DAVOS

Quando salì sulla tolda, la lunga punta di Driftmark stava svanendo a poppa e la Roccia del Drago si ergeva dal mare davanti a loro. Dalla cima della montagna saliva un pennacchio di fumo pallido, che indicava ai marinai il punto in cui si trovava l’isola. “O il monte del Drago questa mattina è inquieto” pensò Davos “oppure Melisandre sta bruciando qualcun altro.”

Melisandre era stata molto nei suoi pensieri mentre la Danza di Shayala attraversava la baia delle Acque Nere e usciva dall’Esofago, il contorto braccio di mare tra la terraferma e le due isole, affrontando ostili venti contrari. Il grande fuoco che ardeva sulla torre di guardia di Capo Acuminato, punta estrema dell’Uncino di Massey, gli aveva ricordato il rubino che lei portava alla gola. Aveva pensato a Melisandre anche all’alba, quando il mondo si tingeva di rosso. E al tramonto, quando le nubi alla deriva nel cielo assumevano la medesima sfumatura della seta e del raso delle sue gonne frusciami.

Ci sarebbe stata anche lei ad aspettarlo alla Roccia del Drago, forte della sua bellezza e del suo potere, assieme al suo dio, alle sue ombre e al suo re. La sacerdotessa delle Ombre godeva della fiducia incondizionata di Stannis Baratheon, fino a quel momento. “Lo ha reso docile, nello stesso modo in cui un uomo addomestica un cavallo selvaggio. Gli monterebbe in sella e galopperebbe con lui fino al potere, se dipendesse solo da lei. È per questo che ha consegnato i miei figli al rogo. Le strapperò dal petto il cuore ancora pulsante, per vedere se brucia davvero.” La sua mano tastò l’elsa della lunga e raffinata daga lyseniana che il capitano della Danza di Shayala gli aveva regalato.

Il capitano era stato molto gentile con lui. Si chiamava Khorane Sathmantes, lyseniano come Salladhor Saan, il padrone della nave. I suoi occhi, di quell’azzurro pallido che spesso si vedeva a Lys, brillavano in un volto ossuto e segnato dagli elementi. Khorane aveva passato molti anni commerciando con i Sette Regni. Nel momento in cui aveva appreso che l’uomo strappato all’artiglio granitico in mezzo al mare era il celebrato cavaliere della cipolla, gli aveva dato l’uso della sua cabina, dei suoi abiti e di un paio di stivali nuovi che gli andavano quasi bene. Aveva anche insistito perché Davos condividesse il suo cibo, ma questo era andato meno bene. Il suo stomaco non era stato in grado di tollerare le lumache, le lamprede e gli altri ricchi manicaretti che Khorane apprezzava così tanto. Dopo il primo pasto consumato alla tavola del capitano, Davos aveva trascorso il resto della giornata con un orifizio o con l’altro fuori della murata.

A ogni nuova vogata, la Roccia del Drago si ingigantiva. Ormai Davos riusciva a distinguere, arroccata sulle pendici della montagna, la grande cittadella nera irta di contrafforti e di torri a forma di drago. Fendendo le onde, la polena di bronzo sulla prua della Danza di Shayala sollevava ali di spruzzi. Davos si riversò inerte sul parapetto della murata, grato di avere quell’appiglio. L’ordalia del naufragio lo aveva indebolito. Se rimaneva in piedi troppo a lungo, le gambe gli cominciavano a tremare. A volte, cadeva preda d’incontrollabili accessi di tosse i quali lo costringevano a espellere grumi di muco venato di sangue. “Non è niente” ripeté a se stesso. “Certamente gli dèi non mi hanno permesso di passare indenne sotto l’acqua e in mezzo al fuoco per poi uccidermi con la tosse.”

Rimase ad ascoltare le voci della nave: il martellare ritmico del tamburo del capo rematore, il rumore vibrante delle vele, lo scricchiolio dei remi. Con la memoria, Davos tornò ai giorni della sua giovinezza, quando quegli stessi suoni, in fin troppe mattine nebbiose, chiudevano il suo cuore nella morsa della paura. Erano gli araldi della corvetta di sorveglianza del vecchio ser Tristimun, che significava morte certa per i contrabbandieri nell’epoca in cui Aerys Targaryen, il re Folle, sedeva sul Trono di Spade.

“Ma questo è stato un abisso di tempo fa” pensò Davos. “Prima della nave delle cipolle, prima dell’assedio di Capo Tempesta, prima che Stannis mi mozzasse le dita. È stato prima della guerra e della cometa rossa, prima che io diventassi un Seaworth o un cavaliere. Ero un uomo diverso, in quei giorni, prima che lord Stannis mi elevasse di rango.”

