DEXTER DAI ROMANZI ALLA SERIE TV: ANALISI DI UN FENOMENO di Romano De Marco

Dexter Morgan è un tecnico ematologo della polizia scientifica di Miami, in Florida.

È un lavoratore efficiente, gentile e disponibile con i colleghi e vero punto di riferimento, sia affettivo che professionale, per la detective Deborah Morgan, sua sorella.

Fidanzato con Rita, madre separata di due bambini con i quali è prodigo di attenzioni e affetto paterno, ha un bell’aspetto, una bella casa, un buon lavoro e tante persone che lo stimano e gli vogliono bene. Una vita perfetta, se non fosse per un piccolo ma fondamentale particolare: Dexter è un serial killer di serial killer.

Stana le sue vittime, le cattura, le giustizia seguendo un collaudato rituale e le fa a pezzi, gettandone i resti in alto mare, dentro sacchi di plastica ermeticamente sigillati. Il tutto nel rispetto del “codice”di sicurezza tramandatogli dal padre adottivo Harry, le cui regole gli impediscono di uccidere gli innocenti e lo aiutano a evitare di essere scoperto e incriminato.

Anche Harry era un poliziotto, ed è stato l’unico al mondo ad aver scoperto il segreto di Dexter. È suo il merito (o la colpa?) di aver trovato la maniera di incanalare l’irrefrenabile pulsione omicida del figlio adottivo verso una “giusta causa”.


Nell’aprile del 2009, a Roma, ebbi il piacere di conoscere Peppe Fiore, giovane e brillante autore napoletano che, fra le sue molteplici attività, svolge anche quella di “cacciatore” di sceneggiature per fiction televisive, per conto di una società capitolina. L’occasione fu una serata-dibattito sul tema dei booktrailer, alla quale partecipai come relatore.

Grazie a quell’incontro io e Peppe scoprimmo di essere entrambi animati da un’estrema, malsana passione per i serial televisivi americani. All’epoca non conoscevo ancora la serie TV Dexter (se non per un paio di episodi slegati che avevo seguito occasionalmente sulla televisione in chiaro) e rimasi perplesso quando il mio eclettico interlocutore la definì, senza mezzi termini, “il punto di non ritorno dei serial TV”.

A più di due anni di distanza, dopo aver visionato le prime cinque stagioni dello show televisivo, per complessivi sessanta episodi, e nella spasmodica attesa di gustarmi l’imminente sesta serie (in onda negli USA dal 2 ottobre al 18 dicembre 2011), posso dire che quell’affermazione, oggi, mi appare non solo assolutamente centrata, ma anche vagamente profetica. Questo perché, nel 2009, era ancora prematuro avere il quadro completo di un progetto che si è andato costruendo puntata dopo puntata, serie dopo serie, passando attraverso lo sconvolgente episodio Gateway (nella versione italiana La storia si ripete), finale di una quarta strepitosa stagione, seguita da una quinta che definirei “di transizione” e di preludio a quella che si preannuncia come la migliore serie di Dexter fino a oggi prodotta.

L’episodio Gateway (trasmesso negli usa il 13 dicembre 2009) può essere definito davvero il punto di non ritorno per un serial TV. Lo dimostra anche il fatto che, dopo la sua messa in onda, una parte dei fan arrivò ad auspicare la chiusura definitiva del ciclo di Dexter, ritenendo quel finale talmente perfetto da rendere impossibile riuscire ad aggiungere altro alla storia. È il medesimo meccanismo che ha spinto, di recente, i cultori di Quentin Tarantino e della saga di Kill Bill a coalizzarsi per scongiurare l’ipotesi scellerata di un sequel, più volte ventilata dal regista stesso.

È quindi comprensibile che con la serie successiva (la quinta, andata in onda in Italia nella primavera del 2011) si sia assistito a un calo del cliffhanger certosinamente costruito dagli sceneggiatori nel corso degli episodi precedenti.

Facendo qualche passo indietro, c’è da ricordare che, nel dicembre 2007, si era addirittura rischiata la scomparsa di Dexter dai palinsesti televisivi, a causa delle polemiche suscitate dal finale della seconda serie. Oltre agli addetti ai lavori, anche i fan mostrarono parecchie perplessità in merito alle possibili future evoluzioni di una trama che sembrava aver già messo in tavola tutte le sue carte migliori.

