22

Guidavo verso casa in mezzo al traffico dell’ora di punta, al solito passo da lumaca, e intanto riflettevo. Erano capitate tante cose strane e sconcertanti, tutte insieme: Samantha Aldovar e i cannibali a Miami, il singolare tracollo emotivo di Deborah e l’inquietante ricomparsa di mio fratello Brian. Ma la più strana di tutte era il Nuovo Dexter che si trovava a fronteggiare queste sfide. Lo Scaltro Signore di Deviate Delizie si era incredibilmente trasformato nel Superpapà Dexter, difensore dei bambini e della vita familiare.

… Eppure, continuavo a passare il mio tempo lontano dalla famiglia, alla sterile caccia di gente malvagia e di una ragazza che neanche conoscevo. Va bene il lavoro, ma come potevo giustificare di aver trascurato mia figlia appena nata, dedicando tutte quel!le ore di straordinario per star dietro a mia sorella, intenta alla freudiana ricerca di una famiglia? Non vi pare un controsenso?

Mentre riflettevo su tali argomenti, mi accadde una cosa ancor più bizzarra e preoccupante: cominciai a sentirmi male. Io, il Diabolico e Distante Dexter, non solo sentivo finalmente qualcosa, ma mi sentivo male! Inorridii al solo pensiero. Mi ero appena congratulato con me stesso per la mia incredibile trasformazione, e poi da Allegro Mattatore mi tramutavo in Parente Assente, passando semplicemente a un altro tipo di violenza. A parte il fatto che ultimamente non avevo più ammazzato nessuno, di quale orgoglio potevo fregiarmi?

Un forte senso di colpa e di vergogna mi invase. Ecco che cosa voleva dire per gli umani essere un vero genitore: io avevo tre splendidi figli e loro avevano me soltanto. Meritavano molto di più. Avevano bisogno di un padre che li guidasse e insegnasse loro a vivere, non di uno che sembrava più interessato a trovare la figlia altrui che a giocare con loro. Tutto ciò era orribile, disumano. Non mi ero affatto riabilitato, ma soltanto trasformato in un altro tipo di mostro.

Senza contare che i ragazzi più grandi, Cody e Astor, continuavano a provare uno spiccato impulso verso l’oscurità. Si affidavano a me perché li guidassi nel mondo dell’ombra. Non soltanto non li avevo aiutati, ma non avevo fatto nulla per distoglierli da tale proposito. Colpa si accumulava a colpa: sapevo benissimo che avrei dovuto passare un po’ più di tempo con loro, riavvicinarli alla luce e mostrargli che la vita custodisce gioie più profonde di quelle che l’omicidio può dare. Per fare questo, avrei dovuto restargli vicino, invece avevo fallito.

Ma forse non era ancora tutto perduto. Forse sarei ancora riuscito a istruirli. D’altronde, per cambiare completamente non basta volerlo. Non era facile emergere dal mio bozzolo perverso e trasformarmi in un padre fatto e finito. Per diventare un essere umano ci voleva tempo, figuriamoci per fare il genitore; per me tutto era nuovo. Dovevo fidarmi un po’ più di me stesso. Avevo molto da imparare, ma ci stavo provando. Inoltre i bambini sono indulgenti. Potevo ripartire da adesso e presentarmi a loro facendo qualcosa di raro e speciale, per dimostrargli che le cose erano cambiate e che era arrivato il loro Vero Padre: di sicuro avrebbero reagito con gioia e rispetto.

Quel proposito mi fece sentire istantaneamente meglio: papà Dex era tornato. Come riprova che ora le cose stavano funzionando secondo le leggi di un universo saggio e compassionevole, scorsi un grande negozio di giocattoli in un centro commerciale alla mia sinistra e, senza esitazioni, accostai la macchina ed entrai.

