JON

Il cavallo era alla fine, ma Jon Snow non poteva concedergli respiro. Doveva raggiungere la Barriera prima del maknar di Thenn. Avrebbe dormito sulla sella, se ne avesse avuta una, ma non l’aveva, e rimanere sul dorso dell’animale era già un’impresa ardua da sveglio. Il dolore alla gamba ferita aumentava senza sosta. Ma Jon non osava fermarsi per curarla. Così, ogni volta che rimontava in groppa al destriero, gli squarci scavati dalla freccia tornavano a riaprirsi.

Raggiunse la sommità di una dorsale rocciosa. Sotto di lui, la strada del Re — in quelle remote zone del Nord nient’altro che una pista dissestata, piena di buche e solchi — si dipanava tra pianure e colline. Jon accarezzò il collo del cavallo. «Adesso tutto quello che dobbiamo fare è seguire la strada, amico. E, presto, la Barriera.» La gamba era diventata rigida come un pezzo di legno, la febbre gli rendeva la testa vuota tanto che per ben due volte si scoprì a muoversi nella direzione sbagliata.

E presto, la Barriera. Rivide i suoi amici che bevevano vino caldo nella sala comune. Rivide Hobb ai suoi fornelli, Donal Noye alla sua forgia, maestro Aemon nella sua torretta sotto l’uccelliera. “E il Vecchio orso? E Sam, Grenn, Edd l’Addolorato, Dywen con i suoi denti di legno…” Jon poté solo pregare che fossero riusciti a fuggire dal Pugno dei Primi Uomini.

Ma nei suoi pensieri c’era anche Ygritte. Ricordava l’odore dei suoi capelli, il calore del suo corpo… e l’espressione sul suo viso quando aveva tagliato la gola a quel vecchio. “Hai sbagliato ad amarla” sussurrò una voce dentro di lui. “Hai sbagliato a lasciarla” sussurrò una voce diversa.

Si chiese se anche suo padre si era sentito così dilaniato quando aveva abbandonato la vera madre di Jon per fare ritorno da lady Catelyn. “Aveva giurato fedeltà a lady Stark. E io ho giurato fedeltà ai Guardiani della notte.”

Per poco, così divorato dalla febbre da non rendersi conto di dove si trovava, non superò Città della Talpa. La maggior parte del villaggio era costruita nel sottosuolo, soltanto poche capanne erano visibili alla luce della luna al tramonto. L’ingresso al bordello era un gabbiotto non più grosso di una latrina. Ondeggiando al vento, la sua lanterna rossa scricchiolava, simile a un occhio iniettato di sangue spalancato nelle tenebre. Jon smontò di fronte alla stalla annessa, quasi stramazzando giù dal cavallo, svegliando rudemente i due ragazzi all’interno.

«Ho bisogno di un cavallo fresco… sella, briglie, tutto quanto.» Lo disse con un tono che non ammetteva repliche. Gli portarono quanto aveva chiesto. E anche un otre di vino e una forma di pane nero. «Svegliate il villaggio» riprese Jon. «Avvertite la gente. I bruti… Ci sono bruti a sud della Barriera. Raccogliete le vostre cose e andate al Castello Nero.» Si issò sulla sella del castrato a pelo scuro che gli avevano dato, stringendo i denti all’ennesima fiammata di dolore alla gamba. Riprese a galoppare verso nord.


La Barriera si erse di fronte a lui torreggiando nelle nebbie dell’alba che spuntava, le stelle che cominciavano a sbiadire nel cielo orientale. I raggi della luna scintillavano pallidi contro il ghiaccio. Spronò il cavallo a proseguire, seguendo la strada assediata dal fango viscido. Finalmente arrivò in vista delle torri di pietra e delle palizzate di tronchi che costituivano il Castello Nero. Parevano giocattoli spezzati, ammucchiati di fronte all’immane muraglia di ghiaccio. Sulla Barriera le prime luci cominciavano a disegnare sfumature rosa e purpuree.

