JON

Cadde la notte, nera e senza luna. Ma, per una volta tanto, il cielo era limpido.

«Vado sulla collina» disse Jon Snow ai thenn piazzati di guardia all’imboccatura della caverna. «A cercare Spettro.»

Loro grugnirono qualcosa d’incomprensibile e lo lasciarono passare.

“Così tante stelle” pensò nell’arrancare lungo il pendio, superando pini, abeti e frassini. Da ragazzo, a Grande Inverno, era stato maestro Luwin a insegnargli i nomi delle stelle. Jon aveva imparato a riconoscere le dodici case nei deli e aveva imparato le regole di ognuna di loro. Era in grado di trovare le sette stelle vagabonde sacre al Credo. Si sentiva un vecchio amico del Drago di ghiaccio, la pantera-ombra, la Fanciulla di luna e la Spada del mattino. Quei nomi erano gli stessi che conosceva anche Ygritte, ma non era così per tutti. “Lei e io osserviamo le medesime stelle, ma vediamo cose molto diverse.” La Corona del re per lei era la Culla; lo Stallone era il Lord Cornuto; il Vagabondo rosso, che secondo i septon era la stella sacra del Fabbro, qui tra i bruti era chiamato il Ladro. E quando il Ladro era nella Fanciulla di luna, quello era il tempo propizio perché un uomo rubasse una donna, aveva insistito Ygritte. «Come la notte che tu mi hai rubato. Il Ladro splendeva, quella notte là.»

«Non è mai stata mia intenzione rapirti» aveva risposto Jon. «Non mi sono nemmeno reso conto che eri una ragazza fino a quando non ti ho premuto la lama alla gola.»

«Se uccidi un uomo, metti che non hai l’intenzione, ma quell’uomo là è morto lo stesso» si era ostinata Ygritte.

Jon non aveva mai incontrato nessuno più testardo di lei, eccetto, forse, la sua sorellina Arya. “Lo è ancora, mia sorella?” si domandò. “Lo è mai stata?” Lui non era mai stato un vero Stark, ma solo il bastardo senza madre di lord Eddard. E Grande Inverno non era mai realmente stata la sua casa più di quanto lo fosse per Theon Greyjoy. Ma ormai l’aveva perduta. Quando un uomo dei Guardiani della notte pronuncia le parole del suo giuramento, mette da parte la sua vecchia famiglia per entrare in una nuova. Ma ora Jon Snow aveva perduto anche quei fratelli.

Trovò Spettro sulla vetta della collina, esattamente dove si aspettava che fosse. Il lupo albino non ululava mai, eppure qualcosa continuava ad attirarlo verso le altezze. Sedeva sulle zampe posteriori, il respiro che si condensava in nebbia livida, occhi fiammeggianti immersi nelle stelle.

«Anche tu hai dato dei nomi alle luci del cielo?» Jon mise un ginocchio contro la roccia, grattando la spessa pelliccia bianca dietro il collo del meta-lupo. «Come le chiami? La Lepre? Il Cerbiatto? La Lupa?»

Spettro gli leccò la faccia, la lingua ruvida strisciò lungo le cicatrici rimaste dai solchi scavati dagli artigli dell’aquila. “Quel rapace ci ha segnato tutti e due.”

«Spettro» disse Jon a voce bassissima. «Domani mattina andiamo dall’altra parte. Non ci saranno scalini. Non ci sarà nessuna gabbia attaccata alla carrucola… Non ci sarà nessun modo perché io possa portarti con me al di là. Dobbiamo dividerci. Riesci a capirmi?»

Nell’oscurità, gli occhi rossi del meta-lupo apparivano neri. Silenzioso come sempre, il suo respiro era fiotto umido e caldo, Spettro spinse il muso contro il collo di Jon. Un demone, era così che i bruti definivano Jon Snow. Ma se davvero lo era, le sue prestazioni diaboliche erano decisamente scarse. Non era in grado di scivolare nella pelle di un lupo, come invece aveva fatto Orell con le piume dell’aquila, prima di morire. Una volta, Jon aveva sognato di essere Spettro, intento a osservare la valle del Fiumelatte dove Mance Rayder aveva chiamato a raccolta la sua gente. Quel sogno si era rivelato reale. Ma adesso non stava sognando, e questo gli lasciava un’unica strada: le parole.

