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O'Kelly è sempre stato una specie di mistero, per me. Cassie non gli era mai andata a genio, non gli piacevano le sue teorie e riteneva che, tutto sommato, fosse più una rottura di scatole che altro. Ma la squadra ha un significato profondo, quasi totemico, per lui: quando si rassegna a sostenerne un componente, lo fa fino in fondo, anche se si tratta di una donna. Concesse a Cassie trasmettitore e furgone di supporto, anche se la considerava una totale perdita di tempo e di risorse. Quando tornai, la mattina dopo, ed era prestissimo perché volevamo prendere Rosalind prima che andasse a scuola, Cassie era in sala operativa e si stava facendo mettere addosso l'attrezzatura.

«Si tolga la felpa, per favore» le chiese gentilmente il tecnico della sorveglianza. Era basso e dai lineamenti comuni, con mani professionali e abili. Ubbidiente come un bambino nell'ambulatorio del dottore, Cassie si sfilò la felpa da sopra la testa. Sotto portava quella che sembrava una canottiera da maschio. Aveva rinunciato al trucco spavaldo degli ultimi giorni e gli occhi apparivano pesti. Mi chiesi se fosse riuscita a dormire e me la immaginai seduta sul davanzale con la T-shirt tirata fin sotto le ginocchia ripiegate fino al petto, il piccolo bagliore rosso della sigaretta che si incendiava e si affievoliva a ogni boccata, a osservare l'alba che rischiarava i giardini di sotto. Sam era alla finestra e ci dava le spalle, O'Kelly invece era tutto preso a tracciare righe, per poi cancellarle e tracciarne di nuove, sulla lavagna bianca. «E ora faccia passare il cavo sotto la T-shirt, grazie» proseguì il tecnico.

«Ci sono le intercettazioni che ti aspettano» mi ricordò O'Kelly.

«Voglio andarci anch'io» intervenni. Le spalle di Sam si mossero. Cassie, con la testa piegata sul microfono, non alzò lo sguardo.

«Quando l'inferno sarà ghiacciato e i cammelli torneranno a casa pattinando» rispose O'Kelly.

Ero così stanco che mi pareva di vedere tutto attraverso una sottile foschia bianca in movimento. «Voglio andarci anch'io» ripetei. Questa volta mi ignorarono tutti.

Il tecnico applicò il pacchetto della batteria ai jeans di Cassie, praticò una piccola incisione sul bordo della canottiera, attorno al collo, e ci infilò il microfono. Le aveva intanto fatto rimettere la felpa – Sam e O'Kelly si erano voltati dall'altra parte – e a quel punto le chiese di parlare. Cassie lo guardò con un'espressione vuota e O'Kelly sbottò allora con fare impaziente: «Di' la prima cosa che ti viene in mente, Maddox… cosa fai nel weekend, se vuoi». Ma lei recitò una poesia, una breve e vecchia poesia, di quelle che si imparavano a memoria a scuola. Mi sarei imbattuto in quei versi molto tempo dopo, sfogliando le pagine di un volume in una polverosa libreria:


Sui vostri capi sereni distesi

Con sillabe d'argilla le mie preghiere.

Quale dono dovrò portare, chiesi,

Prima che pianga e mi allontani?


Prendi la quercia e l'alloro, replicarono.

Prendi la nostra fortuna di lacrime

E vivi come un prodigo amante.

È un dono che non puoi dare quello che ti chiediamo.


La sua voce era bassa e piatta, inespressiva, e gli altoparlanti la incupirono ulteriormente, aggiungendovi un'eco bisbigliata. Si udiva anche un fruscio, come di un vento lontano. Mi vennero in mente storie di fantasmi nelle quali le voci dei morti tornavano tra i vivi da vecchie radio gracchianti o attraverso le linee telefoniche, viaggiando su sperdute lunghezze d'onda attraverso le leggi della natura e i selvaggi spazi dell'universo. Il tecnico trafficò con minuscoli e misteriosi aggeggi.

«Grazie, Maddox, molto commovente» disse O'Kelly, quando il tecnico ebbe finito. «Allora, qui c'è la zona residenziale.» Colpì la mappa di Sam con il dorso della mano. «Noi staremo nel furgone parcheggiato in Knocknaree Crescent, la prima sulla sinistra dopo l'entrata principale. Tu, Maddox, con quel tuo affare su due ruote parcheggi davanti alla casa dei Devlin e convinci la ragazza a uscire a far due passi. Usate il cancello posteriore dell'area residenziale e voltate a destra, dalla parte opposta dello scavo, poi di nuovo a destra, lungo il muro laterale, per sbucare sulla strada principale, e ancora a destra verso l'entrata anteriore. Se in qualsiasi momento doveste deviare da questo percorso, annuncialo nel microfono. Dai la tua posizione più spesso che puoi. Quando… oh, Cristo, diciamo "se"… se le hai letto i suoi diritti e hai ottenuto abbastanza per un arresto, procedi e arrestala. Se credi che si sia insospettita o ti sembra di girare a vuoto, chiudi tutto e vieni via. Se hai bisogno di sostegno, in qualsiasi momento, dillo e interveniamo. Se ha un'arma, identificala nel microfono, tipo "metti giù quel coltello" o qualsiasi cosa sia. Non hai testimoni oculari, quindi non essere tu a tirare fuori la tua arma a meno che non sia indispensabile.»

«Non porterò la pistola» disse Cassie. Si slacciò la fondina, la passò a Sam e distese le braccia. «Controllami.»

«Per verificare cosa?» chiese Sam, perplesso, osservando la pistola che teneva in mano.

«Per vedere se ho armi.» Lo sguardo di Cassie scivolò via, vacuo, oltre le spalle di Sam. «Potrebbe sostenere che, qualunque cosa dica, l'ha detta perché la tenevo sotto tiro. Prima che parta con la Vespa, controllate anche quella.»


Ancora oggi non so dire come riuscii a salire su quel furgone. Forse fu perché, sebbene in disgrazia, ero pur sempre il collega di Cassie, un rapporto per il quale quasi tutti i detective hanno un radicato e profondo rispetto. O forse perché bombardai O'Kelly con la prima tecnica che qualsiasi bambino piccolo impara: se chiedi a qualcuno qualcosa con ripetitività e abbastanza a lungo, e lo fai mentre quel qualcuno è affaccendato in altre cose, prima o poi ti dirà di sì solo per farti smettere. Ero troppo disperato per preoccuparmi dell'umiliazione che la cosa comportava. Magari dovette pensare anche che, se me lo avesse rifiutato, avrei preso la Land Rover e ci sarei andato da solo.