Il capitano Khorane lo aveva informato della fine delle speranze di vittoria di Stannis, la notte in cui il fiume era andato a fuoco. I Lannister lo avevano attaccato dal fianco, e a centinaia i suoi alfieri lo avevano abbandonato proprio nel momento di massima necessità. «È perfino stato visto il fantasma di re Renly che abbatteva uomini a destra e a manca, alla testa dell’avanguardia del lord del leone» aveva detto il capitano di Lys. «Si racconta che la sua armatura verde assumesse chiarori spettrali alla luce dell’altofuoco, e che dalle coma del suo elmo divampassero fiamme dorate.»

Il fantasma di Renly. Davos si chiese se anche i suoi figli sarebbero tornati come fantasmi. Andando per mare, aveva visto troppe cose strane per affermare che i fantasmi non esistevano.

«E nessuno di quegli alfieri è rimasto fedele?» aveva chiesto Davos.

«Pochi» era stata la risposta di Khorane. «I parenti della regina Selyse, loro soprattutto. Ne abbiamo imbarcati tanti con l’emblema della volpe nel cerchio di fiori. Ma molti altri, con molti altri emblemi, sono rimasti a terra. Ora, alla Roccia del Drago, è lord Alester Florent il Primo Cavaliere del re.»

La montagna si era fatta ancora più incombente, la cima incoronata da fumo livido. La vela si gonfiò, il tamburo batté e i remi morsero l’acqua. Un attimo dopo, l’imboccatura del porto si aprì davanti a loro. “Così vuoto.” Davos ricordò com’era stato prima, con navi ormeggiate a ogni molo e altre navi alla fonda oltre la linea frangiflutti. Notò l’ammiraglia di Salladhor Saan, la Valyriana, ancorata allo stesso molo che aveva ospitato la Furia e le altre navi sorelle. Anche le navi ai lati della Valyriana, con i loro scafi dipinti a strisce, erano navi di Lys. Invano, lo sguardo di Davos andò alla ricerca della Lady Marya e della Fantasma.

Le vele vennero ammainate all’entrata in porto, e la Danza di Shayaìa procedette a remi verso l’attracco. Il capitano Khorane andò da Davos mentre stavano completando l’ormeggio. «Il mio principe desidera vederti immediatamente.»

Un altro accesso di tosse tagliò il fiato al cavaliere della cipolla, impedendogli di rispondere. Si aggrappò alla murata e sputò fuori bordo. «Il re» gorgogliò. «Devo andare dal re.» “Perché là dove troverò Stannis, troverò anche Melisandre.”

«Nessuno va dal re» replicò Khorane Sathmantes con fermezza. «Salladhor Saan ti spiegherà. Prima è da lui che andrai.»

Davos era troppo debole per opporsi. Poté solamente annuire.


Salladhor Saan non era a bordo della Valyriana. Lo trovarono a un altro molo, a circa un quarto di miglio di distanza, nella stiva di un grosso mercantile pentoshi chiamato Raccolto abbondante, intento a verificare il carico assieme a due eunuchi. Uno dei due reggeva una lanterna, l’altro una tavoletta di cera e uno stilo.

«Trentasette, trentotto, trentanove…» Il vecchio pirata di Lys stava contando quando Davos e Khorane scesero dalla botola.

Quel giorno, Salladhor Saan indossava una tunica color vinaccia e alti stivali decorati di pelle bianca opacizzata, con fibbie d’argento. Tolse il coperchio a un’ampolla, annusò, sternutì.

«Un macinato rozzo, e di seconda qualità, a quanto dichiara il mio naso» disse. «La bolla di carico parla di quarantatré ampolle. Le altre quattro dove sono finite? Questo sto pensando. Che cosa si credono, questi buzzurri di Pentos, che io non sappia contare?» Nel vedere Davos, s’interruppe di colpo. Poi, fissandolo riprese: «E adesso che cos’è a farmi bruciare gli occhi, pepe o lacrime? Non sarà forse il re delle cipolle qui in piedi di fronte a me? No, non può essere lui: il mio caro amico Davos è morto nel fiume che bruciava, tutti concordano su questo. Perché il suo spettro viene a tormentarmi?».

«Nessuno spettro, Salla.»

«Che altro, quindi? Mai il mio cavaliere della cipolla è stato tanto magro e pallido quanto lo sei tu.»