«Non puoi venire con me.» Jon prese il muso della belva tra le mani e scrutò nel profondo degli occhi fiammeggianti. «Devi tornare al Castello Nero. Mi capisci? Castello Nero. Riuscirai a ritrovarlo? La strada di casa? Segui il ghiaccio, nient’altro. Va’ a est, sempre a est, verso il sole del mattino, e ci arriverai. Al Castello Nero, loro sanno chi sei. La tua venuta sarà come un avvertimento… forse.» Aveva pensato di scrivere un messaggio da affidare a Spettro. Solo che non aveva né inchiostro, né pergamena, né penna d’oca. Inoltre, il rischio di essere scoperto era troppo grande. «Torneremo a incontrarci al Castello Nero. Ma là tu devi arrivare per primo. Dobbiamo cacciare da soli per qualche tempo. Da soli.»

Il meta-lupo si svincolò dalla presa di Jon, drizzando le orecchie. All’improvviso, schizzò via. Si aprì la strada in un groviglio di rovi, superò con un salto un baratro e corse giù lungo il fianco della collina, forma livida tra gli alberi. “Ma sta andando al Castello Nero… o invece sta rincorrendo un coniglio?” Quanto avrebbe voluto avere una risposta. Invece aveva solamente dubbi: forse era veramente un demone, ma inutile. Era stato inutile come confratello dei Guardiani della notte, e anche come spia.

Il vento sussurrava tra gli alberi, pieno degli odori degli aghi di pino, attorcigliandosi sui suoi scoloriti abiti neri. Verso sud, incombente e tenebrosa, Jon poteva vedere la Barriera: grande muraglia nera che oscurava la luce delle stelle. Dalla conformazione del terreno, aspro e collinoso, aveva intuito che dovevano trovarsi in un qualche punto tra la Torre delle ombre e il Castello Nero, probabilmente più vicini al fulcro di comando della Confraternita. Erano interi giorni che il gruppo di guerrieri bruti dirigeva tortuosamente a sud, seguendo il profilo contorto di laghi profondi che si allungavano come dita scheletriche nelle strette valli glaciali. Intorno a loro, ripide pareti di silice e colline coperte di foreste si innalzavano su entrambi i lati. Era un terreno che imponeva cavalcate lente, ma che offriva anche ottime coperture per chi volesse avvicinarsi alla Barriera senza essere visto.

“Un terreno per predatori” pensò Jon. “Come loro, i bruti. E come me.”

Oltre la Barriera, si stendevano i Sette Regni, e tutto quello che lui aveva promesso di proteggere. Aveva pronunciato le parole solenni, aveva giurato sulla propria vita e sul proprio onore. A tutti gli effetti, in quel momento lui avrebbe dovuto trovarsi sulla sommità del titanico muro di ghiaccio, a montare di sentinella. Avrebbe dovuto portarsi alle labbra il corno, e lanciare la chiamata alle armi per i Guardiani della notte. Ma non aveva con sé nessun corno. Rubarne uno ai bruti non sarebbe stato poi tanto difficile, intuiva Jon, ma quale risultato avrebbe ottenuto? Se anche lo avesse suonato, non ci sarebbe stato nessuno a udirlo. La Barriera si stendeva per centinaia di leghe e, tristemente, col passare degli anni la Confraternita in nero non aveva fatto altro che assottigliarsi. Tutte le piazzeforti disseminate lungo la muraglia di ghiaccio erano state progressivamente abbandonate. Tutte tranne tre: il Castello Nero, la Torre delle ombre e il Forte orientale. Fatta eccezione per Jon, poteva non esserci un solo altro confratello nel raggio di cento leghe. Ammesso e non concesso che Jon Snow fosse ancora un confratello…

“Avrei dovuto cercare di uccidere Mance Rayder sul Pugno dei Primi Uomini, anche a costo della mia vita.”

Tanto avrebbe fatto Qhorin il Monco. Ma Jon aveva esitato, e l’opportunità era svanita. Il giorno seguente il loro incontro sui macabri resti del campo dopo la battaglia, lui era stato costretto a mettersi in marcia assieme a Styr, il maknar di Thenn, a Jarl e a oltre cento guerrieri e predoni thenn appositamente scelti. Jon aveva ripetuto a se stesso che stava guadagnando tempo. Nel momento in cui si fosse presentata l’occasione giusta, avrebbe lasciato tutti quanti nella polvere e sarebbe tornato al galoppo al Castello Nero. Solo che l’occasione giusta non si era mai presentata. La maggior parte delle notti facevano sosta in uno o nell’altro dei molti villaggi abbandonati dai bruti. Styr metteva sempre una dozzina di thenn a montare la guardia ai cavalli. Jarl lo teneva attentamente d’occhio. E Ygritte non era mai troppo lontana, giorno e notte.