Mi guardai intorno e ciò che vidi non fu affatto incoraggiante. Erano esposte file e file di giocattoli violenti, neanche mi stessi aggirando in un negozio creato apposta per i figli del vecchio Dexter. C’erano spade, pugnali, sciabole leggere, mitragliatrici, bombe, pistole, fucili che sparavano proiettili di plastica, paintball e sparadardi, missili per far saltare in aria i tuoi amici e volendo anche la loro città, corsie e corsie colme di apparecchi per addestrarsi al massacro ricreativo. Non c’era da stupirsi che il nostro mondo fosse così crudele e violento, né che esistessero persone simili a quello che ero stato prima. Se insegniamo ai ragazzi che ammazzare è divertente, non dobbiamo sorprenderci che qualcuno sia così bravo da imparare a farlo.

Vagai per quella fabbrica di devastazione finché non finii in un angolino del negozio con scritto GIOCHI EDUCATIVI. Ospitava diversi scaffali con oggetti d’artigianato, alcuni kit scientifici e giochi da tavolo. Li esaminai con cura, alla ricerca di qualcosa di appropriato. Doveva essere educativo, d’accordo, ma non noioso o pedante, né da fare da soli, come i modellini da ricostruire. Cercavo qualcosa di esaltante e che si potesse fare in compagnia.

Scelsi infine un gioco a quiz intitolato Capoclasse. Una persona poneva le domande e gli altri, a turno, dovevano rispondere. Ottimo. Avrebbe cementato l’unità familiare e tutti avremmo imparato un sacco di cose, senza rinunciare al divertimento. Cody avrebbe persino dovuto sforzarsi di formulare frasi intere. Perfetto.

Mentre mi dirigevo alla cassa, passai davanti a uno scaffale di libri parlanti, quelli con i bottoni da schiacciare per ottenere effetti sonori. Ce n’erano parecchi di fiabe, e pensai subito a Lily Anne. Che bel pretesto per farla appassionare alla lettura. Potevo leggerle le storie, mentre lei, su mio suggerimento, premeva il pulsante giusto e nel frattempo imparava le fiabe classiche. L’occasione era irrinunciabile, così scelsi tre libri, i più promettenti.

Andai alla cassa e pagai. Il gioco costava quasi venti dollari, tasse comprese, ma pensai che ne valesse davvero la pena e li spesi senza rimorsi.

Arrivai a casa che era già buio. Tre quarti di una luna solitaria brillavano fiocamente all’orizzonte e mi incitavano bramosi, suggerendo con insistenza quel che Dexter avrebbe potuto fare con un coltello in una nottata simile. Chapin sappiamo dove sta, bisbigliava. Potremmo inciderlo fino ai canini e farci raccontare un po’ di cose interessanti, e faremmo contenti tutti…

Per un istante mi lasciai cullare da quell’impulso seducente; una marea oscura e velenosa mi avviluppò, tentando di inghiottirmi. Poi il peso dei giochi e dei libri che avevo acquistato mi strappò dalle nefaste insidie del chiaro di luna, riportandomi al sicuro nella terra del Nuovo Dexter. Basta; non avrei più dato retta al Passeggero, mai più. Con poche, aspre parole respinsi il mio compagno al suo posto, segregandolo nel profondo. Vattene, gli ordinai, e lui strisciò via come un rettile, tra i singhiozzi. Doveva capire che non ero più quel tipo di persona. Ero diventato papà Dex, che torna a casa impaziente di rivedere Lily Anne e di godere di tutti i nitidi comfort della vita domestica. Ero il sostegno della famiglia, l’educatore dei miei figli, lo scudo contro ogni dolore. Ero papà Dex, la roccia su cui Lily Anne avrebbe costruito il suo futuro, e Capoclasse l’avrebbe dimostrato.

Poi rallentai sotto casa e, non appena scorsi la macchinetta rossa di mio fratello parcheggiata lì davanti, mi tramutai all’istante nel Disorientato Dex. Non avevo idea di che cosa Brian ci facesse di nuovo a casa mia, ma di qualunque cosa si trattasse, non mi piaceva affatto. Lui rappresentava tutto ciò che ero stato e che ora non volevo più essere, dunque non mi andava di vederlo vicino a Lily Anne.