Il furgone era di quelli dall'aspetto sinistro, bianchi e senza finestrini, che regolarmente compaiono nei rapporti della polizia, con il nome e il logo di un'inesistente ditta di piastrelle stampati su un lato. Dentro era ancora più inquietante: grossi cavi neri arrotolati ovunque, un'attrezzatura che lampeggiava ed emetteva segnali acustici, una lucetta in alto che illuminava pochissimo. Sweeney si mise alla guida. Sam, O'Kelly, il tecnico e io sedevamo nel retro su scomode panchette basse, senza aprire bocca. O'Kelly si era portato un thermos di caffè e dei biscotti collosi che mangiò con morsi metodici, senza dare l'impressione che se li stesse gustando. Sam si grattava via una macchia immaginaria dai pantaloni e io mi feci schioccare le nocche delle mani fino a quando non mi resi conto di quanto la cosa potesse suonare irritante per gli altri; da quel momento pensai soltanto a tenere a freno il desiderio di fumare una sigaretta. Il tecnico risolveva i cruciverba dell'"Irish Times".

Parcheggiammo in Knocknaree Crescent e O'Kelly chiamò il cellulare di Cassie. Era nel raggio d'azione del dispositivo. La sua voce uscì dalle casse fredda e stabile. «Maddox.»

«Dove sei?» chiese O'Kelly.

«In prossimità della zona residenziale. Non volevo arrivare prima e vagare lì in giro.»

«Siamo in posizione. Vai.»

Una breve pausa, poi Cassie rispose: «Sì, signore». Sentii il ronzio della Vespa che si riavviava, poi lo strano effetto stereo quando, un minuto dopo, passò in fondo al Crescent, a pochi metri da noi. Il tecnico ripiegò il giornale, lo mise via e apportò una piccola regolazione a qualcosa. O'Kelly, di fronte a me, prese da una tasca un sacchetto di plastica con dolcetti e caramelle miste e si sistemò meglio sulla panca.

Passi veloci che facevano sobbalzare il microfono, il debole ding-dong del campanello… O'Kelly passò il sacchetto delle caramelle, nel caso qualcuno ne volesse. Vedendo che nessuno ne prendeva, fece un'alzata di spalle e si servì di una mentina.

Il clic della porta che si apriva… «Detective Maddox» disse Rosalind, senza sembrare lieta nonostante il tono. «Temo che in questo momento siamo tutti molto occupati.»

«Lo so» rispose Cassie. «Mi dispiace molto disturbarvi. Ma non è che potrei… non è che potrei parlarle un minuto?»

«Ha avuto la possibilità di farlo l'altra sera. Invece mi ha insultata e mi ha rovinato la serata. Sinceramente, non ho più voglia di perdere il mio tempo con lei.»

«Le chiedo scusa per quello. Io… non avrei dovuto farlo. Ma non riguarda il caso. Ho solo… bisogno di chiederle una cosa.»

Silenzio. Immaginai Rosalind che teneva la porta aperta e fissava Cassie, valutando la situazione. E Cassie con la faccia alzata, tesa, le mani affondate nelle tasche della giacca di camoscio. In sottofondo, qualcuno, Margaret, pronunciò alcune parole e Rosalind scattò: «È per me, mamma». Poi la porta sbatté.

«Allora?» domandò Rosalind.

«Potremmo…?» Un tramestio, Cassie che si muoveva nervosamente. «Potremmo andare a fare quattro passi? È una cosa un po' riservata.»

Questo doveva stimolare l'interesse di Rosalind, ma la voce non cambiò. «A dire il vero mi sto preparando per uscire.»

«Solo cinque minuti. Possiamo fare un giro dell'isolato o qualcosa del genere… La prego, signorina Devlin. È importante.»

Alla fine Rosalind sospirò. «D'accordo. Immagino di poterle concedere qualche minuto.»

«Grazie» disse Cassie, «lo apprezzo molto.» Le udimmo ripercorrere il vialetto, con le battute rapide dei tacchi di Rosalind.

Era una bella mattina. Il sole stava diradando la foschia della sera prima. Quando eravamo saliti sul furgone, ce n'era ancora che aleggiava sull'erba e intorbidiva il cielo. Le casse amplificavano il cinguettio dei merli, il cigolio del cancello sul retro della proprietà quando si aprì e il rumore che produsse quando si richiuse, i passi di Cassie e di Rosalind che frusciavano nell'erba umida al limitare del bosco… Pensai a quanto dovessero apparire belle a un osservatore mattiniero: Cassie, semplice, con i capelli scompigliati dal vento, Rosalind, bianca e flessuosa come un elemento appena uscito da una poesia. Due ragazze nella mattina settembrina, teste lucide sotto le foglie che andavano mutando, e i conigli che sgattaiolavano via al loro lento avvicinarsi.

«Posso chiederle una cosa?» cominciò Cassie.

«Be', pensavo che fossimo qui proprio per questo» rispose Rosalind, con appena un'inflessione per sottolineare che Cassie le stava facendo perdere del preziosissimo tempo.

«Sì, mi scusi.» Cassie inspirò. «Okay. Mi chiedevo come facesse a sapere…»

«Sì?» la incoraggiò Rosalind.

«Di me e del detective Ryan.» Silenzio. «Che noi avevamo… una relazione.»

«Oh, quello!» Rosalind rise. Fu un piccolo suono squillante, senza emozione, ma con un accenno di trionfo. «Oh, detective Maddox. Lei cosa ne dice?»

«Ho pensato che abbia tirato a indovinare. O qualcosa del genere. Che forse non l'avevamo nascosto così bene come credevamo. Ma mi sembrava solo… insomma, continuavo a chiedermelo.»

«Be', vi si vedeva in faccia, non è vero?» Maliziosa e con un lieve tono di rimprovero. «Ma no. Ci creda o no, detective Maddox, non trascorro il mio tempo a pensare a lei e alla sua vita amorosa.»

Silenzio. O'Kelly si tolse del caramello dai denti. «Allora come?» chiese Cassie, e la sua voce conteneva una nota di terrore.

«Me l'ha rivelato il detective Ryan, ovviamente» rispose amabilmente Rosalind. Sentii lo sguardo di Sam e quello di O'Kelly saettare su di me e mi morsicai l'interno della guancia per impedirmi di aprire bocca e negare.

