JAIME

Il re sedeva solo a capotavola, con una pila di cuscini sotto il culo, a firmare diligentemente i documenti che gli venivano presentati.

«Ne mancano ancora pochi, maestà» ser Kevan Lannister rassicurò il sovrano. «Questa è una bolla di esproprio per lord Edmure Tully, con la quale gli vengono tolti Delta delle Acque, tutte le terre e tutti i relativi profitti, quale sanzione per essersi ribellato contro il suo re di diritto. Questa è una bolla analoga per suo zio ser Brynden Tully, il Pesce Nero.»

Tommen Baratheon, nuovo re dei Sette Regni, le firmò una dopo l’altra, intingendo accuratamente la punta della penna d’oca nel calamaio, scrivendo il proprio nome in larga calligrafia infantile.

All’altra estremità del tavolo, Jaime Lannister lo osservava e il suo pensiero andava a tutti gli svariati lord che aspiravano a uno scranno nel Concilio ristretto del re. “Possono avere il mio, di scranno del cazzo.” Se questo era il potere, come mai assomigliava così tanto alla noia? In quel momento, guardando Tommen che intingeva di nuovo la penna nell’inchiostro, Jaime non si sentiva particolarmente potente. Si sentiva semplicemente annoiato.

“E dolorante.” Aveva tutti i muscoli del corpo indolenziti, il costato e le spalle piene di lividi per i colpi che aveva incassato, cortese sollecitudine di ser Addam Marbrand. Il solo pensiero gli faceva digrignare i denti. Poteva solo sperare che il comandante della Guardia cittadina tenesse almeno la bocca chiusa. Jaime conosceva Marbrand fin da ragazzo, quando era paggio a Castel Granito, e si fidava molto di lui. Abbastanza da chiedergli di munirsi di scudo e spada da torneo, per scoprire se Jaime Lannister era in grado di combattere con la mano sinistra.

“Adesso lo so.” Una consapevolezza molto più dolorosa della battuta che ser Addam gli aveva somministrato, così dura che quella mattina Jaime aveva avuto serie difficoltà a vestirsi. Se al posto delle spade da torneo, spuntate e senza affilatura, le lame fossero state vere, l’imbattibile Sterminatore di re sarebbe stato sterminato almeno una ventina di volte. Sembrava così semplice, passare da una mano all’altra. Invece no, non era affatto semplice. Duellando con la destra, a Jaime bastava semplicemente muoversi. Con la sinistra, era costretto a pensare. E mentre lui pensava, Marbrand lo attaccava. Gli pareva di non riuscire più nemmeno a impugnare correttamente una spada lunga. Ser Addam lo aveva disarmato per ben tre volte, mandando la sua lama a volare lontano.

«Questa bolla garantisce le soprannominate terre, i relativi profitti e l’accluso castello a ser Emmon Frey e a sua moglie, lady Genna.» Ser Kevan presentò al re un altro foglio di pergamena. Tommen intinse e firmò. «Questo è un decreto di legittimazione per il figlio naturale di lord Roose Bolton di Forte Terrore. Quest’altro nomina lord Bolton stesso Protettore del Nord.» Tommen intinse e firmò, intinse e firmò. «Questo garantisce a ser Rolph Spicer il titolo sul castello di Castamere e lo eleva al rango di lord.» Tommen scribacchiò il proprio nome.

“Avrei dovuto rivolgermi a ser Ilyn Payne” rifletté Jaime. La Giustizia del re non era suo amico quanto Marbrand, né si sarebbe fatto scrupolo di pestarlo a sangue ma… essendo privo di lingua, ben difficilmente sarebbe stato in grado di vantarsene. Per contro, a ser Addam sarebbe bastata una coppa di vino di troppo e tutto il mondo avrebbe saputo com’era ridotto Jaime Lannister. “Lord comandante della Guardia reale.” Che beffa crudele… per quanto non come il regalo che il lord suo padre gli aveva elargito.

«Questo è il tuo perdono reale per lord Gawen Westerling, la lady sua moglie e la loro figlia, lady Jeyne, in cui si dà loro nuovamente il benvenuto nella pace del re» proseguì ser Kevan. «Questo è il perdono per lord Jonos Bracken di Stone Hedge. Questo è il perdono per lord Karyl Vance. Questo per lord Goodbrook. Questo per lord Mooton di Maidenpool.»

Jaime fece forza sui braccioli e si mise in piedi. «Sembra che tu sia in ottimo controllo del protocollo, zio. Lascio quindi sua maestà il re alla tua attenzione.»

«Come credi.» Ser Kevan si alzò a sua volta. «Jaime, perché non ti decidi a parlare con tuo padre? Questa frattura tra di voi…»

«…è opera sua. E inviarmi regali di scherno non servirà a ricucirla. Diglielo. Ammesso e non concesso che tu riesca a strapparlo dai Tyrell…»

Ser Kevan apparve a disagio. «Quel regalo viene dal cuore. Avevamo pensato che potesse incoraggiarti a…»

«…farmi crescere una nuova mano destra?»