“Due cuori che battono come uno solo.” Le parole piene di derisione di Mance Rayder continuavano a rimbalzargli nella mente, dure e amare. E mai Jon Snow si era sentito più confuso. “Non ho scelta” aveva ripetuto a se stesso la prima volta che Ygritte era venuta a infilarsi sotto le pellicce in cui si era avvolto. “Se dovessi respingerla, penserà che sono un doppio traditore. Devo continuare a recitare il ruolo che Qhorin mi ha ordinato di giocare.”

Un ruolo che il suo corpo aveva interpretato molto bene, e anche fin troppo volentieri…


… Jon premette le labbra contro quelle di lei. Fece scivolare una mano sotto la tunica di pelle d’agnello, incontrando un seno, la sua virilità si indurì mentre Ygritte spingeva il proprio sesso contro il suo, aprendosi un varco tra gli strati di cuoio e pelliccia.

“Il mio giuramento…”

Ci pensò, certo. Pensò all’anello di alberi-diga al cospetto dei quali aveva pronunciato le parole ancestrali della Confraternita in nero, i rossi volti scolpiti nei tronchi che osservavano, che ascoltavano.

Le dita di Ygritte sciolsero i lacci delle sue brache. La sua lingua fu nella bocca di lui. La sua mano entrò ad afferrargli il membro, a tirarglielo fuori. E dopo questo, Jon Snow non fu più in grado di vedere gli alberi-diga: vedeva solamente lei. Ygritte gli morsicò il collo, Jon passò la lingua sulla gola della ragazza, affondando il viso nei suoi folti capelli ramati. “È fortunata” pensò. “Fortunata, sì: baciata dal fuoco.”

«Non è bello…?» bisbigliò Ygritte nel guidarlo dentro di sé.

Ed era umido, là dentro. Gocciolante. Nessuna verginità, non più, questo era chiaro. Ma a Jon non importò affatto. Il suo giuramento, la verginità di lei, nulla di tutto questo ebbe più alcuna importanza. Contavano solamente il calore di Ygritte, la bocca di Ygritte sulla sua, le dita di Ygritte che gli torcevano un capezzolo.

«Non è dolce?» disse nuovamente lei. «Non così in fretta, oh, più piano, sì… così. Vai, vai… sì… dolce. Non sai niente, Jon Snow. Ma io posso farti imparare. Più forte, adesso. Sssiiiì…»

“Un ruolo” Jon cercò di ricordare a se stesso, dopo. “Sto interpretando un ruolo. Sono stato costretto a farlo almeno per quest’unica volta, in modo che tutti credano che ho voltato le spalle al mio giuramento.” Non era necessario che accadesse di nuovo. Lui era ancora un uomo dei Guardiani della notte. Ed era ancora il figlio di Eddard Stark. Aveva fatto quello che era necessario fare, aveva dato le prove che era necessario dare.

Solo che dare quelle prove era stato talmente dolce… Ygritte si era addormentata con il capo sul suo petto. E anche quello era dolce. Pericolosamente dolce. Pensò di nuovo agli alberi-diga, alle parole che aveva pronunciato di fronte ai loro tronchi pallidi. “È stato per quest’unica volta. Ho dovuto farlo. Perfino mio padre ha ceduto per un’unica volta, dimenticando il suo giuramento di matrimonio e generando un bastardo.” Jon giurò a se stesso che anche per lui sarebbe stato così. “Non accadrà mai più.”

Ma accadde, invece. Altre due volte accadde, quella notte. E di nuovo al mattino, quando Ygritte, svegliandosi, lo trovò turgido. Anche i bruti si stavano svegliando, e furono in parecchi a notare che cosa stava accadendo sotto il mucchio di pellicce. Jarl disse loro di fare alla svelta, a meno che non volessero ricevere una secchiata d’acqua gelida. “Cani” pensò Jon dopo che ebbero fatto alla svelta. “Una coppia di cani infoiati.” Era davvero questo che era diventato? “Sono un uomo dei Guardiani della notte” ripeteva una voce esile dentro di lui. Una voce che, ogni notte, diventava sempre più remota. Una voce che, quando Ygritte gli mordeva il lobo dell’orecchio o gli baciava la gola, lui non riusciva più nemmeno a udire. “È stato così anche per mio padre?” si domandò. “È stato anche lui debole quanto me, quando disonorò se stesso nel letto di mia madre?”