Non è facile da ammettere, ma fino a quel momento avevo cullato la debole e incongrua speranza che potessimo aver equivocato. Un ragazzo che diceva quello che pensava volessimo sentirci dire, una ragazza che, incrudelita da un trauma, dal dolore e dall'essere stata respinta da me, si vendicava; potevamo aver travisato la cosa in molti modi. Fu solo in quel momento, per la facilità con la quale era stata pronunciata quella bugia, che compresi che Rosalind, la Rosalind che avevo conosciuto, la ragazza duramente provata dalla vita, seducente e imprevedibile con la quale avevo riso alla Centrale e alla quale avevo tenuto le mani su una panchina, quella ragazza, insomma, non era mai esistita. Tutto quello che mi aveva fatto vedere era stato costruito ad arte, con l'attenzione calcolatrice e meticolosa che un professionista mette nell'indossare il costume dell'attore. Sotto quei veli scintillanti, c'era qualcosa di semplice eppure letale, come un chiodo arrugginito.

«Stronzate!» la voce di Cassie s'incrinò. «Lui non lo direbbe mai, cazzo, mai…»

«Non osi inveire contro di me» scattò Rosalind.

«Mi scusi» disse Cassie, in tono sommesso, dopo un momento. «Solo che… non me lo aspettavo, ecco. Non avrei mai pensato che l'avrebbe detto a qualcuno. Mai e poi mai.»

«E invece l'ha detto. Dovrebbe fare più attenzione alle persone in cui ripone la sua fiducia. Desiderava chiedermi solo questo?»

«No. Ho bisogno di chiederle un favore.» Movimento. Cassie che si passava una mano fra i capelli o sul volto. «È contro le regole… fraternizzare con i colleghi. Se il nostro responsabile lo venisse a scoprire, potremmo essere licenziati tutti e due, o rispediti al servizio in uniforme. E questo lavoro… questo lavoro significa molto per noi. Per entrambi. Abbiamo dato l'anima per entrare alla Omicidi. Ci spezzerebbe il cuore esserne buttati fuori.»

«Avreste dovuto pensarci prima, dico male?»

«Lo so» assentì Cassie, «lo so. Ma c'è qualche possibilità che lei possa… che lei possa tacere sulla faccenda? Non dirlo a nessuno?»

«Coprire la vostra piccola relazione? È questo che intende?»

«Io… sì. Direi di sì.»

«Non sono certa di capire perché dovrei farle dei favori» disse Rosalind con freddezza. «Lei è sempre stata molto maleducata con me, tutte le volte che ci siamo incontrate… E ora che vuole qualcosa da me, invece… Non mi piacciono gli approfittatori.»

«Se sono stata scortese, le chiedo scusa» fece Cassie. La sua voce aveva un che di forzato, troppo alta e troppo veloce. «Sul serio. Credo di essermi sentita… non so, minacciata… non avrei dovuto prendermela con lei. Le porgo le mie scuse.»

«In effetti, le sue scuse sono più che gradite, ma questo esula dal nostro argomento. Non mi interessa il modo in cui lei mi ha insultato, ma se ha potuto trattare me così, sono certa che lo faccia anche con altra gente, giusto? Non so se dovrei coprire una persona che si comporta in modo così poco professionale. Devo pensarci un po' e capire se ho il dovere di informare i suoi superiori su come lei è realmente.»

«La troietta» disse Sam piano, senza sollevare lo sguardo.

«Un bel calcio nel culo, ecco quello che si merita» borbottò O'Kelly. Nonostante tutto, stava cominciando a interessarsi anche lui. «Se avessi avuto io la faccia tosta che ha questa ragazzina con una persona con il doppio dei suoi anni…»

«Senta» riprese Cassie, in tono disperato, «non riguarda solo me. E il detective Ryan? Lui non è mai stato maleducato con lei, no? Lui la adora.»

Rosalind rise con modestia. «Davvero?»

«Sì» confermò Cassie. «È proprio così.»

Forse Rosalind stava facendo finta di pensarci su. «Be', allora… immagino che, se era lei a stargli dietro, la colpa della relazione non sia stata sua. Potrebbe non essere giusto farlo soffrire per questo.»

«Credo che sia andata proprio così.» Sentivo l'umiliazione nella voce di Cassie, aspra e non mimetizzata. «Sono stata… sono sempre stata io quella che dava inizio alle cose.»

«E quanto è durata?»

«Cinque anni» rispose Cassie, «a momenti alterni.» Cinque anni prima Cassie e io non ci conoscevamo neppure, non eravamo neppure nella stessa regione del Paese. Mi resi conto, d'un tratto, che era tutto a beneficio di O'Kelly, che mentiva per le sue orecchie, nel caso gli fossero rimasti dei sospetti su di noi. Per la prima volta capii anche che stava conducendo un raffinato gioco a doppio taglio.

«Naturalmente devo essere certa che sia finita» disse Rosalind, «prima di poter anche solo pensare di coprirla.»

«È già finita. Glielo giuro, è così. Lui… lui ha chiuso un paio di settimane fa. Per sempre, questa volta.»

«Ah… e perché?»

«Non voglio parlarne.»

«Be', diciamo che non è in suo potere non farlo.»

Cassie respirò a fondo. «Non lo so il perché» rispose. «È la pura verità. Ho cercato in ogni modo di chiederglielo, ma dice solo che è complicato, che è confuso, che non è pronto per una relazione in questo momento… non so se c'è qualcun'altra o… non ci parliamo nemmeno più. Non mi guarda neanche. Non so cosa fare.» La sua voce ebbe un tremito.

«Senti, senti» commentò O'Kelly, non proprio con ammirazione. «Maddox non ha seguito la sua vocazione. Doveva stare su un palcoscenico.»

Ma Cassie non stava recitando, e Rosalind se ne accorse. «Be'» disse, e mi parve di avvertire un che di sogghignante nella sua voce, «non posso certo dirmi sorpresa. Non parla di lei come parlerebbe di un'amante.»

«Perché? Cosa dice di me?» chiese Cassie, impotente, dopo un secondo. Stava esponendo le parti di sé non coperte dall'armatura per attirare i colpi. Stava letteralmente lasciando che Rosalind le facesse male, la straziasse, si nutrisse a piacimento del suo dolore. Mi veniva da vomitare.

Rosalind tacque intenzionalmente, per farla attendere. «Dice che lei è terribilmente dipendente» rispose, infine. La voce era alta e chiara, immutabile. «"Disperata" è il termine che ha usato. E che mi trattava male perché gelosa del suo interesse per me. Ha fatto del suo meglio per essere gentile, credo che gli dispiacesse, ma si stava veramente stancando del suo comportamento.»

«Sono tutte cazzate» sibilai, furibondo, incapace di trattenermi. «Io non ho mai…»

«Sta' zitto» mi interruppe Sam, nello stesso momento in cui O'Kelly sbottava: «Chi cazzo se ne frega?».

«Buoni, prego» chiese cortesemente il tecnico.