Jaime si girò verso Tommen. Il ragazzo aveva gli stessi riccioli dorati e gli stessi occhi verdi di Joffrey, ma il nuovo re bambino aveva ben poco d’altro in comune con il suo defunto fratello e predecessore. Aveva una tendenza alla pinguedine, il suo viso era roseo e rotondo, amava addirittura leggere. “Non ha ancora nove anni, questo mio figlio. E il ragazzo non è l’uomo.” Ci sarebbero voluti sette anni prima che Tommen fosse re a pieno diritto. Fino a quel momento, il reame sarebbe rimasto saldamente nelle mani di suo nonno, lord Tywin Lannister, Primo Cavaliere del re, signore di Castel Granito. «Sire» chiese Jaime «ho la tua licenza di andare?»

«Come preferisci, zio Jaime.» Tommen riportò lo sguardo su ser Kevan. «Posso suggellarle adesso, zio Kevan?» Premere il sigillo reale nella lacca ancora calda era la cosa che più gli piaceva dell’essere re, almeno per il momento.

Jaime uscì dalla sala del Concilio ristretto. Fuori della porta trovò ser Meryn Trant, che montava rigidamente la guardia con l’armatura bianca a scaglie e il mantello color neve. “Se questo individuo dovesse venire a sapere quanto sono debole, o se lo sapessero Kettleblack o Blount…” «Rimani qui fino a quando sua maestà non avrà finito» gli ordinò Jaime. «Poi scortalo di nuovo al Fortino di Maegor.»

Trant abbassò la testa. «Come comandi, mio lord.»


Il cortile esterno era affollato e rumoroso, quel mattino. Jaime si diresse verso le stalle, dove un folto gruppo di uomini stava sellando i cavalli.

«Artigli d’acciaio!» chiamò. «Dunque partite?»

«Non appena milady sarà montata» rispose Walton, il comandante d’armi di Roose Bolton. «Il mio lord di Forte Terrore ci aspetta. Ah, eccola che arriva.»

Uno stalliere condusse una purosangue grigia fuori dalla porta delle stalle. In sella, c’era una ragazzina magra, con gli occhi vuoti, avvolta in una pesante cappa grigia bordata di satin bianco, grigia come il cavallo, grigia come gli abiti sotto. Il fermaglio che l’assicurava sulla spalla destra della ragazza era a forma di testa di lupo, con gli occhi di opale tagliati in obliquo. I lunghi capelli castani della ragazza erano agitati dal vento. Era graziosa, per quanto i suoi occhi fossero tristi, guardinghi.

Nel vedere Jaime, chinò leggermente il capo. «Ser Jaime.» Una voce esile, carica d’ansia. «È gentile da parte tua venire a vedermi partire.»

Jaime la studiò più attentamente. «Mi conosci, quindi.»

La ragazza si morse il labbro inferiore. «Forse non ricordi, mio signore, ero più piccola allora… ma ebbi l’onore d’incontrarti a Grande Inverno, quando re Robert venne a fare visita a mio padre lord Eddard.» Abbassò i grandi occhi castani e mormorò: «Sono Arya Stark».

Jaime non aveva mai prestato troppa attenzione ad Arya Stark, ma gli sembrò che questa ragazza avesse più anni della ragazzina che lui aveva visto a Grande Inverno. «Mi pare di capire che stai per sposarti.»

«Sposerò il figlio di lord Bolton, Ramsay. Era uno Snow, ma per decreto sua maestà lo ha reso un Bolton. Dicono che è molto coraggioso. E io sono tanto felice.»

“E allora come mai la tua voce è così piena di paura?” «Ti auguro ogni gioia, mia signora.» Jaime si voltò di nuovo verso Artigli d’acciaio. «Hai avuto il conio che ti era stato promesso?»

«Aye. Ce lo siamo diviso. Hai i miei ringraziamenti.» L’uomo del Nord sorrise. «Un Lannister paga sempre i propri debiti.»

«Sempre» confermò Jaime, lanciando un ultimo sguardo alla ragazza. Si chiese se ci fosse davvero una rassomiglianza. Non che avesse grande importanza. Con ogni probabilità la vera Arya Stark era sepolta in qualche fossa senza nome nel Fondo delle Pulci. Con tutti i fratelli ed entrambi i genitori morti, chi mai avrebbe osato gridare alla frode? «Che il vostro viaggio possa essere rapido» disse Jaime ad Artigli d’acciaio.

Nage sollevò il vessillo di pace. Gli uomini del Nord formarono una colonna stracciona come le loro cappe di pelli e pellicce e si avviarono fuori dalla porta della Fortezza Rossa. In mezzo a loro, la ragazza magra sulla purosangue grigia appariva minuta e tetra.