Salladhor Saan si fece strada tra le pile di ampolle piene di spezie e i rotoli di tessuti che riempivano l’ampio ventre del mercantile. Avvolse Davos in un abbraccio che quasi lo stritolò, lo baciò su entrambe le guance e una terza volta in fronte.

«Sei ancora caldo, cavaliere, e io sento il tuo cuore che fa tump-tump. Che sia proprio vero? Il mare ti ha inghiottito e poi ti ha risputato fuori.»

Nella memoria di Davos apparve Macchia, il giullare dalla mente incrinata della principessa Shireen. Anche lui era finito in fondo al mare, ma dopo esserne uscito, era diventato pazzo. “Che sia pazzo anch’io, adesso?” Tossì nella mano guantata.

«Ho nuotato sotto la catena» disse. «E sono finito ad arenarmi su una delle lance del re sommerso. Ed è là che sarei morto se la Danza di Shayala non mi fosse passata vicino.»

Salladhor Saan passò un braccio attorno alle spalle del capitano. «Ben fatto, Khorane: avrai una giusta ricompensa, sto pensando. Meizo Mahr, sii un bravo eunuco e accompagna il mio amico Davos nella cabina del proprietario. Portagli subito del vino caldo con chiodi di garofano, non mi piace il suono di quella tosse. Spremici anche del cedro. E porta del formaggio bianco e una ciotola di quelle olive con il taglio che abbiamo contato poco fa! Davos, molto presto sarò da te, non appena avrò parlato con il nostro buon capitano Khorane. Tu mi perdonerai, lo so. E non mangiartele tutte, quelle olive: il mio desiderio era di condividerle con te!»

Davos lasciò che il più anziano dei due eunuchi lo conducesse fino a una cabina ampia e splendidamente ammobiliata, situata a poppa della nave. I tappeti erano spessi, le finestre di vetro colorato e in ognuna di quelle grandi poltrone di pelle avrebbero potuto trovare posto comodamente tre Davos. Il formaggio e le olive furono portati poco dopo, assieme a una coppa fumante di vino rosso caldo. Davos la tenne tra le mani e bevve con gratitudine. Espandendosi nel suo petto, la sensazione di calore fu un vero toccasana.

Salladhor Saan apparve qualche tempo dopo. «Devi perdonarmi per il vino, mio buon amico. Questi pentoshi berrebbero perfino il loro piscio, se fosse di colore amaranto.»

«Fa bene al mio torace» disse Davos. «Il vino caldo batte qualsiasi impacco, diceva sempre mia madre.»

«Ma avrai bisogno anche d’impacchi, sto pensando. Seduto su una lancia di granito per tutto questo tempo, per gli dèi… Come ti sembra quell’eccellente poltrona? Ha chiappe belle grasse, non trovi?»

«Chi?» chiese Davos, tra un sorso e l’altro.

«Illyrio Mopatis. Una balena dotata di favoriti, ti dico in verità. Queste poltrone sono state costruite per la sua stazza, per quanto lui si muova da Pentos ben di rado per starci sopra. Un uomo grasso sta sempre seduto comodo, sto pensando: in fondo i suoi cuscini se li porta sempre appresso!»

«Come mai sei su una nave di Pentos?» chiese Davos mettendo da parte la coppa di vino, ormai vuota. «Non ti sarai dato di nuovo alla pirateria, mio lord?»

«Vile calunnia. Chi più di Salladhor Saan ha sofferto per causa dei pirati? Chiedo solamente ciò che mi è dovuto. Molto oro mi è dovuto, oh, sì, ma io non sono privo di ragione, così, in luogo di conio, ho accettato una splendida pergamena, quanto mai fragrante. Reca il nome e il sigillo di lord Alester Florent, Primo Cavaliere del re. Sono stato fatto lord della baia delle Acque Nere, e nessun vascello può attraversare le mie nobili acque senza il mio nobile permesso, proprio non può. E quando questi fuorilegge cercano di sgusciare oltre nel buio della notte, allo scopo di evitare dazi e dogane quanto mai legittimi, ebbene non sono certo meglio dei contrabbandieri. E io sono quindi nel mio pieno diritto di procedere al sequestro.» Il vecchio pirata rise. «Io però non taglio dita a nessuno. A che servono mai pezzi di dita? Sono le navi che prendo, e qualche riscatto, nulla d’irragionevole.» Rivolse a Davos uno sguardo penetrante. «Non hai un bell’aspetto, amico mio. Quella tosse… E tu così magro. Vedo lo scheletro appena sotto la pelle. E inoltre, non vedo appesa al tuo collo la piccola sacca con le ossa delle dita…»

La vecchia abitudine spinse Davos a sollevare una mano, andando alla ricerca della sacca di cuoio che non c’era più. «L’ho perduta nel fiume.» “La mia fortuna.”

