DAENERYS

I suoi esploratori dothraki le avevano detto come stavano le cose, ma Daenerys Targaryen, la Madre dei draghi, volle vedere con i propri occhi. Ser Jorah Mormont cavalcò al suo fianco attraverso la foresta di alberi di leccio, e poi su per un costone di arenaria. «Non più avanti di così, mia regina» l’avvertì il cavaliere in esilio quando furono in prossimità della cresta.

Dany trattenne le redini della sua purosangue e fece scorrere lo sguardo sulla pianura: l’esercito di Yunkai, città di schiavisti, era schierato a sbarrarle la strada. Barbabianca le aveva insegnato a valutare con chiarezza l’entità delle forze nemiche. «Cinquemila uomini» stabilì Daenerys dopo un momento.

«Direi anch’io» concordò ser Jorah. «Quelli sui fianchi sono mercenari. Lancieri e arcieri a cavallo, armati di spade e asce per il combattimento a distanza ravvicinata. I Secondi Figli sull’ala sinistra, i Corvi della Tempesta sulla destra. Vedi i vessilli?»

Tra i suoi artigli, l’arpia di Yunkai stringeva una frusta e un collare di ferro al posto del tratto di catena di quella di Astapor. I mercenari innalzavano i loro vessilli al di sotto di quello della città che servivano: sulla destra, quattro corvi attraversati da folgori; sulla sinistra una spada spezzata.

«Le forze di Yunkai sono al centro» rilevò Dany. Nella distanza, i loro ufficiali non si riuscivano a distinguere da quelli di Astapor, con gli alti elmi lucenti e i mantelli su cui erano cuciti vividi dischi di rame. «Sono soldati schiavi quelli che comandano?»

«In larga misura. Ma non pari agli Immacolati. Yunkai è nota per addestrare schiavi del piacere, non guerrieri.»

«Che ne pensi? Possiamo sconfiggere questo esercito?»

«Con facilità» dichiarò ser Jorah.

«Ma non senza spargimento di sangue.» E di sangue, sui rossi mattoni di Astapor, ne era stato sparso in abbondanza il giorno in cui la città era caduta, per quanto ben poco fosse quello di Daenerys e delle sue schiere. «Potremmo vincere questa battaglia, certo, ma a un costo tale da impedirci di prendere la città.»

«Questo, khaleesi, sarà sempre un rischio. Astapor era compiacente e vulnerabile. Yunkai è stata preavvertita.»

Dany valutò la situazione. L’esercito degli schiavisti appariva piccolo al confronto del suo, ma i mercenari erano a cavallo. E lei aveva vissuto troppo a lungo con i dothraki, ed era stata in troppi bagni di sangue, per non aver imparato quali potevano essere gli effetti di un assalto di guerrieri a cavallo contro soldati appiedati. “Gli Immacolati potrebbero anche reggere la carica, ma verrebbero macellati.” «Agli schiavisti piace parlare» disse infine. «Mandiamo loro un messaggio che vorrei incontrarli questa sera nella mia tenda. E invitiamo a farmi visita anche i capitani delle compagnie di ventura. Ma non assieme. I Corvi della Tempesta a mezzogiorno, i Secondi Figli due ore più tardi.»

«Come desideri» assentì ser Jorah. «Ma se non dovessero venire…»

«Verranno. Saranno curiosi di vedere i draghi e di sentire quanto ho da dire. E i più astuti tra loro non si lasceranno sfuggire l’opportunità di valutare la mia forza militare.» Dany fece voltare la purosangue argentata. «Li aspetterò nel mio padiglione.»

La Madre dei draghi fece ritorno al suo esercito sotto cieli limpidi, accompagnata da rapidi venti. Il profondo fossato che circondava l’accampamento era già stato scavato a metà, i boschi attorno erano pieni di Immacolati intenti a tagliare rami dagli alberi di leccio per farne rostri. I soldati eunuchi non dormivano in un accampamento che non fosse fortificato, o almeno era quanto Verme Grigio aveva dichiarato. Dany lo trovò intento a sorvegliare i lavori. Fermò brevemente il cavallo accanto a lui per parlargli. «Yunkai ha drizzato la schiena in preparazione alla battaglia.»

«Ciò è buono, maestà. Questi soldati hanno sete di sangue.»

Nel dare agli Immacolati l’ordine di scegliere di loro iniziativa gli ufficiali tra i loro stessi ranghi, la stragrande maggioranza aveva indicato Verme Grigio per il livello più alto. Dany lo aveva affidato a ser Jorah perché lo addestrasse al comando. Il cavaliere in esilio aveva detto che, fino a quel momento, il giovane eunuco era stato severo ma giusto, rapido nell’apprendere, instancabile e sempre attento ai dettagli.

«I Saggi Padroni hanno messo assieme un esercito di schiavi per affrontarci.»

«A Yunkai uno schiavo apprende la via dei sette sospiri e le sedici posizioni del piacere. Gli Immacolati apprendono la via delle tre lance. Il tuo Verme Grigio spera di potertene dare dimostrazione.»

Una delle prime cose che Dany aveva fatto dopo la caduta di Astapor era stata abolire l’usanza di dare agli Immacolati un nuovo nome da schiavo ogni giorno. Per la maggior parte, i nati liberi avevano ripreso i loro nomi originari, o almeno quelli che ancora li ricordavano. Gli altri avevano scelto di chiamarsi come divinità o eroi del passato, oppure col nome di armi, di gemme, addirittura di fiori. Il risultato era stato soldati con nomi davvero peculiari, alle orecchie di Dany. Verme Grigio era rimasto Verme Grigio. Quando lei gli aveva domandato il perché, la sua risposta era stata: “È un nome fortunato. Il nome con cui questo soldato è nato era un nome maledetto. Era il nome che questo soldato portava quando è stato preso come schiavo. Mentre Verme Grigio è il nome che questo soldato ricevette il giorno in cui Daenerys, Nata dalla tempesta, gli ridiede la libertà”.

«Se si dovesse arrivare alla battaglia, allora che Verme Grigio mostri la sua saggezza oltre che il suo coraggio» gli disse Dany. «Risparmiate ogni schiavo che fugge o che getta la propria arma. Meno ne verranno uccisi, più rimarranno per unirsi a noi in seguito.»

«Questo soldato lo ricorderà.»

«Sono certa che lo farà. Sii alla mia tenda per mezzogiorno. Voglio che tu sia presente assieme agli altri miei ufficiali quando incontrerò i capitani mercenari.» Dany diede di speroni, guidando la purosangue verso l’accampamento.

