36

Ho sempre pensato che chi ritiene di poter guidare ad alta velocità e insieme parlare al cellulare senza correre alcun rischio sia affetto da un grave disturbo mentale. Deborah rientra in tale categoria, ma si sa, la famiglia è sempre la famiglia, così quando tirò fuori il telefono feci finta di nulla. Mentre ci immettevamo rombando nella I-95 con una mano teneva il volante e con l’altra si apprestò a digitare il numero. Premette una sola cifra, quella delle chiamate rapide. Immaginai di chi si trattasse e ne ricevetti subito conferma.

— Sono io — disse. — Sai dov’è la Terra dei Bucanieri? Esatto, a nord. Okay, ci vediamo davanti al cancello principale, al più presto. Porta roba pesante. Ti voglio bene — disse, e tolse la chiamata.

Non c’erano molte persone ancora in vita a cui Deborah voleva bene, ancora meno di quanto lei ammettesse, così capii all’istante a chi aveva telefonato.

— Chutsky ci aspetta laggiù? — domandai.

Annuì, rimettendo il cellulare nella custodia. — Come supporto — disse, poi, fortunatamente per me, mise entrambe le mani sul volante e si concentrò a zigzagare in mezzo al traffico.

Ci volevano circa venticinque minuti di guida in direzione nord per raggiungere il luogo in cui marciva la Terra dei Bucanieri, ma Deborah ne impiegò dodici, catapultandosi giù dalla rampa di svincolo e infilandosi nella strada secondaria che conduceva alla proprietà di Acosta a una velocità ben superiore a quella che definirei spericolata. Dato che Chutsky non era ancora arrivato, avrebbe potuto guidare con molta più calma e saremmo comunque giunti in anticipo. Invece Debs tenne l’acceleratore premuto a tavoletta, finché non scorse il cancello, e solo allora rallentò e svoltò nella strada che portava all’ingresso principale della Terra dei Bucanieri.

Subito provai un forte sollievo. Non perché Debs non ci aveva ancora fatto ammazzare, ma perché Roger, il pirata alto quasi otto metri, era ancora a guardia del luogo. La vernice aveva perso gran parte della sua brillantezza. Il tempo e le intemperie gli avevano staccato il pappagallo dalla spalla e la sciabola sguainata era spaccata a metà, ma la benda c’era ancora, insieme a quel lampo crudele che gli attraversava l’occhio sano. Scesi dalla macchina e andai incontro al mio vecchio amico. Da bambino, avevo sempre provato una certa affinità nei confronti di Roger. Dopo tutto era un pirata, quindi poteva viaggiare su una grande barca a vela e fare a pezzi tutti quelli che voleva, il che era sempre stata una delle mie aspirazioni.

Eppure mi faceva uno strano effetto essere di nuovo all’ombra di Roger il pirata, ripensando a com’era stato una volta quel posto e che cosa lui aveva rappresentato per me. Sentii di dovergli tributare un omaggio, nonostante si trovasse in quelle brutte condizioni. Lo guardai per un istante poi feci: — Aaarrhhh. — Roger non rispose, ma Deborah mi fissò perplessa.

Mi allontanai dal pirata e osservai la recinzione metallica che circondava il parco. Il sole stava tramontando e con la poca luce che restava da lì non si vedeva molto, a parte l’accozzaglia di giostre e di cartelli dai colori vivaci ora rovinati e sbiaditi dal sole impietoso della Florida. Sull’intero parco incombeva una torre, denominata l’Albero Maestro, che non aveva proprio niente di piratesco. Da essa pendevano una mezza dozzina di bracci metallici, ognuno con attaccata una navicella chiusa da una gabbia. Non avevo mai capito che cosa c’entrasse con i bucanieri, nonostante le insegne e le bandiere con cui era addobbata, ma a suo tempo Harry mi aveva accarezzato la testa dicendo che i proprietari dovevano averla acquistata a poco prezzo, e in ogni caso salirci sopra era divertente. Da lassù c’era una vista stupenda e se strizzavi un occhio ed esclamavi “Yo-ho-ho”, quasi ti dimenticavi di essere su una giostra moderna.

Ora la torre sembrava pendere leggermente da una parte e mancavano quasi tutte le navicelle, a parte una. In ogni caso quel giorno non avevo in progetto di farci un giro, dunque non ci badai.