Alcuni cavalli evitarono la chiazza scura che persisteva sulla terra battuta, a marcare il punto dove era crollato il ragazzo di stalla che Gregor Clegane aveva così goffamente e brutalmente maciullato. Solo a guardare quella macchia, Jaime sentì risorgere dentro di sé la rabbia. Aveva ordinato agli uomini della Guardia reale di tenere la folla a distanza, ma quel bisonte di ser Boros era stato comunque distratto dal duello. Il giovane stalliere non era privo di colpa, certo. Lo stesso valeva per il guerriero dorniano morto. E soprattutto per la Montagna che cavalca. Il fendente che aveva mozzato al ragazzo il braccio era stato un incidente, ma quello che gli aveva tagliato il cranio in due…

“Be’, adesso comunque Gregor la sta scontando.” Il gran maestro Pycelle si stava occupando delle ferite che Clegane aveva riportato nello scontro con la Vipera rossa. Ma, a giudicare dai lamenti che riecheggiavano dalla torretta del maestro, le cure non stavano dando i risultati sperati…


«…le carni si corrompono e le ferite grondano pus» disse Pycelle al concilio. «Nemmeno i vermi si avvicinano a una degenerazione del genere. Le convulsioni di ser Gregor sono violente al punto da costringermi a mettergli un piolo di traverso alla bocca per impedirgli di staccarsi la lingua a morsi. Ho tagliato quanto più possibile i tessuti infetti, trattando la cancrena con vino bollente e muffa di pane. Inutile. Le vene nel suo braccio stanno diventando nere. Quando l’ho salassato, perfino le mignatte sono morte a causa del sangue venefico. Miei lord, io devo sapere in quale maligna sostanza il principe Oberyn aveva intinto la punta della sua lancia. Teniamo in prigione i dorniani fino a quando non saranno più prodighi d’informazioni.»

Richiesta che lord Tywin respinse. «La morte del principe Oberyn ci creerà già fin troppi problemi con Lancia del Sole. Non intendo rendere la situazione ancora peggiore gettando i compagni del principe in una segreta.»

«In tal caso temo che ser Gregor morirà.»

«Senza dubbio. È quanto ho scritto nella lettera che ho inviato al principe Doran Martell assieme al corpo del fratello. Ma dovrà apparire che è stata la spada della giustizia del re a ucciderlo, non una lancia avvelenata. Guarisci la Montagna che cavalca, gran maestro.»

Il gran maestro Pycelle annuì con aria afflitta. «Mio signore…»

«Guariscilo» intimò lord Tywin, alterato. «Immagino che tu sappia che lord Varys ha mandato alcuni pescatori nelle acque attorno alla Roccia del Drago. Secondo i loro rapporti, a difendere l’isola è rimasta solo una guarnigione simbolica. Anche i pirati lyseniani hanno lasciato la baia, assieme alla maggior parte delle forze di lord Stannis.»

«Bene, ottimo» esclamò Pycelle. «Che Stannis marcisca pure a Lys, così ci saremo definitivamente sbarazzati sia di lui sia delle sue ambizioni.»

«Una domanda, gran maestro» ritorse lord Tywin. «Sei forse diventato un grande idiota da quando Tyrion ti ha fatto tagliare la barba? Stiamo parlando di Stannis Baratheon, un uomo che continuerà a combattere fino all’ultima spada e oltre. Andarsene da Roccia del Drago per lui significa solo una cosa: che intende riprendere la guerra da qualche altra parte. È probabile che finisca per sbarcare a Capo Tempesta, cercando di sollevare i lord di quelle terre. In quel caso, è finito. Ma un uomo temerario come lui potrebbe addirittura tentare con Dorne. Se Lancia del Sole dovesse passare dalla sua parte, la guerra continuerà per molti anni. Per cui, noi non offenderemo i Martell in nessun modo, per nessuna ragione. I dorniani sono liberi di andarsene. Quanto a te, gran maestro degli idioti… guarisci ser Gregor!»


E così la Montagna continuò a lamentarsi, giorno e notte. Sembrava che lord Tywin Lannister fosse riuscito a fermare perfino lo Sconosciuto, deità della morte.

Salendo i gradini della Torre delle Spade bianche, Jaime udì ser Boros Blount che russava nel suo alloggio. Anche la porta di ser Balon Swann era chiusa. Quella notte, sarebbe stato lui di turno a guardia del re, quindi avrebbe passato il giorno a dormire. Eccetto che per i grugniti di Boros, la torre era silenziosa. E a Jaime andava più che bene. “Dovrei riposare un po’ anch’io.” La notte precedente, dopo la sua danza con ser Addam, i dolori gli avevano impedito di chiudere occhio. Entrò nella camera da letto…

… e trovò sua sorella ad aspettarlo.

Cersei era in piedi vicino alla finestra, lo sguardo fisso oltre le mura della Fortezza Rossa, verso il mare. Il vento della baia l’accarezzava, modellando l’abito sul suo corpo in un modo che fece accelerare i battiti del cuore di Jaime. Il vestito era bianco, come gli arazzi alle pareti, come le coperte sul letto. Arabeschi di piccoli smeraldi scintillavano sui bordi delle ampie maniche, e si rincorrevano a spirali sul corpetto. Smeraldi più grossi impreziosivano la rete dorata che tratteneva i suoi capelli, anch’essi dorati. Era un abito molto scollato, che rivelava le spalle nude e la parte superiore dei seni. “È così bella…” Jaime non desiderava altro che prenderla tra le braccia.

«Cersei.» Richiuse la porta senza rumore. «Come mai sei qui?»