All’interno del perimetro difensivo eretto dagli Immacolati, le tende erano disposte in ranghi ordinati, con l’alto padiglione dorato al centro. Poco oltre l’accampamento di Dany, era cresciuto un secondo accampamento: cinque volte più grande, dilatato e caotico. Un secondo accampamento privo di fossati, tende, sentinelle, linee di cavalli. Chi possedeva cavalli o muli dormiva accanto a essi, per paura che potessero venire rubati. Capre, pecore e cani mezzo morti di fame vagavano fra orde di donne, bambini, vecchi. Daenerys aveva lasciato Astapor nelle mani di un triumvirato formato da tre schiavi liberati, un guaritore, un dotto e un prete. Tre uomini saggi, aveva pensato Dany, e giusti. Eppure, a decine di migliaia avevano preferito seguirla fino a Yunkai piuttosto che rimanere ad Astapor. “Ho dato loro la città, ma i più erano troppo spaventati per prenderla.”

Paragonata alla sua, l’armata dei liberti era gigantesca ma era anche più un peso che un beneficio. Forse uno su cento aveva un somaro, un cammello o un bue. I più portavano armi rubate in un qualche arsenale di Astapor, ma solo uno su dieci era abbastanza in forze per combattere, e nessuno era addestrato a farlo. Dovunque passassero, tramutavano la terra in una spoglia desolazione, simili a locuste con i sandali. Eppure, respingendo le insistenze di ser Jorah e dei suoi cavalieri di sangue, Dany non aveva potuto costringere se stessa ad abbandonarli. “Ho detto loro che erano liberi. Ora non posso dire che non sono liberi di venire con me.” Osservò il fumo che si levava dai loro fuochi e sospirò profondamente. Da un lato aveva i migliori soldati di fanteria del mondo, certo, e dall’altro aveva anche i peggiori.

Arstan Barbabianca era in piedi all’esterno del padiglione dorato. A poca distanza, Belwas il Forte sedeva a gambe incrociate sull’erba, mangiando fichi da una ciotola. Durante la marcia, il loro compito era di proteggere la sua persona. Dany aveva nominato Jhogo, Aggo e Rakharo ko e cavalieri di sangue, e in quel momento la cosa più importante era che comandassero i suoi dothraki. Il suo khalasar era esiguo, solo una trentina di guerrieri a cavallo, quasi tutti ragazzini dai capelli ancora privi di trecce e vecchi dalla schiena incurvata. Ma erano tutta la cavalleria di cui disponeva, e Dany non osava fare a meno di loro. Gli Immacolati potevano anche essere la più formidabile fanteria del mondo, come sosteneva ser Jorah, ma perfino loro avevano bisogno di esploratori e di incursori.

«Yunkai avrà la guerra» disse Daenerys a Barbabianca una volta all’interno del padiglione.

Irri e Jhiqui avevano coperto il pavimento di tappeti, Missandei accese un bastoncino d’incenso per alleggerire l’aria polverosa. Drogon e Rhaegal dormivano su alcuni cuscini, attorcigliati l’uno sull’altro, Viserion stava appollaiato sul bordo della vasca vuota.

«Missandei, quale lingua parlano questi Yunkai, il valyriano?»

«Sì, maestà» rispose la bambina. «Un dialetto diverso da quello di Astapor, ma abbastanza simile da essere comprensibile. Gli schiavisti si fanno chiamare Saggi Padroni.»

«Buoni Padroni ad Astapor, Saggi Padroni a Yunkai…» Dany sedette a gambe incrociate su un cuscino. Viserion dispiegò le ali bianche e dorate e le svolazzò accanto. Lei grattò la testa coperta di scaglie del drago, dietro le corna. «Lo vedremo, quanto sono saggi.»


Ser Jorah Mormont tornò un’ora più tardi, accompagnato dai tre capitani dei Corvi della Tempesta. Tutti portavano piume nere sugli elmi lucidati, e tutti dichiararono di essere pari in onore e in autorità. Dany li studiò, mentre Irri e Jhiqui versavano il vino. Prendahl na Ghezn era un ghiscariano di corporatura massiccia, dalla faccia larga e capelli scuri che stavano diventando grigi. Sallor il Baldo, con una cicatrice contorta che gli solcava una guancia, aveva la carnagione pallida tipica di Qarth. Quanto a Daario Naharis, il terzo capitano di ventura, era follemente eccentrico perfino per un tyroshi. La sua barba era tagliata a tre cuspidi e tinta di blu, lo stesso colore dei suoi occhi e dei riccioli che gli ricadevano sul collo. Portava baffi appuntiti dipinti in tinta dorata. I suoi abiti erano di tutte le sfumature del giallo. Sbuffi di merletto di Myr gli uscivano dal colletto e dalle maniche. Sul farsetto portava cuciti medaglioni di bronzo a forma di dente di leone e ricami dorati davano la scalata ai suoi stivali di cuoio alti fino alla coscia. Nel cinturone di anelli istoriati teneva infilati guanti di morbido camoscio giallo, e le sue unghie erano smaltate di blu.

Fu Prendahl na Ghezn a parlare a nome di tutti e tre i mercenari. «Farai meglio a portare altrove la tua pletora di straccioni» esordì. «Astapor l’hai presa con l’inganno, ma Yunkai non cadrà altrettanto facilmente.»

«Cinquecento Corvi della Tempesta contro diecimila dei miei Immacolati» ribatté Dany. «Sono solo una giovane ragazza e non comprendo le vie della guerra, eppure questa mi sembra una battaglia persa in partenza per voi.»

«I Corvi della Tempesta non si ergono da soli» disse Prendahl.

«I Corvi della Tempesta non si ergono affatto. Volano via, infatti, al primo accenno di tuono. E forse voi dovreste volare via adesso. Si dice che i mercenari sono notoriamente di scarsa fedeltà. A che cosa vi servirà tenere il campo, quando i Secondi Figli passeranno dall’altra parte?»

«Questo non accadrà» insistette Prendahl, senza cedere. «E se anche succedesse, non avrebbe importanza. I Secondi Figli non sono niente. Noi combattiamo al fianco degli uomini della fortezza di Yunkai.»

«Voi combattete al fianco di ragazzini da letto muniti di picche.» Nel voltare la testa, le due campanelle nella treccia argentea di Daenerys tintinnarono minacciosamente. «E non pensate nemmeno di chiedere asilo una volta che la battaglia avrà avuto inizio. Invece unitevi a me adesso, e non solo potrete tenere tutto l’oro che Yunkai vi ha pagato ma anche assicurarvi anche la vostra parte della razzia, con ricompense ancora maggiori una volta che avrò riconquistato il mio regno. Combattete per i Saggi Padroni, e la vostra ricompensa sarà la morte. Pensate veramente che Yunkai vi aprirà le porte quando vedrà i miei Immacolati farvi a pezzi sotto le sue mura?»