«L'ho messo in guardia contro di lei» proseguì Rosalind. «Così alla fine ha seguito il mio consiglio?»

«Sì» assentì Cassie, con voce bassa e tremante. «Direi di sì.»

«Oh, mio Dio.» Una punta di divertimento. «Lei è veramente innamorata, ho visto giusto?»

Nulla.

«Allora? È così?»

«Non lo so.» La voce di Cassie era roca e addolorata, ma fu solo quando si soffiò il naso che capii che stava piangendo. Non l'avevo mai vista piangere. «Non ci ho mai pensato… io non… non ho mai provato per nessuno quello che provo per lui. Adesso non riesco nemmeno a pensare chiaramente, non ci riesco…»

«Oh, detective Maddox.» Rosalind sospirò. «Se non riesce a essere onesta con me, almeno lo sia con se stessa.»

«Non glielo so dire.» Cassie pronunciava le parole con fatica. «Forse io…» Le si strozzarono in gola.

Nel furgone pareva di stare in un sotterraneo. Come in un incubo, le fiancate sembravano ripiegarsi verso l'interno e la qualità incorporea delle voci non faceva che aggiungere un che di orrido. Era come se stessimo origliando due fantasmi bloccati in un'eterna e inalterabile battaglia di volontà contrapposte. O'Kelly dovette vedermi cercare con lo sguardo la maniglia della portiera, invisibile in quella penombra, perché la sua espressione era dura e di rimprovero. «Ci sei voluto venire tu, Ryan» disse.

Non riuscivo a respirare. «Devo intervenire.»

«E a fare cosa? Sta andando secondo i piani, per quel che vale. Stai buono.»

Le casse emisero un piccolo e terribile rantolo. «No» dissi. «Ascoltate.»

«Sta facendo il suo lavoro» osservò Sam. Nella sporca luce gialla, il suo volto era imperscrutabile. «Siediti.»

Il tecnico sollevò un dito. «Si controlli, almeno, mi faccia il favore» continuò Rosalind, con disgusto. «È mostruosamente difficile condurre una conversazione sensata con una persona isterica.»

«Mi dispiace.» Cassie si soffiò nuovamente il naso e deglutì a fatica. «Senta, la prego, è finita, non è stata colpa del detective Ryan. Lui farebbe qualsiasi cosa per lei. Le ha dato una dimostrazione di fiducia dicendole queste cose. Non è che potrebbe semplicemente… lasciar perdere? Non dirlo a nessuno? La prego.»

«Be'…» Rosalind sembrava stesse prendendo in considerazione la cosa. «Il detective Ryan e io siamo stati molto vicini, per un po'. Ma anche lui, l'ultima volta, è stato scortese con me. E mi ha mentito su quei suoi due amici. Non mi piace chi mente. No, detective Maddox, mi dispiace, ma non credo di dovere favori a nessuno di voi due.»

«Okay, okay» disse Cassie, «mettiamola così: cosa potrei fare per lei in cambio?»

Risatina. «Non mi viene in mente nulla che potrei volere da lei.»

«No, c'è una cosa. Mi conceda altri cinque minuti, okay? Possiamo tagliare da questo lato dell'abitato, lungo la strada principale. C'è una cosa che potrei fare per lei, giuro.»

Rosalind sospirò. «Le do tempo fino al nostro arrivo a casa mia. Sa, detective Maddox, c'è anche gente con una morale. Se decidessi di assumermi la responsabilità di raccontare questa cosa ai suoi superiori, lei non riuscirebbe a corrompermi per farmi stare zitta.»

«Niente corruzione. Solo… un aiuto.»

«Da lei?» Di nuovo quella risata, quel trillo che avevo trovato così incantevole. Mi accorsi di affondare le unghie nei palmi.

«Ieri» cominciò Cassie, «abbiamo arrestato Damien Donnelly per l'omicidio di Katy.»

Una brevissima pausa. Sam si sporse in avanti, con i gomiti sulle ginocchia. Poi: «Bene, era ora che smettesse di pensare solo alla sua vita amorosa e prestasse attenzione al caso di mia sorella. Chi è Damien Donnelly?».

«Dice di essere stato il suo fidanzato fino a qualche settimana fa.»

«Be', è chiaro che non è vero. Se fosse stato il mio fidanzato avrei sentito parlare di lui, no?»

«C'è la documentazione» disse Cassie, con cautela, «di molte telefonate tra i vostri cellulari.»

La voce di Rosalind divenne di ghiaccio. «Accusarmi di essere una bugiarda non è il modo migliore per ottenere dei favori da me, detective.»

«Non la sto accusando di nulla» fece, Cassie e per un istante pensai che le si sarebbe incrinata nuovamente la voce. «Sto solo dicendo che so che questi sono affari suoi e che lei non ha nessun motivo di fidarsi di me al riguardo…»

«Su questo non ci sono dubbi.»

«… ma sto anche cercando di spiegarle come posso aiutarla. Vede, ho parlato con Damien, e lui si fida di me.»

Dopo un momento, Rosalind respirò rumorosamente. «Non me ne vanterei. Damien parla con chiunque lo ascolti. Questo non la rende certo speciale.»

Sam annuì, un breve cenno. E uno.

«Lo so. Lo so. Ma la cosa è che mi ha detto perché l'ha fatto. Dice di averlo fatto per lei. Perché glielo ha chiesto lei.»

Nulla, per un bel po'.

«Per questo l'avevo fatta venire, l'altra sera» proseguì Cassie. «Le volevo fare delle domande al riguardo.»

«Oh, la prego, detective Maddox.» La voce di Rosalind era diventata appena un po' più tagliente, e non riuscivo a capire se fosse un segno positivo o negativo. «Non mi tratti come se fossi una stupida. Se aveste delle prove contro di me, sarei sicuramente in arresto e non qui ad ascoltarla piangere sul detective Ryan.»

«No» intervenne Cassie. «È questo il punto. Gli altri non sanno ancora quello che ha detto Damien. Se lo scoprono, allora sì che la arresteranno.»

«Mi sta minacciando? Perché sarebbe una pessima idea.»

«Assolutamente no. Sto solo cercando di… Okay, ecco cosa.» Cassie fece un respiro. «In effetti, non abbiamo bisogno di un movente per accusare qualcuno di omicidio e processarlo. Ha confessato, quella parte ce l'abbiamo, registrata anche in video, ed è tutto quello di cui abbiamo bisogno per sbatterlo in galera. Nessuno ha bisogno di sapere perché l'ha fatto. E, come dicevo, lui si fida di me. Se gli dicessi di tenersi il motivo per sé, mi crederebbe. Sa com'è fatto.»