Scesi dall’auto e feci lentamente il giro intorno a quella di mio fratello, scrutandola come se il vero pericolo fosse lei. Era una stupidaggine, ovviamente. Le autobombe non erano nello stile di Brian, che preferiva fare a pezzi la gente con il coltello, proprio come il vecchio me stesso. Non ero più fatto così, anche se la voglia di affettare qualcuno stava tornando anche a me, man mano che mi avvicinavo alla porta, e sentivo quei gridolini di gioia infantile provenire dall’interno. Di tutta la montagna di assurdità, questa era la peggiore: provavo risentimento, sospetto, persino una rabbia squisitamente umana nel sentire che i bambini si stavano divertendo in mia assenza.

Fu così un confuso papà Dex quello che aprì la porta e si ritrovò davanti l’intera famigliola più fratello riunita di fronte al televisore. Rita sedeva a un capo del divano tenendo in braccio Lily Anne, Brian al capo opposto, con Astor in mezzo e tutti avevano un grande sorriso dipinto sul volto. Cody stava in piedi, tra loro e la TV, brandendo un apparecchio di plastica grigiastra verso lo schermo e saltando su e giù, tra i sorrisi dei presenti.

Al mio ingresso, tutti, escluso Cody, mi puntarono gli occhi addosso, poi tornarono a fissare il televisore, senza dare l’impressione di riconoscermi. Brian, invece, non smetteva di osservarmi, con quel suo sorriso finto che si faceva sempre più largo alla vista di me che cercavo di capire, senza successo, che cosa stesse capitando in salotto, nel mio territorio personale.

Poi un sonoro scoppio di risa esplose tra il pubblico, terminando in un “Oooooohhhh…” prolungato, mentre Cody si allontanava torvo dallo schermo.

— Gran partita, Cody — fece Brian, senza staccarmi gli occhi di dosso. — Da paura.

— Ho fatto tanti punti — disse Cody, formulando una frase incredibilmente lunga per lui.

— Già — commentò Brian. — Ora vediamo se tua sorella riesce a batterti.

— Sicuro! — urlò Astor, armeggiando nel vuoto con un altro di quegli apparecchi di plastica. — Sei fritto, Cody!

— Qualcuno mi può dire che cosa diavolo sta succedendo? — chiesi, e intanto mi facevo pena da solo.

— Oh, Dexter — fece Rita, guardandomi come se fossi un oggetto qualsiasi che vedeva per la prima volta nel suo salotto. — E che Brian… tuo fratello ha regalato ai ragazzi una Wii, ed è davvero… ma non doveva — continuò, voltandosi a guardare il televisore. — Cioè, è troppo costosa, e… glielo dici tu? Perché… Oh! Bel colpo, Astor! — Si mise a saltellare dall’eccitazione, agitando leggermente la testa di Lily Anne.

Era chiaro che se mi fossi spogliato e dato fuoco nessuno se ne sarebbe accorto, a parte Brian.

— È davvero ottima per loro — mi disse lui, con il suo sorriso da Stregatto. — Li aiuta a fare esercizio e sviluppa le loro capacità motorie. Senza contare — aggiunse — che è terribilmente divertente. Devi provarla, fratello.

Restituii a Brian il suo finto sorriso, mentre la luna in strada invocava il mio nome, promettendomi nitide e gioiose soddisfazioni. Mi voltai e vidi Rita e i ragazzi, felicemente presi dalla loro nuova, splendida esperienza, e all’improvviso la scatola che tenevo sotto il braccio, con dentro Capoclasse, quasi venti dollari tasse comprese, mi parve pesante e inutile come un vecchio barile di petrolio colmo di teste di pesce. Mi cadde a terra, e intanto mi vedevo davanti il cartone animato di Dexter che correva piangente nella sua stanza e affondava la testa nel cuscino, singhiozzando con il cuore spezzato.