«Dove altro dovrei essere?» Si girò verso di lui. I suoi occhi erano pieni di lacrime. «Nostro padre è stato chiaro: non mi vuole più nel Concilio ristretto. Jaime, gli parlerai?»

Jaime si tolse il mantello e lo appese a un gancio alla parete. «Parlo tutti i giorni con il grande lord Tywin.»

«Ma perché ti ostini a essere così testardo? L’unica cosa che lui vuole…»

«…è costringermi a lasciare la Guardia reale e rimandarmi a Castel Granito.»

«Ed è così terribile? Rimanda anche me a Castel Granito. Mi vuole lontana da corte, in modo da avere mano libera con Tommen. Tommen è mio figlio, non suo!»

«Tommen è il re.»

«È solo un bambino! Un piccolo bambino spaventato che ha visto il fratello venire assassinato al suo banchetto di nozze. E loro adesso gli stanno dicendo che deve sposarsi. Con una fanciulla che ha il doppio dei suoi anni ed è due volte vedova!»

«I Tyrell insistono.» Jaime si sedette, cercando di ignorare il tormento dei muscoli indolenziti. «Non ci vedo nulla di male. Tommen si è sentito solo da quando Myrcella è andata a Dorne. Avere attorno Margaery e le sue dame gli piace. Lascia che si sposino.»

«È tuo figlio!…»

«Sbagliato: è il mio seme. Non mi ha mai chiamato padre. Così come non lo ha fatto Joffrey. E sei stata tu a mettermi in guardia su questo, Cersei. Mille volte mi hai avvertito di non mostrare eccessivo interesse nei suoi confronti.»

«È stato per tenerlo al sicuro! E anche per te. Che figura avremmo fatto con mio fratello che gioca a fare il padre con i figli del re? Perfino Robert avrebbe potuto insospettirsi.»

«Be’, ormai ha finito di insospettirsi.» La morte di Robert Baratheon continuava a lasciare Jaime con l’amaro in bocca. “Avrei dovuto essere io a ucciderlo, non Cersei.” «Vorrei solo che fosse morto per mano mia.» “Quando ancora ne avevo due, di mani.” «Se avessi tramutato lo sterminio di re in un’abitudine, come a Robert piaceva dire, avrei potuto prenderti in moglie davanti agli occhi di tutti. Non mi vergogno di amarti, Cersei. Quello di cui mi vergogno sono le cose che ho fatto per tenerlo nascosto. Quel ragazzo, a Grande Inverno. Brandon Stark…»

«Sono stata forse io a dirti di gettarlo dalla finestra della torre? Se anche tu fossi andato a caccia con gli altri, come ti avevo implorato di fare, nulla sarebbe successo. Ma tu no. Dovevi avermi a ogni costo, non è così? Non ce la facevi ad aspettare che fossimo tornati in città.»

«Avevo aspettato anche troppo. Non sopportavo più di vedere Robert che ogni notte veniva nel tuo letto, rodendomi al pensiero che una di quelle notti lui potesse riscuotere i suoi diritti di marito.» Improvvisamente, Jaime ricordò un altro degli eventi di Grande Inverno che continuava a turbarlo. «A Delta delle Acque, Catelyn Stark sembrava convinta che fossi stato io a mandare un sicario a sgozzare suo figlio, a dargli la daga assassina.»

«Oh, quella daga» disse tetramente Cersei. «Anche Tyrion mi ha fatto domande.»

«La daga esiste, e anche le cicatrici sulle mani di lady Catelyn erano reali. Me le ha mostrate. Tu hai forse…»

«Non essere assurdo!» Cersei chiuse la finestra. «È vero, ho sperato che Brandon Stark morisse. Così come lo hai sperato anche tu. Perfino Robert pensava che la sua morte sarebbe stata per il meglio. “Abbattiamo i nostri cavalli quando si azzoppano, e uccidiamo i nostri cani quando diventano ciechi. Ma siamo troppo deboli per essere ugualmente misericordiosi verso i nostri figli storpiati.” Fu questo il suo commento. Ma era cieco anche lui. Di vino.»

Jaime aveva osservato il defunto re abbastanza a lungo da sapere che, svuotato un certo numero di coppe, Robert Baratheon faceva affermazioni che il giorno dopo, da sobrio, negava con rabbia. «Eravate soli quando Robert fece quel commento?»

«Non crederai certo che lui sia andato a dirlo a Ned Stark, spero? È ovvio che eravamo soli. Noi e i ragazzi.» Cersei si tolse il retino dai capelli e lo sistemò su uno dei pilastri del letto, poi scosse il capo, facendo fluire i boccoli biondi. «Sarà stata Myrcella, non credi? Ha mandato lei l’assassino armato della famigerata daga a tagliare la gola a Brandon Stark.»

Voleva essere una battuta macabra. Ma l’effetto non fu quello, Jaime se ne rese subito conto. Sua sorella era andata dritta al cuore del dilemma. «Non Myrcella. Joffrey.»

Cersei corrugò la fronte. «Joffrey non aveva alcun affetto verso Robb Stark, ma l’altro ragazzino non significava nulla per lui. Anche Joffrey era un ragazzino.»