«Il fiume è stato terribile» disse Salladhor Saan con solennità. «Perfino mentre guardavo dalla baia, mi venivano i tremiti.»

Davos tossì, sputò, tossì di nuovo. «Ho visto la Betha nera che bruciava, e anche la Furia» riuscì a dire alla fine, con voce rauca. «Qualcuna delle nostre navi è riuscita a sfuggire al fuoco?» Una parte di lui si ostinava a sperare.

«La Lord Steffon, la Jenna degli stracci, la Spada veloce, la Signore che ride, più pochi altri vascelli. Quelle che erano a monte del piscio dei piromanti, sì. Non sono bruciate, ma con la catena alzata, nemmeno hanno volato. Alcune, poche, si sono arrese. La maggior parte ha risalito a remi il corso delle Rapide nere, allontanandosi dalla battaglia. Altre ancora sono state affondate dagli stessi equipaggi, per evitare che cadessero nelle mani dei Lannister. La Jenna degli stracci e la Signore che ride sono ancora sul fiume, e sono diventate navi pirata, mi hanno detto, ma chi può dire se sia davvero così?»

«La Lady Marya?» chiese Davos. «La Fantasma?»

«Niente. Di loro, niente.» Salladhor Saan pose una mano sull’avambraccio di Davos e diede una stretta. «Mi dispiace, vecchio amico. Erano bravi uomini, il tuo Dale, il tuo Allard. Ma almeno questo conforto io posso darti: il tuo giovane Devan è stato tra quelli che siamo riusciti a portare via, alla fine. Il coraggioso ragazzo è sempre stato a fianco del re, o così si dice.»

Per un momento, Davos fu colto da vertigine, tanto il sollievo fu palpabile. Aveva avuto paura di chiedere di Devan. «La Madre è misericordiosa. Devo andare da lui, Salla. Devo vederlo.»

«Sì» disse Salladhor Saan. «E poi vorrai fare vela per capo Furore, per vedere tua moglie e i tuoi due figli più piccoli. E dovrai avere una nuova nave, io sto pensando.»

«Sua maestà mi darà una nuova nave» disse Davos.

Il pirata lyseniano scosse il capo. «Di navi, sua maestà non ne ha più nessuna. Mentre Salladhor Saan ne ha molte. Le navi del re sono bruciate sul fiume, ma non le mie. E tu ne avrai una, amico mio. Tu navigherai per me, sì? Tu danzerai dentro Braavos e Myr e Volantis nel nero della notte, senza che mai nessuno ti veda, e tornerai a volteggiare fuori carico di sete e spezie. E grasse saranno le borse del nostro conio, sì.»

«Sei generoso, Salla, ma il mio dovere è verso il mio re, non verso le tue borse. La guerra continua. Secondo tutte le leggi dei Sette Regni, è ancora Stannis Baratheon il re di diritto.»

«Tutte le leggi dei Sette Regni non lo hanno aiutato mentre le sue navi andavano in cenere, io sto pensando. Quanto al tuo re, bene, lo troverai cambiato, io sto temendo. Dalla battaglia, non vuole più vedere nessuno e rimugina nel suo Tamburo di pietra. La regina Selyse conduce la corte in sua vece assieme allo zio lord Alester, che ha nominato sé stesso Primo Cavaliere. La regina ha anche dato ad Alester il sigillo del re, per suggellare le lettere che lui scrive, perfino la graziosa pergamena che ha dato a me. Ma è su un piccolo regno che governano, un regno povero e roccioso, sì. Non c’è oro, nemmeno quel poco necessario per dare al fedele Salladhor Saan quanto a lui è dovuto. Gli unici cavalieri rimasti sono i pochi risaliti sulle navi alla fine della battaglia. Le navi? Solamente i miei piccoli, coraggiosi vascelli.»

Davos fu piegato in due da un improvviso accesso di tosse. Salladhor Saan si fece avanti per sostenerlo, ma lui lo fermò con un gesto. Qualche momento dopo, si riebbe.

«Nessuno?» gorgogliò Davos. «Che cosa intendi che il re non vede nessuno?» La sua voce aveva un suono viscido, impastato, perfino alle sue stesse orecchie. Per un momento, la vertigine lo colse di nuovo, facendo girare la stanza attorno a lui.