Fortunatamente, a confronto con la classica idea di paternità, l’immagine mi parve così ridicola che mi limitai a trarre un profondo sospiro, a esclamare: — Ops! — e a chinarmi per raccogliere il pacco.

Per me sul divano non c’era spazio, perciò passai davanti al gruppetto, che spostava la testa per non perdersi neanche un singolo, emozionante secondo dell’epico scontro televisivo di Astor. Posai il gioco sul pavimento e sedetti, a disagio, su una poltrona. Mi sentivo gli occhi di Brian addosso, ma non lo guardai; mi sforzai soltanto di mantenere una facciata di educato entusiasmo e, dopo qualche secondo, lui tornò a fissare il televisore. Per tutti gli occupanti della stanza ero di nuovo scomparso, come se non fossi mai esistito.

Osservai Cody e Astor mentre si alternavano al costosissimo apparecchio. Nonostante la loro eccitazione, non riuscivo proprio a entusiasmarmi. Erano passati a un gioco diverso, in cui bisognava ammazzare la gente con una spada anziché con la pistola, ma neppure la vista di una lama suscitò in me il minimo interesse. Naturalmente, erano tutti così felici che soltanto uno scorbutico avrebbe avuto da obiettare… il che voleva dire che avrei dovuto aggiungere la parola “scorbutico” al mio curriculum. Dexter Morgan, Analista di macchie di sangue, Massacratore Redento, attualmente impiegato come Guastafeste. Desiderai quasi che Debs fosse stata presente. Intanto perché Brian sarebbe stato costretto ad andarsene, ma soprattutto perché avrei potuto dirle: “Guarda che cosa rimpiangi: dei bambini, una famiglia… ah-ha!”. E con una risata amara ne avrei sottolineato la fragilità.

— Oooooohhh — esclamò Astor con una vocina alta e stridula, e Cody si precipitò a giocare.

Era chiaro che avrei potuto fare qualunque cosa, ma loro non mi avrebbero mai apprezzato davvero né avrebbero mai fatto tesoro di quel che avevo da offrirgli. Non erano solo sleali, erano anche indifferenti come gattini, piccoli predatori distratti dal primo pezzo di cordino o da un qualsiasi gingillo luccicante che rotola sul pavimento, e non avrei potuto in alcun modo far breccia nella loro ostinata inconsapevolezza.

Poi sarebbero cresciuti… diventando che cosa? Degli assassini simulatori come me e Brian, pronti a pugnalarsi senza esitazione alle spalle, in senso proprio o figurato. Qual era il punto? Che avrebbero vissuto un’infanzia all’insegna del caos e della confusione e, raggiunta l’età giusta per capire il mio messaggio, sarebbero stati troppo vecchi per riuscire a cambiare. Era sufficiente per farmi abdicare alla mia nuova umanità e scivolare fuori, nell’avvolgente chiaro di luna, in cerca di qualcuno da fare a pezzi. Stavolta niente selezioni accurate né raffinatezze, solo pura e liberatoria violenza gratuita, proprio come faceva Brian.

Guardai mio fratello: sedeva sul divano con mia moglie e sembrava più bravo di me a far felici i miei figli. Era questo che voleva? Diventare me, ma un me migliore di quel che fossi mai stato? Al solo pensiero mi affiorò dentro un sentimento a metà tra la bile e la rabbia e decisi che quella sera avrei dovuto affrontarlo, chiedergli che cosa pensava di fare e ottenere che la smettesse. E nel caso che non mi volesse dar retta, c’era sempre Deborah.

Così mi sedetti mesto con un mezzo sorriso fintissimo dipinto sulle labbra e mi sorbii un’altra mezz’ora di draghi, pugni magici e grida gioiose. Persino Lily Anne sembrava felice, e questo mi parve il tradimento supremo. Sbatteva le palpebre e agitava i pugnetti in aria, mentre Astor strillava, poi tornava a raggomitolarsi al seno di Rita: non l’avevo mai vista così entusiasta verso qualcosa che non fosse il cibo. Infine, quando mi accorsi che non ero più in grado di reggere la mascherata per un secondo di più, tossicchiai e dissi: — Ehi, Rita. Hai programmi per la cena?