«Che bramava un’amichevole carezza da parte di quella sottospecie di ubriacone che tu lo hai indotto a credere fosse suo padre.» Un altro pensiero, ancora più nero, attraversò la mente di Jaime. «A Nido dell’Aquila, Tyrion per poco non ci rimetteva il collo a causa di quella daga del cazzo. E se poi ha scoperto che dietro il tentato assassinio c’era Joffrey, ecco perché…»

«Non m’importa dei perché di Tyrion» tagliò corto Cersei. «Può sprofondare nei sette inferi, lui e le sue ragioni. Se tu solo avessi visto in che modo Joffrey è morto… come ha combattuto. Ha lottato per ogni respiro, ma era come se un qualche spirito del male lo stesse strangolando. I suoi occhi erano pieni di un tale terrore… Quando era piccolo, quando era spaventato, ferito, correva da me perché io lo proteggessi. Ma quella notte non ho potuto fare niente. Tyrion lo ha assassinato sotto i miei occhi.… e io non ho potuto fare niente!» Cersei scivolò in ginocchio davanti allo scranno di Jaime, prese la mano che gli rimaneva tra le sue. «Joff è morto e Myrcella è a Dorne. Tommen è tutto quello che mi rimane. Non devi permettere che nostro padre me lo porti via. Jaime, ti prego.»

«Lord Tywin non ha chiesto la mia approvazione. Posso provare a parlargli, ma non ascolterà…»

«Sì, invece. Se tu acconsentirai a lasciare la Guardia reale.»

«Io non lascerò la Guardia reale.»

Cersei ricacciò indietro le lacrime. «Jaime, tu sei il mio fulgido cavaliere. Non puoi abbandonarmi quando ho più bisogno di te. Non puoi farlo! Mi sta rubando mio figlio. Mi sta mandando via… e se tu non lo fermi, nostro padre mi costringerà a sposarmi di nuovo!»

Jaime non avrebbe dovuto essere sorpreso, ma lo fu. E quelle parole di Cersei furono un colpo molto più duro di qualsiasi affondo ser Addam Marbrand avrebbe potuto infliggergli. «Con chi?»

«Che differenza fa? Un lord o un altro. Chiunque nostro padre ritenga che possa essergli utile. Non m’importa chi. Non voglio un altro marito. Sei tu l’unico uomo che voglio, che mai vorrò, nel mio letto.»

«E allora vaglielo a dire

Lei ritirò le mani. «Stai vaneggiando ancora. Vorresti forse che venissimo separati, come fece nostra madre quando da bambini ci scoprì a giocare? Tommen perderebbe il trono, Myrcella perderebbe il matrimonio dorniano… Io voglio essere tua moglie, noi apparteniamo l’uno all’altra, ma questo non potrà mai essere, Jaime. Siamo fratello e sorella.»

«I Targaryen…»

«Noi non siamo Targaryen!»

«Parla piano» intimò cupamente Jaime. «Rischi di svegliare i miei confratelli. E noi questo non lo vogliamo, vero? Qualcuno scoprirebbe che sei venuta da me.»

«Jaime» singhiozzò Cersei «non pensi che anch’io voglia te tanto quanto tu vuoi me? Non ha importanza chi mi vogliano far sposare. Sei tu che voglio al mio fianco. Sei tu che voglio nel mio letto. Sei tu che voglio dentro di me. Nulla è cambiato tra di noi. Lascia che te ne dia la prova.» Le sue dita scivolarono sotto la tunica, cominciando ad armeggiare con i lacci delle sue brache.

Jaime percepì di stare rispondendo. «No» la fermò. «Non qui.» Non lo avevano mai fatto nella Torre delle Spade bianche, né tanto meno negli alloggi del lord comandante. «Questo non è il luogo adatto, Cersei.»

«Tu mi hai presa nel tempio, davanti al corpo freddo di nostro figlio. Perché questo luogo è diverso?» Gli tirò fuori il cazzo, e si chinò per prenderglielo in bocca.

Jaime la respinse con il moncone della destra. «Ho detto di no. Non qui.» Si sforzò di alzarsi in piedi.

Per un momento, nei lucidi occhi verdi di sua sorella, vide l’incertezza. E la paura. Poi il furore spazzò via ogni altra cosa. Cersei riprese il controllo, si alzò, si sistemò il vestito. «Che cosa esattamente ti hanno mozzato a Harrenhal, cavaliere, la mano o la virilità?» Scosse la testa, i boccoli biondi le scivolavano sulle nude spalle bianche. «Sono stata una stupida a venire. Non hai avuto il coraggio di vendicare Joffrey, come ho fatto a pensare che avresti protetto Tommen? Per cui dimmi, ser Jaime, se il Folletto avesse assassinato tutti e tre i tuoi figli, ritieni che quanto meno questo ti avrebbe smosso?»

«Tyrion non farà alcun male né a Tommen né a Myrcella. E continuo a non essere convinto che sia stato veramente lui a uccidere Joffrey.»

«Come puoi dire una cosa del genere?» disse Cersei in preda al furore. «Dopo tutte le sue minacce…»

«Le minacce non significano niente. Tyrion giura di non averlo fatto.»