«Nessuno… tranne lei» precisò Salladhor Saan, e Davos non ebbe bisogno di chiedere chi intendesse. «Amico mio, tu ti stai sfinendo. È un letto che ti serve, non Salladhor Saan. Un letto e molte coperte, un impacco caldo sul petto e altro vino con chiodi di garofano.»

«Sto bene.» Davos scosse il capo. «Parlami, Salla, devo sapere. Nessuno tranne Melisandre?»

Il lyseniano gli diede una lunga occhiata dubbiosa. «Le guardie continuano a guardare dall’altra parte» riprese con riluttanza. «Anche la regina e la loro figliola. I servi portano pasti che nessuno consuma» si avvicinò, abbassando la voce: «Strani discorsi, ho udito. Fuochi famelici sul fianco della montagna, Stannis e la donna rossa che vanno là insieme a osservare le fiamme. Esistono passaggi nascosti, si dice, e scalinate segrete che scendono nel cuore della montagna fino a luoghi roventi in cui lei è in grado di camminare indenne. È più che abbastanza per far calare le ombre su questo vecchio marinaio che ora ti parla terrori che a volte gli tolgono completamente l’appetito».

Melisandre. Davos ebbe un tremito. «La donna rossa gli ha fatto tutto questo» dichiarò. «È stata lei a mandare il fuoco che ci ha consumati sul fiume, per punire Stannis, per insegnargli che non poteva vincere senza le sue stregonerie.»

Il lyseniano scelse una grossa oliva dalla ciotola sul tavolo. «Non sei tu il primo a dire queste parole, amico mio. Ma se fossi in te, non ne parlerei a voce così alta. La Roccia del Drago brulica di creature della regina, oh, sì. Creature dotate di orecchie affilate, e di coltelli ancora più affilati.» Si cacciò l’oliva in bocca.

«Ce l’ho anch’io, un coltello. Dono del capitano Khorane.» Davos estrasse il pugnale e lo collocò sul tavolo tra loro. «Un coltello per strappare il cuore a Melisandre. Se ne ha uno.»

«Davos, coraggioso Davos.» Salladhor Saan sputò il nocciolo dell’oliva. «Tu non devi dire cose simili, nemmeno per facezia.»

«Non è una facezia. Voglio ucciderla.»

Se può essere uccisa con le armi dei mortali.” Davos non era certo di questo. Aveva visto l’anziano maestro Cressen farle scivolare del veleno nel vino, ma quando entrambi avevano bevuto dalla medesima coppa, a morire era stato solo lui, non la sacerdotessa rossa. “Una lama nel cuore, però… perfino i demoni possono essere uccisi dal morso freddo dell’acciaio, dicono i cantastorie.”

«Fai discorsi pericolosi, amico mio» lo avvertì Salladhor Saan. «Tu stai ancora male per i deliri sulla roccia in mare, sto pensando. La febbre ti ha arrostito la mente, sì. Meglio che tu ti metta a letto per un lungo riposo, fino a quando non avrai recuperato le forze.»

“Fino a quando la mia determinazione non si sarà indebolita, intendi dire.” Davos si alzò in piedi. Si sentiva febbricitante, barcollante, ma questo non aveva importanza. «Sei un subdolo vecchio malfattore, Salladhor Saan, ma un valido amico comunque.»

Il lyseniano si accarezzò l’appuntita barba d’argento. «Per cui sarà con questo tuo valido amico che resterai, sì?»

«No.» Davos arrossì. «Devo andare.»

«Andare? Ma guardati! Tu tossisci, tremi, sei malato e debole. E dov’è che devi andare?»

«Al castello. Il mio letto si trova là, e anche mio figlio.»

«E così pure la donna rossa» disse Salladhor Saan con sospetto. «Anche lei è al castello.»

«Anche lei.» Davos fece scivolare la daga nel fodero.

«Tu sei un contrabbandiere di cipolle, Davos, che cosa credi di sapere d’imboscate e di pugnalate? E inoltre sei malato, neppure riesci a impugnarlo, quello stiletto. Hai idea di quello che ti accadrebbe se dovessi venire preso? Mentre noi stavamo bruciando sul fiume, la regina stava bruciando i traditori. Servitori delle tenebre, li ha definiti, poveri sventurati. E mentre i roghi venivano accesi, la donna rossa cantava.»

Davos non ne fu sorpreso. “Lo sapevo!” pensò. “Lo sapevo anche prima che Salladhor me lo dicesse.” «Ha preso lord Sunglass dalle segrete» ipotizzò. «E anche i figli di Hubard Rambton.»