«Donna, tu scoreggi aria come un buco del culo, e sei altrettanto convincente.»

«Donna?» Dany ridacchiò. «Devo prendere questa parola come un insulto? Che restituirei… se tu fossi un uomo, Prendahl.» Sostenne lo sguardo del mercenario. «Io sono Daenerys nata dalla tempesta, della nobile Casa Targaryen, la Non-bruciata, Madre dei draghi, khaleesi dei cavalieri di Drogo, e regina dei Sette Regni dell’Occidente.»

«Quello che tu sei» ribatté Prendahl na Ghezn «è la puttana di un barbaro a cavallo. E dopo che ti avrò domata, ti farò accoppiare con il mio stallone.»

Belwas il Forte snudò il suo colossale arakh. «Belwas il Forte darà la tua brutta lingua alla sua piccola regina, se così lei desidera.»

«No, Belwas. Ho dato a questi uomini il mio salvacondotto.» Dany sorrise. «Dimmi una cosa, Prendahl na Ghezn: i Corvi della Tempesta sono schiavi… o sono liberi?»

«Noi siamo una confraternita di uomini liberi» disse Sallor il Baldo.

«Bene.» Dany si alzò. «Allora, tornate dai vostri liberi commilitoni e riferite loro quanto ho detto. Può darsi che alcuni decidano di godersi oro e gloria invece della morte. Attendo una vostra risposta domani mattina.»

I capitani dei Corvi della Tempesta si alzarono tutti insieme. «La nostra risposta è no» disse Prendahl na Ghezn. Gli altri due lo seguirono fuori della tenda ma… nell’uscire, Daario Naharis gettò uno sguardo dietro di sé. E chinò il capo in un cortese cenno d’addio.


Il comandante dei Secondi Figli arrivò due ore più tardi, da solo. Si rivelò essere un torreggiante braavosiano, dai pallidi occhi verdi e con un’arruffata barba rosso oro che gli fluiva quasi fino alla cintola. Il suo nome era Mero, ma si faceva chiamare il Bastardo del Titano.

Mero bevve la prima coppa di vino in un’unica sorsata, si ripulì la bocca con il dorso della mano e scoccò a Dany uno sguardo laido. «Credo di essermi chiavato la tua sorella gemella in una casa di piacere delle mie parti. O forse eri tu?»

«Lo escludo. Mi ricorderei di un uomo della tua magnificenza, non ho dubbi.»

«Sì, difatti. Nessuna donna ha mai dimenticato il Bastardo del Titano.» Il braavosiano tornò a sollevare la coppa perché Jhiqui gliela riempisse di nuovo. «Che ne diresti di toglierti quei vestiti e di venire a sederti sulle mie ginocchia? Se mi compiaci, potrei portare i Secondi Figli dalla tua parte. Forse.»

«Se tu portassi i Secondi Figli dalla mia parte, io non ti farei castrare. Forse.»

Il gigante rise. «Ragazzina, già un’altra donna cercò di castrarmi, usando i denti. Lei adesso non li ha più, i denti, mentre la mia spada è più lunga e turgida che mai. Vuoi che la tiri fuori e che te la mostri?»

«Non è necessario. Dopo che i miei eunuchi te l’avranno mozzata, avrò tutto il tempo di esaminarla con calma.» Dany bevve un sorso di vino. «È pur vero che sono solo una giovane ragazza e non conosco le vie della guerra. Spiegami quindi come intendi sconfiggere diecimila Immacolati con i tuoi cinquecento soldati. Innocente in materia quale sono, come rapporto mi sembra quanto mai a tuo sfavore.»

«I Secondi Figli hanno affrontato avversari più forti e ne sono usciti vincitori.»

«I Secondi Figli hanno affrontato avversari più forti e ne sono usciti con la fuga. Come a Qohor, quando i Tremila Immacolati hanno affrontato l’orda dothraki al vostro posto. O forse lo neghi?»

«Ciò è accaduto molti e molti anni fa, prima che i Secondi Figli fossero comandati dal Bastardo del Titano.»

«Per cui è da te che traggono il loro coraggio?» Dany si voltò verso ser Jorah. «Quando la battaglia avrà inizio, uccidilo per primo.»

Il cavaliere in esilio sorrise. «Con piacere, maestà.»

«Ma naturalmente» Daenerys tornò a rivolgersi a Mero «potreste uscirne di nuovo con la fuga. Non saremo di certo noi a fermarvi. Prendete l’oro di Yunkai e scappate.»

«Se tu avessi mai visto il Titano di Braavos, sciocca ragazzina, sapresti che non ha coda da mettersi tra le gambe.»

«Allora rimani. E combatti per me.»

«Vale la pena di combattere per te, questo è vero» disse il mercenario braavosiano «e io sarei lieto di farti baciare la mia spada, se fossi libero. Ma ho accettato il conio di Yunkai, e ho dato la mia sacra parola.»

«Il conio può essere restituito» rispose lei. «Io ti pagherò altrettanto e di più. Ho altre città da conquistare, e un intero regno che mi attende all’altro capo del mondo. Servimi con fedeltà, e i Secondi Figli non avranno mai più bisogno di cercare altri ingaggi.»

«Altrettanto e anche di più…» Il mercenario braavosiano si tirò la folta barba rossiccia. «…e forse un bacio, eh? O più di un bacio? Per un uomo della mia magnificenza?»

«Forse.»

«Mi piacerà il sapore della tua lingua, credo.»

Dany poté percepire la rabbia di ser Jorah. “Al mio orso nero, tutti questi discorsi di baci non piacciono affatto.” «Questa notte ripensa a quanto ti ho detto. Potrò avere la tua risposta domani mattina?»

«Potrai.» Il Bastardo del Titano sogghignò. «E io posso avere una caraffa di questo ottimo vino da portare ai miei capitani?»

«Puoi averne un otre. Viene dalle cantine dei Buoni Padroni di Astapor, e io ne ho carri pieni.»

«Allora dammene un carro intero. Quale pegno del tuo buon riguardo.»

«Tu hai una sete grande, Mero.»

«Io sono un uomo grande. Da tutte le parti. E ho molti fratelli. Il Bastardo del Titano non beve mai da solo, khaleesi.»

«E un intero carro quindi sia, contro la tua promessa di berlo alla mia salute.»

«Data!» tuonò il mercenario. «Data e ridata! Eleveremo a te tre brindisi, per portarti una risposta al sorgere del sole.»

Ma dopo che Mero se ne fu andato, Arstan Barbabianca ebbe qualcosa da dire. «Questo individuo ha una pessima reputazione perfino nel continente occidentale. Non farti ingannare dai suoi modi, maestà. Tre brindisi eleverà a te questa notte, per poi venire a stuprarti domani mattina.»