«Oh, Tyrion giura, certo. E i nani non mentono mai, è questo che pensi?»

«Non a me. Non più di quanto possa mentirmi tu.»

«Oh, stupido, stupido, stupido! Ti ha mentito mille volte e mille volte ti ho mentito io!» Cersei si raccolse di nuovo i capelli, afferrò il retino dorato dal pilastro del letto dove lo aveva appeso. «Pensa pure quello che vuoi. Quel mostriciattolo deforme è in una cella oscura, adesso, e presto ser Ilyn gli staccherà la testa. Chissà, magari ti piacerebbe averla, in ricordo dei bei tempi andati.» Gettò uno sguardo al cuscino. «Potrebbe addirittura scacciare i cattivi pensieri, mentre dormi tutto solo in questo gelido letto bianco. Almeno fino a quando i vermi non gli avranno mangiato le palle degli occhi.»

«Farai meglio ad andartene, Cersei. Mi stai facendo infuriare.»

«Uhhh, lo storpio si infuria. Che spaventosa minaccia.» Gli rise in faccia. «Un vero peccato che lord Tywin Lannister non abbia mai avuto un figlio maschio. Perché avrei potuto essere io l’erede che voleva, se solo avessi avuto un cazzo tra le gambe. E a proposito, sarà bene che tu metta via il tuo, fratellino. Ha un’aria quanto mai triste e rinsecchita, penzolante fuori dalle brache a quel modo.»


Una volta che se ne fu andata, Jaime seguì il suo consiglio, lottando con una mano sola con i lacci. Provò una fitta di dolore lancinante alle ossa della mano fantasma. “Ho perduto un padre, un figlio, una sorella e un’amante. Presto, avrò perduto anche un fratello. Eppure continuano a dirmi che è la Casa Lannister ad avere vinto questa guerra.”

Jaime si mise il mantello sulle spalle e scese nella sala comune, dove trovò ser Boros Blount che stava bevendo una coppa di vino. «Quando hai finito, di’ a ser Loras che sono pronto per vederla.»

Ser Boros era troppo vigliacco per reagire più che con un’occhiata feroce. «Pronto per vedere chi?»

«Tu dillo a Loras e basta.»

«Aye.» Ser Boros vuotò la coppa. «Aye, lord comandante.»

Ma ci mise molto tempo per riferire il messaggio, o forse trovare il Cavaliere di Fiori si rivelò più difficile del previsto. Erano trascorse alcune ore quando finalmente arrivarono, il giovane snello e avvenente e la donzella grossa e brutta. Jaime sedeva da solo nella sala circolare, sfogliando distrattamente il Libro bianco.

«Lord comandante» esordì Loras «desideravi vedere la Vergine di Tarth?»

«Esatto.» Con la sinistra, Jaime fece loro cenno di avvicinarsi. «Hai parlato con lei, immagino.»

«Come tu mi hai comandato, mio lord.»

«Allora?»

Il ragazzo s’irrigidì. «Io… forse è davvero andata come dice la donzella, ser. Potrebbe essere stato Stannis… l’ombra di Stannis. Non posso esserne certo.»

«Varys dice che anche il castellano di Capo Tempesta è morto in strane circostanze» aggiunse Jaime.

«Ser Cortnay Penrose» intervenne Brienne. «Un uomo valoroso.»

«Un uomo testardo. Un giorno sbarra la strada del signore di Roccia del Drago. Il giorno dopo salta da una torre.» Jaime si alzò. «Di questo parleremo più tardi, ser Loras. Ti prego di lasciarmi da solo con lady Brienne.»

La donzella appariva brutta e goffa come sempre, decise Jaime dopo che il giovane Tyrell se ne fu andato. Qualcuno l’aveva vestita di nuovo in abiti femminili, che però le stavano decisamente meglio di quel turpe straccio rosa che il lord Caprone l’aveva costretta a indossare a Harrenhal.

«Il blu è un colore che ti dona, mia signora» osservò Jaime. «S’intona con i tuoi occhi.» “Ha davvero occhi straordinari.”

Brienne abbassò lo sguardo, arrossendo. «Septa Donyse ha imbottito il corpetto, in modo da dargli forma. Mi ha anche detto che sei stato tu a mandarmi questo vestito.» Brienne era rimasta vicino alla porta, come se fosse pronta a scappare a ogni istante. «Tu sembri…»

«…diverso?» Jaime riuscì a tirare fuori una specie di sorriso. «Un po’ più di carne attorno alle costole e meno pidocchi nei capelli, tutto qui. Il moncone è rimasto uguale. Chiudi la porta e vieni qui.»

Brienne fece come lui le aveva detto. «Il mantello bianco…»

«…è nuovo, ma non ho dubbi che lo insozzerò molto presto.»

«Questo non… volevo dire che ti sta bene.»

Brienne si avvicinò a lui esitante. «Jaime, quello che hai detto a ser Loras è veramente quello che pensi? Riguardo… a re Renly e all’ombra?»

Jaime scrollò le spalle. «Se avessi affrontato Renly in battaglia, lo avrei ucciso. Che cosa m’importa sapere chi gli ha tagliato la gola?»

