JON

Giorno e notte pestarono le asce.

Jon Snow non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva dormito davvero. Ogni volta che chiudeva gli occhi sognava di combattere. E quando si svegliava, tornava a combattere. Perfino dall’interno della Torre del re poteva udire l’incessante cozzare contro il legno del bronzo, della selce e dell’acciaio sottratto ai nemici. E quei colpi erano addirittura più forti quando cercava di riposare nella baracca riscaldata sulla sommità della Barriera. Mance Rayder aveva fatto scendere in campo anche i mezzi pesanti e lunghe seghe con i denti di osso e silice. Una volta, mentre Jon, stremato, cercava di scivolare nel sonno, aveva udito provenire dalla foresta Stregata uno scricchiolio seguito da un forte schianto: un grande pino-sentinella si era abbattuto al suolo in una nube di polvere e aghi.

Quando Owen il Muflone arrivò, Jon giaceva insonne sul pavimento della baracca riscaldata, avvolto in una montagna di pellicce.

«Lord Snow» disse Owen scuotendolo per la spalla «è l’alba.»

Tese una mano per aiutare Jon a rimettersi in piedi. Anche gli altri confratelli si erano svegliati, urtandosi a vicenda nell’infilarsi gli stivali e nell’affibbiarsi i cinturoni delle spade nello spazio angusto della baracca. Nessuno fiatava. Erano troppo stanchi per parlare. In quei giorni, ben pochi di loro lasciavano la Barriera. Ci voleva troppo tempo per scendere e risalire nella gabbia. Il Castello Nero era stato abbandonato al maestro cieco Aemon, a ser Wynton Stout e a pochi altri, troppo vecchi o troppo malandati per combattere.

«Ho sognato che arrivava il re» disse Owen raggiante. «Maestro Aemon aveva mandato un corvo e re Robert arrivava con tutto il suo esercito. Ho sognato che vedevo i suoi vessilli d’oro.»

Jon cercò di sorridere. «Sarebbe proprio una bella vista, Owen.» Ignorando la fiammata di dolore alla gamba, si mise stille spalle il mantello nero di pelliccia, raccolse la gruccia e uscì sulla Barriera, ad affrontare un’altra giornata di battaglia.

Un colpo di vento sospinse alcuni filamenti di ghiaccio tra i suoi lunghi capelli castani. Mezzo miglio più a nord, gli accampamenti dei bruti erano in fermento. Dai loro fuochi tentacoli di fumo si alzavano contro il pallido cielo dell’alba. Gli uomini e le donne del popolo libero avevano eretto le loro tende di pelli e di pellicce lungo il margine della foresta e avevano perfino innalzato una rozza costruzione di forma allungata, fatta di tronchi e rami intrecciati. C’erano file di cavalli a est, mammut a ovest e uomini da tutte le parti. Guerrieri intenti ad affilare le spade, a fissare punte di metallo su rozze picche, indossare rudimentali armature di pelli, corni e ossa. Per ogni uomo che vedeva, Jon sapeva che c’erano intere orde nascoste nel bosco. La vegetazione forniva loro una sorta di protezione dagli elementi e li teneva al riparo dalla vista degli odiati corvi neri appollaiati sulla muraglia di ghiaccio.

Gli arcieri bruti avevano già cominciato ad avanzare, spingendo avanti i loro schermi protettivi. «Ecco che arrivano le nostre frecce per colazione» annunciò allegramente Pyp, come faceva ogni mattina. “Meno male che riesce a scherzarci sopra” rimuginò Jon. “Qualcuno deve pur farlo.” Tre giorni prima, una di quelle frecce per colazione aveva colpito a una gamba Alyn il Rosso del bosco delle Rose. Il suo corpo si vedeva ancora alla base della Barriera, ammesso che qualcuno volesse sporgersi oltre l’orlo della voragine. Secondo Jon era comunque meglio ridere alle battute di Pyp piuttosto che piangere sul cadavere di Alyn.

Gli schermi protettivi dei bruti erano scudi di assi messe in obliquo, abbastanza grandi da proteggere quattro o cinque uomini. Gli arcieri di Mance li spingevano sotto la Barriera, poi s’inginocchiavano dietro di essi e lanciavano frecce attraverso le feritoie nel legno. La prima volta che gli schermi avevano fatto la loro comparsa, Jon aveva utilizzato le frecce incendiarie, distruggendone una mezza dozzina. Da allora, però, Mance aveva fatto ricoprire gli scudi con pelli appena scuoiate. Adesso nemmeno tutte le frecce incendiarie del mondo sarebbero riuscite ad appiccare le fiamme. I confratelli avevano cominciato a scommettere su quale delle sentinelle spaventacorvi avrebbe incassato il maggior numero di frecce. Edd l’Addolorato era in testa con quattro, ma Othell Yarwyck, Tumberjon e Watt di Lagolungo ne avevano tre per ciascuno. Era stato Pyp che aveva cominciato a battezzare gli spaventacorvi con i nomi dei loro compagni caduti. «Così sembra che siamo di più» aveva detto.