«Molto meglio di lei, se è per questo. Dio, Damien.» Forse era l'ennesima prova della mia stupidità, ma mi feci cogliere nuovamente alla sprovvista dalla nota presente nella voce di Rosalind, qualcosa che andava ben oltre il disprezzo: era ripulsa, totale e impersonale. «Non sono assolutamente preoccupata di lui. È un assassino, santo cielo. Crede che qualcuno gli crederà? La sua parola contro la mia?»

«Io gli ho creduto» rispose Cassie.

«Sì, be', questo non depone a favore delle sue competenze come detective, o no? Damien sa appena allacciarsi le scarpe ma tira fuori una storia e lei lo prende in parola? Credeva sul serio che uno come lui fosse in grado di dirle esattamente come sono andate le cose, anche volendo? Damien sa gestire solo cose semplici, detective, e questa non è stata una storia semplice.»

«I fatti nudi e crudi tornano» controbatté Cassie bruscamente. «Non voglio sentire i dettagli. Se devo tenermi questa storia per me, meno ne so e meglio è.»

Un momento di silenzio. Rosalind valutava le possibilità. Poi la risatina. «Sul serio? Ma lei dovrebbe essere un detective, in un modo o nell'altro. Non le interessa scoprire quello che è veramente successo?»

«So quanto c'è da sapere. Qualsiasi cosa mi dirà non mi servirà comunque.»

«Oh, lo so» cinguettò Rosalind. «Lei non potrà usarlo. Ma è colpa sua se stare a sentire la verità la mette in una situazione scomoda, non crede? Non sarebbe dovuta finire in questa situazione. Non dovrebbe attendersi sconti da me per la sua disonestà.»

«Sono… come diceva lei, sono un detective.» La voce di Cassie stava salendo. «Non posso venire a conoscenza delle prove di un crimine e…»

Il tono di Rosalind non mutò. «Be', le toccherà lo stesso, o no? Katy era una ragazzina così dolce. Ma quando la faccenda del balletto cominciò ad attirarle tutte quelle attenzioni, andò fuori di testa. Quella Simone, quella donna. Aveva un'influenza terribile su di lei, sul serio. Mi rattristava moltissimo. Qualcuno doveva rimetterla al suo posto, giusto? Per il suo bene. Così io…»

«Se continua a parlare» scattò Cassie a voce troppo alta, «dovrò leggerle i suoi diritti. Altrimenti…»

«Non mi minacci, detective. Non glielo ripeterò.»

Fiato sospeso. Sam fissava il vuoto con una nocca tra i denti davanti.

«Così» riprese Rosalind, «ho deciso che la cosa migliore fosse quella di mostrare a Katy che non era poi un granché. Di certo non era molto intelligente. Quando le davo qualcosa da…»

«Non è obbligata a dire nulla che non voglia» la interruppe Cassie con la voce che le tremava, «ma se lo farà tutto quello che dirà verrà riportato e potrà essere usato contro di lei.»

Rosalind ci pensò a lungo. Sentivo i loro passi che facevano scricchiolare le foglie cadute, la felpa di Cassie che grattava leggermente contro il microfono a ogni passo; da qualche parte un colombo tubava, intimo e soddisfatto. Gli occhi di Sam erano su di me, e nell'oscurità del furgone credetti di vedervi una condanna. Pensai a suo zio e sostenni lo sguardo.

«L'ha persa» annunciò O'Kelly. Si stiracchiò: le pesanti spalle ruotarono all'indietro, il collo ebbe uno schiocco. «È per la lettura dei diritti. Quando ho cominciato io, quella merda non c'era: gli davi due strattoni, ti dicevano quello che volevi sapere e quello bastava a qualsiasi giudice. Vabbè, ce ne possiamo tornare…»

«Aspetti» lo fermò Sam. «La recupererà.»

«Senta» riprese infatti Cassie, sulla scia di un lungo respiro, «per la faccenda di andare dal nostro capo…»

«Un momento» la interruppe freddamente Rosalind. «Non abbiamo finito.»

«Sì, invece.» A Cassie tremò pericolosamente la voce. «Per quel che riguarda Katy abbiamo finito. Non me ne starò qui ad ascoltare…»

«Non mi piacciono le persone che cercano di sopraffarmi, detective. Dirò quello che mi andrà di dire e lei ascolterà, e se mi interromperà riterrò conclusa questa conversazione. Ovvio che se andrà a riferirla a qualcun altro dirò chiaramente che tipo di persona è lei e il detective Ryan lo confermerà. Nessuno crederà a una sola delle sue parole e lei perderà il suo prezioso lavoro. Mi ha capito?»

Silenzio. La sensazione di nausea continuava, orribile. Deglutii a fatica. «Che arroganza» commentò Sam, piano. «Che cazzo di arroganza.»

«Non mettertici anche tu» lo zittì O'Kelly. «È l'unica possibilità di Maddox.»

«Sì» fu il bisbiglio di Cassie. «Ho capito.»

«Bene.» Vidi ben chiaro nella mia mente il sorrisetto soddisfatto e affettato di Rosalind. Le sue scarpe ticchettavano sull'asfalto. Avevano svoltato sulla strada principale, in direzione dell'entrata anteriore della zona residenziale. «Allora, dicevo, ho deciso che qualcuno doveva fare in modo che Katy la smettesse di darsi tutte quelle arie. A dire il vero, avrebbero dovuto farlo i miei genitori. Se fosse stato così, non sarei stata costretta a immischiarmi. Ma a loro non importava un fico secco. Credo che sia una forma di abuso infantile… lei no? Questa specie di negligenza?»

Rosalind attese finché Cassie non rispose con un rigido: «Non lo so».

«Sì che lo è. Mi faceva star male. Allora ho detto a Katy che doveva piantarla col balletto, visto che aveva un effetto così negativo su di lei, ma non ha voluto ascoltarmi. Doveva imparare che non aveva il diritto divino di essere al centro dell'attenzione. Questo mondo era centrato su di lei. Così, di tanto in tanto, le ho impedito di ballare. Vuole sapere come?»

Il respiro di Cassie si era fatto rapido. «No. Non lo voglio sapere.»

«La facevo stare male, detective Maddox» proseguì Rosalind. «Dio mio, vuole dirmi che non avevate capito nemmeno quello?»

«Ce l'eravamo chiesto. Pensavamo che forse era sua madre a…»

«Mia madre?» Di nuovo quell'accenno, quel rigetto che andava oltre il disprezzo. «Ma per favore… Mia madre si sarebbe fatta beccare in una settimana, anche con gente come voi a indagare. Mescolavo il succo con il detersivo per i piatti, o altri detergenti, o qualsiasi altra cosa mi veniva in mente quel determinato giorno e dicevo a Katy che era un ricetta speciale per migliorare le sue doti di ballerina. Era abbastanza stupida da credermi. Ero anche curiosa di vedere se qualcuno se ne sarebbe accorto, però non è andata così. Ma se lo immagina?»

