TYRION

Quando arrivò l’alba, Tyrion Lannister si accorse di non tollerare nemmeno il pensiero del cibo. “Al calare della notte potrei essere giudicato colpevole.” Aveva lo stomaco pieno di bile, il naso che gli prudeva. Se lo grattò con la punta del coltello. “Ancora un testimone, e poi è il mio turno.” Certo, ma a quel punto che fare? Negare tutto? Accusare Sansa Stark e ser Dontos? Confessare, con la speranza di passare il resto dei suoi giorni sulla Barriera? Lanciare i dadi e pregare che la Vipera rossa riuscisse a sconfiggere ser Gregor Clegane?

Tyrion infilzò distrattamente una salsiccia unta e grigia, desiderando che fosse la sua cara sorella. “Fa maledettamente freddo su alla Barriera, ma almeno sarei lontano per sempre da Cersei.” Sapeva che come ranger non sarebbe stato granché, ma ai Guardiani della notte servivano uomini svelti sia di mente sia di spada. Il lord comandante Mormont glielo aveva detto chiaramente quando Tyrion aveva visitato il Castello Nero. “C’è quell’ingombrante giuramento, però.” Un giuramento che avrebbe significato non solo la fine del suo matrimonio ma anche di qualsiasi pretesa lui potesse avere su Castel Granito… anche se non sembrava destinato a trarre particolari piaceri né dall’uno né dall’altro. Inoltre, gli sembrava di ricordare che ci fosse un bordello nel villaggio vicino.

Non era la vita che aveva sognato, ma era pur sempre vita. Tutto quello che doveva fare per guadagnarsela era fidarsi dell’algido lord suo padre, alzarsi sulle sue gambette arcuate e dichiarare: “Ebbene sì, confesso”. Solo che era proprio quello che gli faceva rimescolare le budella. Quasi quasi avrebbe voluto averlo fatto veramente, visto che l’avrebbe comunque pagata.

«Mio lord?» Era Podrick Payne. «Sono arrivati. Ser Addam Marbrand e le cappe dorate. Stanno aspettando fuori.»

«Pod, dimmi la verità… pensi che sia stato io?»

Il ragazzo esitò. E quando cercò di parlare, tutto quello che riuscì a tirare fuori fu un borbottio incomprensibile.

“Per me è veramente la fine.” Tyrion sospirò. «Non serve che tu risponda, Pod. Sei stato un bravo scudiero. Migliore di quanto mi meritassi. Qualsiasi cosa accada, voglio ringraziarti per il tuo leale servizio.»

Ser Addam Marbrand era in attesa oltre la porta assieme a sei armigeri della Guardia cittadina. Sembrava che quel mattino non avesse niente da dire. “Un altro uomo valido che mi ritiene un assassino di consanguineo e uno sterminatore di re.” Tyrion racimolò tutta la dignità che aveva e si avviò giù per le scale con la sua andatura ondeggiante. Nell’attraversare il cortile della Fortezza Rossa, si sentì gli occhi di tutti piantati addosso: le guardie sulle mura, gli stallieri nelle stalle, gli sguatteri, le lavandaie, le servette. Nella sala del Trono di Spade, cavalieri e signorotti si fecero da parte per lasciarlo passare, sussurrando alle loro dame.

Pochi momenti dopo che Tyrion ebbe raggiunto il suo posto davanti ai giudici, un secondo gruppo di cappe dorate condusse dentro l’ultimo testimone del processo.

Shae.

Il Folletto sentì una mano di ghiaccio serrargli il cuore. “Varys” pensò “è stato lui a tradirla.” Ma poi ricordò. “No, sono stato io… io! Avrei dovuto lasciarla al servizio di Lollys. Era chiaro che avrebbero interrogato le servette di Sansa, avrei fatto la stessa cosa anch’io.” Si fregò la cicatrice che aveva preso il posto del naso, domandandosi per quale motivo Cersei stesse perdendo tempo. “Shae non sa niente che mi possa danneggiare. Niente!”

«Sono stati loro, tutti e due insieme.»

Così esordì Shae.

«Il Folletto e lady Sansa hanno complottato dopo la morte del Giovane lupo.»

Così disse la ragazza che lui amava.

«Sansa voleva vendicare il fratello Robb Stark e Tyrion voleva avere il trono. Voleva ammazzare sua sorella, la regina Cersei, e poi il lord Tywin suo padre, in modo da diventare Primo Cavaliere del principe Tommen. Ma dopo circa un anno, prima che Tommen diventasse troppo grande, ammazzava anche lui, in modo da prendersi la corona.»

«Ma tu come fai a sapere tutto questo?» intervenne il principe Oberyn. «Per quale motivo il Folletto avrebbe divulgato questi piani alla serva di sua moglie?»

«Certe cose le ho sentite in giro, milord» rispose Shae «e anche milady se n’è fatte scappare un po’. Ma quasi tutto l’ho sentito direttamente dalle labbra del Folletto. Io non ero soltanto la serva di lady Sansa, ero anche la puttana del Folletto, per tutto il tempo che lui è stato qua ad Approdo del Re. La mattina del matrimonio, il Folletto mi ha portato là sotto dove tengono i teschi dei draghi e mi ha scopato con tutti quei mostri attorno. E quando io ho urlato, mi ha detto che dovevo essere più grata, perché non tutte le ragazze possono essere le puttane del re. È stato allora che mi ha detto che voleva diventare re. Mi ha detto che il povero Joffrey non avrebbe mai conosciuto la sua sposa come lui conosceva me.» Shae cominciò a singhiozzare. «Io non volevo mica fare la puttana. Io mi volevo sposare. Lui era uno scudiero, un ragazzo bravo e caro, d’animo gentile. Ma poi il Folletto mi ha visto alla Forca Verde e ha messo il ragazzo che io volevo sposare nella prima fila dell’avanguardia, e quando lui è morto ammazzato sul campo il Folletto ha mandato i suoi selvaggi a prendermi e portarmi nella sua tenda. Shagga, quello grosso, e Timett, con l’occhio bruciato. E il Folletto poi ha detto che se non gli davo piacere, lui mi dava a quei due, per cui il piacere gliel’ho dato. E poi mi ha portato in città, così ero vicina quando lui mi voleva. E mi ha fatto fare cose così vergognose…»

«Ah, sì?» chiese il principe Oberyn incuriosito. «Che genere di cose?»