Qualcosa… qualcuno stava risalendo il fianco della collina. Jon se ne rese conto all’improvviso. Per un brandello d’istante, pensò che Spettro fosse tornato. Ma il meta-lupo non faceva mai così tanto rumore. In un unico movimento fluido, Jon sfoderò Lungo artiglio, pronto ad affrontare la minaccia. Ma si trattava soltanto di uno dei thenn, un uomo tozzo, con un elmo di bronzo. «Snow» grugnì l’intruso. «Vieni. Maknar vuole.» Gli uomini di Thenn parlavano l’antico linguaggio, e la maggior parte di loro conosceva solo poche parole della lingua comune dei Sette Regni. A Jon non sarebbe potuto importare di meno di che cosa volesse il maknar di Thenn, ma non aveva molto senso mettersi a discutere con qualcuno che riusciva a capirlo a stento. Seguì il bruto giù per il pendio.


L’ingresso della caverna era una fenditura nella roccia quasi completamente nascosta da un pino-soldato e larga appena da consentire il passaggio di un cavallo. Si apriva a nord, evitando quindi che il chiarore dei fuochi fosse visibile dalla Barriera. Perfino nella remota possibilità che una pattuglia fosse passata lungo la sommità dell’immane sbarramento di ghiaccio, tutto quello che i confratelli in nero avrebbero visto sarebbero stati colline, pini e il gelido riflesso delle stelle su un lago semicongelato. Mance Rayder aveva pianificato bene il suo assalto.

All’interno della roccia, il passaggio scendeva per una ventina di piedi prima di allargarsi in uno spazio sotterraneo vasto, quanto la sala grande di Grande Inverno. I fuochi dei bruti ardevano tra le stalattiti che scendevano dalla volta di pietra. I cavalli erano stati allineati lungo una parete, in prossimità di una bassa pozzanghera d’acqua. Al centro del pavimento di roccia, si apriva un buco che conduceva a una caverna sottostante, forse addirittura più grande di quella, ma a causa delle tenebre profonde era impossibile dirlo. Da qualche parte là sotto, nel buio, arrivava l’attutito frusciare di un fiume sotterraneo.

C’era Jarl assieme al maknar di Thenn: Mance aveva affidato a entrambi il comando congiunto. Cosa che aveva lasciato Styr tutt’altro che compiaciuto, come Jon non aveva tardato a capire. Mance Rayder aveva definito il giovane dai capelli scuri “il cucdolo di Val”, la sorella di Dalla, la sua regina, il che rendeva Jarl una sorta di cognato del re oltre la Barriera. Chiaramente, al maknar non piaceva affatto essere costretto a condividere l’autorità. Aveva portato con sé cento thenn, cinque volte il numero degli uomini di Jarl, e spesso si comportava come se fosse lui l’unico in comando. Per quanto non potesse avere più di vent’anni, Jarl cavalcava con i bruti da oltre otto. Inoltre, aveva compiuto almeno una dozzina di scorrerie a sud della Barriera assieme a guerrieri quali Alfyn Amazzacorvi e il Piagnone e, più di recente, alla testa di una banda tutta sua.

«Jarl mi avverte di corvi di pattuglia sulla cima del ghiaccio» esordì il maknar senza preamboli. «Dimmi tutto quello che sai sulle pattuglie.»

“Dimmi” notò Jon. “Non dicci.” Eppure Jarl era a un passo da Styr. Non avrebbe chiesto di meglio che rifiutarsi di rispondere a quella brusca domanda, ma era consapevole che, al minimo segno di slealtà, il maknar lo avrebbe messo a morte. E avrebbe messo a morte anche Ygritte, per il crimine di essere stata con lui.

«Ogni pattuglia è composta da quattro uomini» disse Jon. «Due ranger e due costruttori. I costruttori hanno il compito di notare crepe nel ghiaccio, scioglimenti e altri problemi strutturali. I ranger stanno in allerta contro eventuali nemici. Tutti si muovono a dorso di mulo.»

