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Sarei stato molto curioso di sapere com’era veramente andata tra mio fratello e i ragazzi, ma Rita li spedì a letto prima che potessi indagare. Andai a dormire insoddisfatto e l’indomani mattina non vi fu occasione di parlare con Astor e Cody lontano dalla madre. Condizione questa più che necessaria, perché se c’era stato davvero qualcosa oltre al cibo cinese, ero sicuro che a Rita non sarebbe piaciuto. Senza contare che ai ragazzi doveva esser stato detto di tacere, sempre se conoscevo Brian; ma lo conoscevo realmente? Okay, credevo di prevedere in un certo senso i suoi pensieri e comportamenti, ma per il resto… chi era davvero? A che cosa aspirava nella vita, al di là delle sue allegre sessioni affettatutto? Non ne avevo idea, e non me ne venne una, nonostante ci ragionassi per tutta la colazione e nel tragitto verso l’ufficio.

Fortunatamente per la mia autostima, non ebbi molto tempo per affliggermi a causa della mia incapacità di capire mio fratello. Infatti, appena arrivato al lavoro, notai che il terzo piano, dov’era situata la Scientifica, era pervaso da quell’ansiosa frenesia che solo un crimine veramente interessante può provocare. La compassata Camilla Figg, un tecnico sui trentacinque, mi passò davanti di corsa stringendo il kit per i rilievi e, dopo avermi sfiorato il braccio, per poco non arrossì. Inoltre, quando entrai in laboratorio, anche Vince Masuoka stava cacciando frettolosamente un po’ di roba in una borsa.

— Hai per caso un casco coloniale? — mi gridò.

— Suppongo di no, dottor Livingstone — replicai.

— Dovresti procurartelo — fece. — Siamo in partenza per un safari.

— Di nuovo a Kendall? — chiesi.

— Nelle Everglades — rispose. — La notte scorsa è successo qualcosa di veramente forte.

— Sì, buana — dissi. — Porterò lo spray antizanzare.

Così, soltanto un’ora più tardi, smontavo dall’auto di Vince, vicino alla Route 41, nelle Everglades, a circa tre chilometri da Fortymile Bend. Quand’ero ragazzo, Harry mi aveva portato in campeggio da quelle parti ed era ancora vivo in me il felice ricordo di come alcuni animaletti avevano contribuito alla mia educazione.

Di fianco ai veicoli d’ordinanza, parcheggiati sul ciglio della strada, c’erano due grossi camper fermi in una piazzola sporca. A uno dei due era attaccato un rimorchio. Una quindicina di ragazzi e tre uomini in divisa da scout si accalcavano intorno, esitanti, mentre un paio di detective li interpellavano, uno per volta. Di fianco alla strada c’era un poliziotto in divisa, che disciplinava il traffico.

Vince gli diede una pacca sulla spalla. — Ehi, Rosen. Che ci fai con i boy scout?

— Sono stati loro a trovarlo. Erano venuti qui stamattina per una gita — spiegò il poliziotto. Poi, rivolto a una macchina che aveva rallentato per guardare, disse: — Avanti.

— A trovare che cosa? — domandò Vince.

— Io sono qui solo per tenere a bada queste fottute macchine — fece Rosen, acido. — Gli unici che possono giocherellare con i cadaveri siete voi. Avanti, si muova — disse a un altro curioso.

— Dove dobbiamo andare? — chiese Vince.

Rosen indicò il lato opposto del parcheggio e si voltò. Immagino che se mi fosse toccato stare in mezzo al traffico, mentre gli altri giocherellavano con i cadaveri, mi sarei seccato pure io.

Percorremmo il sentiero, superando gli scout. Dovevano aver trovato qualcosa di orribile laggiù, ma non sembravano particolarmente scossi o impauriti. Infatti ridacchiavano e si spintonavano l’uno con l’altro come se fossero in vacanza. Rimpiansi di non essere mai stato nei boy scout; forse sarei stato insignito di una mostrina speciale per il riciclo di rifiuti umani.