«Per l’appunto» confermò Salladhor Saan. «E poi li ha bruciati. Proprio come brucerà anche te. Se uccidi la donna rossa, ti bruceranno per vendetta. Se fallisci, ti bruceranno per aver tentato. Loro canteranno e tu urlerai, e poi morirai. E sei appena tornato alla vita!»

«È proprio per questo che sono stato risparmiato» disse Davos. «Per compiere quest’atto. Per porre fine a Melisandre di Asshai e a tutte le sue infamie. Per quale altra ragione il mare mi avrebbe risputato fuori? Salla, tu conosci la baia delle Acque Nere bene quanto me. Nessun capitano dotato di buonsenso porterebbe la propria nave attraverso le lance del re sommerso rischiando di squarciarne la carena. La Danza di Shayala non avrebbe mai dovuto passarmi vicino.»

«Vento» insistette Salladhor Saan. «Un vento infido, nient’altro. Quel vento l’ha spinta troppo a sud.»

«E chi lo ha mandato, quel vento infido? Salla, la Madre mi ha parlato.»

Il vecchio lyseniano ammiccò. «Tua madre è morta…»

«La Madre. Mi ha benedetto con sette figli, ma io ho lasciato che loro bruciassero la sua immagine. Mi ha parlato. Lo abbiamo chiamato noi, il fuoco, mi ha detto. E abbiamo chiamato anche le ombre. Sono stato io a portare Melisandre nelle viscere di Capo Tempesta. E ancora io sono stato testimone dell’orrore.» Davos continuava a rivedere quella notte nei suoi incubi, le scarne mani nere che si aggrappano alle cosce della donna rossa, cercando di uscire dal suo ventre gonfio. «Melisandre ha ucciso Cressen e lord Renly e un uomo valoroso chiamato ser Cortnay Penrose. Ha anche ucciso i miei figli. Ora è tempo che qualcuno uccida lei.»

«Qualcuno» disse Salladhor Saan. «Sì, per l’appunto, qualcuno. Ma non tu. Sei debole come un ragazzo, e non sei un guerriero. Rimani, Davos, t’imploro. Parleremo un altro po’ e tu mangerai. E poi forse, leveremo le vele per Braavos e assolderemo uno degli Uomini senza faccia per fare questa cosa, sì? Ma tu no. Tu devi sedere. E devi mangiare.»

“Sta rendendo tutto ancora più difficile” pensò Davos, guardingo. “Ed è già disperatamente difficile anche senza di lui.” «Ho la vendetta nel ventre, Salla. E non c’è spazio per altro cibo. Ora lasciami andare. Nel nome della nostra amicizia, augurami buona fortuna e lasciami andare.»

«Tu non sei un vero amico, io sto pensando.» Salladhor Saan si alzò in piedi a sua volta. «Quando sarai morto, chi porterà le tue ceneri e le tue ossa alla lady tua moglie? Chi le dirà che ha perduto un marito e quattro figli? Solo il vecchio, triste Salladhor Saan. Ma sia come desideri, coraggioso ser cavaliere. Corri pure alla tua tomba. Raccoglierò le tue ossa in una sacca e le darò ai figli che ti sarai lasciato indietro, che le conservino in piccole sacche appese al collo.» La sua mano, dove scintillava un anello per dito, fece un gesto irato. «Va’, va’, va’, va’, va’.»

Ma Davos non voleva separarsi da lui a quel modo: «Salla…».

«Vattene. Altrimenti rimani, meglio fatto, ma se devi andare, vattene adesso.»

Davos Seaworth andò.


Fu una lunga, solitaria marcia quella tra la Raccolto abbondante e le porte della Roccia del Drago. Le strade della zona dei moli, che settimane prima brulicavano di soldati, marinai e popolino, erano vuote e deserte. Dove un tempo Davos era costretto a evitare maiali grufolanti e bambini nudi adesso dominavano i ratti. Le sue gambe parevano di melassa, per tre volte la tosse lo aggredì al punto da costringerlo a fermarsi a riposare. Nessuno venne ad aiutarlo, nessuno nemmeno aprì una finestra per vedere che cosa stesse accadendo. Le imposte rimasero chiuse, le porte sbarrate e più di metà delle case esponevano un qualche simbolo di lutto. “A migliaia sono salpati per il fiume delle Rapide nere, ma solamente a centinaia sono tornati” rifletté Dayos. “I miei figli non sono stati i soli a morire. Possa la Madre avere misericordia di tutti loro.”