«Il vecchio, per una volta tanto, ha ragione» concordò ser Jorah. «I Secondi Figli sono un’antica compagnia di ventura, e non senza valore, ma sotto Mero sono diventati degli infami quasi quanto i Bravi Camerati di Vargo Hoat. Quell’individuo è altrettanto pericoloso per i suoi signori di quanto lo è per i suoi nemici. È per questo che oggi si trova davanti alle mura di Yunkai. Nelle città libere non c’è più nessuno disposto ad assoldarlo.»

«Non è la sua reputazione che voglio, ma i suoi cinquecento cavalieri. Che cosa mi dici dei Corvi della Tempesta, c’è qualche speranza con loro?»

«No» dichiarò ser Jorah senza mezzi termini. «Quel Prendahl na Ghezn è di sangue ghiscariano. Probabilmente aveva parenti ad Astapor.»

«Peccato. Bene, forse non saremo comunque costretti a combattere. Aspettiamo di sentire quello che hanno da dire gli Yunkai.»


Gli emissari di Yunkai arrivarono che il sole stava tramontando. Cinquanta uomini in sella a splendidi cavalli neri e uno su un grande cammello bianco. Portavano elmi alti il doppio della testa, in modo da non schiacciare i bizzarri vortici, le assurde torri e le altre forme pazzesche in cui erano acconciati i capelli oleati sotto di essi. Quella gente tingeva sottane di lino e tuniche di un colore giallo intenso, e cuciva dischi di rame ai mantelli.

L’uomo sul cammello bianco si presentò come Grazdan mo Eraz. Asciutto e muscoloso, sfoggiava un sorriso con troppi denti, molto simile a quello esibito da Kraznys mo Nakloz fino a quando Drogon non gli aveva incenerito la faccia e il cranio con un getto di fiamme scaturito dalle sue fauci. La sua capigliatura era acconciata in forma di corno che si diramava dalla parte alta della fronte, il suo tokar aveva frange di merletto di Myr dorato.

«Antica e gloriosa è Yunkai, regina di tutte le città» esordì Grazdan, una volta che Dany lo ebbe accolto nella propria tenda. «Forti sono le nostre mura, orgogliosi e fieri i nostri nobili, senza paura il nostro popolo. Scorre in noi il sangue dell’antica Ghis, il cui impero era già antico quando Valyria altro non era se non una squallida bimba. Tu sei saggia, khaleesi, a sederti e parlamentare. Non facile conquista qui troverai.»

«Magnifico. I miei Immacolati gradiranno lo scontro.» Daenerys guardò Verme Grigio, il quale annuì.

«Se è sangue ciò che tu desideri» Grazdan scrollò le spalle in modo esagerato «che dunque sangue scorra. I tuoi eunuchi tu hai liberato, mi viene detto. Libertà per un Immacolato ha significato quanto un cappello piumato su un merluzzo.» Rivolse uno dei suoi sorrisi all’ufficiale degli eunuchi, ma Verme Grigio pareva fatto di pietra. «Quelli di loro che sopravviveranno, noi di nuovo schiavi li renderemo. E di loro, per riprendere Astapor dalla feccia ci serviremo. Non dubitare, anche di te una schiava possiamo fare. A Lys, a Tyrosh case di piacere esistono in cui riccamente per l’ultima Targaryen nel loro letto uomini pagheranno.»

«Sono lieta di constatare che sai chi sono» disse Dany con calma.

«Della mia conoscenza del selvaggio, stolto Occidente vado orgoglioso.» Grazdan aprì le mani in un gesto conciliante. «E pur tuttavia, per quale motivo parlarci l’un l’altro con siffatta acrimonia dovremmo? Vero è che tu ad Astapor di atti di barbarie ti sei macchiata, ma qui a Yunkai la più tollerante delle genti noi siamo. Il tuo contenzioso con noi non è, maestà. A quale scopo contro le nostre possenti mura tu vuoi vanificare la tua forza, quando di ogni uomo, per riconquistare il trono che di tuo padre all’Occidente fu, hai necessità? In codesta impresa, null’altro che il successo Yunkai ti augura. E all’uopo di provare la verità di ciò, un dono ti ho portato.»

Lo schiavista batté le mani. Due uomini della sua scorta si fecero avanti trasportando un pesante baule di legno di cedro con bande di bronzo e oro, che collocarono ai piedi di Daenerys.

«Cinquantamila marchi d’oro» disse Grazdan mellifluo. «Per te, quale gesto di amicizia dai Saggi Padroni di Yunkai. Oro liberamente dato certamente è meglio di una razzia pagata con il sangue, vero? Quindi io ti dico, Daenerys Targaryen, prendi questo scrigno… e vattene.»

Dany aprì il coperchio del baule con una spinta del piccolo piede inguainato nel mocassino dothraki. Era pieno di monete d’oro, esattamente come l’emissario aveva detto. Ne afferrò una manciata e se le fece scivolare tra le dita. Nel ricadere e rimbalzare sulle altre, parvero scintillare di luce propria. Erano nuove di zecca, incise con una piramide a gradoni su una faccia e con l’arpia di Ghis sull’altra.

«Molto graziose. Mi domando, Grazdan, quanti altri bauli come questo troverò una volta presa la tua città?»

Grazdan ridacchiò. «Nessuno, perché mai tu farai ciò.»

«Ho anch’io un piccolo dono per te.» Con un calcio, Dany richiuse di schianto il baule. «Tre giorni. La mattina del terzo giorno, voi manderete fuori i vostri schiavi. Tutti quanti. A ogni uomo, ogni donna, ogni bambino verrà data un’arma, e verrà dato quanto cibo, abiti, conio e merci lui o lei sarà in grado di trasportare. A tutti verrà permesso di scegliere liberamente tra i possedimenti dei loro padroni, quale compenso per i loro anni di servitù. Una volta che tutti gli schiavi se ne saranno andati, voi aprirete le porte e lascerete che i miei Immacolati entrino a perquisire la vostra città, in modo da essere certi che nessuno sia rimasto ai ceppi. Voi fate questo, e Yunkai non sarà bruciata né saccheggiata, e a nessuno della vostra gente verrà fatto del male. I Saggi Padroni avranno la pace che desiderano, e avranno dato prova di essere veramente saggi. Che cosa ne dici?»

«Dico che tu sei pazza!»

«Davvero?» Daenerys scrollò le spalle, poi disse: «Dracarys!».