Dal punto della recinzione in cui mi trovavo non si vedeva molto del parco, ma visto che non c’era altro da fare a parte aspettare Chutsky, mi lasciai prendere dalla nostalgia. Mi domandai se nel fiume artificiale che scorreva intorno al parco ci fosse ancora acqua. Lì si poteva navigare su una nave pirata: il vanto e l’orgoglio di Roger, il famigerato galeone Vendetta. A ogni lato era dotato di cannoni che sparavano davvero. Invece lungo una sponda del fiume c’era una di quelle giostre in cui ti siedi su un finto tronco e precipiti lungo una cascata. Al di là, dalla parte opposta del parco, c’era un percorso a ostacoli. Anche qui, come nel caso della torre, il legame con i pirati mi era sempre sfuggito, ma ricordo che era la giostra preferita di Debs. Chissà se ci aveva pensato anche lei.

La guardai. Camminava su e giù davanti al cancello, scrutando la strada e il parco, poi si fermava e incrociava le braccia, infine riprendeva a camminare, avanti e indietro.

Era chiaramente prossima a scoppiare per l’ansia dell’attesa e pensai che fosse il momento giusto per distrarla un po’, condividendo un ricordo d’infanzia, così la chiamai. — Deborah.

Si voltò di scatto. — Che c’è?

— Ti ricordi del percorso a ostacoli? — le domandai. — Adoravi quella giostra.

Mi fissò come se le avessi chiesto di lanciarsi dalla torre. — Cristo — disse. — Non siamo qui per fare i fottuti sentimentali. — Si girò dall’altra parte e si diresse verso il lato opposto del cancello.

Ovviamente mia sorella non si era lasciata trasportare come me sul filo dei ricordi. Mi domandai se man mano che io diventavo più umano, lei diventasse sempre più insensibile. Poi ripensai a quanto ultimamente fosse diventata più lunatica e strana e stabilii che era normale.

In ogni caso, Debs riteneva che camminare avanti e indietro digrignando i denti fosse più divertente che condividere vecchi ricordi di gioventù nella Terra dei Bucanieri. La lasciai dunque alla sua occupazione e continuai a guardare al di là del recinto, finché dopo cinque lunghi minuti arrivò Chutsky.

Fermò la macchina dietro a quella di Deborah e uscì, stringendo una valigia metallica che posò sul cofano dell’auto. Mia sorella gli corse incontro, rivolgendogli uno dei suoi calorosi e amorevoli saluti.

— Dove cazzo eri finito? — disse.

— Ehi — fece Chutsky. Si protese a baciarla, ma lei gli diede uno spintone e afferrò la valigia. Lui alzò le spalle e mi salutò con un gesto. — Ehi, amico — disse.

— Che cos’hai portato? — chiese Deb.

Chutsky le prese di mano la valigia e l’aprì. — Hai detto che ti serviva roba pesante — rispose. — Ma non sapevo che cosa, così ho qui un po’ di scelta. — Prelevò un piccolo fucile d’assalto con il calcio retrattile. — Gli Heckler & Koch sono tra i migliori — fece, alzandolo in aria, poi lo posò sul cofano e tornò a frugare nella valigia. Estrasse un paio di armi meno voluminose. — Due piccole Uzi — annunciò. Vi batté affettuosamente sopra con l’uncino d’acciaio che aveva al posto della mano sinistra, quindi le mise via e tirò fuori due automatiche. — Un paio di nove millimetri d’ordinanza con diciannove colpi nel caricatore. — Guardò teneramente Deborah. — Non c’è paragone con quella merda che ti porti dietro — disse.

— Era di papà — fece mia sorella, soppesando una delle pistole.

Chutsky alzò le spalle. — È un revolver di quarant’anni fa — osservò. — Quasi più vecchio di me, il che non è un buon segno.

Deborah tolse il caricatore dalla pistola e ispezionò la camera. — Questo non è il fottuto assedio di Khe Sanh — disse, reinserendo con forza il caricatore nell’arma. — Prendo questa.

Chutsky annuì. — Ah-ha, ottimo — fece. Tornò a frugare nella valigia. — Vuoi un caricatore di riserva?

Debs scosse il capo. — Se arrivo al punto che me ne serve un altro, sono morta e fottuta — disse.

— Può essere — fece Chutsky. — Quanti pensi che ne troveremo lì dentro?

Deborah infilò la pistola alla cintola. — Non so — rispose. — Ci è stato detto che è solo. — Chutsky inarcò il sopracciglio. — Maschio bianco, ventidue anni — spiegò Debs. — Uno e settantacinque per sessantotto chili, capelli scuri… Ma a essere onesti, Chutsky, non abbiamo nessuna prova che si trovi davvero qui, né che sia solo, e sono dannatamente sicura che della troia che ci ha fatto la soffiata non c’è da fidarsi.