«Gesù» disse Cassie e il suo fu poco più di un bisbiglio.

«Vai, Cassie» mormorò Sam. «Lesioni personali gravi. Vai.»

«Non lo farà adesso» osservai, e la mia voce risuonò strana, convulsa. «Non prima che possa incastrarla per omicidio.»

«Stiamo per rientrare nella proprietà» annunciò Cassie. «E siccome ha detto che mi avrebbe concesso tempo solo fino a casa sua… ho bisogno di sapere cosa intende fare per…»

«Lo saprà quando glielo dirò. E rientreremo quando lo deciderò io. Anzi, penso proprio che potremmo tornare indietro di qua, così potrò finire di raccontarle la mia storia.»

«Di nuovo intorno a tutta la zona residenziale?»

«È stata lei a voler parlare con me, detective Maddox» disse Rosalind in tono di rimprovero. «Deve imparare ad accettare le conseguenze delle sue azioni.»

«Merda» mormorò Sam. Si stavano allontanando da noi.

«Maddox non avrà bisogno di supporto da parte nostra, O'Neill» intervenne O'Kelly. «La ragazzetta è una troia ma non è che abbia una Uzi in mano.»

«Comunque, Katy non voleva proprio imparare.» Quella nota aspra e pericolosa continuava a serpeggiare nella voce di Rosalind. «Alla fine, è riuscita a capire perché stava male… Dio santo, le ci sono voluti degli anni! Mi ha fatto una scenata assurda. Ha detto che non avrebbe più accettato niente da me e cose di questo genere. Mi ha minacciata addirittura di andare a dirlo ai nostri genitori. Non le avrebbero mai creduto, perché faceva sempre l'isterica su tutto, ma… Vede cosa le dicevo di Katy? Era una marmocchia viziata. Doveva averla sempre vinta. Se le cose non andavano a modo suo, correva dalla mamma e dal papà e raccontava delle storie.»

«Voleva solo fare la ballerina» disse Cassie con tono pacato.

«Era una cosa inaccettabile» scattò Rosalind. «Se avesse fatto semplicemente quello che le dicevo, non sarebbe mai finita così. Invece mi ha minacciata. Era quello che la scuola di balletto le faceva fare… tutti quegli articoli, la raccolta fondi, una cosa schifosa… Credeva di poter fare quello che voleva. Mi ha anche detto, e non me lo sto inventando, sono le sue parole… se ne stava lì con le mani sui fianchi, Dio, che piccola primadonna, e mi ha detto: "Non avresti dovuto farmi una cosa del genere. Non riprovarci". Chi diavolo pensava di essere? Ha avuto la faccia tosta di venirmi a dire quello che dovevo fare. Era assolutamente fuori controllo, con me si comportava in maniera indecente e io non potevo permetterglielo in alcun modo.»

Le mani di Sam erano chiuse a pugno e io non respiravo. Ero coperto di un malsano sudore freddo. Non riuscivo più a riprodurre l'immagine di Rosalind nella mia mente. La tenera visione della ragazza vestita di bianco era andata in pezzi, come per effetto di una bomba nucleare. Era una cosa inimmaginabile, vuota come i gusci giallognoli che gli insetti si lasciano dietro nell'erba secca e che poi volano via con freddi venti alieni.

«Mi è capitato di imbattermi in persone che hanno cercato di dirmi cosa dovevo fare» disse Cassie. Aveva la voce tesa, era senza fiato. Anche se era stata l'unica ad avere capito cosa attendersi, quella storia la lasciava priva di forze. «Ma non ho mai preso qualcuno che me le ammazzasse.»

«Scoprirà che, in realtà, non ho mai detto a Damien di fare qualcosa a Katy.» Udii il ghigno di Rosalind. «Non è colpa mia se gli uomini vogliono sempre fare le cose per me, no? Glielo chieda, se vuole: è stato lui a tirare fuori l'idea. E, santo cielo, ha impiegato un'eternità. Ci sarebbe voluto molto meno per addestrare una scimmia.» O'Kelly sbuffò. «Quando finalmente gli è balenata l'idea, sembrava che avesse appena scoperto la gravità. Si riteneva una specie di genio. Salvo poi farsi venire tutti quei dubbi… Non la smetteva più. Dio santo, ancora qualche settimana e credo che avrei gettato la spugna con lui per ricominciare tutto da capo. Non volevo perderci la testa.»

«Alla fine però ha fatto quello che voleva lei» riassunse Cassie. «Allora perché ha rotto con lui? Quel poveretto è distrutto.»

«Per lo stesso motivo per cui il detective Ryan ha rotto con lei. Era una tale noia che mi sarei messa a urlare. E poi no, non ha fatto quello che volevo io. Ha incasinato tutto.» La voce di Rosalind si stava alzando, fredda e piena di rabbia. «Si è fatto prendere dal panico e ha nascosto il cadavere… ha rischiato di rovinare tutto. Avrebbe potuto farmi finire in seri guai. Guardi, è incredibile. Mi sono anche dovuta inventare una storia che potesse raccontarvi per distogliere la vostra attenzione da lui, ma non è riuscito a gestire bene neanche quella.»

«Il tizio con la tuta?» chiese Cassie. Colsi la tensione rivelatrice: stava per succedere. «No, quella ce l'ha raccontata. È che non è stato molto convincente. Abbiamo solo pensato che stesse facendo una gran cosa di una sciocchezza.»

«Capisce cosa intendo? L'idea era che facesse sesso con lei, la colpisse alla testa con un sasso e lasciasse il corpo da qualche parte, allo scavo o nel bosco. Questo era quello che volevo io. E, per tutti i santi, mi sembra una cosa abbastanza facile anche per uno come Damien! Ma no, non ne ha imbroccata una. Mio Dio, è fortunato che mi sia limitata a rompere con lui. Dopo il casino che ha fatto, avrei dovuto mettere lui al centro dei vostri sospetti. Si merita tutto quello che gli capiterà.»

Era fatta. C'era tutto quello di cui avevamo bisogno. Espulsi il fiato con uno strano e doloroso piccolo suono. Sam si accasciò contro la fiancata del furgone e si passò le mani tra i capelli. O'Kelly emise un fischio lungo e basso.

«Rosalind Frances Devlin» cominciò Cassie, «lei è in arresto perché sospettata di aver assassinato Katharine Siobhan Devlin, il 17 agosto di quest'anno o intorno a quella data, in violazione della legge.»