«A Loras hai detto che io ho onore…»

«Sono il fottuto Sterminatore di re, non ricordi? Se io dico che hai onore, è come una puttana che garantisce per la tua verginità.» Si rilassò contro lo schienale e la osservò. «Artigli d’acciaio sta tornando al Nord, per consegnare Arya Stark a Roose Bolton.»

«Tu l’hai data a quell’essere?» Nella voce di Brienne c’era la disperazione. «Avevi giurato al cospetto di lady Catelyn…»

«Con una spada puntata alla gola, ma lasciamo stare. Lady Catelyn è morta. Non potrei ridarle le sue figlie nemmeno se le avessi. Inoltre, la ragazza che mio padre ha mandato via con Artigli d’acciaio non è Arya Stark.»

«Non è Arya Stark?»

«Mi hai sentito, no? Il lord mio padre ha trovato una macilenta ragazzina del Nord più o meno della stessa età, più o meno della stessa carnagione di Arya. L’ha agghindata in bianco e grigio, le ha dato un fermaglio d’argento a forma di lupo per chiudere il mantello e l’ha spedita a sposare il bastardo di Bolton.» Jaime sollevò il moncone e lo puntò verso Brienne. «Volevo dirtelo a chiare lettere, prima che tu partissi al galoppo per salvarla, finendo ammazzata senza motivo. Te la cavi bene con una spada in pugno, lo riconosco, ma non così bene da affrontare duecento uomini da sola.»

Brienne scosse la testa. «Quando lord Bolton scoprirà che tuo padre gli ha spacciato del conio fasullo…»

«Oh, lo sa già. “I Lannister mentono”, ricordi? E comunque non ha importanza: quella ragazzina servirà ugualmente ai suoi scopi. Chi oserà mai dire che non è Arya Stark? Tutti quelli che le erano vicini sono morti, con l’unica eccezione di sua sorella che però è scomparsa.»

«Jaime, se tutto questo è vero, per quale ragione me lo stai dicendo? Tu tradisci i segreti di tuo padre.»

“I segreti del Primo Cavaliere” pensò Jaime. “Io non ho più un padre.” «Diciamo che sto pagando i miei debiti come ogni bravo leoncino che si rispetti. Ho effettivamente promesso a lady Stark di ridarle le sue figlie… e una di loro è ancora in vita. Forse mio fratello Tyrion sa dov’è nascosta, ma anche se lo sa non parla. Cersei è convinta che Sansa Stark lo abbia aiutato a uccidere Joffrey.»

La bocca della donzella assunse un’espressione ostinata. «Rifiuto di credere che quella graziosa ragazza sia un’avvelenatrice. Lady Catelyn diceva che il suo cuore è delicato. È stato tuo fratello. Ser Loras mi ha detto che c’è stato un processo.»

«Due processi, in verità. Prima le parole e poi le spade sono state contro di lui. Una brutta storia. Hai visto qualcosa dalla tua finestra?»

«La mia cella è rivolta verso il mare. Però ho udito le grida.»

«Il principe Oberyn Martell di Dorne è morto. Ser Gregor Clegane è in fin di vita. Tyrion è colpevole davanti agli occhi degli dèi e degli uomini. Lo tengono rinchiuso in una cella oscura fino all’esecuzione.»

Brienne lo fissò. «Ma tu non credi che sia stato lui.»

Jaime le lanciò un sorriso amaro. «Sai una cosa, donzella? Ci conosciamo troppo bene, tu e io. Tyrion avrebbe voluto essere me fin da quando ha mosso i primi passi, ma non ha mai seguito le mie orme di Sterminatore di re. È stata Sansa Stark a uccidere Joffrey. Mio fratello tace per proteggerla. Ogni tanto si fa travolgere da questi impeti di cavalleria. L’ultimo, nella battaglia delle Acque Nere, gli è costato il naso. Questo gli costerà la testa.»

«No, non è stata la figlia della mia lady Stark» dichiarò Brienne. «Non può essere stata lei.»

«Rieccola, la stupida testarda donzella che ricordo.»

Lei arrossì. «Io mi chiamo…»

«Brienne di Tarth, lo so.» Jaime sospirò. «Ho un regalo per te.» Allungò il braccio sinistro sotto lo scranno del lord comandante e lo tirò fuori.

Brienne si accostò come se l’oggetto stesse per azzannarla, allungò un’enorme mano lentigginosa e scostò le pieghe del velluto porpora che lo avvolgeva. Alcuni rubini sfavillarono alla luce. La donna guerriera sollevò il tesoro con cautela. Le sue dita si serrarono attorno all’impugnatura di cuoio, e lentamente fecero scivolare la spada fuori dal fodero. Un scintillante filo di luce scivolò lungo le increspature rosso sangue e colore delle tenebre.

«Acciaio di Valyria» sussurrò Brienne. «Non avevo mai visto colori simili.»