«Cose innominabili.» Le lacrime scesero piano sul suo bel viso. E non ci fu più alcun dubbio che in quel momento ogni uomo nella sala del Trono di Spade avrebbe voluto prendere Shae tra le braccia e consolarla. «Cose con la mia bocca e con… altre parti, milord. Tutte le altre parti. Mi ha usato in tutti i modi possibili e poi… voleva che gli dicessi quanto era grande. “Mio gigante” dovevo chiamarlo. “Mio gigante di Lannister.”»

Oswald Kettleblack fu il primo a scoppiare a ridere. E poi Boros e Meryn. E poi anche Cersei, ser Loras e tanti, tanti altri cavalieri e gentildonne. Troppi perché Tyrion potesse tenere il conto. Un’improvvisa marea di risate fece ondeggiare le balaustre e tremare lo stesso Trono di Spade.

«Ma è vero!» protestò Shae. «Il mio gigante di Lannister!»

La marea di risate raddoppiò d’intensità. Divenne un boato assordante fatto di bocche distorte, di pance che sussultavano. Alcuni risero talmente forte da far sprizzare le caccole fuori dalle narici.

“Io vi ho salvati tutti…” pensò Tyrion. “Io ho salvato questa putrida città e tutte le vostre inutili vite.” C’erano centinaia di persone nella sala del trono, e tutte sembravano sbracarsi dalle risate. Tutte tranne una: suo padre. O almeno così pareva. Perfino la Vipera rossa stava ridacchiando, quanto a Mace Tyrell, sembrava sul punto di farsi scoppiare le viscere. Mentre lord Tywin Lannister rimase seduto tra loro come un simulacro di pietra, con le dita intrecciate sotto il mento.

Tyrion si sporse in avanti. «MIEI LORD!» gridò. Fu costretto a urlare, era l’unico modo per farsi sentire.

Lord Tywin alzò una mano. A poco a poco, nella sala del trono ritornò il silenzio.

«Toglietemi da davanti questa puttana bugiarda» riprese Tyrion «e avrete la mia confessione.»

Lord Tywin annuì, poi fece un altro cenno. Sul viso di Shae si dipinse il terrore quando le cappe dorate si raggrupparono attorno a lei. Mentre veniva portata via, il suo sguardo incontrò quello di Tyrion. Era vergogna quella che vide nei suoi occhi o solo paura? Si domandò che cosa le avesse promesso Cersei. “Avrai oro o gioielli, tutto quello che vorrai” pensò guardando la sua schiena che si allontanava “ma non dubitare, piccola baldracca, prima della fine di questo ciclo di luna, l’amabile regina ti avrà gettata nei baraccamenti della Guardia cittadina, a farti tenere allegra la truppa.”

Tyrion alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di suo padre, quegli occhi verde profondo con sfumature dorate. «Colpevole» dichiarò. «Oh, come sono colpevole. Non è questo che volevate sentire?»

Lord Tywin non rispose. Mace Tyrell annuì. Il principe Oberyn parve vagamente deluso. «Quindi ammetti di avere avvelenato il re?»

«Non ammetto niente del genere» ribatté Tyrion. «Per la morte di Joffrey sono innocente. Sono colpevole di un crimine ben peggiore.» Fece un passo verso suo padre. «Sono nato. Sono vissuto. Sono colpevole di essere un nano, lo confesso. E non ha avuto alcuna importanza quante volte il mio buon padre mi abbia perdonato: io ho perseverato nella mia infamia di esistere.»

«Questa è pura follia, Tyrion» dichiarò lord Tywin. «Parla dell’argomento in questione. Tu non sei sotto processo per il fatto di essere un nano.»

«È proprio qui il tuo errore, mio signore. È tutta la vita che sono sotto processo per il fatto di essere un nano.»

«Non hai nient’altro da dire in tua difesa?»

«Nient’altro che questo: non sono stato io a uccidere Joffrey. Adesso però vorrei averlo fatto davvero. Anzi…» Tyrion si voltò verso la sala, quel mare di facce pallide «…vorrei avere abbastanza veleno per annientarvi tutti! Mi avete fatto dispiacere per non essere il mostro omicida che vorreste che fossi, eppure così stanno le cose. Sono innocente, ma non troverò nessuna giustizia qui dentro. Quindi non mi lasciate altra scelta se non appellarmi agli dèi. Io chiedo un verdetto per singolar tenzone.»

«Sei forse impazzito?» disse lord Tywin.

«Al contrario, sono rinsavito. Esigo un verdetto per singolar tenzone!»

La sua delicata sorellina non avrebbe potuto essere più soddisfatta. «L’imputato ha quel diritto, miei lord» rammentò Cersei ai giudici. «Che siano gli dèi a giudicare. Ser Gregor Clegane sarà il campione di Joffrey. Ser Gregor ha fatto ritorno ad Approdo del Re due notti fa, proprio per porre la sua spada al mio servizio.»

La faccia di lord Tywin era così cupa che per qualche istante Tyrion si domandò se non avesse bevuto anche lui una coppa di vino avvelenato. Il signore di Castel Granito picchiò un pugno sul tavolo, troppo inferocito per parlare.

Fu Mace Tyrell a voltarsi verso Tyrion e a fargli la domanda decisiva. «Hai un campione che difenderà la tua innocenza?»

«Ha quel campione, mio lord.» Il principe Oberyn di Dorne si alzò. «Il nano mi ha assolutamente convinto.»

Nella sala del trono il clamore era infernale. Tyrion fu molto compiaciuto nel vedere un’ombra di dubbio passare negli occhi di Cersei. Ci vollero cento cappe dorate che picchiavano le aste delle loro picche sul pavimento, per riportare l’ordine.