Non c’erano sentinelle a intimargli di fermarsi quando superò le fortificazioni esterne. Nessuno si fece avanti per sbarrargli la strada. Il Castello Nero pareva in rovina quanto Guardia Grigia, uno dei tanti fortini costruiti sulla cima della Barriera e abbandonati ormai da secoli. Dure erbacce marrone crescevano dalle fenditure tra le pietre dei cortili. Neve vecchia copriva ancora il tetto dei Baraccamenti Flint, bianchi cumuli si ostinavano a resistere contro il lato nord della Torre di Hardin, dove Jon si era trasferito dopo che il Vecchio orso lo aveva nominato suo scudiero. Dita di cenere carbonizzata ancora strisciavano all’esterno della Torre del lord comandante, nei punti in cui il fumo era uscito fuori dalle finestre a volute vorticose. Dopo l’incendio, Jeor Mormont si era spostato nella Torre del re, ma Jon non vide luci neppure là. Da dove si trovava, non era in grado di dire se ci fossero sentinelle di pattuglia in cima alla Barriera, settecento piedi più in alto, ma non c’era nessuno sull’enorme scala retraibile che si arrampicava su per il pendio congelato simile a una grande folgore di legno.

Unica traccia di vita, il fumo che usciva dal comignolo dell’armeria. Appena un esile filo di fumo, in realtà, quasi invisibile contro il grigio del cielo a settentrione, ma era sufficiente. Jon scese di sella e si diresse verso la costruzione. Il calore che si riversava fuori della porta lasciata aperta gli parve il respiro torrido dell’estate. All’interno, intento a pompare sul mantice, c’era Donal Noye, il fabbro dei Guardiani della notte, l’uomo con un braccio solo che tanto tempo prima aveva forgiato la grande mazza da guerra con cui re Robert Baratheon aveva conquistato le sue vittorie sul campo. Al rumore di passi, alzò lo sguardo.

«Jon Snow?»

«L’hai detto.»

A dispetto della stanchezza, della febbre, del maknar, del vecchio morto, di Ygritte, di Mance Rayder, a dispetto di tutto e di tutti, Jon riuscì a sorridere. Faceva bene essere tornato, faceva bene rivedere Donal Noye, col suo ventre prominente e la manica cucita sul braccio mancante, la guance coperte di un’ispida barba nera.

Il fabbro abbandonò la presa sulla leva del mantice. «La tua faccia…»

Jon se ne era quasi dimenticato. Orell, l’aquila, gli artigli, il sangue… «Un metamorfo ha cercato di cavarmi un occhio.»

Noye corrugò la fronte. «Cicatrice o no, la tua è l’ultima faccia che mi aspettavo di rivedere. Abbiamo sentito dire che eri andato con Mance Rayder.»

Per tenersi in piedi, Jon fu costretto ad aggrapparsi allo stipite della porta. «Chi te lo ha detto?»

«Jarman Buckwell. È tornato una settimana fa. I suoi esploratori sostengono di averti visto con i loro occhi, cavalcavi in una colonna di bruti con addosso un mantello di pelle di pecora.» Noye lo scrutò. «Questo è vero, a quanto vedo.»

«È tutto vero» ammise Jon. «È andata proprio così.»

«Per cui adesso dovrei impugnare una spada e tirarti fuori le budella?»

«No. Stavo obbedendo agli ordini. L’ultimo comando di Qhorin il Monco. Noye, dov’è la guarnigione?»

«A difendere la Barriera contro i tuoi amici bruti.»

«Sì, ma dove?»

«Dovunque. Harma Testa di cane è stata avvistata al Forte del bosco lacustre, Rattleshirt a Lungo Tumulo, il Piagnone dalle parti di Segno di Ghiaccio. Tutta la Barriera… i bruti sono qui, sono là, danno la scalata vicino a Porta della regina, scavano attorno agli accessi di Guardia Grigia, si ammassano contro il Forte orientale… ma nel momento in cui vedono un mantello nero svaniscono. E il giorno dopo, eccoli rispuntare fuori.»

Jon soffocò un gemito. «Diversivi. Tutti quanti. Non ti rendi conto, Donal? Mance vuole disperderci lungo tutta la Barriera.» “E Bowen Marsh c’è cascato in pieno.” «Il portale primario sotto il ghiaccio è qui, al Castello Nero. Ed è qui che loro attaccheranno.»

Noye attraversò la stanza. «Hai la gamba che gronda sangue.»