Arrivammo al fondo del sentiero che puntava verso sud, in mezzo alle piante, poi piegammo a ovest per circa un chilometro, finché non raggiungemmo una radura. Al nostro arrivo, Vince cominciò a sudare e a respirare affannosamente; io invece ero piuttosto impaziente, perché una voce mi aveva sibilato che avrei assistito a uno spettacolo degno di nota.

A prima vista sembrava esserci ben poco di interessante, a parte una vasta zona di terra schiacciata intorno alla buca lasciata da un falò e, sulla sinistra, un mucchietto non identificato coperto dalla sagoma curva di Camilla Figg. Di qualunque cosa si trattasse, il Passeggero sbatté le ali, curioso, e io mi avvicinai con un certo entusiasmo, dimenticando che avevo rinnegato tali Oscuri Piaceri.

— Ciao, Camilla — la salutai — che cosa abbiamo stavolta? — Lei divenne subito paonazza, come le capitava di solito, per ignoti motivi, quando mi rivolgevo a lei.

— Ossa — mormorò.

— È sicuro che non siano di un maiale o di una capra?

Scosse violentemente la testa e mi mostrò nella mano guantata quello che riconobbi come un omero umano, il che non era poi così divertente. — Sicuro — confermò.

— Be’, allora… — commentai, notando i segni carbonizzati sulle ossa e la risatina di giubilo che mi affiorava da dentro. Non avrei saputo dire se i corpi fossero stati bruciati dopo la morte, per liberarsi degli indizi, oppure…

Osservai la radura. Il suolo era stato calpestato; c’erano centinaia di impronte, come se si fosse tenuta una gran festa, e non penso che fossero stati gli scout. Erano arrivati soltanto in mattinata e non ne avrebbero avuto il tempo. Sembrava invece che parecchie persone si fossero intrattenute per diverse ore, non soltanto sedendosi, ma muovendosi e saltando disordinatamente su e giù. E tutte intorno al falò, dove giacevano le ossa, come se…

Chiusi gli occhi e quasi mi vidi la scena, mentre percepivo la mia soffocata e sinistra vocina interiore che assumeva sfumature da rettile. Guarda, mi disse, e nella finestrella che mi indicò scorsi un grande gruppo in festa. Un’unica vittima legata davanti al fuoco. Nessuna tortura, ma una sorta di esecuzione, messa in atto da una sola persona… mentre gli altri assistevano e festeggiavano… Era forse possibile?

Il Passeggero rispose con una risatina. Sì, lo è. Assolutamente.

Ballano, cantano e il festino continua. Birra e cibo in abbondanza. E un bel barbecue vecchio stile.

— Ehi. — Aprii gli occhi e mi rivolsi a Camilla. — Sulle ossa ci sono tracce di morsicature?

Camilla trasalì e mi guardò con un’espressione simile alla paura.

— Come lo sai? — chiese.

— Una fortunata intuizione, nient’altro — risposi, ma visto che lei non sembrava convincersi, aggiunsi: — Avete idea del sesso?

Mi fissò prima per qualche istante, e solo alla fine parve rendersi conto della mia domanda. — Uhm… — fece, voltandosi rapida verso i reperti. Alzò un dito guantato e indicò un osso piuttosto grande. — Dal cinto pelvico dovrebbe essere femmina. Giovane, forse.

Il potente supercomputer costituito dal cervello di Dexter emise uno scatto e produsse un foglietto. “Giovane donna” diceva.

— Oh, uhm… grazie — risposi a Camilla, e mi allontanai a riflettere sull’interessante ideuzza di mia produzione.

Lei annuì e tornò a chinarsi sulle ossa.