Lord Tywin aveva riacquistato il controllo di sé. «Che domani si pervenga a una decisione» dichiarò con voce metallica. «Io me ne lavo le mani.»

Lanciò al figlio nano uno sguardo furibondo, quindi lasciò la sala, uscendo dalla porta del re dietro il Trono di Spade, con ser Kevan al suo fianco.


Più tardi, una volta ritornato nella cella, Tyrion si versò una coppa di vino e disse a Podrick Payne di andargli a prendere pane, formaggio e olive. Non sapeva se sarebbe riuscito a tenere qualcosa nello stomaco in un momento del genere. “Pensavi davvero che sarei uscito di scena a testa bassa, padre?” Pose la domanda all’ombra tremante che le candele proiettavano sulla parete nuda. “C’è troppo di te in me perché questo potesse accadere.” Si sentiva stranamente in pace adesso che aveva strappato il potere di vita e di morte dalle mani di suo padre, ponendolo in quelle degli dèi. “Sempre che gli dèi esistano, e che a loro freghi qualcosa. Se no, sono nelle mani del dorniano.” Comunque fosse finita, Tyrion aveva avuto almeno una soddisfazione: la consapevolezza di avere mandato all’aria i piani di suo padre. Se il principe Oberyn avesse vinto, questo avrebbe ulteriormente infiammato Alto Giardino contro Dorne. Mace Tyrell avrebbe visto l’uomo che aveva reso storpio uno dei suoi figli aiutare il perfido nano avvelenatore che per poco non aveva assassinato sua figlia Margaery. Se invece fosse stato la Montagna che cavalca a trionfare, il principe Doran Martell di Dorne avrebbe giustamente voluto sapere per quale motivo a suo fratello Oberyn, invece della giustizia che Tyrion gli aveva promesso, era stata servita la morte. Alla fine, Dorne avrebbe veramente potuto incoronare Myrcella contro Tommen.

Forse valeva davvero la pena di morire per tutto il vespaio che Tyrion era riuscito a sollevare. “Verrai ad assistere alla mia fine, Shae? Ci sarai anche tu in mezzo agli altri, a goderti lo spettacolo quando ser Ilyn mi taglierà questa brutta testa di nano? Ti mancherà il tuo gigante di Lannister una volta che sarà morto?” Scolò il vino, gettò via la coppa e, con voce lasciva, si mise a cantare.

«Lui cavalcò lungo le strade della città,

scendendo dalla sua alta collina,

Giù per le curve e i gradini e le pietre,

lui cavalcò al sospiro di quella donna.

Il suo segreto tesoro era lei,

la sua vergogna e la sua benedizione.

A nulla valevano una collana e una fortezza,

a confronto del bacio di quella donna.»

Ser Kevan non venne a fargli visita quella notte. Probabilmente era con lord Tywin, tentando di placare i Tyrell. “Temo proprio che non si farà più vedere, il caro zio.” Si versò un’altra coppa di vino. Un peccato che avesse fatto finire quel cantastorie, Symon Lingua d’argento, in un calderone di fetida brodaglia prima di avere imparato tutte le parole di quella canzone. A dire il vero, non era poi male come canzone. Soprattutto se paragonata a quelle che sarebbero state scritte su di lui da quel momento in avanti.

«Perché sempre fredde sono le mani d’oro, ma sempre calde sono le mani di una donna» proseguì Tyrion. Forse li avrebbe scritti lui, gli altri versi, se fosse vissuto abbastanza.


Quella notte, Tyrion Lannister dormì inaspettatamente a lungo e bene. Si alzò alle prime luci dell’alba, riposato e con un ottimo appetito. Fece colazione con pane fritto, sanguinacci, torta di mele e una doppia porzione di uova con cipolle e peperoncino dorniano piccante. Dopo di che chiese alle guardie di poter vedere il suo campione. Ser Addam diede il consenso.

Tyrion trovò il principe Oberyn che indossava l’armatura, bevendo una coppa di vino rosso. Lo assistevano quattro giovani nobili del suo seguito.

«Buongiorno a te, mio signore» esordì il principe. «Gradiresti una coppa di vino?»

«Pensi che sia saggio bere prima di combattere?»

«Io bevo sempre prima di combattere.»

«Così facendo, però, potresti essere ucciso. E soprattutto, potrei essere ucciso anch’io

Il principe Oberyn rise. «Gli dèi difendono gli innocenti. Perché tu sei innocente, vero?»

«Solo per l’uccisione di Joffrey» ammise Tyrion. «Spero tu sappia chi stai per affrontare. Gregor Clegane è…»

«…grosso? Così mi hanno detto.»

«È alto quasi otto piedi, e peserà come trenta macigni, tutti di muscoli. Combatte con una spada grande impugnata a due mani, anche se per reggerla gliene basta una sola. È noto per tagliare uomini in due con un singolo fendente. La sua armatura è così pesante che nessuno di taglia inferiore alla sua riuscirebbe a reggersi in piedi, figurarsi a combattere.»

Il principe Oberyn non sembrò particolarmente impressionato. «Ho già ucciso uomini grossi. Il trucco è mandarli a terra. Una volta che sono a terra, per loro è finita.»

C’era una tale sicurezza nel tono del dorniano che Tyrion si sentì quasi rinfrancato. Quasi. Almeno fino a quando Oberyn si voltò verso uno dei nobili e disse: «Daemon, la mia lancia!». Ser Daemon gliela lanciò e la Vìpera rossa la prese al volo.

«Intendi affrontare la Montagna armato di lancia?» Tyrion sentì una stretta alla bocca dello stomaco. In battaglia, i ranghi compatti di lance formavano un fronte formidabile, ma in un duello era tutt’altra cosa.

«A Dorne apprezziamo molto le lance. Inoltre, è l’unico modo per pareggiare l’allungo di Clegane. Da’ un’occhiata più da vicino, lord Folletto, ma fa’ bene attenzione a non toccare.»

