qui due rapporti, uno dalla terza stazione di polizia della sezione Mjasnizkaja, a pagina otto, l’altro dalla prima stazione di polizia della sezione Rogozskaja, a pagina nove. Ecco qui. ‘Alle ore 12 e 35 minuti nel vicolo Podkolokolnyj, nel palazzo della Società assicuratrice antincendi di Mosca hanno convocato l’agente responsabile del quartiere della stazione di polizia Fedoruk su richiesta di Avdotja Filippovna Spizyna, proprietaria terriera residente a Kaluga, che alloggia temporaneamente alla pensione Ai boiari. La signora Spizyna ha dichiarato che accanto all’ingresso della libreria, davanti ai suoi occhi, un signore decorosamente vestito, sui 25 anni, ha tentato di spararsi — ha portato la rivoltella alla tempia, ma evidentemente ha fatto cilecca, e il mancato suicida si è nascosto. La signora Spizyna ha fatto richiesta che la polizia cerchi il giovane e lo affidi alle autorità spirituali perché gli prescrivano la penitenza ecclesiastica. Non sono state compiute ricerche per la mancata attuazione del delitto’.»
«Vedete, e io cosa dicevo!» esultò Erast Petrovič, sentendosi del tutto vendicato.
«Calma, giovane, non è ancora tutto», lo trattenne il commissario. «Sentite questa. Pagina nove. ‘Fa rapporto la guardia Semenov’ (quello della Rogozskaja). ‘Verso le undici lo ha chiamato Nikolaj Kukin, commesso alla drogheria Brykin e figli, di fronte al ponte Malyj Jauzskij. Kukin gli ha comunicato che alcuni minuti prima uno studente, salito sul pilone in pietra del ponte, si era puntato la rivoltella alla testa, esprimendo chiaramente il desiderio di spararsi. Kukin ha udito lo scatto metallico, cui non ha però fatto seguito lo sparo. Dopo lo scatto lo studente è saltato via sul selciato e se ne è andato velocemente in direzione di via Jauzskaja. Non si sono trovati altri testimoni. Kukin ha fatto richiesta affinché sul ponte venga istituito un posto di polizia, visto che l’anno prima lì si era già annegata una signorina di facili costumi, e il commercio ne aveva risentito. ‘»
«Non ci capisco niente», Fandorin spalancò le braccia. «Che razza di rituale è mai questo? Sarà mica una società segreta di suicidi?»
«Macché società», scandì lentamente Ksaverij Feofilaktovič, dopodiché, animandosi a poco a poco, prese a parlare con velocità crescente. «Qui non c’è nessuna società, signor mio, è tutto tremendamente molto più semplice. Adesso si capisce anche la storia del tamburo, mentre prima non m’era venuto in mente! È sempre lui, è il nostro studente Kokorin che imperversa. Guardate un po’ qui.»Si alzò e si avvicinò agilmente alla carta di Mosca, che stava appesa al muro accanto alla porta. «Ecco qui il ponte Malyj Jauzskij. Da qui ha imboccato la via Jauzskaja, se n’è andato a spasso un’oretta finché si è ritrovato nel Podkolokolnyj, vicino alla società delle assicurazioni. Ha messo paura alla signora Spizyna dopodiché ha proceduto oltre, in direzione del Cremlino. Finché alle tre è arrivato fino ai giardini di Sant’Alessandro, dove il suo viaggio è finito alla maniera a noi nota.»
«Ma a che scopo? E cosa significa tutto questo?» chiese Erast Petrovič esaminando la carta.