— Cosa? — fece lei senza guardarmi in faccia, tutta presa dal gioco. — Hai progr… Oh, Cody! Scusa, Dexter, che cosa dicevi?

— Dicevo — scandii — se Hai Programmi Per La Cena?

— Sì, certo — rispose, sempre senza staccare gli occhi dal televisore. — Devo soltanto… Oh! — esclamò, seriamente allarmata, stavolta non perché fosse successo qualcosa nel gioco, ma perché aveva alzato lo sguardo e visto l’orologio. — Oh, mio Dio, sono le otto passate! Non ho neanche… Astor, apparecchia la tavola! Oh, mio Dio… domani si va a scuola!

Osservai con una leggera soddisfazione Rita che balzava su dal divano, mi affidava bruscamente Lily Anne e correva in cucina, senza smettere di parlare. — Per la grazia di… Oh, lo so che è bruciato, che cosa… Cody, tira fuori l’argenteria! Non mi è capitato un simile… Astor, ricordati di mettere un piatto anche per zio Brian! — Il fracasso continuò per parecchi minuti, mentre Rita apriva il forno e sbatteva pentole e teglie dappertutto, poi si tornò alla vita normale.

Cody e Astor, chiaramente riluttanti ad abbandonare il loro nuovo mondo televisivo seppur per mangiare, si guardarono a vicenda, poi si voltarono all’unisono verso lo zio Brian.

— Forza, ragazzi — li esortò lui con la sua solita, finta allegria — fate quel che dice la mamma.

— Voglio giocare ancora un po’ — dichiarò Cody. Da tempo non gli sentivo pronunciare insieme tutte quelle sillabe.

— Lo immagino — rispose Brian. — Ma adesso non si può. — Rivolse loro quel suo gran sorrisone; faceva il possibile per apparire simpatico, ma non risultava affatto convincente, molto meno di quanto lo fossi io.

Tuttavia Cody e Astor gli diedero subito credito; si guardarono a vicenda, annuendo con il capo, poi si avviarono rumoreggiando in cucina, ad aiutare per la cena.

Quando si allontanarono, Brian si voltò verso di me, le sopracciglia fintamente inarcate in segno di educata anticipazione. Ovviamente però, non era in grado di anticipare nulla di ciò che stavo per dirgli, ma, mentre mi preparavo traendo un profondo respiro, mi accorsi che non ci riuscivo nemmeno io. Sentivo di dovergli rivolgere delle accuse. Ma per che cosa? Perché aveva acquistato un giocattolo molto più costoso del mio? O perché aveva portato i ragazzi a mangiare al cinese o forse in un posto ancora più sinistro? O forse perché aveva cercato di essere me, mentre io ero troppo impegnato per sostenere il mio ruolo? Immagino che il vecchio e insensibile Dexter gli avrebbe semplicemente detto: “Qualunque cosa tu stia facendo, finiscila”. Ma al nuovo me, frastornato da tutti quei complicati sentimenti che gli mulinavano dentro, sembrava si fosse seccata la lingua. Come se non bastasse, mentre me ne stavo a bocca aperta e con il cervello paralizzato, Lily Anne emise un gorgoglio e la mia camicia fu all’istante ricoperta di un blob biancastro di latte inacidito.

— Accidenti — fece Brian, con una simpatia non meno finta delle altre sue emozioni.

Mi alzai e attraversai il corridoio, reggendo Lily Anne davanti a me a braccia tese, per non macchiarmi ulteriormente. Nella stanza da letto c’era un fasciatoio con una serie di asciugamani impilati su uno scaffale. Ne presi un paio: uno per rimediare al disastro, l’altro da poggiare sotto la neonata per salvare ciò che restava della mia camicia.