La lancia aveva un’asta lunga otto piedi, in legno di leccio tornito. Un’asta liscia, robusta e pesante. Gli ultimi due piedi all’estremità erano d’acciaio: un’armoniosa punta a losanga che si rastremava in un rostro minaccioso. I bordi apparivano affilati come un rasoio. Oberyn fece ruotare l’asta tra le palme delle mani. L’acciaio mandò riflessi scuri.

“Olio? O forse veleno?” Tyrion decise che era meglio non sapere. «Mi auguro che tu la sappia maneggiare bene» disse con aria dubbiosa.

«Non avrai ragione di lamentarti» rispose la Vipera rossa. «Ser Gregor invece sì. Per quanto spessa sia la sua corazza, ci sono sempre aperture in corrispondenza delle articolazioni. L’interno dei gomiti e delle ginocchia, le ascelle… Troverò un punto in cui solleticarlo, te lo prometto.» Mise da parte la lancia. «Si dice che un Lannister paga sempre i suoi debiti. Forse farai ritorno con me a Lancia del Sole, una volta che il sangue avrà finito di scorrere. Mio fratello il principe Doran sarebbe alquanto contento di poter incontrare l’erede di diritto di Castel Granito… specialmente se questi portasse con sé la sua delicata consorte, la lady di Grande Inverno.»

“Il serpente delle sabbie ritiene forse che io tenga Sansa nascosta da qualche parte, nemmeno fosse una noce che conservo per l’inverno?” Se così era, Tyrion non intendeva deluderlo. «Ora che mi ci fai pensare, un viaggio a Dorne sarebbe davvero magnifico.»

«Allora pianifica una lunga permanenza.» Il principe Oberyn sorseggiò il vino. «Tu e Doran avete molti interessi comuni di cui discutere. Musica, commercio, storia, vini, il soldino del nano… cui vanno ad aggiungersi le leggi dell’eredità e della successione. E non dubito affatto che il consiglio dello zio Folletto sarà di grande beneficio per la regina Myrcella, soprattutto in vista dei tempi difficili che l’attendono.»

Se gli uccellini di Varys erano in ascolto, Oberyn stava offrendo loro un’autentica abbuffata. «A questo punto» disse Tyrion «credo proprio che assaggerò un po’ di quel vino.» La regina Myrcella? L’idea era allettante, se solo lui avesse avuto Sansa Stark nascosta sotto la cappa. “Se Sansa si schierasse per Myrcella contro Tommen, il Nord sarebbe pronto a seguirla?” Quello che la Vipera rossa stava suggerendo era tradimento. E Tyrion? Avrebbe veramente preso le armi contro Tommen, contro il suo stesso padre? “Cersei si metterebbe a vomitare sangue.” Ne sarebbe valsa la pena anche solo per quello.

«Rammenti la storia che ti narrai il giorno del nostro primo incontro, Folletto?» riprese il principe Oberyn, mentre il Bastardo di Grazia degli Dèi s’inginocchiava per allacciargli i gambali. «Non fu solo per vedere la tua coda che mia sorella e io venimmo a Castel Granito. Stavamo facendo una sorta di ricerca, che ci condusse da Stelle al Tramonto ad Arbor, a Vecchia Città, alle Isole degli Scudi, a Crakehall e infine a Castel Granito… ma la nostra vera destinazione era il matrimonio. Doran era promesso a lady Mellario della città libera di Norvos, per cui era rimasto a Lancia del Sole, quale castellano. Mia sorella Elia e io eravamo ancora liberi.

«Elia trovava eccitante pressoché qualsiasi cosa. Aveva quell’età felice, e la sua salute delicata non le aveva mai permesso di viaggiare molto. Quanto a me, il mio passatempo preferito era deridere i pretendenti di mia sorella. Ed ecco quindi il piccolo lord Occhiopigro, lo scudiero Labbra di seppia, un altro che chiamavo la Balena che cammina, cose di quel genere. L’unico più o meno presentabile era il giovane Baelor Hightower. Un bel ragazzo, e mia sorella era già vagamente innamorata di lui quando al caro Baelor capitò la sfortuna di scoreggiare in nostra presenza. Subito, lo soprannominai “Baelor Venticello”, dopo di che a Elia fu impossibile guardarlo senza ridergli in faccia. Ero un indegno giovinastro all’epoca, qualcuno avrebbe dovuto tagliarmi questa lingua velenosa.»

“Poco ma sicuro” concordò silenziosamente Tyrion. Baelor Hightower non era più giovane, adesso, ma rimaneva comunque l’erede di lord Leyton: ricco, di bell’aspetto nonché cavaliere di magnifica reputazione. “Baelor Belsorriso” veniva chiamato. Se Elia Martell avesse sposato lui al posto di Rhaegar Targaryen, probabilmente sarebbe stata ancora viva e vegeta a Vecchia Città, sede degli Hightower, circondata da figli e nipoti. Tyrion non poté fare a meno di chiedersi quante vite erano state spazzate via da quell’unica scoreggia.

«La meta conclusiva del nostro viaggio era Lannisport» proseguì il principe Oberyn. Ser Arron Qorgyle intanto lo aiutava a indossare una tunica di pelle imbottita e cominciò ad allacciargliela sulla schiena. «Sapevi, Tyrion, che le nostre madri si conoscevano personalmente da molto tempo?»

«Credo di ricordare che, da ragazze, erano state a corte assieme. Dame di compagnia della principessa Rhaella?»

«Proprio così. Ero certo che avessero architettato assieme l’intero complotto. Lo scudiero Labbra di seppia e gli altri guitti, più l’infinita serie di verginelle foruncolose che si presentarono in parata davanti a me, non erano altro che mandorle d’antipasto, destinate solo a stuzzicarci l’appetito. Era a Castel Granito che sarebbe stato servito il piatto forte.»

«Cersei e Jaime.»

«Astuto, il nano, molto astuto.» Oberyn sorrise. «Elia e io eravamo più grandi di loro, questo è certo. Tuo fratello e tua sorella non potevano avere più di otto, nove anni. Comunque, cinque o sei anni non fanno poi molta differenza. E a bordo della nostra nave c’era anche una cabina vuota, magnifica, perfetta per ospitare qualcuno di alto lignaggio. Qualcuno che forse sarebbe venuto con noi a Lancia del Sole. Un giovane paggio, forse. O una compagna per Elia. La lady tua madre intendeva fare sposare Jaime a mia sorella, oppure Cersei a me. O forse entrambe le cose.»