«Muli?» L’uomo privo di orecchie corrugò la fronte. «I muli sono lenti.»

«Lenti, ma dal passo sicuro sul ghiaccio. Spesso le pattuglie percorrono la sommità della Barriera, lontano dal Castello Nero, seguendo sentieri che non sono stati inghiaiati per anni. I muli vengono allevati al Forte orientale, e addestrati per questo preciso compito.»

«Spesso sono sulla sommità? Non sempre?»

«No. Una pattuglia su quattro si sposta lungo la base della Barriera, alla ricerca di crepe nelle fondazioni e di tracce di scavi.»

Il maknar annuì. «Perfino nella lontana Thenn sappiamo la storia di Arson Ascia da ghiaccio e della sua galleria.»

Una storia che anche Jon conosceva. Arson Ascia da ghiaccio era riuscito ad arrivare quasi a metà strada all’interno della massa della Barriera quando era stato scoperto dai ranger del Forte della Notte. I Guardiani della notte non si erano nemmeno presi il disturbo di andare dentro a dirgli di smettere di scavare. Semplicemente, avevano sigillato l’ingresso con una valanga di ghiaccio, roccia e neve. Edd l’Addolorato sosteneva che, a porre l’orecchio a contatto della Barriera, si riusciva ancora a sentire Arson che andava avanti a scavare con la sua ascia.

«Quando vanno fuori, le pattuglie? Quanto spesso?»

«I turni cambiano» Jon scrollò le spalle. «Ho sentito dire che il lord comandante Qorgyle era solito mandarle fuori ogni tre giorni dal Castello Nero in direzione del Forte orientale, e ogni due giorni dal Castello Nero verso la Torre delle ombre. La Confraternita in nero era più numerosa, ai suoi tempi. Il lord comandante Mormont preferisce variare il numero delle pattuglie e i giorni della loro partenza, in modo da rendere più difficile poter prevedere il loro passaggio. E certe altre volte, per una settimana, o per un intero ciclo di luna, il Vecchio orso manda una forza a presidiare uno dei fortini abbandonati.» Era stato Benjen Stark, zio di Jon, a ideare quella tattica. Qualsiasi cosa pur di causare incertezza nel nemico.

«Porta di pietra è presidiata in questo momento?» chiese Jarl. «E Guardia Grigia?»

“Quindi è tra questi due punti che ci troviamo, giusto?” Jon mantenne la faccia accuratamente priva di espressione. «Quando ho lasciato la Barriera, gli unici tre capisaldi sorvegliati erano il Castello Nero, la Torre delle ombre e il Forte orientale. Non so dire che cosa Bowen Marsh o ser Denys Mallister possano aver fatto dopo.»

«Quanti corvi ci sono ai castelli?» chiese Styr.

«Cinquecento al Castello Nero, duecento alla Torre delle ombre e forse trecento al Forte orientale.» Jon aveva fatto un calcolo a spanne, gonfiandolo di circa trecento uomini. “Se solo fosse così semplice…”

Ma Jarl non si fece ingannare. «Sta mentendo» disse a Styr. «O se no, ci ha infilato anche i trecento del Pugno dei Primi Uomini.»

«Corvo» avvertì il maknar. «Non prendermi per Mance Rayder. Se mi racconti menzogne, ti faccio strappare la lingua.»

«Non sono un corvo.» Jon strinse a pugno le dita bruciate della mano della spada. «E non mi farò chiamare bugiardo.»

I gelidi occhi grigi del maknar di Thenn lo scrutarono. «Scopriremo quanti sono molto presto» disse dopo qualche momento. «Vattene. Se ho altre domande, ti mando a chiamare.»

Jon fece un rigido inchino con la testa e se ne andò. “Se tutti i bruti fossero come Styr, sarebbe facile tradirli.” I thenn però erano diversi dal resto del popolo libero. Il maknar asseriva di essere l’ultimo dei Primi Uomini e dominava con pugno di ferro. La piccola terra di Thenn da cui proveniva era una valle d’alta montagna nascosta tra i picchi più inaccessibili degli Artigli del Gelo, circondata da abitanti delle caverne, uomini dal Piede di corno, giganti e clan di cannibali dei fiumi congelati. Ygritte sosteneva che i thenn fossero feroci guerrieri, e che per loro il maknar fosse come un dio. Jon non stentava a crederlo. A differenza di Jarl, di Harma e di Rattleshirt, Styr esigeva obbedienza assoluta dai suoi uomini, e senza dubbio quel genere di disciplina doveva essere uno dei motivi per i quali Mance aveva scelto lui per andare al di là della Barriera.