I draghi risposero. Rhaegal sibilò ed emise fumo, Viserion fece schioccare le fauci, Drogon lanciò un getto di fiamme nere e rosse. Il fuoco lambì i merletti del tokar del Grazdan. In un attimo, la seta s’incendiò. L’emissario terrorizzato schizzò in piedi, imprecando a squarciagola, dando colpi frenetici alla stoffa in fiamme. Urtò il baule e monete d’oro volarono da tutte le parti sui tappeti del padiglione. Le sue urla cessarono solo quando Barbabianca gli rovesciò addosso un’intera caraffa d’acqua, estinguendo l’incendio.

«Tu avevi detto che avremmo avuto il tuo salvacondotto!» ululò l’emissario, abbandonando la parlantina forbita.

«Tutti voi schiavisti di Yunkai piagnucolate in questo modo per un tokar bruciato? Te ne comprerò uno nuovo… a patto che voi, entro tre giorni, consegniate i vostri schiavi. In caso contrario, farò in modo che Drogon ti conceda un bacio ancora più incendiario.» Daenerys arricciò il naso. «I tuoi sfinteri hanno ceduto. Prenditi il tuo oro e vattene. E fa’ in modo che i Saggi Padroni siano informati del mio messaggio.»

Grazdan mo Eraz puntò un indice accusatore. «Pagherai cara la tua arroganza, puttana! Queste tue piccole lucertole non ti salveranno, è una promessa. Tu mandali a meno di una lega da Yunkai e noi riempiremo il cielo di frecce. Pensi davvero che sia poi così difficile uccidere un drago?»

«È molto più difficile che uccidere uno schiavista. Tre giorni, Grazdan. Diglielo. Alla fine del terzo giorno, che tu apra le porte della città oppure no, io sarò a Yunkai.»


Il buio era ormai completo quando la delegazione degli schiavisti lasciò l’accampamento. Prometteva di essere una notte tenebrosa, senza luna, senza stelle, sferzata da un vento da occidente, freddo e umido. “Una splendida notte nera” pensò Daenerys. Attorno a lei ardevano i fuochi del suo esercito, del suo popolo, piccoli astri arancione disseminati su campi e colline. «Ser Jorah» ordinò «convoca i miei cavalieri di sangue.» Dany rimase ad attenderli seduta su una pila di cuscini, circondata dai suoi draghi. Una volta che il consesso fu completo, riprese: «Un’ora dopo mezzanotte dovrebbe essere un tempo adeguato».

«Sì, khaleesi» disse Rakharo. «Ma tempo per cosa?»

«Per attaccare.»

L’espressione di ser Jorah Mormont s’indurì. «Ma ai mercenari tu hai detto…»

«…che volevo una loro risposta domani. Non ho fatto nessuna promessa riguardo a stanotte. I Corvi della Tempesta staranno discutendo la mia offerta. I Secondi Figli si staranno ubriacando con il vino che ho dato a Mero. E gli yunkai credono di avere tre giorni di tempo. Arriveremo addosso a tutti loro con il favore delle tenebre.»

«Avranno disposto delle spie a sorvegliarci.»

«Nel buio, tutto quello che vedranno sarà il bagliore dei nostri fuochi» ribatté Dany. «Se davvero vedranno qualcosa.»

«Khaleesi» disse Jhogo «mi occuperò io di loro. Non sono cavalieri delle pianure, sono solo schiavi a cavallo.»

«Per l’appunto» concordò Dany. «Ritengo che dovremmo attaccare simultaneamente da tre lati. Verme Grigio, i tuoi Immacolati li colpiranno da destra e da sinistra. I miei ko guideranno una carica a cuneo direttamente contro il loro centro. Dei soldati schiavi non saranno mai in grado di reggere un assalto di cavalieri dothraki. È vero però che sono solo una giovane ragazza e conosco ben poco delle vie della guerra. Che cosa ne pensate, miei lord?»

«Io penso che sei la sorella di Rhaegar Targaryen» rispose ser Jorah con un mezzo sorriso acido.

«Aye» disse Arstan Barbabianca «e anche una regina.»

Ci volle un’ora per definire tutti i dettagli. “Ora ha inizio il momento più pericoloso” pensò Dany mentre i suoi capitani si muovevano per allestire i rispettivi schieramenti. Quanto a lei, poteva solamente pregare che l’oscurità della notte celasse al nemico i loro preparativi.

Attorno alla mezzanotte, un brivido di paura. Ser Jorah si aprì a forza la strada oltre Belwas il Forte. «Gli Immacolati hanno catturato uno dei mercenari che tentava di introdursi nell’accampamento.»

«Una spia?» Quel pensiero la spaventava. Ne avevano catturato uno, ma quanti altri potevano essere sfuggiti?

«Dichiara di portare doni. È quel guitto in giallo con i capelli blu.»

“Daario Naharis.” «Ah, quello. Sentirò quanto ha da dire, allora.»

Il cavaliere in esilio introdusse il mercenario, e Dany non poté fare a meno di chiedersi se erano mai esistiti due uomini più diversi. Il tyroshi era biondo quanto ser Jorah era bruno, snello mentre il cavaliere era massiccio, dotato di capelli fluenti quando l’altro era ormai calvo, glabro a contrasto dei peli di Mormont. E mentre il cavaliere di Dany vestiva in modo contenuto, un pavone appariva austero a confronto del capitano mercenario. Questo a dispetto del fatto che Daario Naharis, per quella visita notturna, avesse gettato un pesante mantello nero a coprire i suoi sgargianti abiti gialli. Di traverso su una spalla aveva una pesante sacca di tela.

«Khaleesi, porto regali e buone notizie. I Corvi della Tempesta sono tuoi.» Quando sorrise, un dente d’oro scintillò al centro della chiostra. «E lo stesso vale per Daario Naharis!»

Dany era dubbiosa. Se quel tyroshi era davvero una spia, una simile dichiarazione poteva essere solo un tentativo disperato di salvarsi la testa. «E che cosa hanno da dire in merito Prendahl e Sallor?»

«Ben poco.» Daario rovesciò la sacca. Due teste mozzate rotolarono sui tappeti del padiglione. Le teste di Prendahl na Ghezn e di Sallor il Baldo, gli altri due capitani dei Corvi della Tempesta. «I miei doni alla regina dei draghi.»

Viserion annusò il sangue che ancora gocciolava dal collo di Prendahl. Lanciò un sibilante getto di fuoco che investì in pieno la faccia del morto. Al calore, le guance esangui divennero nere, piene di vesciche. Drogon e Rhaegal si agitarono nel percepire l’odore della carne bruciata.

«Tu hai fatto questo?» Daenerys provò un leggero senso di vertigine.

«Io e nessun altro.» Se i draghi mettevano Daario Naharis a disagio, il mercenario riuscì a celarlo molto bene. Per l’attenzione che dedicò loro, avrebbero potuto essere tre gattini che giocavano con un topo.