Osservai la radura. Nel punto in cui il sentiero scompariva nella palude scorsi il tenente Keane, intento a parlare con un tipo che riconobbi essere dell’FDLE, il Dipartimento delle forze dell’ordine della Florida, una sorta di FBI locale la cui giurisdizione si estendeva a tutto lo Stato. Insieme a loro c’era uno degli uomini più grossi che io abbia mai visto. Era scuro di pelle, alto quasi due metri, e doveva pesare almeno duecento chili, il che però non lo faceva apparire particolarmente grasso, forse per via dello sguardo cattivo. Ma dato che il tipo dell’FDLE gli stava parlando tranquillamente senza richiedere rinforzi, immaginai che si trattasse di uno dei nostri, anche se non avevo proprio idea di chi fosse. Non doveva essere un inviato dello sceriffo o di Broward County, dal momento che non l’avevo mai visto in precedenza né avevo sentito parlare della sua stazza.

In ogni caso, per quanto fosse interessante vedere un vero gigante, non bastò a monopolizzare la mia attenzione e diedi un’occhiata dall’altra parte della radura. Di fronte al gruppetto di poliziotti c’era una zona sgombra in cui si aggiravano diversi detective. Li raggiunsi e posai a terra il mio kit, riflettendo. Sapevo che una giovane donna era scomparsa, e conoscevo qualcuno che la cercava e che sarebbe stato molto interessato a confrontare i fatti. Ma come dovevo comportarmi? Non sono affatto un animale politico, anche se di politica me ne intendo… si tratta semplicemente di un sistema per praticare il mio vecchio hobby con coltelli metaforici anziché reali. Comunque non la trovavo per niente divertente. Tutte le manovre strategiche e quelle pugnalate alle spalle erano così prevedibili e prive di senso, e non portavano a nulla di eccitante. A ogni modo, sapevo quanto fossero importanti in un ambiente strutturato come il dipartimento di polizia di Miami. Anche Deborah non era molto tagliata per la politica, sebbene riuscisse spesso a imporsi con la giusta dose di talento e durezza.

Ultimamente, però, mia sorella non sembrava più se stessa. Era diventata musona e vittimista e non so se sarebbe stata in grado di reggere un confronto che avrebbe potuto mettere a dura prova le sue abilità diplomatiche. Questo caso, infatti, era stato affidato a un altro detective e forse non sarebbe riuscita a strapparglielo neanche ai tempi in cui era in forma. Ritenevo comunque che una bella sfida avrebbe potuto aiutarla a tornare in sé. Forse la cosa migliore sarebbe stata chiamarla e dirglielo… sciogli i mastini da guerra e come deve essere, sia. Come metafora era piuttosto incisiva, e per questo la trovai ancora più convincente, così mi allontanai dal gruppetto di poliziotti ed estrassi il cellulare.

Suonò a vuoto diverse volte; anche questo comportamento non era da mia sorella. Rispose proprio mentre stavo per riattaccare. — Che ce? — disse.

— Sono nelle Everglades sulla scena di un crimine.

— Buon per te.

— Debs, credo che la vittima sia stata ammazzata, cucinata e mangiata pubblicamente.

— Oh, ma è tremendo — commentò con finto entusiasmo, il che mi irritò leggermente.

— Te l’ho detto che la vittima sembra essere una giovane donna? — Per un po’ non sentii nulla. — Debs? — feci.

— Sto arrivando — disse, e colsi un po’ dell’antica fiamma bruciare nella sua voce.

Richiusi il cellulare soddisfatto. Non feci in tempo a intascarlo e a mettermi al lavoro che udii un urlo alle mie spalle: — Merdaaa! — e una raffica di proiettili esplose in mezzo a noi. Mi buttai a terra, tentando di ripararmi dietro al mio kit per le analisi, il che non fu facile, visto che era delle dimensioni di un beauty case. Cercai comunque di proteggermi il più possibile, e intanto di sbirciare in direzione della sparatoria. Quasi mi aspettavo un’orda di guerrieri maori precipitarsi addosso a noi con le lance in pugno e le lingue di fuori. Ma quel che vidi non fu esattamente la stessa cosa.