Quando raggiunse le porte del castello, le trovò sbarrate. Davos picchiò con il pugno contro il legno costellato di bulloni di ferro. Nessuna risposta. Allora lo prese sistematicamente a calci. Alla fine, un balestriere apparve sulla sommità della fortificazione e guardò in basso nello spazio che restava tra due giganteschi doccioni.

«Chi va là?»

Davos spinse la testa indietro e si portò le mani attorno alla bocca. «Ser Davos Seaworth, che desidera vedere sua maestà.»

«Cosa sei, ubriaco? Piantala di picchiare e vattene.»

Salladhor Saan lo aveva avvertito. Davos decise di cambiare tattica. «Allora manda a chiamare mio figlio Devan, lo scudiero del re.»

La guardia corrugò la fronte. «Chi hai detto che sei?»

«Davos» gridò lui in risposta. «Il cavaliere della cipolla.»

La testa scomparve,, per riapparire un momento dopo. «Ma levati dai piedi. Il cavaliere della cipolla è morto sul fiume. La sua nave è bruciata.»

«La sua nave è bruciata» concordò Davos. «Ma lui no, e adesso è qua sotto. Jate è ancora il comandante della Guardia?»

«Chi?»

«Jate Blackberry. Lui mi conosce.»

«Mai sentito nominare. Molto probabilmente è morto.»

«Allora lord Chyttering.»

«Lui lo conosco. È bruciato sulle Rapide nere.»

«Will Faccia d’uncino? Hal la Scrofa?»

«Morto uno, morto l’altro» rimandò il balestriere, ma adesso la sua espressione tradiva un dubbio improvviso. «Tu aspetta là.» Tornò a svanire.

Davos aspettò. “Morti, tutti morti” pensò cupamente. Gli tornò in mente il ventre bianco e prominente di Hal, una striscia di carne nuda sempre visibile sotto il bordo del suo farsetto sporco d’unto. E la lunga cicatrice che l’uncino da pesca aveva lasciato sulla faccia di Will, e il modo in cui il defunto Jate si portava immancabilmente la mano al berretto per salutare le donne, tutte le donne: di cinque anni o cinquanta, nobili o popolane, per lui non faceva nessuna differenza. “Annegati o bruciati, assieme ai miei figli e a migliaia di altri. Andati tutti a incoronare un re all’inferno.”

Improvvisamente, il balestriere tornò. «Gira intorno alle mura fino alla porta pedonale, ti faranno entrare.»

Davos fece come gli era stato detto. Le guardie che gli permisero di accedere erano uomini a lui sconosciuti. Armati di picca, avevano sul pettorale della tunica la volpe nel cerchio di fiori, emblema della Casa Florent. Ma non lo scortarono al Tamburo di pietra, come lui si era aspettato. Gli fecero superare l’arcata della Coda del drago e lo condussero fino al giardino di Aegon.

«Rimani ad aspettare qui» lo apostrofò il sergente.

«Sua maestà sa che sono tornato?» chiese Davos.

«Io sia dannato se lo so. Aspetta, ho detto.» Con questo se ne andò, portandosi dietro i suoi picchieri.

Un piacevole odore di pino pervadeva il giardino di Aegon e alti alberi scuri si ergevano su ogni lato. C’erano anche rose selvatiche, folte siepi spinose e una zona paludosa in cui crescevano more.

“Per quale motivo mi hanno condotto qui?” si domandò Davos.

Poi udì un debole tintinnare di campanelle e la risata di una bambina. All’improvviso, Macchia il giullare emerse dai cespugli, scappando via quanto più in fretta possibile, e dietro di lui la principessa Shireen correva all’inseguimento.

«Torna indietro!» gridò la ragazzina. «Macchia, torna qui subito!»

Il giullare vide Davos e si fermò con un sussulto. Le campanelle appese alle corna di cervo del suo berretto tintinnarono con allegria: ting-a-ling, ting-a-ling. Macchia si mise a saltellare da un piede all’altro.

«Sangue del giullare» cantò. «Sangue del re, sangue sulla coscia della vergine, ma catene per gli ospiti e catene per il promesso sposo, oh, oh, oh.»

Shireen stava per afferrarlo, ma, proprio all’ultimo momento, Macchia saltò al di là di una siepe di rovi e svanì tra gli alberi. La principessa continuò a corrergli dietro. Davos non poté fare a meno di sorridere.

Si girò per tossire nella mano guantata. Un’altra figura apparve dalle siepi e gli arrivò dritta addosso, gettandolo a terra.