«Forse» disse Tyrion «ma mio padre…»

«…governava i Sette Regni, certo, ma a casa era la lady sua moglie a governare lui. O almeno così diceva sempre mia madre.» Il principe Oberyn sollevò entrambe le braccia, in modo che Dagos Manwoody e il Bastardo di Grazia degli Dèi gli infilassero dalla testa un corpetto di maglia di ferro. «A Vecchia Città ricevemmo però la notizia della morte di tua madre, e del bambino mostruoso che aveva dato alla luce. A quel punto avremmo potuto invertire la rotta e farla finita, invece mia madre decise di continuare. Ti ho già parlato di quale benvenuto ricevemmo a Castel Granito.

«Quello che non ti ho detto è che mia madre rimase ad aspettare per il tempo imposto dalla decenza, dopo di che presentò la proposta a tuo padre. Anni dopo, sul letto di morte, lei mi rivelò che lord Tywin aveva rifiutato quella proposta con asprezza. Sua figlia Cersei era destinata in sposa al principe Rhaegar, le disse. E quando lei chiese che Jaime sposasse Elia, lui le offrì in cambio te.»

«Offerta che la lady tua madre considerò come un oltraggio.»

«Fu un oltraggio. Te ne renderai conto tu stesso.»

«Oh, certo.»

“Tutto trae origine dal passato, dal lontano passato” pensò Tyrion “dai nostri padri, dalle nostre madri, e prima ancora dai loro padri e dalle loro madri. Noi siamo solo marionette che ballano appese ai fili di coloro che ci hanno preceduto. E un giorno, i nostri figli saranno costretti a ballare al nostro posto, appesi ai nostri fili.”

«Alla fine, però» riprese il Folletto «il principe Rhaegar Targaryen sposò Elia Martell di Dorne, non Cersei Lannister di Castel Granito. Per cui, a quanto pare, è stata tua madre a vincere.»

«Così pensava anche lei, infatti» ammise il principe Oberyn «ma tuo padre non è uomo da dimenticare simili affronti. Impartì una durissima lezione a lord e lady Tarbeck, e anche ai Reyne di Castamere. Ad Approdo del Re, impartì la lezione anche a mia sorella. Dagos, il mio elmo.» Manwoody glielo tese, un alto elmo dorato con un disco di rame sulla fronte: il sole di Dorne. «È molto tempo che Elia e i suoi figlioletti aspettano che giustizia sia fatta.» Il principe Oberyn Martell infilò morbidi guanti di cuoio rosso. «Ebbene, oggi giustizia sarà fatta.»


Come arena per il duello era stato scelto il cortile esterno della Fortezza Rossa. Tyrion dovette saltellare e correre per tenere il passo con le lunghe falcate del principe Oberyn. “La vipera freme” rimuginò il Folletto. “Speriamo che sia anche velenosa.” Era una giornata grigia e ventosa. Il sole stentava ad aprirsi la strada tra le nubi, e Tyrion non avrebbe saputo dire chi sarebbe uscito vincitore da quel combattimento da cui dipendeva la sua vita.

Sembrava però che fossero venuti a migliaia per vedere se il verdetto degli dèi sarebbe stato vita o morte. Si ammassavano lungo i camminamenti del castello, sgomitavano gli uni contro gli altri sulle scalinate dei manieri e delle torri. Osservavano dalle porte delle stalle, dalle finestre e dai ponti di collegamento, dalle balconate e dai tetti. Anche il cortile era pieno zeppo, e le cappe dorate della Guardia cittadina e i cavalieri in bianco della Guardia reale dovevano spingere indietro la gente a forza per tenere sgombro lo spazio del combattimento. Alcuni si erano addirittura portati degli scranni in modo da mettersi davvero comodi, altri stavano appollaiati su barili. “Avremmo dovuto organizzare l’incontro nella Fossa del Drago” pensò acidamente Tyrion. “Sarebbe bastato far pagare un soldino a testa, e avremmo potuto finanziare sia il banchetto di Joffrey sia il suo funerale.” Tra gli spettatori c’era chi si era portato dietro anche i figli piccoli, e li teneva a cavalcioni sulle spalle perché vedessero bene. All’arrivo di Tyrion, i mocciosi cominciarono a gridare e a indicarlo.

La stessa Cersei pareva una bambina al fianco di ser Gregor. La Montagna che cavalca con l’armatura non sembrava nemmeno un essere umano tanto era immenso. Sotto una lunga tunica gialla su cui campeggiavano i tre cani neri, simbolo dei Clegane, indossava una pesante corazza che ricopriva una cotta di maglia di ferro grigio opaco, ammaccato e graffiato dalle battaglie. Sotto ancora c’era uno strato di cuoio bollito e infine dell’imbottitura. Un grande elmo a calotta piatta, con rinforzi di protezione attorno alla bocca e al naso, e una sottile feritoia per gli occhi, era imbullonato alla gorgiera. La cresta che lo sormontava era un pugno scolpito nella pietra.

Se anche ser Gregor era sofferente per le ferite ricevute sul Tridente, Tyrion, che lo osservava dalla parte opposta dello spiazzo, non ne vide alcun segno. “Sembra fatto di roccia, a vederlo lì immobile.” La sua grande spada era conficcata nel terreno davanti a lui, sei piedi di metallo graffiato. Le gigantesche mani di ser Gregor, chiuse da guanti a lamelle d’acciaio, erano serrate ai due lati dell’elsa.

Vedendolo, perfino la concubina del principe Oberyn impallidì. «E tu intendi duellare con quello?» mormorò Ellaria Sand in un soffio.

«No, intendo ucciderlo» rispose la Vipera rossa con disinvoltura.