Gli agenti che fino a un momento prima chiacchieravano vicino a me erano ora sdraiati a terra in posizione di tiro e sparavano con frenesia contro un cespuglio. Contrariamente a quanto prescritto dalle procedure, i loro visi non erano freddi e spietati, ma sembravano sconvolti e impauriti. Uno dei detective aveva appena gettato via un pacchetto di caricamento vuoto e armeggiava disperato per inserirne uno nuovo, mentre gli altri continuavano a sparare con accanimento.

Il cespuglio che a prima vista stavano tentando di far fuori cominciò a dibattersi scompostamente, lasciando intravedere un luccichio giallo argentato. Brillò per un istante alla luce del sole, poi se ne andò, ma gli agenti continuarono a sparare ancora per qualche secondo, finché non accorse il tenente Keane, intimandogli di smetterla. — Che cazzo vi prende, idioti? — gridò.

— Tenente, in nome di Dio… — fece il primo.

— Un serpente! — esclamò il secondo. — Un enorme, fottuto serpente!

— Un serpente? — disse Keane. — Ve lo devo andare a schiacciare?

— Non so se lei ha dei piedi così grossi — replicò il terzo. — Perché si tratta di un pitone birmano, lungo quasi sei metri.

— Oh, merda — sbottò Keane. — Sono una specie protetta?

Mi accorsi di essere ancora accovacciato e, quando vidi arrivare il tipo dell’FDLE, mi tirai su.

— In realtà stanno pensando a una taglia per questi pistoleri — disse — sempre che uno dei nostri Wyatt Earp sia stato abbastanza fortunato da centrarlo.

— L’ho centrato io — dichiarò il terzo, acido.

— Palle — disse un altro. — Tu non sei nemmeno capace di centrare una merda con la scarpa.

Il gigante scuro si avvicinò per vedere tra i cespugli, poi tornò dov’era, scuotendo il capo. Anch’io, visto che il divertimento era finito, presi il mio kit e mi diressi nuovamente ai resti del falò.

Mi aspettava una quantità sorprendente di macchie di sangue e, dopo pochi minuti, ero già al lavoro per cogliere il senso di quell’orribile spettacolo. Il sangue non era ancora del tutto secco, forse per via dell’umidità e, visto che non pioveva da un po’, ne era penetrato parecchio nel terreno. Dunque, nonostante l’aria fosse piuttosto umida, il suolo era relativamente asciutto. Presi un paio di campioni significativi da portare in laboratorio per le analisi e provai a farmi un quadro dell’accaduto.

Gran parte del sangue era concentrato in una zona, intorno al falò. Controllai se le tracce si allargavano in cerchi sempre più ampi, ma le uniche che vidi si trovavano circa due metri più in là e sembravano trascinate da un paio di scarpe. Evidenziai le impronte con la vana speranza che qualcuno fosse in grado di identificarle e tornai alla macchia principale. Il sangue era colato dalla vittima, non schizzato via come avrebbe potuto succedere se fosse stata presa a coltellate. Intorno non si scorgevano tracce secondarie, il che voleva dire che c’era stata un’unica ferita, come se fosse stato dissanguato un capriolo… nessuno nel gruppo si era messo ad accoltellarlo o ferirlo. Si trattava di un omicidio lento e deliberato, una vera e propria macellazione, messa in atto da un’unica persona, molto attenta ed efficiente; seppur con riluttanza, non potei fare a meno di apprezzarne la professionalità.

Sapevo bene che non era facile agire in condizioni simili, in più davanti a un pubblico ebbro che magari ti incita e ti offre rozzi consigli. L’operato mi impressionò e gli dedicai l’attenzione che meritava.

Ero in ginocchio che stavo finendo di esaminare un’ultima, probabile impronta, quando percepii voci concitate, insieme a minacce di intimi e sgradevoli smembramenti e imprecazioni assortite relative a impossibili anatomie. La causa poteva essere una sola. Mi alzai a guardare in direzione del sentiero e la mia ipotesi fu ovviamente confermata.

Deborah era arrivata.

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