«Di più a ritrovarsi con una freccia nelle budella» si era lamentato Grenn. Quell’idea però pareva dare coraggio ai confratelli, per cui Jon aveva lasciato che i nomi restassero e che le scommesse continuassero.

Sul margine estremo della Barriera, un ornato occhio di Myr era sorretto da un treppiede con le gambe sottili. Un tempo, prima che i suoi occhi si spegnessero, maestro Aemon lo aveva usato per osservare le stelle. Jon puntò il tubo di bronzo verso il nemico. Perfino a quella distanza, si distingueva chiaramente l’enorme tenda bianca di Mance Rayder, costruita cucendo assieme pelli di orsi del Nord. Le lenti di Myr erano abbastanza potenti da permettere di distinguere le facce dei bruti. Quel mattino Jon non scorse alcuna traccia di Mance. Vide invece Dalla, la sua donna, che attizzava il fuoco davanti alla tenda bianca. E vide Val, sua sorella, intenta a mungere una capra. La gravidanza di Dalla era così avanzata che Jon si domandava come riuscisse ancora a muoversi. “Il bambino arriverà molto presto” pensò. Ruotò l’occhio di Myr verso est, frugando tra le tende e gli alberi fino a scorgere la testuggine. “Anche quella arriverà molto presto.” Durante la notte, i bruti avevano scuoiato uno dei mammut morti e ora stavano fissando strisce di pelle ancora sanguinanti sulla copertura della testuggine, sopra le pelli di pecora e di altri animali. La testuggine aveva la parte superiore arrotondata, sorretta da una robusta impalcatura di legno, e si reggeva su otto enormi ruote di legno pieno. Quando i bruti avevano cominciato a costruirla, Satin credeva che stessero costruendo una nave. “Non ha sbagliato di molto.” La testuggine era in effetti uno scafo rovesciato, aperto davanti e dietro: un lungo budello semovente.

«L’hanno finita, vero?» chiese Grenn.

«Quasi.» Jon si allontanò dal tubo di osservazione. «Con ogni probabilità oggi arriva. Hai riempito i barili?»

«Sì. Durante la notte sono gelati, Pyp ha controllato.»

Grenn era cambiato molto dal grosso, goffo ragazzo dal collo rosso con cui Jon aveva fatto amicizia ai tempi del loro addestramento. Era cresciuto di almeno mezzo piede, il petto e le spalle si erano fatti più massicci, e dallo scontro sul Pugno dei Primi Uomini non si tagliava più né barba né capelli. Questo lo rendeva irsuto e selvatico proprio come un uri, il soprannome che gli era stato dato da ser Alliser Thorne, l’ostile maestro d’anni di Castello Nero. Quel giorno, però, Grenn appariva sfinito. Jon glielo fece rilevare.

«Quelle maledette asce mi hanno martellato in testa tutta la notte» ammise Grenn. «Non ho chiuso occhio.»

«Allora va’ a dormire adesso.»

«Io non ho bisogno di…»

«Sì, invece. Ti voglio fresco e riposato. Forza, va’. Non temere: non ti lascerò sonnecchiare durante la battaglia.» Jon si sforzò di sorridere. «E poi, sei l’unico che può smuovere quei fottuti barili.»

Grenn se ne andò con un mugugno e Jon si riaccostò all’occhio di Myr, riprendendo a scrutare l’accampamento dei bruti. Ogni tanto, una delle loro frecce passava sibilando sopra la Barriera, ma Jon aveva ormai imparato a ignorarle. Gittata lunga e angolazione sbagliata, le possibilità di venire davvero colpiti erano scarse. Continuò a non scorgere alcuna traccia di Mance Rayder; attorno alla testuggine, però, riconobbe Tormund Veleno dei giganti e due dei suoi numerosi figli. Questi stavano armeggiando con la pelle del mammut mentre Tormund divorava un cosciotto d’agnello e ringhiava ordini. Altrove nel campo, Jon individuò il metamorfo, Varamyr Seipelli, che si aggirava tra gli alberi con la sua pantera-ombra alle calcagna.