«Mi tolga le mani di dosso» scattò Rosalind. Fruscii, un tramestio, ramoscelli che si spezzavano sotto i piedi. Poi un suono, come il soffio di un gatto, e qualcosa a metà tra uno schiocco e un colpo sordo. E un'esclamazione di sorpresa. Di Cassie.

«Che cazzo…» esplose O'Kelly.

«Andiamo» disse Sam. «andiamo.» Ma io stavo già annaspando alla ricerca della maniglia della portiera.

Schizzammo oltre l'angolo e lungo la strada, verso l'entrata della zona residenziale. Ho le gambe più lunghe e perciò distanziai Sam e O'Kelly con facilità. Tutto mi passava accanto come al rallentatore: cancelli, porte dipinte con colori brillanti, un bambinetto su un triciclo che mi guardava a bocca aperta, un anziano con le bretelle che distoglieva l'attenzione dalle sue rose… La luce del sole mattutino si andava distendendo con la lentezza del miele e, dopo tutta quella oscurità, era quasi dolorosa. Il rimbombo prodotto dalla portiera del furgone sbattuta sembrava echeggiare all'infinito. Rosalind avrebbe potuto afferrare un ramo appuntito, un sasso, una bottiglia rotta. Si può uccidere con così tante cose. Non sentivo i piedi che colpivano l'asfalto. Ruotai attorno al pilastrino del cancello, mi fiondai sulla strada principale e, subito dopo, con le foglie che sbattevano sul mio viso, imboccai il sentierino che correva lungo il muro superiore, là dove l'erba era alta e bagnata, con molte impronte nelle zone fangose. Avevo come la sensazione di dissolvermi a quel fresco e dolce venticello autunnale che soffiava tra le mie costole, mi entrava nelle vene e mi tramutava da terra in aria.

Le vidi all'angolo estremo della proprietà, là dove i campi incontravano l'ultima striscia di bosco, e mi sentii le gambe molli per il sollievo nel constatare che erano entrambe in posizione eretta. Cassie teneva Rosalind per i polsi – per un istante ricordai la forza delle sue mani, quel giorno, nella stanza degli interrogatori – Rosalind però stava lottando con le unghie e con i denti, con ferocia, e lo faceva non per sfuggirle ma per colpirla. Le dava calci negli stinchi, cercava di graffiarla, vidi anche che le sputava sul volto. Gridai qualcosa ma non credo che mi udissero.

Un rumore di passi alle mie spalle e Sweeney mi superò, correndo come un giocatore di rugby e già nell'atto di estrarre le manette. Afferrò Rosalind per una spalla, la fece ruotare e la sbatté contro il muro. Cassie l'aveva colta in un momento in cui non era truccata e con i capelli raccolti in uno chignon, così che vedevo, per la prima volta e con un'enfasi che aveva qualcosa di allegorico, quanto fosse brutta senza i molti strati di trucco e i riccioli sistemati ad arte: guance imbolsite, una piccola bocca avida e atteggiata a un ghigno odioso, gli occhi vitrei e vuoti come quelli di una bambola. Indossava l'uniforme scolastica, gonna blu scuro di cattiva fattura e maglioncino dello stesso colore con uno stemma sul davanti, e per qualche motivo quella tenuta mi parve la cosa più orribile.

Cassie caracollò all'indietro e finì contro il tronco di un albero, ma recuperò l'equilibrio e quando si voltò verso di me la prima cosa che vidi furono gli occhi, enormi, neri e ciechi. Poi scorsi il sangue, una folle ragnatela che le scendeva lungo un lato del volto. Ondeggiò appena sotto le ombre sfocate delle foglie e una goccia brillante cadde sull'erba ai suoi piedi.

Ero a pochi metri soltanto ma qualcosa mi impedì di avvicinarmi ulteriormente. Stordita e sconvolta, con il volto segnato da quei graffi feroci, sembrava una sacerdotessa pagana che emergesse da un rito troppo vivido e impietoso da immaginare: per metà ancora altrove, era qualcun altro e, soprattutto, inavvicinabile fino a quando non fosse stata lei stessa a dare il segnale. Provai un formicolio alla nuca.

«Cassie» dissi e tesi le braccia, con la sensazione che mi si squarciasse il petto. «Oh, Cassie.»

Sollevò le mani, le allungò e per un istante, giuro, tutto il suo corpo si proiettò verso di me. Poi ricordò e le mani ricaddero. Piegò la testa all'indietro, lo sguardo che vagava senza meta sul cielo azzurro.

Sam mi spinse da parte e si fermò goffamente al suo fianco. «Oh Dio, Cassie…» Era senza fiato. «Cosa ti ha fatto? Vieni qui.»

Si estrasse un lembo della camicia e gentilmente le tamponò la guancia, mentre con l'altra mano le teneva la testa per farla stare ferma. «Oh… merda» esclamò Sweeney, digrignando i denti, quando Rosalind gli pestò un piede.

«Mi ha graffiato» rispose Cassie. Aveva una voce terribile, alta e sinistra. «Mi ha toccato, Sam, quella cosa mi ha toccato. Cristo, mi ha sputato… Non la voglio davanti agli occhi, Sam. Toglimela.»

«Shhh…» cercò di tranquillizzarla Sam. «È finita ora. Sei stata grande. Shhh…» La strinse a sé. Lei gli appoggiò la testa a una spalla. Per un secondo ci fissammo, io e Sam, poi lui distolse lo sguardo e lo abbassò sulla mano che accarezzava i capelli scomposti di Cassie.

«Che cazzo succede?» fece O'Kelly, alle mie spalle, con voce disgustata.


Sam aveva una bottiglia d'acqua, così il volto di Cassie, una volta ripulito, non apparve tanto massacrato come era sembrato in un primo momento. Le unghie di Rosalind avevano lasciato tre larghi segni scuri lungo lo zigomo, ma nonostante tutto quel sangue non erano profondi. Il tecnico, che aveva qualche nozione di pronto soccorso, disse che non ci sarebbe stato bisogno di punti di sutura e che era stata fortunata che Rosalind non le avesse preso l'occhio. Si offrì di applicarle dei cerotti sui graffi ma Cassie rifiutò. Voleva tornare in ufficio per disinfettarli, prima. Di tanto in tanto, era scossa da un lungo brivido. Il tecnico spiegò che probabilmente si trattava di una specie di shock. O'Kelly, che sembrava ancora perplesso e un po' esasperato da quella giornata, le offrì una caramella. «Zuccheri» disse.