«Perché?»

«Perché tu sei così splendida!» Le mani di Daario Naharis erano grandi e forti, e c’era qualcosa nei suoi duri occhi azzurri, nel suo deciso naso adunco che ricordava il rostro di un magnifico, letale uccello da preda. «Prendahl parlava troppo e diceva troppo poco.» Il suo abbigliamento, per quanto elaborato, era passato attraverso fin troppe vicissitudini. Macchie di sale costellavano i suoi stivali, lo smalto blu delle sue unghie era scheggiato, i suoi merletti di Myr erano intrisi di sudore. A Daenerys non sfuggì quanto fosse corroso il bordo inferiore del suo mantello. «E Sallor si metteva le dita nel naso come se le sue caccole fossero d’oro.» Naharis stava eretto a braccia incrociate, le palme appoggiate sull’elsa delle sue lame, un ricurvo arakh dothraki all’anca sinistra, uno stiletto di Myr alla destra. Le impugnature erano identiche, due donne dorate, nude e lascive.

«E tu sei esperto nell’uso di quelle belle lame?» gli chiese Dany.

«Prendahl e Sallor te lo confermerebbero, se i morti potessero parlare. Per me, un giorno è non vissuto appieno a meno che non abbia amato una donna, ucciso un nemico e gustato un ottimo pasto… e i giorni che ho vissuto sono innumerevoli quanto le stelle nel cielo. Io tramuto la strage in un’opera di bellezza, e quanti acrobati, quanti danzatori del fuoco hanno pianto presso gli dèi per poter essere rapidi la metà di me, agili un quarto di me. Ti direi i nomi di tutti gli uomini che ho abbattuto, ma prima che io avessi finito i tuoi draghi sarebbero diventati grandi come fortezze, le mura di Yunkai si sarebbero trasformate in polvere gialla e l’inverno sarebbe arrivato e di nuovo andato.»

Dany rise. Le piaceva la ribalderia che vedeva in questo Daario Naharis. «Snuda la tua spada e giura al mio servizio.»

In un battito di ciglia, l’arakh di Daario fu fuori dal fodero. La sua sottomissione fu follemente oltraggiosa come tutto il resto di lui. Con un’ampia piroetta, il capitano mercenario portò il volto ai piedi di Daenerys. «Tua è la mia spada. Tua è la mia vita. Tuo è il mio amore. Il mio sangue, il mio corpo, le mie canzoni, tutto quanto tu possiedi. Io vivrò e morirò al tuo comando, mia regina!»

«E allora vivi» disse Dany «e combatti per me questa notte.»

«Questo non sarebbe saggio, mia regina.» Ser Jorah lanciò a Daario uno sguardo gelido, ostile. «Tieni questo individuo sotto sorveglianza fino a quando la battaglia non sarà combattuta e vinta.»

Lei valutò per qualche momento, poi scosse la testa. «Se Naharis può darci i Corvi della Tempesta, la sorpresa è certa.»

«E se invece ti tradisce, la sorpresa è perduta.»

Di nuovo, Dany scrutò il mercenario da capo a piedi. Daario le rivolse un sorriso tale da farla prima arrossire e poi distogliere lo sguardo. «Non ci tradirà.»

«Come puoi esserne sicura?»

Daenerys indicò i grumi di carne annerita dal fuoco che i suoi draghi stavano divorando, un boccone sanguinolento dopo l’altro. «Quella io la definirei una prova della sua sincerità. Daario Naharis, che i tuoi Corvi della Tempesta siano pronti a colpire il retro dello schieramento di Yunkai nel momento in cui il mio attacco avrà inizio. Sei in grado di rientrare sano e salvo?»

«Se dovessi venire fermato, dirò di essere venuto in esplorazione e di non aver visto nulla.» Il mercenario si rialzò in piedi, fece un inchino e si dileguò in un turbine.

«Maestà» disse ser Jorah Mormont, senza alcun ritegno «hai commesso un errore. Non sappiamo niente di quest’uomo…»

«Sappiamo che è un grande guerriero.»

«Un grande imbonitore, vorrai dire.»

«Ci porta i Corvi della Tempesta.» “E ha gli occhi azzurri.”

«Cinquecento mercenari di incerta lealtà.»

«Tutte le lealtà sono incerte in momenti come questi» gli ricordò Dany. «E io verrò tradita altre due volte, una volta per oro, una volta per amore.»

«Daenerys, ho il triplo dei tuoi anni» disse ser Jorah. «Ho visto quanto possono essere falsi gli uomini. Ben pochi meritano la tua fiducia, e questo Daario Naharis non è uno di loro. Perfino la sua barba ha colori falsi.»

L’affermazione fece avvampare la rabbia di Dany. «Mentre tu hai una barba onesta, è questo che mi stai dicendo? Sei tu l’unico uomo che meriti la mia fiducia, vero?»

Il cavaliere s’irrigidì. «Non ho detto questo.»

«Me lo ripeti ogni giorno, invece. Pyat Pree è un mentitore, Xaro Xhoan Daxos è un infame, Belwas il Forte è un guitto, Arstan Barbabianca è un assassino… Credi davvero che sia ancora la ragazzina vergine di Pentos, che non sia in grado di udire le parole dietro le parole?»

«Maestà…»

Daenerys lo affrontò con durezza. «Tu sei stato per me un amico migliore di chiunque altro abbia mai conosciuto, un fratello migliore di quanto Viserys sia mai stato. Tu sei il primo della mia Guardia, il comandante del mio esercito, il mio consigliere più importante, il mio valido braccio destro. Io ti onoro, ti rispetto e ti apprezzo… Ma non ti desidero, Jorah Mormont. E comincio a essere stanca del fatto che tu cerchi di tenere lontano da me ogni altro uomo, in modo che io faccia conto unicamente su di te. Questo non solo non è più accettabile, ma non contribuirà in alcun modo a far sì che io ti ami di più, o meglio.»

Quando Dany aveva incominciato a parlare, il volto di Mormont era virato al porpora, ma quando ebbe finito aveva riacquistato il suo pallore. Rimase immobile come pietra. «Se così comanda la mia regina» disse in tono secco, freddo.

Ma Dany emanava abbastanza calore per entrambi. «Così è» disse. «Così lei comanda. Ora va’ dagli Immacolati, cavaliere. Hai una battaglia da combattere. E da vincere.»


Dopo che Mormont se ne fu andato, Dany si lasciò cadere sui cuscini, attorniata dai suoi draghi. Non avrebbe voluto essere così dura con ser Jorah, ma i suoi continui sospetti avevano finito con risvegliare il drago che era in lei.