Jon udì alle proprie spalle lo sferragliare delle catene dell’argano e il cigolio del cancello di ferro della gabbia: Hobb Tre Dita veniva a portare loro la colazione, come faceva ogni mattina. La vista della testuggine di Mance aveva fatto passare la fame a Jon. La loro scorta di olio per lanterne si era esaurita: l’ultimo barile era stato scaraventato giù dalla Barriera due notti prima. Presto si sarebbero ritrovati a corto anche di frecce, e gli impennaggi per farne altre erano finiti. La notte precedente, un corvo messaggero era arrivato dall’Ovest, da ser Denys Mallister. Sembrava che Bowen Marsh avesse inseguito i bruti per tutta la strada fino alla Torre delle Ombre, e addirittura al di là, fino alla semioscurità perenne della Gola. Al Ponte dei Teschi si era scontrato con il Piagnone, alla testa di trecento incursori, sbaragliandoli in una sanguinosa battaglia. Ma era stata una vittoria pagata a caro prezzo: oltre cento confratelli erano caduti nel combattimento, e tra loro anche ser Endrew Tarth e ser Aladale Wynch. Perfino lo stesso Marsh — il Vecchio Melograno, com’era soprannominato dai corvi neri — era stato trasportato alla Torre delle Ombre gravemente ferito. Maestro Mullin si stava occupando di lui, ma sarebbe passato parecchio tempo prima che il comandante ad interim dei Guardiani della notte potesse fare ritorno al Castello Nero.

Dopo aver letto quel messaggio, Jon aveva messo Zei, la baldracca di Città della Talpa, in sella al loro cavallo migliore e l’aveva inviata a lanciare un appello a tutti gli abitanti affinché si recassero alla Barriera. Zei non aveva fatto ritorno. Sulle sue tracce Jon aveva mandato Mully. Lui aveva fatto ritorno, riferendo che Città della Talpa era completamente deserta, perfino il bordello era stato abbandonato. Probabilmente Zei aveva seguito gli abitanti del villaggio, forse addirittura fino alla strada del Re. “E forse anche noi dovremmo fare la stessa cosa” pensò Jon cupamente.

Si costrinse comunque a mangiare, fame o non fame. Era già abbastanza duro non riuscire a dormire, se non avesse neppure mangiato non ce l’avrebbe mai fatta. “Inoltre, questo potrebbe essere il mio ultimo pasto. Potrebbe essere l’ultimo pasto per tutti noi.” Così, quando il grido d’allarme di Cavallo risuonò, Jon Snow aveva la pancia piena di pane, pancetta affumicata, cipolle e formaggio.

«ARRIVA!»

Nessuno ebbe bisogno di chiedere che cosa arrivasse, né Jon ebbe bisogno dell’occhio di Myr del maestro Aemon per vedere quello che stava avanzando lentamente dagli alberi della foresta Stregata e dalle tende dei bruti.

«Non assomiglia mica poi tanto a una testuggine» commentò Satin. «Le testuggini non sono pelose.»

«Di solito non hanno nemmeno le ruote» aggiunse Pyp.

«Suonate il corno da guerra» ordinò Jon.

Kegs lanciò i due lunghi richiami, svegliando Grenn e gli altri confratelli che erano andati a dormire dopo la guardia della notte. Con i bruti nuovamente all’attacco, sulla Barriera c’era bisogno di ogni uomo. “E lo sanno gli dèi come siamo rimasti in pochi.” Jon guardò Pyp, Kegs, Satin, Cavallo, Owen il Muflone, Tim Linguadura, Mully, Stivale e tutti gli altri. Cercò di immaginarli avventarsi petto contro petto, spada contro spada, all’assalto di centinaia di guerrieri bruti urlanti nelle gelide tenebre di quel tunnel sotto il ghiaccio, divisi dal nemico solamente da qualche sbarra di ferro arrugginita. Perché era così che sarebbe finita… a meno che non fossero riusciti a fermare la testuggine prima che la Porta nord venisse nuovamente sfondata.

«È grossa» disse Cavallo.

Pyp fece schioccare la lingua. «Pensate a quanta bella zuppa faremo.»

La battuta di spirito cadde nel vuoto. Perfino Pyp appariva esausto. “Sembra un morto che cammina” osservò Jon “come tutti noi.” Il re oltre la Barriera aveva così tanti uomini che poteva utilizzare ogni volta attaccanti freschi, mentre era sempre lo stesso manipolo di confratelli in nero a fronteggiare tutti gli assalti, e questo li aveva ridotti allo stremo.

Gli uomini sotto il carapace di legno e di pelli viscide stavano tirando con tutte le loro forze, Jon lo sapeva, spalla contro spalla, per continuare a far girare le ruote della testuggine. Ma una volta arrivati a ridosso della muraglia di ghiaccio avrebbero abbandonato le funi e impugnato le asce. Quanto meno, quel giorno Mance non stava usando i mammut. Jon ne era lieto. La loro forza immane era sprecata contro la Barriera, e le loro dimensioni ne facevano dei bersagli fin troppo facili. L’ultimo che era stato colpito ci aveva messo un giorno e una notte a morire, con atroci barriti di agonia.