Jon superò svariati thenn, seduti attorno ai fuochi sui loro arrotondati elmi di bronzo. “E adesso dov’è finita Ygritte?” Trovò i bagagli della ragazza, riposti ordinatamente accanto ai suoi, ma di lei nessuna traccia. «Ha preso una torcia ed è andata da quella parte» gli disse Grigg il Caprone, indicando verso il fondo della caverna.

Jon seguì la direzione del suo dito, ritrovandosi a vagare per un labirinto pieno d’ombre fatto di colonne di pietra e di stalattiti. “Non può essere qui… “ Poi udì la sua risata. Si diresse verso il punto da cui era venuto il suono. Ma dopo appena una decina di passi si trovò di fronte a un muro cieco di basalto bianco. Perplesso, tornò nella direzione da cui era venuto. Fu a quel punto che lo vide: un foro nero sotto un una cornice di roccia umida. S’inginocchiò sul bordo, ascoltando il remoto frusciare dell’acqua che scorreva.

«Ygritte?»

«Qua sotto» gli rispose la voce della ragazza, assieme a deboli echi.

Jon fu costretto a strisciare per una dozzina di passi prima che la grotta tornasse ad allargarsi attorno a lui. Quando si rialzò, dovettero passare alcuni momenti prima che i suoi occhi si adattassero all’oscurità. Ygritte aveva portato una torcia, unica fonte luminosa. La ragazza era in piedi presso una piccola cascata che sgorgava da una fenditura nella pietra alimentando un’ampia pozza oscura. Le fiamme arancioni e gialle danzavano sull’acqua verde pallido.

«Che cosa ci fai qui?» le chiese Jon.

«Ho sentito l’acqua. Volevo vedere quanto a fondo scende la grotta» indicò con la torcia. «C’è un passaggio che va ancora più in giù. L’ho seguito per un centinaio di passi prima di tornare indietro.»

«Vicolo cieco?»

«Tu non sai niente, Jon Snow. Va giù e sempre più giù. Ce n’è centinaia di caverne dentro queste colline qua, e sotto, in fondo, si collegano tutte. Ce n’è perfino una che passa sotto la tua Barriera: la via di Gorne.»

«Gorne» ripete Jon. «Gorne era uno dei re oltre la Barriera.»

«Sì» disse Ygritte. «Assieme con il suo fratello Gendel, tremila anni fa. Hanno guidato un esercito del popolo libero nelle caverne, e i corvi neri non lo hanno mai saputo. Ma quando sono spuntati fuori, i lupi di Grande Inverno gli sono saltati addosso.»

«Ci fu una battaglia» ricordò Jon. «Gorne uccise il re del Nord, ma poi suo figlio prese il vessillo caduto e la corona dalla testa del re e abbatté Gorne.»

«E i corvi nei loro castelli si sono svegliati al rumore delle spade. E sono arrivati tutti, coperti di nero, a prendere il popolo libero alle spalle.»

«Esatto. Gendel si ritrovò con il re che lo incalzava da sud, con gli Umber a est e con i Guardiani della notte a nord. Anche lui morì.»

«Non sai niente, Jon Snow. Gendel non è morto. Si è aperto la strada combattendo, attraverso i corvi, e poi ha guidato la sua gente a nord, con i lupi che gli ululavano dietro. Solo che Gendel non conosceva le caverne bene come le conosceva Gorne, e ha preso la svolta sbagliata.»

Ygritte spostò la torcia avanti e indietro. Nella caverna, le ombre si spostarono, danzando.

«Giù a fondo, lui è andato. Sempre più a fondo. E quando ha cercato di girare per prendere le vie che gli sembravano familiari, tutte sono finite contro la pietra invece che sotto il cielo. Presto, le torce hanno cominciato a spegnersi, una dopo l’altra. E alla fine, c’è stata solo la tenebra. Nessuno l’ha mai più visto, il popolo di Gendel. Ma in una notte silente puoi ancora sentire i figli dei loro figli dei loro figli che singhiozzano dentro il grande buio, alla ricerca della strada per tornare su. Ascolta… Li senti?»