Jon abbassò lo sguardo con espressione vuota. Era vero. Le ferite si erano riaperte. «Una freccia…»

«Una freccia dei bruti.» Non era una domanda. Aveva un braccio solo, l’armaiolo del Castello Nero, ma quel braccio era forte come una trave. Lo passò sotto le ascelle di Jon, sostenendolo. «Sei pallido come la cera e bruci come i carboni ardenti. Ti porto da Aemon.»

«Non c’è tempo. Ci sono bruti a sud della Barriera, Donal. Stanno risalendo da Corona della Regina. Vengono ad aprire il portale per il grosso dell’esercito di Mance Rayder.»

«Quanti sono?» Noye lo trasportò quasi di peso fuori della porta della fucina.

«Centoventi, e anche bene armati, per dei bruti. Corazze di bronzo, qualcuna di ferro. Qui quanti uomini rimangono?»

«Una quarantina» rispose Donal Noye. «Gli storpiati e gli infermi, più alcuni ragazzi ancora in addestramento.»

«Se Marsh è andato via, chi ha nominato castellano?»

L’armaiolo rise. «Ser Wynton Stout, che gli dèi lo preservino. L’ultimo cavaliere in tutto il castello. Ma il fatto è che Wynton sembra averlo scordato. E nessuno è stato troppo ansioso di rinfrescargli la memoria. Immagino di essere io il meglio che abbiamo da queste parti in fatto di comandanti. Il più fetente degli storpi.»

E questo, almeno questo, era positivo. Donal Noye era uno dei duri e puri, ed era anche uno stagionato guerriero. Per contro, ser Wynton Stout… bene, era stato un uomo poderoso, un tempo, su questo tutti concordavano. Ma dopo ottant’anni come ranger, forza e acume se ne erano andati. Una volta, era addirittura crollato a dormire con la testa dentro una ciotola di zuppa di piselli. E c’era mancato poco che ci annegasse.

«Dov’è il tuo lupo?» chiese Noye mentre attraversavano il cortile.

«Spettro? Sono stato costretto a lasciarlo quando ho scalato la Barriera. Speravo che ce l’avesse fatta a tornare qui.»

«Mi dispiace, ragazzo. Non se n’è vista traccia.» Salirono su fino alla torretta del maestro, nell’alto maniero di legno sotto l’uccelliera. Noye assestò un calcio alla porta. «Clydas!»

Dopo qualche momento apparve un ometto vestito di nero, tutto ingobbito. Alla vista di Jon, i suoi occhietti cisposi si sbarrarono. «Fai sdraiare il ragazzo, Noye. Io vado a chiamare il maestro.»

Un fuoco ardeva nel caminetto, rendendo il locale quasi soffocante. Il calore immerse Jon in una specie di dormiveglia. Quando Noye l’ebbe adagiato sul giaciglio, chiuse gli occhi sperando che la stanza smettesse di roteargli vorticosamente attorno. Nell’uccelliera più sopra, poteva udire i corvi che protestavano, gracchiavano. «Snow» stava dicendo uno degli uccelli. «Snow, snow, snow.» Quella era opera di Samwell Tarly, ricordò Jon. Samwell Tarly… ce l’aveva fatta anche lui a tornare sano e salvo dal Pugno, oppure erano stati soltanto gli uccelli a tornare?

Maestro Aemon non ci mise molto ad arrivare. Si muoveva lentamente, avanzando a piccoli passi cauti, strascicati, una nano chiazzata dall’età appoggiata al braccio di Clydas. Attorno al suo collo esile, c’era la pesante catena dell’appartenenza all’ordine dei sapienti della Cittadella. Anelli d’oro e d’argento scintillavano tra anelli di ferro, piombo, alluminio e altri metalli.

«Jon Snow» lo riconobbe l’anziano saggio. «Quando sarai più in forze, dovrai dirmi tutto quello che hai visto e fatto. Donal, metti una pentola di vino sul fuoco. E anche i miei strumenti. Li voglio al calor rosso. Clydas, avrò bisogno di quel tuo coltello ben affilato.» Maestro Aemon aveva superato i cento anni di età, era avvizzito, fragile, privo di capelli e quasi completamente cieco. Ma se i suoi occhi lividi non vedevano nulla, la sua mente rimaneva lucida come non mai.