La testuggine continuava ad avanzare lentamente, tra rocce, erbacce e tronchi d’albero mozzati. Gli attacchi precedenti erano costati al popolo libero oltre cento morti. I più giacevano ancora là dov’erano caduti. Nelle pause del combattimento, i corvi erano calati a banchettare, ma adesso erano volati via gracchiando. Ai corvi la testuggine non piaceva più di quanto non piacesse a lui.

Satin, Cavallo e tutti gli altri stavano guardando Jon, in attesa dei suoi ordini. Si sentiva i loro occhi addosso. “A te la Barriera” ricordò a se stesso.

«Owen, Cavallo: alle catapulte» decise. «Kegs, Stivale: agli scorpioni. Tutti gli altri preparino gli archi lunghi. Vediamo se riusciamo a bruciarla.» Probabilmente era un tentativo inutile, ne era consapevole, ma era pur sempre meglio che rimanere lassù a non far nulla.

Ingombrante e lenta, la testuggine era un facile bersaglio. In breve, gli arcieri e i balestrieri dei Guardiani della notte la tramutarono in una specie di enorme istrice deforme… ma le pelli ancora umide riuscirono comunque a proteggerla, così come avevano protetto gli scudi inclinati. Le frecce incendiarie si spegnevano al momento stesso dell’impatto.

Jon imprecò a denti stretti. «Scorpioni» ordinò. «Catapulte.»

I grossi dardi degli scorpioni affondarono nella copertura, ma nemmeno loro ebbero più effetto delle frecce infuocate. Le pietre delle catapulte rimbalzavano sulla dura convessità di legno, scavando depressioni negli strati di pelli. Un masso lanciato con una delle due catapulte più grosse probabilmente avrebbe sfondato il carapace, ma una era inutilizzabile e i bruti stavano compiendo un largo giro per evitare il raggio d’azione dell’altra.

«Jon, continua ad avvicinarsi» disse Owen il Muflone.

Lo vedeva anche lui. Un pollice dopo l’altro, una iarda dopo l’altra, arrancando, sussultando, ondeggiando attraverso la terra di nessuno, la testuggine continuava inesorabilmente ad avanzare. Una volta che i bruti fossero riusciti a spingerla a ridosso della Barriera, la corazza avrebbe fornito loro tutta la copertura necessaria per aprirsi la strada nella barricata di fortuna eretta alla meglio dai confratelli in nero alla Porta nord, già sventrata dal primo assalto dei giganti. Una volta penetrati sotto il ghiaccio, sarebbero bastate loro poche ore per sgombrare il tunnel dalle barricate interne. A quel punto, a fermarli sarebbero stati solamente un paio di vecchie grate di ferro e pochi cadaveri congelati. Più i confratelli che Jon avrebbe gettato all’estrema difesa, votandoli alla morte laggiù nelle tenebre.

La catapulta alla sua sinistra lanciò con un tonfo sordo, riempiendo l’aria di un vorticare di pietre. Si abbatterono sul carapace come grandine, rimbalzando di lato senza scalfirlo. Gli arcieri bruti non cessavano di tirare frecce da dietro gli scudi. Una centrò in pieno la testa di una sentinella spaventacorvi.

«Quattro per Watt di Lagolungo!» esultò Pyp. «E siamo in pareggio!» Un’altra freccia sibilò a meno di un palmo dal suo orecchio. «Fetenti!» urlò verso il basso. «Non sono in gara, io!»

«Quelle pelli non prenderanno mai fuoco» disse Jon rivolto agli uomini in nero ma anche a se stesso.

L’unica loro speranza era schiacciare la testuggine una volta a ridosso della Barriera. Per quanto robusta fosse la struttura, un blocco di roccia, cadendo dai settecento piedi di altezza della muraglia bianca, avrebbe fatto un certo danno.

«Grenn, Owen, Kegs: è ora.»

Accanto alla baracca riscaldata c’era una fila di tozzi barili di rovere, pieni zeppi di roccia sbriciolata: la ghiaia che i confratelli di solito spargevano sul ghiaccio lungo i camminamenti per non scivolare quando erano di pattuglia sulla sommità della Barriera. Il giorno prima, osservando i bruti coprire il carapace con le pelli ancora umide, Jon aveva ordinato a Grenn di versare dell’acqua nei barili, riempiendoli fino all’orlo. Con il gelo della notte, l’acqua penetrata negli interstizi della ghiaia sarebbe ghiacciata formando un blocco unico. Era quanto di più vicino a un masso Jon fosse riuscito a escogitare.

«Perché devono congelare?» gli aveva chiesto Grenn. «Perché non facciamo rotolare giù i barili così come sono?»