Il fruscio dell’acqua, il debole scricchiolare delle fiamme. Jon non udì altro. «La strada sotto la Barriera… anche quella andò perduta?»

«Alcuni l’hanno cercata. Quelli che vanno troppo in fondo, trovano i figli di Gendel… e i figli di Gendel hanno sempre fame.» Sorridendo, Ygritte sistemò la torcia in una cavità nella pietra e andò verso di lui. «Dentro il buio non ci sta niente da mangiare… solo la carne» sussurrò, mordendogli il collo.

Jon affondò il volto nei suoi capelli rossi, riempiendosi il respiro con l’odore di lei. «Sembri la vecchia Nan, che racconta a Bran una delle sue storie di mostri.»

Ygritte gli diede un pugno contro la spalla. «Una vecchia, questo sono io?»

«Sei più vecchia di me.»

«Sì, e anche più saggia. Tu non sai niente, Jon Snow.» Lo spinse via con la mano, poi scivolò fuori dal gilè di pelle di lepre.

«Che cosa fai?»

«Ti faccio vedere quanto sono vecchia.» Sciolse i lacci della gonna di pelle di cerbiatto, gettò l’indumento sulla pietra, si sfilò dalla testa tre maglie di lana spessa tutte assieme. «Io voglio che mi vedi.»

«Non dovremmo farlo.»

«Dovremmo farlo.» I suoi seni sobbalzarono mentre si teneva in equilibrio saltellando su una gamba sola per togliersi prima uno stivale e poi l’altro. I suoi capezzoli erano larghi cerchi rosa. «Anche tu» disse Ygritte nel tirargli giù i pantaloni di pelle di pecora. «Se mi vuoi guardare, anche tu devi farti vedere. Non sai niente, Jon Snow.»

«So che ti voglio» udì se stesso rispondere a Ygritte. E tutti i suoi giuramenti, tutto il suo onore furono dimenticati.

Ygritte era in piedi di fronte a lui, nuda come il giorno in cui era venuta al mondo. E lui era duro come le rocce che li circondavano. Jon era stato dentro di lei decine di volte, ma sempre sotto le pellicce, con tutti gli altri attorno a loro. Non aveva mai visto quanto era bella. Aveva gambe magre ma con i muscoli definiti. I riccioli alla biforcazione delle cosce erano di un rosso più caldo rispetto ai capelli. “Che questo la renda addirittura più fortunata?”

«Amo il tuo odore» Jon l’attirò a sé. «Amo i tuoi capelli rossi. Amo la tua bocca, e il modo in cui mi baci. Amo il tuo sorriso. Amo i tuoi seni.» Li baciò, prima uno, poi l’altro. «Amo le tue gambe magre… e quello che c’è nel mezzo.»

Mise un ginocchio sulla pietra e cominciò a baciarla. All’inizio sul monte, poi Ygritte divaricò leggermente le gambe. Jon vide la carne rosa tra la peluria ramata e la baciò sulle grandi labbra, assaggiando il suo sapore. Ygritte si lasciò sfuggire un gemito.

«Se ami tutte queste cose» bisbigliò «perché sei ancora vestito? Non sai niente, Jon Snow. Nien… nie… oh. Oh. Oooh…»

Più tardi, mentre giacevano abbracciati sul mucchio dei vestiti, lei divenne quasi timida. O almeno, il livello massimo di timidezza che potesse raggiungere la natura di Ygritte… «Quella cosa che hai fatto, con la… con la bocca» esitò. «È quello… che fanno i lord alle loro lady, giù nel Sud?»

«Non credo.» Nessuno aveva mai detto a Jon che cosa fanno i lord alle loro lady. «Volevo solo… baciarti lì, nient’altro. Mi sembra che ti sia piaciuto.»

«Sì. Io… mi è piaciuto un po’. Nessuna te lo aveva insegnato a te?»

«Non c’è mai stata nessuna» rivelò Jon. «Solamente tu.»

«Vergine» lo prese in giro lei. «Sei vergine.»

Le pizzicò gioiosamente un capezzolo. «Ero un uomo dei Guardiani della notte». Ero, questo aveva detto. Mentre adesso? Che cos’era, adesso? Non voleva pensarci. «Eri vergine anche tu?»

Ygritte si puntellò su un gomito. «Ho diciannove anni e sono una moglie di lancia e sono baciata dal fuoco. Come faccio a essere vergine?»

«Lui chi era?»