«Ci sono i bruti che avanzano» gli disse Jon. Clydas fece scorrere il coltello lungo la gamba delle sue brache, tagliando la spessa stoffa nera incrostata di sangue raggrumato, imbevuta di sangue fresco. «Da sud. Abbiamo scalato la Barriera…»

Clydas tagliò la fasciatura inzuppata di sangue. Maestro Aemon la annusò. «“Abbiamo”?»

«Ero con loro. È stato Qhorin il Monco a ordinarmelo.» Jon serrò le mascelle. Le dita di maestro Aemon stavano esplorando le ferite, tastando, premendo. «Il maknar di Thenn… aaaaahhh, fa male.» Jon digrignò i denti. «Dov’è il Vecchio orso?»

«Jon… mi addolora dirtelo, ma il lord comandante Mormont è stato assassinato al castello di Craster, caduto per mano dei suoi confratelli in nero.»

«Per mano dei confra… dei nostri stessi uomini?»

Le parole di Aemon gli arrecarono una sofferenza cento volte peggiore delle sue dita. Nella mente di Jon rimaneva l’ultima immagine che ricordava del Vecchio orso, in piedi di fronte alla tenda, il corvo appollaiato sul braccio che gracchiava, chiedendo grano. “Mormont… morto?” Era la cosa che aveva temuto fin dal momento in cui aveva visto il campo di battaglia dopo lo scontro sul Pugno dei Primi Uomini, ma quel presentimento non attenuò il colpo della notizia.

«Chi è stato? Chi si è rivoltato contro di lui?»

«Garth di Vecchia Città, Ollo Lophand, Dirk… ladri, codardi, assassini, quel gruppo. Avremmo dovuto aspettarcelo. La confraternita non è più quello che era un tempo. Troppo pochi uomini onesti a tenere in riga troppe carogne.» Donal Noye mise le lame del maestro sulle fiamme. «Una dozzina di uomini validi ce l’hanno fatta a tornare. Edd l’Addolorato, Gigante, il tuo amico Grenn l’Uri. Sono stati loro a raccontarci la storia.»

“Solo una dozzina?” Duecento uomini avevano lasciato il Castello Nero assieme al lord comandante Mormont, duecento uomini tra i migliori della confraternita. «Questo vuol dire che adesso è Bowen Marsh il lord comandante?» Come primo attendente, il Vecchio Melograno era cordiale e abile, ma era disperatamente inadatto ad affrontare l’armata d’invasione dei bruti.

«Per il momento» rispose maestro Aemon «ma solo fino a quando non si terrà l’adunata per la scelta del successore. Clydas, portami la fiasca.»

“La scelta del successore.” Con Qhorin il Monco e ser Jaremy Rykker morti entrambi, con Benjen Stark ancora disperso, chi restava? Non Bowen Marsh né ser Wynton Stout, questo era certo. Thoren Smallwood? Era sopravvissuto al Pugno dei Primi Uomini? Oppure ser Ottyn Wythers? “No, si tratterà o di Cotter Pyke o di ser Denys Mallister. Ma quale dei due?” Comandanti rispettivamente del Forte orientale e della Torre delle ombre, erano ottimi uomini entrambi ma enormemente diversi l’uno dall’altro. Ser Denys raffinato e cauto, tanto cavalieresco quanto anziano. Pyke più giovane, nato bastardo, dalla lingua tagliente e fin troppo temerario. Peggio ancora, i due si disprezzavano. Per questo il Vecchio orso li aveva tenuti agli estremi opposti della Barriera. I Mallister di Seagard nutrivano un’ostilità innata per gli uomini delle isole di Ferro, loro nemici ancestrali. E Jon ne era consapevole.

Una fiammata di dolore lo riportò ai suoi nemici di quel momento. Il maestro gli strinse una mano. «Clydas sta portando il latte di papavero.»

Jon cercò di sollevarsi. «Non ne ho bisogno…»

«Sì, invece» disse Aemon con fermezza. «Ti farò male.»

Donal Noye si accostò al giaciglio e spinse Jon a sdraiarsi di nuovo sulla schiena. «Non muoverti, se no ti lego a quest’asse.» Aveva un braccio solo, ma sbatteva Jon da una parte e dall’altra come fosse un bambino. Clydas ritornò con un’ampolla di colore verde e preparò una coppa di pietra. Maestro Aemon la riempì fino all’orlo. «Bevi questo.»