«Se cadendo dovessero sbattere contro la parete della Barriera, si sfascerebbero» era stata la risposta di Jon. «La ghiaia schizzerebbe da tutte le parti, invece noi non vogliamo gettare addosso a quei figli di puttana una manciata di sassolini.»

Jon appoggiò la spalla al barile e spinse assieme a Grenn, mentre Kegs e Owen stavano lottando con un altro. Lo fecero oscillare avanti e indietro, per rompere il ghiaccio che si era formato alla base durante la notte. «Questo stronzo pesa una tonnellata» protestò Grenn.

«Corichiamolo di lato e facciamolo rotolare» replicò Jon. «Fa’ attenzione a dove metti i piedi, Grenn, se non vuoi fare la fine di Stivale.»

Una volta che il barile fu coricato sul fianco, Jon prese una torcia e la fece oscillare avanti e indietro sulla superficie della Barriera, per sciogliere un po’ il ghiaccio. Quel leggero velo d’acqua li aiutò a spingere più facilmente il barile. Troppo facilmente: mancò poco che se lo perdessero. Ma alla fine, unendo gli sforzi, in quattro riuscirono a portare il masso artificiale fino all’orlo del baratro. Si raddrizzarono e passarono al successivo.

Avevano appena allineato i quattro proiettili sul limitare del vuoto, quando Pyp gridò: «La testuggine è arrivata alla Porta nord!».

Jon si afferrò la gamba ferita e si sporse per dare un’occhiata. “Bowen Marsh avrebbe dovuto erigere palizzate fortificate.” Tante, troppe cose avrebbero dovuto essere fatte. I bruti stavano trascinando via dalla porta del tunnel i cadaveri dei giganti. Cavallo e Mully scaricavano loro addosso pietre a ritmo serrato. Jon credette di vedere un avversario crollare, ma quelle pietre erano troppo piccole per danneggiare il carapace. Si chiese che cosa avrebbero fatto i bruti con il mammut che giaceva morto sul loro cammino, ma poi lo vide. La testuggine venne semplicemente spinta sopra la carcassa. Jon sentì la gamba ferita che cedeva per lo sforzo di sporgersi. Kegs lo prese per un braccio e lo tirò indietro, al sicuro. «Non devi sporgerti così, lord Snow» disse il giovane confratello.

«Avremmo dovuto costruire delle palizzate.» Jon credette di udire il battere delle asce contro il legno, ma forse era soltanto il rimbombo della paura. Guardò Grenn. «Adesso!»

Grenn si piazzò dietro uno dei barili, vi appoggiò contro la spalla, grugnì e cominciò a spingere. Owen e Mully andarono ad aiutarlo. Fecero rotolare il barile pieno di ghiaia congelata un piede dopo l’altro. E poi, di colpo, il barile svanì, inghiottito dal baratro.

Thump! Cadendo, aveva colpito la parete della Barriera. Crrrrmacccckkk! Si era schiantato a terra con forza, con molta forza. Il boato del barile che si sfasciava fu seguito da urla e lamenti. Satin saltava su e giù per la gioia, Owen il Muflone danzò in cerchio, Pyp sporse nel vuoto. «Uè!» esclamò. «La testuggine era piena di conigli! Guarda come scappano!»

«Ancora!» ringhiò Jon Snow.

Grenn e Kegs si gettarono sul barile successivo, e lo mandarono a rotolare nella voragine.

Alla fine, la parte anteriore della testuggine di Mance Rayder era ridotta a un ammasso di legno e pelli squarciate. I bruti si dileguarono dall’uscita posteriore, fuggendo in disordine verso il loro accampamento. Satin imbracciò la balestra e lanciò un paio di dardi, giusto per farli correre più in fretta. Grenn sorrideva sotto la barba. Pyp sparava una battuta dopo l’altra. E nessuno di loro sarebbe morto, quel giorno.

“Ma domani… “ Jon spostò lo sguardo verso la baracca. Là dove prima c’erano dodici barili di ghiaia congelata adesso ne rimanevano otto. Si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stanco, e di quanto gli facesse male la ferita alla gamba. “Devo dormire, almeno per qualche ora.” Sarebbe andato da maestro Aemon a prendere una coppa di vino dei sogni, quello avrebbe aiutato.

«Io vado giù alla Torre del re» disse ai confratelli. «Chiamatemi se Mance si inventa qualcosa d’altro. Pyp, a te la Barriera.»

«A me?» ripete Pyp.

«A lui?» mugugnò Grenn.

Jon si allontanò con un sorriso, e discese nella gabbia di ferro.

Il vino dei sogni lo aiutò, e molto. Il sonno si impadronì di lui non appena si distese sullo stretto letto della sua stanza. Fece sogni strani, indefiniti, pieni di voci ignote, grida, lamenti. Udì anche il suono di un corno da guerra, basso e profondo, che si disperdeva nelle tenebre. Udì qualcuno chiamare il suo nome: “Snow, Snow…”.