Tornai a sedermi in poltrona; sistemai l’asciugamano sulla mia spalla e vi appoggiai la testa di Lily Anne, dandole qualche lieve colpetto sulla schiena. Brian continuava a guardarmi, e io feci per parlare.

— La cena è pronta! — Rita si precipitò rumorosamente nella stanza, reggendo un vassoio con due grossi guanti da forno. — Mi dispiace che non sia… cioè, non è che si sia bruciato, ma non… è solo un po’ asciutto. Astor, versa il riso nella terrina blu. Siediti, Cody.

La cena fu divertente almeno quanto i precedenti video guerrafondai. Rita cominciò a scusarsi per il pollo all’arancia, e a essere sinceri ne aveva ben donde. Era uno dei suoi cavalli di battaglia e l’aveva fatto cuocere fino alla disidratazione. Ma Cody e Astor ridevano del suo imbarazzo e si misero a prenderla in giro con sottile crudeltà.

— È asciutto — fece Cody dopo la terza volta che la madre si scusava. — Non come le altre volte. — E strizzava l’occhio a Brian.

— Sì, lo so, ma… mi dispiace davvero, Brian — disse Rita.

— Ma no, è delizioso; non ci pensare, incantevole signora — fece lui.

— Non ci pensare proprio, cara mamma — gli fece eco Astor, altezzosa, poi lei e lo zio scoppiarono a ridere.

E avanti così, finché la cena non finì e i ragazzi si precipitarono a sparecchiare, allettati dalla promessa di poter usufruire di un altro quarto d’ora di Wii prima di andare a dormire.

Rita scomparve in corridoio a cambiare Lily Anne e, per un istante, io e Brian ci trovammo da soli a tavola. Era il momento di parlare e di tirare fuori quel che avevamo dentro, così mi affrettai ad approfittarne.

— Brian — dissi.

— Sì? — inarcò il sopracciglio, in attesa.

— Perché sei tornato? — chiesi, in un tono il meno possibile accusatorio.

Mi guardò, fintamente stupito. — Per stare con la mia famiglia, ovvio — rispose. — Per che altro, se no?

— Non ne ho idea — feci, sempre più irritato. — Ma un motivo ci dev’essere.

Scosse il capo. — Perché pensi questo, fratello?

— Perché ti conosco.

— Non del tutto — replicò, puntandomi gli occhi addosso.

— Conosci soltanto una piccola parte di me. E penso che… dannazione — fece, mentre le note metalliche della Cavalcata delle valchirie risuonavano fuori dalla sua tasca. Estrasse il cellulare, lanciò un’occhiata allo schermo e disse: — Accidenti. Mi spiace per la mia toccata e fuga, e altrettanto per la nostra chiacchierata. Sarà meglio che vada a portare le mie scuse alla tua gentile signora. — Si alzò rapido e irruppe in cucina, dove si produsse nei soliti, infiorettati complimenti e richieste di perdono.

La famiglia al completo l’accompagnò alla porta, ma riuscii a tagliarla fuori uscendo con mio fratello e chiudendo fermamente il portone alle nostre spalle.

— Brian — esordii — io e te dobbiamo parlare ancora un momento.

Si fermò e si voltò a guardarmi. — D’accordo, fratello — fece.

— Una bella chiacchierata come si faceva una volta. Per tenerci aggiornati l’uno con l’altro, eccetera. Dimmi un po’, come va con quella storia della ragazza scomparsa?

Scossi il capo. — Non intendevo quello — dissi, determinato a sviscerare l’argomento e a scoprire quel che Brian nascondeva.

Ma il cellulare emise un’altra volta quel frenetico ritornello wagneriano. Lui lo prese e lo spense. — Un’altra volta, Dexter — fece. — Ora devo proprio andare. — E prima che potessi replicare, mi assestò una goffa pacca sulla spalla e si diresse rapido verso la macchina.

Lo guardai allontanarsi, e la mia unica consolazione fu che la spalla su cui mi aveva dato la pacca era quella ancora bagnata dal rigurgito di Lily Anne.

Загрузка...