«Neppure io» concordò Jaime. «Un tempo avrei dato la mano destra per impugnare una spada come questa. Be’, l’ho fatto, ma adesso questa lama è sprecata con me. Prendila, Brienne di Tarth. È tua.» Prima che lei potesse rifiutare, Jaime proseguì. «Una lama così unica deve avere un nome unico. Mi farebbe piacere se tu la chiamassi Giuramento. E un’altra cosa. Questa lama ha un prezzo.»

Il viso di Brienne si abbuiò. «Non intendo servire…»

«…esseri infami come noi. Sì, lo ricordo. Ora stammi a sentire, Brienne. Tutti e due abbiamo prestato un giuramento riguardo a Sansa Stark. Cersei vuole che la ragazza sia trovata e uccisa, dovunque sia andata a rintanarsi…»

Il viso bonario di Brienne diventò una maschera di furore. «Se tu credi che io possa fare del male alla figlia della mia lady con questa spada…»

«Ascoltami!» sbottò Jaime, irritato dall’interruzione. «Per prima cosa, voglio che tu trovi Sansa e che la porti al sicuro da qualche parte. Altrimenti come potremo rispettare lo stupido giuramento fatto alla tua preziosa lady Catelyn Stark?»

La donzella sorrise, stupita. «Ma io… io credevo…»

«Lo so quello che credevi.» All’improvviso, Jaime Lannister fu disgustato di ritrovarsela di fronte. “Non la smette mai di belare come una capra.” «Alla morte di Ned Stark, Ghiaccio, la grande spada del Nord, venne data alla Giustizia del re» le disse. «Mio padre però decise che una lama così magnifica era sprecata nelle mani di un boia. Per cui diede a ser Ilyn una spada nuova e ordinò che Ghiaccio venisse fusa e poi forgiata di nuovo. C’era abbastanza acciaio per due lame. Una la stai stringendo nel pugno. Vale a dire che difenderai la figlia di Ned Stark con l’acciaio di Ned Stark, ammesso che questo per te faccia una differenza.»

«Ser, io… ti devo delle scu…»

«Prendi quella maledetta spada e vattene, prima che cambi idea» la interruppe Jaime. «C’è un destriero nelle stalle, balordo quanto te ma decisamente meglio addestrato. Corri dietro ad Artigli d’acciaio, cerca Sansa, torna alla tua isola di Zaffiro, fa’ quello che ti pare. Non me ne importa niente. Semplicemente, non ho più voglia di vedere la tua faccia.»

«Jaime…»

«Sterminatore di re» precisò lui. «E sarà meglio che tu usi quella spada per toglierti il cerume che ti tappa le orecchie, donzella. Noi abbiamo finito.»

Brienne non cedette. «Joffrey era…»

«Il mio re. E tanto ti basti.»

«Tu dici che è stata Sansa a ucciderlo. Perché allora la proteggi?»

“Perché Joffrey non era più che uno spruzzo di seme nella fica di Cersei. E perché meritava di essere ucciso.” «Ho fatto e ho disfatto re. Sansa Stark è la mia ultima possibilità di recuperare l’onore.» Jaime si concesse un pallido sorriso. «Inoltre, noi sterminatori di re dobbiamo stare tutti nella stessa orda dannata. Allora, te ne vai o no?»

La grande mano di Brienne si serrò attorno all’elsa di Giuramento. «Lo farò. Troverò la ragazza e la porterò al sicuro. Nel nome della lady sua madre. E anche nel tuo nome, ser Jaime.»

La donna guerriera fece un rigido inchino, girò su se stessa e si dileguò.


Le ombre del crepuscolo invasero la sala Rotonda, raggiungendo Jaime Lannister, seduto da solo al tavolo bianco. Accese una candela e aprì il Libro bianco alla pagina che lo riguardava. In un cassetto trovò penna d’oca e inchiostro. Iniziò a scrivere sotto l’ultima riga vergata da ser Barristan Selmy. Scrisse con la mano sinistra, in una calligrafia goffa e tremolante, molto simile a quella di un bambino di sei anni cui un maestro paziente ha appena insegnato l’alfabeto.


Sconfitto in battaglia al bosco dei Sussurri dal Giovane lupo Robb Stark durante la guerra dei Cinque re, tenuto prigioniero a Delta delle Acque e quindi riscattato in cambio di una promessa non mantenuta, fu nuovamente fatto prigioniero dai Bravi Camerati e mutilato per ordine di Vargo Hoat, loro capitano di ventura, perdendo la mano destra, la mano della spada, sotto la lama di Zollo il Grasso, mercenario dothraki. Venne riportato ad Approdo del Re da Brienne, la Vergine di Tarth.


Quando Jaime ebbe finito, tre quarti della pagina, tra l’emblema del leone dorato in campo porpora nell’angolo superiore e lo scudo bianco privo di simboli in quello inferiore, erano ancora vuoti. La sua storia nella Guardia reale era stata iniziata da ser Gerold Hightower, il leggendario Toro Bianco, e ser Barristan Selmy il Valoroso l’aveva continuata. Scrivere il resto era un dovere che spettava solo ed esclusivamente a Jaime Lannister. Da quel momento in poi, avrebbe potuto scrivere qualsiasi cosa lui avesse scelto. Qualsiasi cosa lui avesse scelto…

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