Nel suo agitarsi, Jon si era morso il labbro. Assieme al sapore di gesso della densa pozione sentì anche quello del sangue. Fece l’impossibile per evitare di vomitarla.

Clydas portò una bacinella d’acqua bollente, maestro Aemon lavò via il pus e il sangue dalle ferite di freccia. I suoi gestì erano delicati, ma a ogni più leggero tocco Jon doveva costringersi a non urlare. «Gli uomini del maknar sono disciplinati» riprese «e hanno armature di bronzo.» Parlare lo aiutava a distogliere la mente dalla gamba.

«Il maknar è un lord sull’isola di Skagos» disse Noye. «C’erano degli skagosiani al Forte orientale quando arrivai sulla Barriera per la prima volta, ricordo che parlavano di lui.»

«Jon stava usando la parola nella sua vecchia accezione, ritengo» intervenne maestro Aemon «non come nome di una dinastìa ma come titolo gerarchico. Deriva dall’antico linguaggio.»

«Sì, significa lord» concordò Jon. «Styr è il maknar di un qualche luogo chiamato Thenn, all’estremo nord degli Artigli del Gelo. Ha con sé cento dei suoi uomini, più un gruppo di predoni bruti che conoscono il terreno del Dono di Brandon bene quanto noi. Mance però non ha mai trovato il Corno, e questa è una buona notizia. Il Corno dell’Inverno, era quello che stavano cercando con tutti quegli scavi lungo il corso del Fiumelatte.»

Maestro Aemon fece una pausa, tenendo in mano una pezzuola gocciolante. «Il Corno dell’Inverno è una leggenda ancestrale. Il Re oltre la Barriera crede davvero che una cosa simile esista?»

«Tutti loro lo credono» rispose Jon. «Ygritte dice che hanno scoperchiato centinaia di tombe… tombe di re e di eroi, per tutta la valle del Fiumelatte, ma non lo hanno mai…»

«Chi è Ygritte?» lo interruppe Donal Noye con tono tagliente.

«Una donna del popolo libero.» Come avrebbe potuto spiegargli chi era Ygritte? “È calda e astuta e spiritosa. Può baciare un uomo o può tagliargli la gola.” «Sta con Styr il maknar, ma non è… è giovane, appena una ragazza, in verità, ma lei…» “…lei ha sgozzato un vecchio solo perché aveva acceso un fuoco.” Jon si sentiva la lingua spessa, incerta. Il latte di papavero stava cominciando ad annebbiargli i sensi. «Ho infranto il giuramento che le avevo fatto. Non volevo, ma…» “Hai sbagliato tutto. Sbagliato ad amarla. Sbagliato a lasciarla.” «Non sono stato abbastanza forte. Il Monco mi aveva dato l’ordine: cavalca con loro, osserva, non esitare, io…» Gli sembrava di avere la testa piena di stoppa bagnata.

Maestro Aemon annusò di nuovo la ferita. «Donal, per cortesia, il coltello rovente» disse, immergendo di nuovo il panno nell’acqua calda. «Avrò bisogno che tu lo tenga fermo.»

“Non urlerò…” pensò Jon nel vedere la lama rovente al calor rosso. Ma non mantenne neppure quel proponimento. Donal Noye lo tenne fermo, Clydas guidò la mano del maestro cieco. Jon non si mosse, ma picchiò furiosamente il pugno contro il tavolato, picchiò, picchiò e picchiò. Il dolore fu così lancinante da farlo sentire piccolo, fragile e debole dentro, come un bimbo che piangeva nelle tenebre. “Ygritte…” Sentiva il lezzo della carne bruciata, sentiva le sue stesse urla percuotergli le orecchie. “Ygritte, ho dovuto farlo.” Per un attimo la sofferenza parve attenuarsi. Il ferro incandescente affondò di nuovo. Jon perse i sensi.


Aprì gli occhi. Era avvolto in una coperta di lana spessa e stava fluttuando. Gli sembrava di non essere in grado di muoversi, ma non aveva importanza. Per qualche tempo, sognò che Ygritte era con lui e lo curava con mani gentili. Alla fine chiuse gli occhi. E dormì.