«Snow!»

Si svegliò. Al di là della stretta feritoia da arciere che era la sua finestra, il cìelo era nero. Quattro uomini incombevano su di lui. Uno reggeva una lanterna.

«Jon Snow» ripeté il più alto dei quattro in tono brusco. «Mettiti gli stivali e vieni con noi.»

Il primo annebbiato pensiero di Jon Snow fu che chissà come, mentre lui dormiva, la Barriera era caduta. Forse Mance Rayder aveva mandato altri giganti, oppure un’altra testuggine, ed era riuscito a sfondare la Porta nord. Si fregò gli occhi. Vide che i quattro erano tutti in nero.

“Sono Guardiani della notte” si rese conto Jon. «Da dove venite? Chi siete?»

L’uomo alto fece un cenno e due dei suoi trascinarono Jon giù dal letto. Con la lanterna davanti a illuminare il cammino, lo portarono per scale e corridoi fino al solarium del Vecchio Orso. Maestro Aemon stava in piedi vicino al fuoco, con le mani appoggiate al pomo di un bastone di legno nero. Septon Cellador era, come sempre, mezzo ubriaco. Ser Wynton Stout pisolava su uno scranno vicino alla finestra. Gli altri confratelli gli erano sconosciuti. Tutti tranne uno.

Inappuntabile con la sua cappa bordata di pelliccia e gli stivali lucidi, ser Alliser Thorne si voltò e disse: «Ecco il voltagabbana, mio lord. Il bastardo di Ned Stark, di Grande Inverno».

«Io non sono affatto un voltagabbana, Thorne» ribatté Jon con freddezza.

«È quello che vedremo.» Sullo scranno di cuoio su cui il Vecchio Orso era solito sedersi a scrivere le sue lettere c’era un individuo grande e grosso, dalla mascella sporgente. Jon non lo aveva mai visto prima. «Non vorrai negare di essere Jon Snow, spero? Il bastardo di Stark?»

«A lui piace farsi chiamare lord Snow.» Ser Alliser era un nomo di bassa statura, tarchiato e muscoloso. In quel momento, i suoi occhi d’ossidiana erano accesi da un lampo di divertimento crudele.

«Sei tu quello che ha cominciato a chiamarmi lord Snow» gli ricordò Jon.

Durante il corso di addestramento ser Alliser Thorne, il brutale maestro d’armi del Castello Nero, amava dare soprannomi infamanti ai ragazzi appena reclutati. Il Vecchio Orso lo aveva spedito al Forte orientale, caposaldo all’estremità est della Barriera. “E anche questi devono essere uomini del Forte orientale. Il corvo messaggero ha raggiunto Cotter Pyke e lui ha inviato rinforzi.”

«Quanti uomini avete con voi?» chiese Jon all’uomo seduto dietro il tavolo.

«Qui quello che fa le domande sono io» ribatté l’individuo dalla mascella prognata. «Jon Snow, sei accusato di aver infranto il tuo giuramento, di codardia e diserzione. Neghi forse di avere abbandonato i tuoi confratelli a morire sul Pugno dei Primi Uomini per unirti a Mance Rayder, il sedicente re oltre la Barriera?»

«Abbandonato?…» Jon per poco non si strangolò.

«Mio lord» intervenne maestro Aemon «Donal Noye e io ne abbiamo discusso non appena Jon Snow ritornò da noi. E ci siamo ritenuti soddisfatti delle sue spiegazioni.»

«Bene, io invece non mi ritengo soddisfatto, maestro» replicò mascella sporgente. «E queste spiegazioni le voglio sentire di persona.»

Jon cercò di inghiottire la propria rabbia. «Io non ho abbandonato nessuno. Ho lasciato il Pugno dei Primi Uomini con Qhorin il Monco per andare di pattuglia sul passo Skirling. Mi sono unito ai bruti dietro suo preciso ordine. Il Monco temeva che Mance Rayder avesse trovato il Corno dell’Inverno…»

«Il Corno dell’Inverno?» Ser Alliser sogghignò. «E dimmi, Jon Snow, ti è stato anche dato ordine di metterti a contare gli elfi dei bruti?»

«No, in compenso ho contato i giganti dei bruti, il più accuratamente possibile.»

«Ser» scattò mascella prognata. «Tu ti devi rivolgere a ser Alliser chiamandolo ser, e a me chiamandomi milord. Io sono Janos Slynt, lord di Harrenhal… e comandante del Castello Nero fino a quando Bowen Marsh non tornerà con la guarnigione. Tu ci garantirai i nostri titoli, sì, questo farai. Non intendo tollerare che un cavaliere ordinato come ser Alliser venga deriso dal bastardo di un traditore della corona!» Slynt sollevò una mano e puntò un indice carnoso contro Jon. «Neghi di avere accolto una donna dei bruti, nel tuo letto?»