«Cosa significa non tocca a me dirlo. Ma come è andata, lo posso indovinare. Il nostro studente, un vero dandy, jeunesse dorée, ha deciso di dare a tutti il suo adieu. Ma prima di morire gli è venuta voglia di solleticarsi ancora un po’ i nervi. Ho letto da qualche parte che questo gioco si chiama ‘roulette americana’. L’hanno inventata in America, alle miniere d’oro. Carichi il tamburo con una sola cartuccia, lo fai girare, dopodiché babach! Se hai fortuna, vinci il banco, se invece ti va male… tanti saluti e addio. Così il nostro studente è partito in viaggio per Mosca, a tentare la sorte. È possibilissimo che non si sia sparato tre volte, ma di più, solo che non tutti i testimoni chiamano la polizia. Questa proprietaria terriera salvatrice di anime e Kukin coi suoi occhi da negoziante sono stati vigili, ma quanti tentativi abbia fatto Kokorin, lo sa Dio. A meno che non avesse concluso un patto con se stesso; potrebbe essersi detto: gioco con la morte un certo numero di volte, e poi basta. Se la scampo, allora così sia. Del resto, sono solo mie fantasie. Non c’è stata nessuna scalogna fatale ai giardini di Sant’Alessandro, semplicemente alle tre lo studente aveva già esaurito tutta la sua fortuna.»
«Ksaverij Feofilaktovič, voi siete un autentico talento analitico», si entusiasmò sinceramente Fandorin. «Mi pare di vedermelo davanti, com’è andata.»
La lode meritata, non importa se pronunciata da uno sbarbatello, riempì Grušin di piacere.
«Già già. Anche da vecchi imbecilli come noi si può sempre imparare qualcosa», disse con tono edificante. «Se aveste prestato servizio al reparto inquirente come ho fatto io, e non adesso nei tempi buoni, ma all’epoca dell’Imperatore Nicola I. Allora non facevano differenza fra investigativo e non, e poi a Mosca non esistevano ancora la nostra direzione, e nemmeno la speciale omicidi. Ci toccava un giorno cercare degli assassini, l’indomani vigilare a un mercato tenendo buono il popolino, e il giorno dopo ripulire le bettole dai barboni. Così maturava lo spirito d’osservazione, la conoscenza del mondo, e uno si conciava ben bene la pelle: senza questo, nelle nostre faccende di polizia, è del tutto impossibile farcela», concluse con un accenno il commissario, e tutto a un tratto si accorse che il segretario non lo stava ascoltando con attenzione, ma aveva aggrottato la fronte in un suo qualche pensiero, a giudicare dalle apparenze non proprio confortevole.
«E adesso che altro avete? Riferite.»
«Ecco, c’è questo che non capisco…»disse Fandorin muovendo nervosamente le belle sopracciglia simili a due mezzelune. «Kukin dice che sul ponte c’era uno studente…»
«Certo, uno studente, e chi altri?»
«Ma Kukin come faceva a sapere che Kokorin era uno studente? Era in finanziera e cappello, ai giardini Sant’Alessandro nessuno dei testimoni l’ha preso per uno studente… Nei protocolli dicono solo ‘giovane’ oppure ‘quel signore’. È un enigma ben strano!»
«Avete soltanto enigmi per la testa!» Grušin agitò la mano. «È un sempliciotto il vostro Kukin, ecco tutto. Vede un signore giovane giovane, in borghese, e così si immagina che sia uno studente; dopotutto ha a che fare con i clienti dalla mattina alla sera.»
«Kukin nella sua drogheria da quattro soldi un acquirente come Kokorin non l’ha mai avuto davanti agli occhi», obiettò ragionevolmente Erast Petrovič.
«E cosa ne dovremmo dedurre?»
«Questo, che non sarebbe una cattiva idea interrogare meglio la signora Spizyna e il commesso Kukin. A voi, Ksaverij Feofilaktovič, non si addice certo occuparvi di minuzie di questo genere, ma, se me lo consentite, io stesso…»Erast Petrovič si alzò perfino dalla sua scrivania, tanta era la voglia che Grušin glielo consentisse.
Ksaverij Feofilaktovič si riproponeva di mostrarsi severo, ma ci ripensò. Ci vada pure, il ragazzino, ad annusare il lavoro vivo, a imparare come si parla coi testimoni. Magari comincia a capire qualcosa. Disse autorevolmente: «Non lo vieto». E, anticipando l’esclamazione di gioia, già lì lì per strapparsi dalle labbra del suo giovane subalterno, aggiunse: «Ma prima terminate il rapporto per sua eccellenza. Ed ecco cosa, colombello mio. Sono già le quattro. Magari me ne torno a casa. E voi domani mi racconterete come mai il commesso ha deciso che si trattava di uno studente».