Il risveglio successivo non fu altrettanto delicato. La stanza era buia. La sofferenza era tornata, un pulsare che gli tramutava la gamba in una lama arroventata a ogni più piccolo movimento. Una dura lezione che Jon imparò nel momento in cui cercò di vedere se aveva ancora la gamba. Ansimando, soffocò un urlo, contraendo il pugno.

«Jon?» Apparve una candela. Nell’alone di luce una faccia conosciuta, dalle grandi orecchie a sventola, lo stava osservando. «Non dovresti muoverti.»

«Pyp?» Jon sollevò una mano. Il ragazzo l’afferrò, la strinse. «Pensavo che fossi andato…»

«Con il Vecchio Melograno? No, mi ha giudicato troppo piccolo e inesperto. C’è qui anche Grenn.»

«Sono qui anch’io.» Grenn si accostò all’altro lato del letto. «Mi ero addormentato.»

Jon aveva la gola arida. «Acqua» rantolò. Grenn gli accostò una coppa alle labbra. «Ho visto il Pugno dei Primi Uomini» riprese Jon dopo una lunga sorsata. «Il sangue, i cavalli morti… Noye ha detto che una dozzina di voi ce l’ha fatta a tornare… chi?»

«Dywen, Gigante, Edd l’Addolorato, Donnel Hill il Dolce, Ulmer, Lew il Mancino, Garth Piumagrigia. Altri quattro o cinque. E anch’io.»

«Sam?»

Grenn distolse lo sguardo. «Ha ucciso uno degli Estranei, Jon. L’ho visto con i miei occhi. Lo ha pugnalato con quel coltello di vetro di drago che gli avevi dato tu, così abbiamo cominciato a chiamarlo Sam il Distruttore. Non lo sopportava.»

Sam il Distruttore. Difficilmente Jon sarebbe riuscito a immaginare un guerriero più improbabile di Samwell Tarly. «Che cosa gli è successo?»

«Lo abbiamo lasciato indietro.» La voce di Grenn era disperata. «Gli ho urlato in faccia, l’ho scosso, l’ho addirittura preso a schiaffi. Gigante ha cercato di rimetterlo in piedi, ma Sam era troppo pesante. Ricordi durante l’addestramento, quando si raggomitolava per terra e cominciava a gemere? Al castello di Craster non gemeva nemmeno. Dirk e Ollo sfasciavano le pareti alla ricerca di cibo, Garth e Garth lottavano, alcuni degli altri stupravano le mogli di Craster. Edd l’Addolorato ha immaginato che la feccia di Dirk avrebbe ucciso anche tutti gli uomini leali, per impedirci di dire quello che avevano fatto, ed erano il doppio di noi. Abbiamo lasciato Sam con il Vecchio orso. Sam non si muoveva più, Jon.»

“Tu eri il suo confratello” fu sul punto di dire Jon. “Come hai potuto abbandonarlo in mezzo a bruti e assassini?”

«Potrebbe essere ancora vivo» disse Pyp. «Potrebbe sorprenderci tutti e arrivare qui domattina a cavallo.»

«Aye, portandosi dietro la testa di Mance Rayder.» A Jon non sfuggì che Grenn stava cercando di essere incoraggiante. «Sam il Distruttore!»

Jon cercò di nuovo di mettersi seduto. Fu un errore madornale come la prima volta che ci aveva provato. Gridò di dolore, imprecando.

«Grenn, vai a svegliare maestro Aemon» disse Pyp. «Digli che Jon ha bisogno di altro latte di papavero.»

“Sì” pensò Jon. «No» disse invece. «Il maknar…»

«Lo sappiamo» lo rassicurò Pyp. «Alle sentinelle sulla Barriera è stato detto di tenere gli occhi bene aperti anche in direzione sud, e Donal Noye ha mandato alcuni uomini sulla collina del Vento a sorvegliare la strada del Re. Maestro Aemon ha inviato corvi messaggeri al Forte orientale e anche alla Torre delle ombre.»