Ma adesso che erano sull’orlo della voragine, Tyrion cominciava ad avere i suoi dubbi. Guardando il principe Oberyn, si ritrovò a desiderare di avere Bronn a difenderlo, o ancora meglio… Jaime. La Vipera rossa aveva un’armatura molto leggera: gambali, avambracci, gorgiera, spallacci, brachetta. Per il resto, Oberyn era avvolto di morbido cuoio e sete fluenti. Sopra la maglia di ferro indossava le classiche scaglie di rame scintillante, ma quell’intera combinazione, cotta di maglie e scaglie, non gli offriva neppure un quarto della protezione garantita dalla spessa corazza di ser Gregor. Avendo tolto la celata e anche la protezione nasale, il principe aveva praticamente un mezzo elmo. Il suo scudo rotondo d’acciaio era perfettamente lucidato, con il simbolo dorniano del sole trafitto dalla lancia in oro rosso, oro giallo, oro bianco e rame.

“Danzargli intorno fino a quando sarà così stanco da non riuscire più nemmeno a sollevare la spada. Poi buttarlo a terra.” La Vipera rossa sembrava avere la stessa idea di Bronn. Il mercenario però era stato fin troppo chiaro riguardo ai rischi insiti in quella tattica. “Per i sette inferi, spero proprio che tu sappia quello che stai facendo, serpe dorniana.”

Accanto alla Torre del Primo Cavaliere, a metà strada tra i due campioni, era stata eretta una pedana, su cui sedeva lord Tywin con ser Kevan a fianco. Di re Tommen non c’era traccia. Tyrion fu grato almeno di questo.

Lord Tywin lanciò una rapida occhiata al figlio nano, poi levò una mano. Una dozzina di trombe squillarono per sedare la folla. L’Alto Sacerdote si piegò in avanti con la sua alta corona di cristallo e pregò il Padre di lassù di aiutarli in questo giudizio. Poi pregò il Guerriero affinché infondesse forza al braccio dell’uomo la cui causa era giusta. “Sono io!” stava per gridare Tyrion, ma la reazione sarebbe stata solo un’altra marea di risate. E lui era stufo marcio di risate.

Ser Osmund Kettleblack portò a Clegane il suo scudo, un massiccio pezzo di legno di quercia bordato di ferro nero. Quando la Montagna lo indossò, facendo scivolare l’avambraccio sinistro nelle corregge, Tyrion notò che sopra i cani dei Clegane era stata dipinta un’altra cosa. Quel mattino ser Gregor esibiva la stella a sette punte che gli andali avevano portato nelle terre d’Occidente attraversando il mare Stretto per spazzare via i Primi Uomini e i loro antichi dèi. “Molto pio da parte tua, Cersei, anche se dubito molto che gli dèi ne saranno impressionati.”

Tra i duellanti c’erano cinquanta iarde di distanza. Il principe Oberyn avanzò rapidamente, ser Gregor minacciosamente. Quando i due uomini furono a una decina di iarde, la Vipera rossa si fermò. «Ti hanno detto chi sono?»

«Un morto che cammina» grugnì ser Gregor dietro le protezioni metalliche alla bocca e continuò ad avanzare, inesorabile.

Il guerriero dorniano sgusciò di lato. «Io sono Oberyn Martell, principe di Dorne» dichiarò, mentre la Montagna si riassestava per tenerlo bene in vista. «La principessa Elia era mia sorella.»

«Chi?» chiese Gregor Clegane.

La lunga lancia di Oberyn scattò in avanti. Ser Gregor parò la punta con lo scudo, deviò l’asta e andò al contrattacco, la grande spada che mandava lampi. La Vipera rossa danzò lontano, illeso. Di nuovo, la sua lancia scattò in avanti. Ser Gregor cercò invano di spezzarla. La lancia saettò di nuovo. Il metallo strisciò contro il metallo. Il rostro scivolò sulla corazza della Montagna, squarciando la sovratunica e scavando un lungo solco scintillante nel grigio acciaio.

«Elia Martell, principessa di Dorne» sibilò la Vipera rossa. «Tu l’hai stuprata, l’hai assassinata, hai ucciso i suoi figli.»

Ser Gregor grugnì. Partì in una pesante carica, deciso a staccare la testa del dorniano. Il principe Oberyn evitò con facilità. «Tu l’hai stuprata, l’hai assassinata, hai ucciso i suoi figli.»

«Sei venuto per parlare o per combattere?»

«Sono venuto per farti confessare.»

La Vipera rossa vibrò un rapido colpo al ventre della Montagna. Nessun effetto. Gregor mulinò un fendente, mancò il bersaglio. La lunga lancia scavalcò la sua spada. Simile alla lingua di un serpente sibilò avanti e indietro, avanti e indietro. Finta bassa, impatto alto, colpo all’inguine, allo scudo, agli occhi.

“Quanto meno la Montagna è un bersaglio bello grosso” pensò Tyrion.

E per il principe Oberyn era difficile mancarlo, quel bersaglio, anche se nessuno dei suoi colpi riusciva a penetrare la pesante corazza di ser Gregor. Il guerriero dorniano continuò a girargli attorno, assaltando, arretrando, costringendo l’uomo gigantesco a volteggiare, a ruotare su se stesso. “Clegane lo sta perdendo di vista.” La feritoia nell’elmo della Montagna era sottile, il che limitava notevolmente il suo campo visivo. Un vantaggio che Oberyn stava sfruttando al massimo, assieme alla sua rapidità di movimenti e alla lunghezza della sua lancia.

Andò avanti in quel modo per quello che parve un tempo lunghissimo. I duellanti si mossero sullo spiazzo avanti e indietro, a spirali strette, ampie, scalene. Ser Gregor falciava il vuoto e la lancia di Oberyn continuava a colpirlo: braccio, gamba, due volte alla tempia. Anche il grande scudo di quercia di ser Gregor incassò la sua parte di attacchi. Sotto tutti quei colpi, le teste dei cani cominciarono a riapparire sotto il disegno della stella a sette punte, e le venature del legno vennero in superficie. Di quando in quando, Clegane grugniva. Una volta, Tyrion credette di udirlo imprecare, ma per il resto continuò a combattere in un tetro silenzio.