«No.» Il dolore di Jon per la morte di Ygritte era ancora troppo presente in lui perché potesse negarlo. «No, mio lord.»

«E immagino che sia stato sempre il Monco a ordinarti di scopare quella lurida puttana?» Il sogghigno continuava ad aleggiare sulla faccia di Thorne.

«Non era una puttana, ser. Il Monco mi ordinò di non esitare, qualsiasi cosa i bruti volessero da me, ma… Non negherò di essermi spinto oltre il mio dovere. E non negherò che lei… è stata importante per me.»

«Quindi ammetti di avere infranto il tuo giuramento» insistette Janos Slynt.

Metà degli uomini del Castello Nero, di quando in quando, visitava Città della Talpa andando alla ricerca di tesori sepolti nel locale bordello. Jon lo sapeva ma non intendeva degradare la memoria di Ygritte a quella di una baldracca del villaggio. «Ho infranto i miei giuramenti con una donna, sì, questo lo ammetto.»

«Sì… mio lord!» grufolò Slynt, con la mascella che tremolava. Era grosso quanto lo era stato il Vecchio Orso, e se fosse riuscito ad arrivare all’età di lord Mormont sarebbe diventato altrettanto calvo. Anche se non doveva avere più di una quarantina d’anni, aveva già perso metà dei capelli.

«Sì, mio lord» disse Jon. «Ho cavalcato assieme ai bruti e ho mangiato con loro, proprio come mi aveva ordinato Qhorin, e ho condiviso le mie pellicce con Ygritte. Ma giuro che non ho mai voltato le spalle alla confraternita. Mai. Sono fuggito dal maknar dei Thenn alla prima occasione propizia, e non ho mai levato le armi né contro i miei confratelli né contro il reame degli uomini.»

I piccoli occhi porcini di Slynt lo studiarono. «Ser Glendon» ordinò «porta qui l’altro prigioniero.»

Ser Glendon era l’uomo alto che aveva tirato Jon fuori dal letto. Altri quattro confratelli andarono con lui quando lasciò il locale.

Tutti tornarono in brevissimo tempo scortando un uomo di bassa statura, emaciato, incatenato mani e piedi. Il prigioniero aveva le sopracciglia unite al centro, l’attaccatura dei capelli a V pronunciata e baffi che sembravano una traccia di sporco sul labbro superiore. La sua faccia era un mosaico di lividi, quasi tutti i denti davanti erano stati rotti con pugni e calci.

Gli uomini del Forte orientale lo scaraventarono a terra. Lord Slynt lo osservò con la fronte corrugata. «È lui quello di cui parlavi?» gli chiese, indicando Jon.

Il prigioniero batté le palpebre degli occhi giallastri. «Aye.» Fu solo in quel momento che Jon finalmente lo riconobbe.

“Rattleshirt! Com’è diverso, molto diverso senza la sua armatura di ossa umane.”

«Aye» ripeté il bruto «è il vile che ha ammazzato il Monco. Su negli Artigli del Gelo, quando davamo la caccia agli altri corvi e li abbiamo ammazzati tutti. Ammazzavamo anche questo schifoso, ma lui ha implorato per la sua vita, offrendo di seguirci se lo lasciavamo. Il Monco allora ha giurato che piuttosto lo vedeva morto, ma poi il lupo ha attaccato Qhorin e lui gli ha aperto la gola.» Rivolse a Jon un sorriso sdentato e gli sputò saliva mista a sangue sullo stivale.

«Allora?» Janos Slynt chiese a Jon in tono aspro. «Neghi? O magari pretendi che è stato Qhorin a ordinarti di ucciderlo?»

«Lui mi disse…» Erano parole difficili da ripetere. «Mi ordinò di fare qualsiasi cosa mi venisse chiesta.»

Slynt guardò gli altri uomini del Forte orientale presenti nel solarium. «Questo ragazzo crede forse che io sia caduto da un carro di rape picchiando la testa?»

«Le tue menzogne non serviranno a salvarti, lord Snow» intimò ser Alliser Thorne. «Ti tireremo fuori la verità, bastardo.»

«Vi ho già detto la verità. I nostri cavalli erano allo stremo, Rattleshirt e la sua banda ci stavano addosso. Qhorin mi ha ordinato di fare finta di unirmi ai bruti. “Non devi esitare, qualsiasi cosa ti venga chiesta” questo disse. Sapeva che loro mi avrebbero spinto a ucciderlo. Rattleshirt lo avrebbe ucciso comunque, Qhorin sapeva anche questo.»