— Okay, sono contento che tu mi abbia chiamato — annuì Chutsky allegramente. — Ai vecchi tempi ci saresti andata da sola e con la pistola ad aria compressa di tuo padre. — Mi guardò. — Dex? — disse. — So che sei contrario alle armi e alla violenza. — Alzò le spalle, con un sorriso. — Però, ehi, amico… occhio a non presentarti lì dentro senza niente. — Fece cenno con la testa in direzione del suo piccolo arsenale sparso sul cofano dell’auto. — Che ne dici di fare un saluto ai miei amichetti?

Era la peggiore imitazione di Scarface a cui avessi mai assistito, ma mi avvicinai lo stesso a dare un’occhiata. Era vero, detestavo le pistole: sono così sporche e chiassose e ti tolgono tutto il divertimento. Comunque, non ero lì per divertirmi. — Se ti va bene — feci — prenderò l’altra pistola. E il caricatore di riserva. — Dopo tutto avrei potuto averne davvero bisogno, e diciannove proiettili in più non mi pesavano troppo.

— Ma certo, grandioso — disse allegro. — Sei sicuro di sapere come si usa?

Era un piccolo scherzo tra noi. Ho detto piccolo perché divertiva soltanto Chutsky. Sapeva benissimo che ero capace di maneggiare una pistola. Ma tutte le volte stavo al gioco e la impugnavo dalla parte della canna. — Immagino che si tenga così e poi si prenda la mira — dissi.

— Perfetto — fece Chutsky. — Occhio a non spararti nelle palle, mi raccomando. — Poi prelevò il fucile d’assalto. Era dotato di una cinghia che appese alla spalla. — Io prenderò questo giocattolo. E se degenera in una nuova Khe Sanh, non mi troveranno impreparato. — Contemplò l’arma con lo stesso affetto con cui io avevo contemplato il pirata Roger: chiaramente doveva avergli evocato dei bei ricordi.

— Chutsky — disse Deborah.

L’uomo alzò di scatto la testa come se fosse stato sorpreso a guardare un porno. — Eccomi — disse. — Allora, come vuoi fare?

— Entriamo dal cancello — dichiarò Debs. — Ci spargiamo a ventaglio e raggiungiamo il lato opposto del parco. L’area riservata allo staff era laggiù in fondo. — Mi guardò, e io annuii.

— Mi ricordo — dissi.

— Quindi là ci sarà anche il cottage del custode — continuò.

— Dove pensiamo ci sia Bobby Acosta. — Indicò Chutsky. — Tu avanzi alla mia destra e mi copri. Dexter alla mia sinistra.

— Aspetta — obiettò Chutsky. — Non puoi sfondare la porta e precipitarti dentro. È una follia.

— Ti dirò quand’è il momento di venir fuori — spiegò Deborah.

— Voglio fargli credere che sono sola. Così vediamo quel che succede. Se è una trappola, voi mi raggiungete.

— Certo — fece Chutsky, perplesso. — Ma saresti comunque sola allo scoperto.

Debs si riscosse, irritata. — Andrà tutto bene — disse. — Credo che là dentro ci sia anche la ragazza, Samantha Aldovar. — Poi aggiunse: — Quindi occhio. Niente stronzate alla Rambo, okay?

— Ah-ha — annuì Chutsky. — Ma quel ragazzino, Bobby, lo vuoi vivo, vero?

Deborah lo fissò appena un istante di troppo. — Chiaro — disse infine. Ma non parve molto convincente. — Andiamo. — Voltò le spalle e si diresse a passo spedito verso il cancello.

Chutsky la guardò, poi estrasse altri due pacchetti di caricamento dalla valigia e se li infilò in tasca. La richiuse e la gettò in macchina. — Okay, amici — fece, e mi guardò a lungo e con gli occhi sorprendentemente lucidi. — Fa’ che non le capiti nulla — disse.

Da quando lo conoscevo, era la prima volta che lo vedevo emozionato. — Sicuro — risposi, con un certo imbarazzo.

Mi pizzicò la spalla. — Perfetto. — Mi guardò per un altro lungo istante, infine si voltò e si avviò barcollando dietro a Deborah.

Mia sorella era davanti al cancello, intenta ad afferrare il lucchetto che si trovava al di là della rete metallica.