«Un ragazzo a una festa, cinque anni fa. È venuto a fare commerci assieme ai suoi fratelli, e aveva capelli come i miei, baciato dal fuoco, così ho pensato che lui era fortunato. Ma era debole. Quando è tornato e ha cercato di rubarmi, Lungapicca gli ha spezzato un braccio e lui è scappato. E dopo non ha provato più, mai nemmeno una volta.»

«Quindi non è stato Lungapicca?» Jon ne fu sollevato. Gli era simpatico Lungapicca, con la sua faccia allegra e i suoi modi amichevoli.

«Questa qua che dici è una cosa vile.» Ygritte gli diede un pugno finto. «Dormiresti con la tua sorella?»

«Lungapicca non è tuo fratello.»

«È del mio villaggio. Non sai niente, Jon Snow. Un uomo vero ruba una donna lontana, così che dà forza al clan suo. Le donne che dormono con i fratelli, o i padri o uomini del loro sangue offendono gli dèi, e sono maledetti con figli deboli e malati. Perfino mostri.»

«Craster sposa le sue figlie» rilevò Jon.

«Craster è più del tuo genere che del nostro.» Lei gli diede un altro pugno. «Suo padre era un corvo che ha rubato una donna del villaggio di Whitetree, ma dopo che l’ha avuta se n’è scappato di nuovo su per la sua Barriera. Una volta lei è andata al Castello Nero per fare vedere al corvo il figlio suo, ma gli altri corvi hanno suonato i loro corni e l’hanno mandata via. È nero il sangue di Craster, nero e maledetto.» Ygritte fece scorrere le dita lungo lo stomaco di Jon. «Io avevo paura che tu facevi lo stesso. Volartene sulla Barriera. Non sapevi che cosa fare dopo che mi avevi rubato.»

Jon si mise seduto. «Ygritte, io non ti ho mai rubata.»

«Sì, lo hai fatto. Sei saltato giù dalla montagna e hai ucciso Orell, e prima che potevo prendere la mia ascia, mi avevi messo il pugnale alla gola. Pensavo che allora mi prendevi, o mi uccidevi, o tutt’e due. Ma non lo hai fatto mai. E quando ti ho detto della storia di Bael il Bardo e come lui ha colto la rosa di Grande Inverno, ho pensato che mi coglievi, ma non lo hai fatto neanche quel momento lì. Non sai niente, Jon Snow.» Gli rivolse un sorriso timido. «Ma forse cominci a imparare qualche roba, però.»

Il chiarore della torcia danzava dietro di lei, notò Jon all’improvviso. «Meglio tornare su. La torcia è quasi esaurita.»

«Adesso il corvo ha paura dei figli di Gendel?» sogghignò lei. «L’uscita è solo poco più sopra, e non ho finito con te, Jon Snow.» Lo spinse con la schiena sugli abiti e gli si strinse contro. «Vuoi…» esitò.

«Voglio cosa?» disse lui, la torcia che tremava con gli ultimi bagliori.

«Farla ancora» sussurrò Ygritte. «Quella cosa… con la bocca. Il bacio del lord. E io… posso vedere se a te piaceva.»

La torcia si perse nel buio, ma a Jon Snow non importò niente.

Il senso di colpa tornò più tardi, ma anche più debole di prima. “Se questo è così sbagliato” non poté fare a meno di domandarsi “com’è possibile che gli dèi lo abbiano reso così piacevole?”

La caverna era nera come l’inchiostro quando decisero di risalire. L’unica luce era il chiarore vacuo che filtrava attraverso il passaggio che conduceva alla caverna più grande. Finirono uno addosso all’altra cercando di rivestirsi al buio. Ygritte inciampò e cadde nell’acqua alla base della cascata, il morso del gelo le strappò un grido. Jon rise e lei lo trascinò dentro la pozza con sé. Lottarono nell’oscurità e nell’acqua glaciale. E poi Ygritte fu di nuovo tra le sue braccia. Ed entrambi scoprirono che non avevano affatto finito.

«Jon Snow» gli disse Ygritte mentre il suo seme sprizzava dentro di lei. «Non muoverti adesso, dolce. Mi piace di sentirti lì dentro, mi piace Non torniamo più da Styr e Jarl. Andiamo dentro ancora più nel fondo, a stare assieme con i figli di Gendel. Non la voglio lasciare questa caverna, Jon Snow. Non la voglio lasciare mai.»

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