Maestro Aemon avanzò nella penombra, con una mano appoggiata sulla spalla di Grenn. «Jon, devi avere pazienza. È un buon segno che tu ti sia svegliato, ma devi concederti il tempo di guarire. Abbiamo cauterizzato la ferita con vino bollente, richiudendola con un impiastro di ortica, semi di senape e pane muffito, ma se non stai a riposo…»

«Non posso farlo, maestro.» Jon lottò contro il dolore e si mise seduto. «Presto Mance Rayder sarà qui… migliaia di uomini, giganti, mammuth… Avete avvertito Grande Inverno? E il re?» Il sudore gli colava dalla fronte. Chiuse gli occhi per un momento.

Grenn scambiò con Pyp uno sguardo strano. «Non lo sa.»

«Jon, ascolta.» Maestro Aemon inspirò a fondo. «Sono accadute molte cose mentre tu eri via, e ben poche sono buone. Balon Greyjoy si è nuovamente proclamato re e ha mandato le sue navi lunghe contro il Nord. Nel reame, nuovi re spuntano da tutte le parti come le erbacce. Abbiamo inviato appelli a tutti, ma nessuno di loro viene in nostro aiuto. Hanno adempimenti più pressanti per le loro spade, e noi siamo remoti, dimenticati. E Grande Inverno… Jon, sii forte… Grande Inverno non esiste più…»

«Non esiste più?» Jon fissò gli occhi lividi di Aemon, la ragnatela di rughe che era il suo volto. «Ci sono i miei fratelli a Grande Inverno. Bran, il piccolo Rickon…»

Il maestro gli toccò la fronte. «Sono terribilmente dispiaciuto, Jon. I tuoi fratelli sono stati uccisi per ordine di Theon Greyjoy, dopo che ha occupato Grande Inverno nel nome di suo padre. Quando gli alfieri di tuo padre hanno cercato di riprendere la fortezza, Theon l’ha incendiata.»

«I tuoi fratelli sono stati vendicati» aggiunse Grenn. «Il figlio di Bolton ha sterminato tutti gli uomini di ferro, e si dice che adesso stia scorticando a palmo a palmo Theon Greyjoy per quello che ha fatto.»

«Mi dispiace, Jon.» Pyp gli strinse una spalla. «A tutti noi dispiace.»

Jon non aveva mai avuto simpatia per Theon Greyjoy, ma era stato il protetto di suo padre. Un altro spasmo di dolore gli serpeggiò su per la gamba, e un attimo dopo si ritrovò di nuovo accasciato sulla schiena. «Ci deve essere un errore» insistette. «A Corona della Regina ho visto un meta-lupo, un meta-lupo grigio… grigio… e mi conosceva.» Se davvero Bran era morto, poteva essere possibile che parte di lui continuasse a vivere nel suo meta-lupo, così come parte di Orell continuava a vivere nella sua aquila?

«Bevi questo.» Grenn gli accostò una coppa alle labbra.

Jon bevve. Aveva la testa piena di lupi, di aquile, del suono delle risate dei suoi fratelli. Le facce sopra di lui cominciarono a farsi indistinte, a svanire. “Non possono essere morti. Theon non farebbe mai una cosa del genere. E Grande Inverno… tutto quel granito grigio, quel legno di quercia e quel ferro, i corvi che roteano attorno alle torri, il vapore che si leva dalle sorgenti calde nel parco degli dèi, i re di pietra sui loro troni giù nelle cripte… com’è possibile che Grande Inverno abbia cessato di esistere?”

Poi arrivarono i sogni. Era di nuovo a casa, faceva il bagno negli stagni caldi al cospetto dell’enorme albero-diga bianco. Il volto scolpito nel legno era il volto di suo padre. Con lui c’era Ygritte. E lei rideva, spogliandosi del cuoio e delle pellicce fino a rimanere nuda come il giorno in cui era venuta al mondo. Cercò di baciarlo, ma lui non poté accettare. Non con suo padre che lo osservava. Lui era il sangue di Grande Inverno, ed era un uomo dei Guardiani della notte. “Non sarò il padre di un figlio bastardo” le disse. “Non lo sarò. No.” “Tu non sai niente, Jon Snow.” La voce di Ygritte era un bisbiglio. La sua pelle cominciò a dissolversi nell’acqua calda. E dopo la pelle si dissolse la carne. Alla fine, non rimase altro che il teschio e lo scheletro. L’acqua della sorgente divenne densa, rossa, ribollente.

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