— Non c’è il rischio che qualcuno veda che stiamo entrando abusivamente in una proprietà privata? — feci. In realtà, a preoccuparmi maggiormente era l’idea di salvare un’altra volta Samantha per restituirla a un mondo troppo ansioso di dar retta ai suoi morbosi racconti.

Ma Debs tirò a sé il lucchetto e me lo mostrò. — È già stato aperto — dichiarò, con il tono di chi sta testimoniando in tribunale. — Qualcuno dev’essere entrato nel parco, forse abusivamente, e forse per commettere un crimine. È mio chiaro compito quello di investigare.

— Ehi, un momento — fece Chutsky. — Se il ragazzino si nasconde qui dentro, perché il lucchetto è aperto?

Mi trattenni a malapena dall’abbracciarlo e mi limitai a dire: — Ha ragione, Debs. È una trappola.

Mia sorella scosse il capo, impaziente. — Questo lo immaginavamo già — fece. — Ecco perché vi ho portato.

Chutsky aggrottò la fronte, ma non si mosse. — Questa faccenda non mi piace — disse.

— Non ti deve piacere — replicò Deborah. — E non sei obbligato a venire.

— Non ho intenzione di lasciarti entrare da sola — fece lui. — E neanche Dexter.

Normalmente mi sarei sentito come se, scartato Chutsky, fosse la tenera carne di Dexter a dover essere immolata sull’altare del pericolo gratuito. Invece, mentre ciò accadeva, acconsentii. Solo per quella volta. Era chiaro che qualsiasi individuo dotato di un minimo di buon senso avrebbe dovuto andarle dietro e, considerando i presenti, restavo io. — Okay — dissi. — In ogni caso, se finiamo nei pasticci, possiamo sempre chiamare i rinforzi.

A quanto pareva, dovevo aver detto la cosa sbagliata. Deborah mi guardò truce, poi mi venne incontro spedita e si piazzò a pochi centimetri dalla mia faccia. — Dammi il tuo cellulare — disse.

— Che cosa?

— Adesso! — urlò, tendendo la mano.

— Ma è un BlackBerry nuovo di zecca — protestai. Comunque era chiaro che se non gliel’avessi dato avrei perso l’uso delle braccia sotto una raffica di pugni, così obbedii.

— Anche il tuo, Chutsky — gli ingiunse, piantandoglisi davanti.

L’uomo alzò le spalle e glielo porse. — Pessima idea, tesoro.

— Non sono una buffona come voi che vi fate prendere dal panico e mandate tutto a farsi fottere — disse. Tornò rapida alla macchina e gettò i tre cellulari, compreso il suo, sul sedile anteriore, poi ci raggiunse.

— Ascolta, Debbie, riguardo ai telefoni… — esordì Chutsky, ma lei lo interruppe.

— Dannazione, Chutsky. Devo fare questa cosa, e devo farla subito, a modo mio, senza chiamare Miranda o le vostre merdate in codice, e se non ti va, taci e tornatene a casa. — Diede uno strattone alla catena, che abbandonò la presa. — Io, invece, vado a cercare Samantha e a prendere Bobby Acosta — continuò, e assestò un calcio al cancello. Mentre si apriva con uno stridio lamentoso, Debs si voltò truce verso di noi. — A dopo — disse, e sgattaiolò dentro.

— Debs. Ehi, Debbie, avanti — fece Chutsky. Lei lo ignorò e s’inoltrò nel parco. Chutsky mi guardò, sospirando. — Okay, amico — fece. — Io vado a destra, tu a sinistra. Dividiamoci. — E seguì Deborah oltre il cancello.

Non avete mai notato che si fa sempre un gran parlare di libertà, quando poi non ne abbiamo affatto? Avrei fatto qualunque cosa pur di non seguire mia sorella in quel parco, dove un’evidente trappola ci attendeva e, se tutto fosse andato bene, la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare era vedere la mia vita rovinata da Samantha Aldovar. Se davvero fossi stato libero di scegliere, avrei preso la macchina di Deborah e sarei andato in Calle Ocho a farmi una buona bistecca cubana e una bibita fresca.

Invece, come tutte le cose migliori di questo mondo, anche la libertà è illusoria. In questo caso, poi, avevo le stesse chance di un condannato alla sedia elettrica a cui viene detto che sarà libero di restare vivo, finché non verrà premuto il pulsante.

Guardai il pirata Roger. Tutto a un tratto il suo sorriso mi parve beffardo. — Smettila di ridacchiare — gli dissi. Non rispose, e io seguii mia sorella e Chutsky all’interno del parco.

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