Anche l’aggressore cadde a terra, ma fu di nuovo in piedi in un attimo. Era un ragazzo. «Che cosa ci fai qui?» chiese con durezza, togliendosi la polvere dagli abiti. Lunghi capelli neri come l’inchiostro gli ricadevano sul collo, i suoi occhi erano di un blu sfolgorante. «Non dovresti venirmi tra i piedi quando corro.»

«No» concordò Davos. «Non dovrei.» Un ennesimo accesso di tosse lo assalì mentre cercava di raddrizzarsi.

«Non ti senti bene?» Il ragazzo lo prese per un braccio e lo aiutò a mettersi in piedi. «Vuoi che chiami il maestro?»

«È solo un po’ di tosse.» Davos scosse il capo. «Passerà.»

Il ragazzo annuì senza insistere. «Stavamo giocando a mostri e fanciulle» spiegò. «Io ero il mostro. È un gioco infantile ma a mia cugina piace molto. Hai un nome?»

«Ser Davos Seaworth.»

«Ne sei sicuro?» Con aria dubbiosa, il ragazzo lo scrutò dalla testa ai piedi. «Non ce l’hai l’aria di un cavaliere.»

«Sono il cavaliere della cipolla, mio lord.»

Gli occhi blu del ragazzo ammiccarono. «Il capitano con la nave nera?»

«Tu conosci quella storia?»

«Prima che io nascessi, hai portato pesci da mangiare a mio zio Stannis, quando lord Tyrell lo cingeva d’assedio a Capo Tempesta.» Il ragazzo drizzò le spalle orgogliosamente. «Sono Edric Storm» annunciò «figlio di re Robert.»

«Ma certo!» Davos lo aveva intuito pressoché all’istante. Il ragazzo aveva le orecchie sporgenti dei Florent, ma tutto il resto — i capelli, gli occhi, la mandibola — erano quelli dei Baratheon.

«Conoscevi mio padre?» chiese Edric Storm.

«L’ho visto molte volte, andando a corte a incontrare tuo zio, ma non ci siamo mai parlati.»

«Mio padre mi ha insegnato a combattere» disse con orgoglio il ragazzo. «Veniva a vedermi quasi ogni anno, e a volte ci addestravamo assieme. Per il mio ultimo compleanno, mi ha mandato una mazza da guerra proprio come quella che usava lui, soltanto più piccola. Mi hanno imposto di lasciarla a Capo Tempesta, però. È vero che mio zio Stannis ti ha mozzato le dita?»

«Solo l’ultima falange. Le dita le ho ancora, appena un po’ più corte.»

«Fammi vedere.»

Davos si sfilò il guanto. Il ragazzo esaminò la sua mano con attenzione. «Il pollice non te lo ha accorciato?»

«No» tossì Davos. «Ha preferito lasciarlo com’era.»

«Non avrebbe dovuto tagliarti nessun dito» decise Edric. «È stata una cosa ingiusta.»

«Ero un contrabbandiere.»

«Sì, ma hai contrabbandato per lui pesci e cipolle.»

«Lord Stannis mi ha investito cavaliere per le cipolle, e mi ha accorciato le dita per il contrabbando.» Davos tornò a infilare il guanto.

«Mio padre non te le avrebbe tagliate, le dita.»

«Come tu dici, mio lord.»

“Ma Robert era un uomo diverso da Stannis, questo è vero. E il ragazzo è come lui. Già, e anche come Renly.” Il pensiero lo rese ansioso.

Edric stava per dire qualcosa quando entrambi udirono dei passi. Davos si voltò. Ser Axell Florent stava avanzando lungo uno dei sentieri del giardino, seguito da una dozzina di guardie con tuniche di cuoio. Sul pettorale portavano il cuore fiammeggiante, emblema del Signore della luce. “Uomini della regina” si rése conto Davos. La tosse tornò ad assalirlo.

Ser Axell era basso e muscoloso, il torace a botte, le braccia poderose e le gambe arcuate. Ciuffi di peli gli uscivano dalle orecchie. Zio della regina Selyse, da un decennio era castellano della Roccia del Drago. Consapevole che Davos godeva del favore di lord Stannis, lo aveva sempre trattato con cortesia. Ma nel tono della sua voce, non c’erano né cortesia né calore quando disse: «Ser Davos, non sei annegato? Com’è possibile?».

«Le cipolle galleggiano, cavaliere. Sei venuto a portarmi dal re?»

«Sono venuto a portarti nelle segrete.» Ser Axell fece cenno ai suoi uomini. «Prendetelo. E toglietegli la daga. È sua intenzione usarla contro la nostra signora.»

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