Poiché non era nelle condizioni di guidare, Cassie lasciò la Vespa dov'era parcheggiata e tornò in ufficio sul furgone, seduta davanti. Sam era alla guida. Rosalind stava nel retro, con tutti noi. Quando Sweeney era riuscito a metterle le manette si era tranquillizzata. Se ne stava seduta rigida e indignata, senza dire niente. Tutte le volte che inspiravo sentivo il suo profumo nauseante e qualcos'altro, una nota troppo matura, eccessiva e contaminante, forse immaginaria. Si vedeva bene dallo sguardo che la sua mente stava lavorando freneticamente, ma il volto era inespressivo; nessuna paura, sfida o rabbia, nulla di nulla.

Una volta arrivati in ufficio, l'umore di O'Kelly era considerevolmente migliorato, e quando seguii lui e Cassie nella stanza d'osservazione non tentò di mandarmi via. «Quella ragazza mi ricorda una che conoscevo quando andavo a scuola» ci disse, pensoso, mentre aspettavamo che Sam finisse di occuparsi di tutte le formalità con Rosalind e l'accompagnasse poi nella stanza degli interrogatori. «Ti fotte per benino in tutte le direzioni e senza battere ciglio, poi si volta e convince tutti che non è colpa sua. C'è gente matta in giro.»

Cassie si appoggiò alla parete, sputò su un fazzolettino macchiato di sangue e se lo passò sulla guancia. «Non è matta» lo corresse. Le tremavano ancora le mani.

«Era per dire, Maddox» ribatté O'Kelly. «Dovresti andare a farti vedere la ferita di guerra.»

«Sto bene.»

«Comunque, complimenti. Ci hai preso.» Le diede una goffa pacca sulla spalla. «Tutta quella faccenda sul far stare male la sorella per il suo bene… secondo te, ci crede veramente?»

«No» rispose Cassie. Ripiegò il fazzoletto e trovò un angolo pulito. «"Credere" non esiste per lei. Le cose non sono vere o false; le vanno bene o no. Nient'altro ha importanza. Se la sottoponessimo alla macchina della verità, supererebbe pienamente la prova.»

«Sarebbe dovuta entrare in politica. Ah, ecco, ci siamo.» O'Kelly fece un cenno con la testa verso il vetro: Sam stava spingendo Rosalind nella stanza degli interrogatori. «Vediamo come cerca di venirne fuori. Dovremmo poterci fare delle gran belle risate.»

Rosalind si diede un'occhiata intorno e sospirò. «Ora vorrei che chiamaste i miei genitori» disse a Sam. «Dite loro di procurarmi un avvocato e poi di venire qui.» Estrasse una graziosa penna e un diario dalla tasca della sua giacca sportiva, annotò qualcosa su una pagina, la strappò e la passò a Sam, come se fosse un portiere d'albergo. «Questo è il loro numero. Grazie.»

«Potrà vedere i suoi genitori quando avremo finito di parlare» le precisò Sam. «Se desidera un avvocato…»

«Credo che invece li vedrò molto prima.» Rosalind si lisciò e sistemò la gonna dietro e, con una piccola smorfia di disgusto verso la sedia di plastica, si sedette. «I minorenni non hanno il diritto di avere un genitore o un tutore presente durante l'interrogatorio?»

Ci fu un momento in cui tutti ci bloccammo, tranne Rosalind, che accavallò le ginocchia con falsa modestia e guardò Sam con un sorrisetto, assaporando l'effetto.

«Interrogatorio sospeso» annunciò bruscamente lui. Agguantò il fascicolo dal tavolo e si diresse alla porta.

«Gesù Cristo» esclamò O'Kelly. «Ryan, non mi dirai che…»

«Magari mente» disse Cassie. Stava osservando con attenzione la scena al di là del vetro, la mano stretta a pugno attorno al fazzoletto.

Il cuore, che aveva mancato un colpo, riprese a battere a velocità raddoppiata. «Ma certo. È ovvio. È impossibile che non sia magg…»

«Sì, come no? Sai quanti uomini sono finiti in galera per avere detto quella frase?»

Sam aprì la porta e se la sbatté alle spalle, facendola rimbalzare sugli stipiti. «Quanti anni ha quella ragazza?» mi chiese.

«Diciotto» risposi. Mi girava la testa. Lo sapevo, ne ero sicuro, ma non riuscivo a ricordarmi perché. «Mi ha detto…»

«Ma Santiddio! E hai preso per buona la sua parola?» Non avevo mai visto Sam perdere le staffe e la cosa mi colpì più di quanto non avessi immaginato. «Alle due e mezzo ti direbbe che sono le tre solo per incasinarti. Non hai neanche controllato?»

«Senti chi parla» scattò O'Kelly. «Chiunque di voi avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento, Dio solo sa quanto tempo avete avuto, e invece no…»

Sam non lo sentì neppure. Continuava a fissarmi, dritto negli occhi, e aveva uno sguardo incendiario. «Ci siamo fidati di te perché a quanto pare dovresti essere un cazzo di detective. Hai mandato la tua collega a farsi crocifiggere senza neanche disturbarti a controllare…»

«Ma ho controllato!» urlai. «Ho controllato nel suo dossier!» Ma già mentre le parole mi uscivano di bocca sapevo, ed era orribile. Un pomeriggio assolato di un po' di tempo prima, cornetta tra orecchio e spalla e O'Gorman che mi blaterava nell'altro orecchio. Stavo parlando con Rosalind, intanto che scartabellavo tra le carte del dossier, per accertarmi che fosse idonea come adulta per assistere al colloquio che avrei avuto con Jessica. E anche allora forse già intuivo inconsciamente che non potevo fidarmi di lei, altrimenti perché mi sarei dovuto preoccupare di controllare un dettaglio così insignificante? Avevo trovato la pagina con i dati anagrafici della famiglia ed ero sceso fino alla data di nascita di Rosalind, avevo sottratto gli anni…

Sam si era allontanato e stava sfogliando frenetico i vari incartamenti. Vidi il momento in cui le spalle gli si ripiegarono di colpo. «Novembre» disse a bassa voce. «Compie gli anni il due novembre. E diventerà maggiorenne.»

«Complimenti» sentenziò O'Kelly, dopo un lungo silenzio. «A tutti e tre, bel lavoro.»

Cassie lasciò andare il fiato. «Inammissibile» dichiarò. «Ogni singola cazzo di parola.» Scivolò lungo la parete fino a sedersi, come se improvvisamente le avessero ceduto le ginocchia, e chiuse gli occhi.

Un suono debole e insistente arrivò dagli altoparlanti. Nella sala degli interrogatori, Rosalind aveva cominciato ad annoiarsi e si era messa a canticchiare sottovoce.

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