Non così Oberyn Martell. «Tu l’hai stuprata» lo incalzò, facendo l’ennesima finta. «L’hai assassinata» disse, evitando un altro colpo a vuoto della grande spada di Gregor. «Hai ucciso i suoi figli» gridò mentre gettava un affondo alla gola del gigante, ottenendo come unico risultato di fare stridere lo spesso acciaio della gorgiera.

«Oberyn sta giocando con lui» disse Ellaria Sand.

“Un gioco da stupidi!” «La Montagna è troppo maledettamente grosso per poterci giocare» le rispose Tyrion.

Lungo il perimetro del cortile, la massa degli spettatori continuava ad avanzare, stringendosi attorno ai duellanti, un pollice dopo l’altro pur di vedere meglio. La Guardia reale cercava di trattenerli, respingendoli duramente con gli ampi scudi. Ma gli spettatori erano centinaia e gli uomini con l’armatura bianca solamente sei.

«Tu l’hai stuprata.» Il principe Oberyn parò un selvaggio fendente con la punta della lancia. «L’hai assassinata.» Mandò la sua arma a schizzare in avanti, dritto agli occhi di Clegane. Così rapido da costringere la Montagna a fare un balzo indietro. «Hai ucciso i suoi figli.» La lancia affondò in basso, falciò in diagonale, strisciò contro la brachetta di Clegane. «Tu l’hai stuprata, l’hai assassinata, hai ucciso i suoi figli.» Quella lancia era più lunga della lama di ser Gregor di almeno due piedi, più che sufficiente per tenerlo a distanza. Clegane falciava ogni volta che Oberyn attaccava, cercando di mozzare la lancia, ma era come cercare di mozzare le ali a una mosca in volo. «Tu l’hai stuprata, l’hai assassinata, hai ucciso i suoi figli.» Gregor tentò una carica a testa bassa. Oberyn fece una finta di lato, e gli andò alle spalle. «Tu l’hai stuprata, l’hai assassinata, hai ucciso i suoi figli.»

«Taci.» Ser Gregor sembrava muoversi un po’ più lentamente, adesso. La sua grande spada non si sollevava più alla stessa altezza delle prime fasi del duello. «Chiudi quella maledetta bocca.»

«Tu l’hai stuprata.» Il principe si spostò a destra.

«Basta!» Ser Gregor fece due grandi passi e abbassò la spada verso il cranio del dorniano. Oberyn arretrò di nuovo.

«L’hai assassinata.»

«TACI!»

Ser Gregor caricò come un toro infuriato. Caricò dritto contro la punta della lancia. La quale cozzò contro il suo pettorale destro, schizzando quindi di lato con un orribile stridere d’acciaio. E d’un tratto, la Montagna fu a distanza per colpire, la sua spada colossale era un lampo grigio. La folla stava urlando. Oberyn evitò il primo colpo e abbandonò la lancia, inutile ora che ser Gregor era così vicino. Il dorniano intercettò il secondo colpo con lo scudo. Metallo cozzò contro metallo con un fragore da spaccare le orecchie, costringendo la Vìpera rossa ad arretrare. Ser Gregor avanzò ringhiando. La ritirata di Oberyn si tramutò in una frenetica corsa all’indietro. Ad appena qualche pollice da lui, la grande spada sibilava verso il suo petto, le sue braccia, la sua testa.

Dietro di lui c’erano le stalle. Gli spettatori gridarono, cercando disperatamente di togliersi di mezzo. Uno di loro urtò Oberyn alla schiena. Ser Gregor vibrò un colpo calante, caricando tutta la propria forza sovrumana. La Vipera rossa rotolò su se stesso a terra, evitando la traiettoria dell’acciaio.

Il giovane stalliere dietro di lui non fu altrettanto rapido. Sollevò un braccio per proteggersi la faccia. La lama di Gregor glielo mozzò di netto tra il gomito e la spalla. Il ragazzo urlò, sangue che usciva a fiotti.

«STAI ZITTO!»

La Montagna mulinò la spada una seconda volta, questa volta in obliquo. La metà superiore del cranio del ragazzo partì roteando attraverso il cortile, trascinandosi dietro una pioggia di sangue e grumi di cervello maciullato. Di colpo, a giudicare da come si spinsero e si calpestarono gli uni gli altri pur di scappare dalla scena del massacro, furono centinaia gli spettatori che persero qualsiasi interesse per l’innocenza o la colpevolezza di Tyrion Lannister.

La Vipera rossa di Dorne era di nuovo in piedi, con otto piedi di lancia in pugno. «Elia» urlò a ser Gregor. «Tu l’hai stuprata, l’hai assassinata, hai ucciso i suoi figli. Di’ il suo nome.»

La Montagna ruotò su se stesso. Elmo, scudo, spada, tunica, Gregor Clegane grondava rossa poltiglia da capo a piedi. «Parli troppo» grugnì. «Mi stai facendo venire mal di testa.»

«Voglio sentirti pronunciare il suo nome. Elia di Dorne.»

La Montagna grugnì con disprezzo, andò nuovamente all’assalto. In quel momento… il sole squarciò le nubi basse che lo avevano tenuto nascosto fin dall’alba.

“Il sole di Dorne” disse Tyrion tra sé e sé. Ma a muoversi per primo fu Gregor Clegane, che mise il sole alle proprie spalle. “Quell’uomo è rozzo e brutale… ma ha l’istinto dell’uccisore.”

La Vipera rossa si abbassò sulle ginocchia, con le palpebre socchiuse, spingendo di nuovo la lancia in avanti. Ser Gregor falciò in calante, cercando di spezzarla. Inutilmente. Il colpo di lancia era stato solo l’ennesima finta. La Montagna perse l’equilibrio e barcollò.