“Mi perdonerà” si disse. “Sono la sua regina.” Si scoprì a domandarsi se il cavaliere non avesse ragione riguardo a Daario Naharis. Di colpo, provò un grande senso di solitudine. Mirri Maz Duur, la maegi degli uomini-agnello che aveva distrutto khal Drogo e il figlio che lei portava in grembo, aveva predetto che mai più lei avrebbe generato un altro figlio vivente. “La Casa Targaryen finirà con me.” Un pensiero che la riempì di tristezza.

«Dovrete essere voi i miei figli» disse ai suoi draghi «i miei feroci figli. Arstan dice che i draghi vivono più a lungo degli uomini, per cui voi continuerete a vivere anche dopo che io sarò morta.»

Drogon curvò il collo per mordicchiarle una mano. Aveva zanne molto affilate, ma non intaccava mai la sua pelle quando giocava a quel modo. Dany rise e lo cullò fino a quando il Giovane drago non emise un ruggito, con la coda che sferzava come una frusta. “È più lunga di ieri” notò. “E domani lo sarà ancora di più. Crescono più in fretta ora, e quando saranno cresciuti, io avrò le mie ali.” A cavallo di un drago, sarebbe stata in grado di guidare di persona i suoi uomini in battaglia, come aveva fatto ad Astapor, ma i suoi draghi erano ancora troppo piccoli per reggere il suo peso.

Quiete e immobilità regnarono sull’accampamento quando la mezzanotte venne e poi passò. Daenerys restò nel padiglione assieme alle sue ancelle, mentre Arstan Barbabianca e Belwas il Forte montavano la guardia. “È l’attesa la parte più difficile.” Sedere nella tenda con le mani in mano mentre la battaglia veniva combattuta senza di lei la faceva sentire come una bimbetta.

Le ore parvero scivolare a passo di tartaruga. Perfino dopo che Jhiqui le ebbe rilassato con i massaggi i muscoli delle spalle annodati dalla tensione, Dany era troppo inquieta per riuscire a dormire. Missandei si offrì di cantarle una ninnananna del pacifico popolo di Naath, ma Dany scosse il capo. «Fai entrare Arstan» disse.

Quando l’anziano scudiero entrò, Daenerys era raggomitolata nella sua pelle di hrakkar, il leone bianco del mare d’erba dothraki, il cui odore selvaggio continuava a ricordarle Drogo. «Non posso dormire mentre uomini muoiono per me, Barbabianca. Raccontami ancora di mio fratello, ti prego. Mi è piaciuta la storia che mi hai narrato a bordo della nave, di come lui decise che doveva essere un guerriero.»

«Maestà è gentile a dire questo.»

«Viserys diceva che nostro fratello aveva vinto molti tornei.»

Arstan chinò la testa canuta in segno di rispetto. «Non spetta a me negare le parole di sua maestà…»

«Ma?» disse Dany in tono deciso. «Parla. Te lo ordino.»

«L’abilità del principe Rhaegar era fuori discussione, ma lui gareggiava di rado. Non ha mai amato il canto delle lame come lo amavano Robert Baratheon o Jaime Lannister. Per lui era qualcosa che doveva fare, un compito che il mondo gli aveva imposto. E che assolse bene, come faceva bene qualsiasi altra cosa. Era quella la sua natura. Ma non traeva alcuna gioia dai tornei. Si diceva che amasse la sua arpa molto più della sua lancia.»

«Ma alcuni tornei deve averli vinti di sicuro» disse Dany, delusa.

«Quando era giovane, sua maestà si portò valorosamente in un torneo a Capo Tempesta, sconfiggendo lord Steffon Baratheon, lord Jason Mallister, la Vipera rossa di Dorne e un cavaliere misterioso che in seguito si rivelò essere il famigerato Simon Toyne, capo dei fuorilegge del bosco del Re. Spezzò ben dodici lance contro ser Arthur Dayne, quel giorno.»

«Quindi fu lui il campione del torneo?»

«No, maestà. L’onore andò a un altro cavaliere della Guardia reale, il quale disarcionò il principe Rhaegar all’ultima tenzone.»

Dany non voleva sentire di Rhaegar che veniva disarcionato. «Ma allora, quali tornei ha vinto mio fratello?»

«Maestà.» L’anziano scudiero esitò. «Tuo fratello vinse il torneo più grande di tutti.»

«Vale a dire?» insistette Dany.

«Il torneo che lord Whent allestì alla fortezza di Harrenhal, sul lago dell’Occhio degli Dèi, nell’anno della falsa primavera. Un grande evento. Oltre al confronto alla lancia, ci fu anche una grande mischia, combattuta tra sette squadre di cavalieri. E inoltre gare d’arco e di lancio dell’ascia, una corsa dei cavalli, una sfida di cantastorie, uno spettacolo di guitti, e molti banchetti e sollazzi. Lord Whent era tanto generoso quanto era ricco. Le laute ricompense in palio per i vincitori attirarono centinaia di contendenti. Perfino il tuo regale padre, re Aerys, si recò a Harrenhal. Ed erano anni che non lasciava la Fortezza Rossa. I più grandi lord, i più formidabili campioni dei Sette Regni gareggiarono in quel torneo, e il principe della Roccia del Drago li batté tutti.»

«Ma quello fu il torneo in cui Rhaegar incoronò Lyanna Stark, regina d’amore e di bellezza!» esclamò Dany. «La principessa Elia, sua moglie, era là. Eppure mio fratello diede la corona alla giovane Stark. E in seguito la rapì al suo promesso sposo. Come ha potuto mio fratello fare una cosa simile? La donna di Dorne lo trattava così male?»

«Non spetta a qualcuno come me dire che cosa stesse passando per il cuore di tuo fratello, maestà. La principessa Elia era buona e delicata, per quanto di salute molto cagionevole.»

Dany si avvolse più stretta attorno alle spalle la pelle del leone delle pianure. «Una volta, Viserys mi disse che era stata colpa mia, per essere nata troppo tardi.» Ricordava di aver negato con veemenza quell’accusa, arrivando addirittura al punto di dire a Viserys che la colpa invece era sua, per non essere nato femmina. Un’insolenza per la quale lui l’aveva battuta a sangue. «Se fossi nata a tempo debito, mi disse, Rhaegar avrebbe sposato me invece di Elia di Dorne, e tutto sarebbe stato diverso. Se Rhaegar fosse stato felice con sua moglie, non avrebbe avuto bisogno della giovane Stark.»

«Forse, maestà.» Barbabianca fece una breve pausa. «Ma non sono certo che la felicità facesse parte della personalità di Rhaegar.»

«Lo fai sembrare un uomo molto acido» protestò Dany.

«Non acido, no, ma… c’era della malinconia nel principe Rhaegar, un senso di…» Il vecchio esitò nuovamente.