«Per cui dici che il grande Qhorin il Monco aveva paura di…» Slynt guardò Rattleshirt con disgusto «…questa creatura?»

«Tutti gli uomini hanno paura del Lord delle Ossa» grugnì il bruto. Ser Glendon gli diede un calcio e Rattleshirt tornò a chiudersi nel silenzio.

«Non ho mai detto questo» insistette Jon.

«Ti ho sentito io!» Slynt picchiò un pugno sul tavolo. «A quanto pare, ser Alliser ha capito bene di che pasta sei fatto. Escono solo menzogne da quei tuoi denti di bastardo. Bene, io non intendo tollerarlo. Potrai anche avere imbrogliato quello storpio di fabbro, ma non imbrogli Janos Slynt! Ah, no. Janos Slynt non si beve le menzogne così facilmente. Credi che abbia il cranio pieno di cavolfiori?»

«Non so che cosa ci sia nel tuo cranio, mio lord.»

«Lord Snow è solo un arrogante» intervenne di nuovo ser Alliser. «Ha assassinato Qhorin così come quegli altri rinnegati hanno assassinato lord Mormont al castello di Craster. Non sarei affatto stupito se scoprissimo che fanno tutti parte dello stesso complotto. E forse potrebbe essere coinvolto anche Benjen Stark. Per quanto ne sappiamo, in questo preciso momento potrebbe essere seduto nella tenda di Mance Rayder. Anche tu li conosci, questi Stark, mio lord.»

«Oh, se li conosco» ragliò Janos Slynt. «Fin troppo bene li conosco.»

Jon si tolse il guanto destro, mostrò loro la mano ustionata. «Mi sono bruciato la mano difendendo lord Mormont contro un morto che cammina. E mio zio Benjen era un uomo d’onore. Non avrebbe mai tradito il suo giuramento.»

«Così come non lo hai tradito tu?» lo derise ser Alliser.

Septon Cellador si schiarì la gola. «Lord Slynt, questo ragazzo ha rifiutato di pronunciare il giuramento nel tempio secondo il protocollo. Ha preferito andare oltre la Barriera, a giurare al cospetto di un albero-cuore, agli dèi di suo padre, disse, che poi sono gli stessi dei bruti.»

«Sono gli dèi del Nord, septon.» Maestro Aemon fu cortese ma determinato. «Miei lord, quando Donal Noye cadde in combattimento, è stato questo giovane uomo, Jon Snow, a difendere la Barriera e a tenerla contro la furia del Nord. Ha dato prova di essere valoroso, leale e pieno di risorse. Se non fosse stato per lui, adesso avresti trovato Mance Rayder seduto nel posto che ora occupi, lord Slynt. E stai facendo un grave torto a questo ragazzo. Jon Snow era lo scudiero e l’attendente personale di lord Mormont. Fu scelto per quel compito proprio perché il lord comandante vide in lui una promessa. Così come la vedo io.»

«Una promessa?» ripeté Slynt. «Bene, le promesse possono rivelarsi false. Le sue mani si sono macchiate del sangue di Qhorin il Monco. Mormont si fidava di lui, dici? E allora? Io so bene che cosa significhi essere traditi dagli uomini di cui ci si fida. E so anche come azzannano i lupi.» Puntò di nuovo il suo indice carnoso verso la faccia a Jon. «Tuo padre è morto da traditore.»

«Mio padre è stato assassinato.» A Jon Snow ormai non importava che cosa gli avrebbero fatto. Ma riguardo a suo padre non avrebbe più accettato menzogne.

«Assassinato?» Slynt diventò paonazzo. «Razza di cane insolente. Il corpo di re Robert non era ancora freddo quando Eddard Stark complottò contro suo figlio Joffrey.»

Si alzò in piedi. Era più basso di Mormont, ma aveva spalle e braccia robuste, e il ventre prominente. Un fermaglio a forma di picca, con la punta smaltata di rosso, gli chiudeva il mantello. «Tuo padre è morto sotto la spada, ma era uomo di lignaggio, il Primo Cavaliere del re. Per un bastardo come te, basterà il nodo scorsoio. Ser Alliser, chiudi questo traditore in una delle celle di ghiaccio.»

«Il mio lord ha preso una saggia decisione.» Ser Alliser afferrò Jon per un braccio.

Jon si divincolò dalla stretta. Afferrò Thorne per la gola con tale furore da sollevare il cavaliere da terra. E lo avrebbe strangolato se gli uomini del Forte orientale non glielo avessero impedito. Alhser Thorne barcollò all’indietro, massaggiandosi i solchi violacei che le dita di Jon gli avevano lasciato sul collo.

«Lo vedete anche voi, confratelli. Il ragazzo è proprio un bruto.»

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