Il principe Oberyn inclinò lo scudo. Un raggio di luce solare fiammeggiò in un barbaglio accecante sull’oro e sul rame, si riflesse dritto nella stretta feritoia dell’elmo di Clegane. La Montagna sollevò il proprio scudo per ripararsi gli occhi. La lancia del principe Oberyn lampeggiò come un fulmine e trovò un varco nella pesante corazza: l’apertura sotto l’ascella. La punta perforò la maglia di ferro e il cuoio bollito. Gregor emise un grugnito soffocato. Oberyn ruotò il rostro nella ferita, poi lo strappò fuori con forza, facendo sgorgare uno spruzzo di sangue.

«Elia di Dorne! Elia di Dorne!» La Vipera rossa veleggiò attorno all’avversario, preparandosi a colpirlo ancora. «Dillo! Dillo!»

Tyrion stava intanto recitando le sue preghiere. “Va’ giù e crepa, Clegane. Va’ giù e crepa, grosso figlio di puttana!”

Un torrente di sangue colava dall’ascella, lungo l’armatura della Montagna. Non più di qualsiasi altro, ma il suo sangue. E all’interno della corazza, quel torrente doveva essere un fiume. Clegane cercò di fare un passo in avanti. Un ginocchio gli cedette. Tyrion fu certo che stesse per crollare.

Il principe Oberyn si era spostato alle sue spalle. «ELIA DI DORNE!» urlò.

Ser Gregor cominciò a girarsi. Troppo lento, troppo tardi. La punta della lancia dorniana penetrò nel retro del suo ginocchio, sfondando la maglia di ferro e il cuoio tra i gambali a protezione del polpaccio e della coscia. La Montagna arretrò, ondeggiò. Crollò a faccia in giù sulla sabbia umida. La sua enorme spada sfuggì dalla presa del guanto metallico. Lentamente, pesantemente, Gregor Clegane si girò sulla schiena.

Oberyn gettò via il proprio scudo devastato, impugnò la lancia con entrambe le mani, si allontanò dall’avversario. Nel frattempo la Montagna, con un lamento distorto, era riuscito a puntellarsi su un gomito. Oberyn ruotò su se stesso, fulmineo come una pantera-ombra. Poi partì verso Clegane. Partì di corsa.

«EEELLLIIIAAAA!»

Oberyn affondò la lancia. L’affondò con tutto il peso del corpo. Crack! Il suono del leccio che si schiantava fu meraviglioso quasi quanto il lamento di furore di Cersei. E per un momento, il principe Oberyn Martell ebbe le ali. “Il serpente ha saltato la Montagna.” Quattro piedi di asta mutilata sporgevano del ventre di Gregor Clegane. Oberyn rotolò sulla sabbia, si rimise in piedi, scosse la polvere dalle sue sete fluenti. Gettò via l’ormai inutile moncone di lancia, andò a raccogliere l’immane spada dell’avversario.

«Non morire senza avere detto il suo nome, ser…» sibilò la Vipera rossa «…o io verrò a inseguirti fino al fondo dei sette inferi!»

Ser Gregor cercò di alzarsi. L’asta spezzata della lancia lo aveva passato da parte a parte, inchiodandolo a terra. Chiuse entrambe le mani attorno all’asta, grugnì di dolore, fece forza. Inutile. Non riuscì a strapparsela dalle viscere. Sotto il suo corpo, continuava ad allargarsi un lago rosso.

«Mi sento sempre più innocente ogni istante che passa» Tyrion disse a Ellaria Sand.

Il principe Oberyn andò più vicino. «Di’ il suo nome!»

Piantò un piede contro il torace della Montagna, sollevò la grande spada a due mani. Tyrion non avrebbe mai saputo se intendesse staccare la testa a ser Gregor oppure affondargli la lama nella feritoia dell’elmo.

La mano di Clegane scattò verso l’alto, si serrò in una morsa dietro il ginocchio di Oberyn. La Vìpera rossa abbassò la spada in un fendente furibondo. Ma Oberyn era già sbilanciato. La punta della spada aggiunse solamente un’altra ammaccatura all’avambraccio corazzato di Clegane. E poi la spada fu dimenticata, perduta. Gregor torse la presa. Oberyn gli crollò addosso. Lottarono nella sabbia e nel sangue, con il moncone di lancia che ondeggiava grottescamente tra loro. Con orrore, Tyrion vide che la Montagna aveva avvolto un suo braccio titanico attorno alla cintola del principe, trattenendolo contro di sé come se fosse un amante.

«Elia di Dorne.»

Era Gregor Clegane. Tutti lo udirono, Oberyn era così vicino a lui che avrebbero potuto baciarsi. La voce profonda della Montagna rimbombò all’interno dell’elmo.

«Ho macellato il suo piccolo bastardo urlante.»

Artigliò la faccia esposta di Oberyn Martell. Le dita d’acciaio gli scavarono le cavità orbitali, riducendogli entrambi gli occhi in poltiglia.

«E poi l’ho stuprata.»

Clegane colpì con il guanto ferrato la bocca di Oberyn, tramutando la sua mandibola in una morchia di schegge ossee e polpa devastata.

«E alla fine le ho sfondato il cranio. Gliel’ho sfondato…»

Tirò indietro l’immane pugno corazzato. Il sangue fresco parve quasi fumare nell’aria fredda dell’alba.

«…così!»

Si udì un suono atroce. Ellaria Sand si voltò, inorridita. Tyrion Lannister vomitò un’ondata putrida e ribollente. Si ritrovò in ginocchio, piegato in avanti a scaraventare fuori di getto pane fritto, sanguinacci, torta di mele. Nonché la doppia porzione di uova con cipolle e peperoncino dorniano.

Non udì nemmeno le parole della formula di rito, con cui suo padre lo condannava senza appello. Forse nessuna parola era necessaria. “Ho messo la mia vita nelle mani della Vipera rossa, e lui l’ha gettata via.” Poi si ricordò. Solo che ormai era troppo tardi. I serpenti non hanno mani. Tyrion scoppiò in una risata isterica.

Era a metà della scalinata ricurva quando si rese conto che le cappe dorate non lo stavano riportando nella sua cella nella torre.

«Vado nelle celle oscure?» chiese.

Non si degnarono di rispondergli.

“A che scopo sprecare fiato con un morto?”

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