«Dillo» incalzò lei «un senso di?…»

«…di catastrofe. Era nato nel dolore, mia regina, un’ombra che rimase su di lui per tutta la vita.»

Viserys le aveva parlato della nascita di Rhaegar soltanto una volta. Forse era una storia che lo rattristava troppo. «Era l’ombra di Sala dell’Estate a tormentarlo, vero?»

«Sì. E al tempo stesso Sala dell’Estate era il luogo che il principe amava più di ogni altro. Vi si recava saltuariamente, con la sua arpa come unica compagna. Neppure i cavalieri della Guardia reale andavano con lui. Gli piaceva dormire nella sala in rovina, sotto la luna e le stelle, e ogni volta che ritornava ad Approdo del Re, portava con sé una nuova canzone. A udirlo suonare la sua arpa dalle corde d’argento, a udirlo cantare di crepuscoli, lacrime e morti di re, era impossibile non percepire che era di se stesso che stava cantando, e di coloro che amava.»

«Che cosa puoi dirmi dell’Usurpatore? Cantava anche lui canzoni tristi?»

Arstan ridacchiò. «Robert? A Robert piacevano le canzoni che lo facevano ridere, e più volgari erano più a lui piacevano. Cantava solo quando era ubriaco, e si trattava sempre di Un otre di birra, Quarantaquattro boccali, L’orso e la fanciulla bionda. Robert era molto…»

Tutti e tre i draghi levarono insieme la testa e ruggirono.

«Cavalli!» Daenerys balzò in piedi, sempre stringendo la pelle di leone. Udì Belwas il Forte gridare qualcosa. Poi altre voci, e il rumore di molti destrieri. «Irri, va’ a vedere chi…»

Il lembo dell’ingresso del padiglione venne spalancato. Ser Jorah Mormont entrò. Era coperto di polvere, aveva l’armatura schizzata di sangue, ma erano le uniche tracce della battaglia.

Il cavaliere in esilio pose un ginocchio a terra al cospetto di Dany. «Maestà» dichiarò «ti porto la vittoria. I Corvi della Tempesta hanno combattuto con noi, gli schiavi-soldati sono stati sbaragliati e i Secondi Figli erano troppo ubriachi per combattere. Esattamente come tu avevi detto. Duecento morti, per la maggior parte di Yunkai. I loro schiavi hanno gettato le lance e si sono dati alla fuga, i loro mercenari si sono arresi. Abbiamo preso migliaia di prigionieri.»

«Le nostre perdite?»

«Una dozzina di caduti, al massimo.»

Fu solo a questo punto che Daenerys Targaryen si concesse un sorriso. «Alzati, mio coraggioso orso. Grazdan? È stato catturato? O il Bastardo del Titano?»

«Grazdan è andato a Yunkai a presentare la tua offerta negoziale.» Ser Jorah si rimise in piedi. «Quando si è reso conto che i Corvi della Tempesta avevano cambiato bandiera, Mero è fuggito. I miei uomini gli stanno dando la caccia. Non dovrebbe sfuggirci a lungo.»

«Molto bene» disse Dany. «Mercenari o schiavi, risparmiate tutti coloro che mi faranno giuramento di fedeltà. Se un numero sufficiente di Secondi Figli deciderà di passare dalla nostra parte, che la loro compagnia di ventura continui a esistere.»

Il giorno dopo, marciarono fino a tre leghe di distanza da Yunkai. La città era costruita in mattoni gialli invece che rossi, ma per il resto era una replica di Astapor. Le stesse mura in via di sgretolamento, le stesse piramidi a gradoni, grandi arpie collocate alla cuspide delle porte. Le mura e le torri brulicavano di balestrieri e frombolieri. Ser Jorah e Verme Grigio schierarono i loro uomini, Irri e Jhiqui eressero il padiglione dorato e Daenerys fu di nuovo costretta all’attesa.

La mattina del terzo giorno le porte della città si spalancarono e una lunga fila di schiavi cominciò a uscire. Dany montò in sella alla sua purosangue argentata per andare ad accoglierli. Al loro passaggio, Missandei disse che dovevano la loro libertà a Daenerys, nata dalla tempesta, la Non-bruciata, regina dei Sette Regni dell’Occidente e Madre dei draghi.

«Mhysa!» gridò un uomo dalla pelle scura. Aveva una bambina appollaiata sulla spalla, e anche lei, con la sua vocetta, gridò là medesima parola. «Mhysa! Mhysa!»

Dany lanciò un’occhiata interrogativa a Missandei. «Che cosa gridano?»

«È ghiscariano, un antico linguaggio. Significa “Madre”.»

Dany sentì un vuoto nel petto. “Mai più genererò un altro figlio vivente” ricordò. La mano le tremava nel sollevarla. Forse sorrise. Doveva averlo fatto, perché l’uomo rise e gridò di nuovo. Altre voci si unirono alla sua.

«Mhysa!» invocavano. «Mhysa! Mhysa!»

Le sorridevano, cercavano di toccarla, s’inginocchiavano. “Maela” la chiamarono alcuni. Altri gridarono: “Aelalla, Qathei, Tato” …ma qualsiasi lingua usassero, la parola era sempre la stessa. “Madre. Mi chiamano Madre.”

Quel canto crebbe, si dilatò, salì d’intensità. Divenne un urlo così tonante che la purosangue si spaventò, rifiutando, scuotendo la testa, agitando la coda grigio argento. Un urlo così poderoso che parve scuotere le mura stesse di Yunkai. Altri schiavi continuavano a riversarsi dalle porte della città degli schiavisti, come rispondendo alla chiamata. Correvano verso di lei, spingendo, inciampando, cercando di toccarle una mano, di accarezzare la criniera del suo cavallo, di baciarle i piedi. I suoi poveri cavalieri di sangue non riuscirono a tenerli tutti quanti a distanza. Perfino Belwas il Forte grugnì e ringhiò di rabbia impotente.

Ser Jorah insistette perché lei non si fermasse, e Dany ricordò il sogno che aveva fatto nella Casa degli Eterni di Qarth. «Non mi faranno del male» gli disse. «Sono i miei figli, Jorah.»

Daenerys rise e spronò la cavalla, cavalcando verso di loro, mentre le campanelle nei suoi capelli tintinnavano dolce vittoria. Avanzò prima al passo, poi al trotto, infine si lanciò al galoppo, con la treccia che le ondeggiava dietro la schiena. Gli schiavi liberati fecero ala al suo passaggio.

«Madre!» chiamarono centinaia, migliaia, decine di migliaia di gole. «Madre» invocarono al suo passaggio, sfiorandole le gambe mentre lei volava tra loro. «Madre, Madre, Madre!»

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