Ma per analizzare il “fenomeno” Dexter nel suo complesso, bisogna considerare che il personaggio ha origini letterarie ed è il protagonista di una serie di romanzi a firma dello scrittore americano Jeff Lindsay, ottimamente tradotti in Italia dalla scrittrice Cristiana Astori. E se qualcuno pensa che possa trattarsi di una sorta di novelization degli episodi televisivi, si sbaglia di grosso.

Romanziere di buon successo, sceneggiatore televisivo avvezzo a tematiche fantascientifiche, Lindsay è noto alle cronache anche per essere il marito di Hilary Hemingway, nipote di Ernest, con la quale ha scritto in tandem diversi dei suoi primi lavori, negli anni Novanta. Curiosamente, per il primo romanzo della serie Dexter, La mano sinistra di Dio (Darkly Dreaming Dexter, 2004; Sonzogno, 2005, riedito dal Giallo Mondadori nel 2009 con il titolo Dexter il vendicatore, n. 2971), Lindsay venne candidato all’Edgar Award per la migliore opera prima. Nomination ritirata in fretta e furia quando qualcuno si accorse che l’autore aveva già pubblicato ben quattro romanzi ottenendo, peraltro, un buon riscontro di vendite e critica.

L’intuizione di Lindsay di rendere protagonista della storia un serial killer non è, a onor del vero, completamente originale. Basti pensare al successo planetario di quell’Hannibal “the Cannibal” creato da Thomas Harris che ha riscosso un tale consenso da condizionare l’opera stessa del suo autore. Proprio dall’epopea del dottore-cannibale Hannibal Lecter possiamo trarre spunto per capire meglio l’evoluzione del personaggio Dexter nella sua doppia incarnazione letteraria e televisiva. Il fortunato personaggio di Harris ha vissuto uno strano destino, nel quale la sua versione cinematografica e quella letteraria si sono rincorse, sovrapposte, condizionate a vicenda, tanto da giungere all’incredibile epilogo in cui il quarto e (per ora) ultimo romanzo della serie, che tra l’altro è un prequel, è stato una sorta di adattamento della sceneggiatura originale scritta dallo stesso Harris per il film omonimo. Parliamo di Hannibal Lecter. Le origini del male (Mondadori, 2007, ristampato nel Giallo Mondadori, n. 3000).

Non del tutto originale, quindi, la scelta di Lindsay di porre al centro della sua saga la figura di un serial killer, ma sicuramente vincente quella di renderlo la voce narrante della storia, accettando la non facile sfida di calarsi nella mente di un assassino seriale con doppia personalità.

Il primo romanzo della serie (il già citato Darkly Dreaming Dexter) esce nel 2004, ottenendo un lusinghiero successo di pubblico e critica e suscitando l’interesse di James Manos Jr, regista teatrale ed enfant-prodige della TV americana, distintosi con un Emmy Award guadagnato per la prima serie dei Soprano e un Golden Globe per le prime due serie di The Shield.

Manos si mette al lavoro coadiuvato dallo stesso Lindsay, e propone la realizzazione di una serie su Dexter al network a pagamento Showtime (costola del colosso CBS), un canale specializzato in reality-show e programmi incentrati sugli sport estremi, nonché produttore di serial di buon successo come Stargate SG-1 e Californication.

Dopo un’iniziale diffidenza, la rete televisiva dà il via libera al progetto. Per il ruolo principale viene scelto Michael C. Hall, già coprotagonista in un serial di ottima qualità e di enorme seguito, della concorrente HBO, QUEL Six Feet Under nel quale per cinque stagioni e complessivi sessanta episodi l’attore ha rivestito il ruolo di David, uno dei componenti della famiglia Fisher, proprietaria di un’impresa di pompe funebri. Quando Jeff Lindsay venne informato della scelta, criticò duramente i produttori della serie, sostenendo che l’attore che aveva interpretato per anni la parte di “un becchino gay” era quanto di più distante dalla sua idea originale del personaggio Dexter Morgan. A Lindsay basterà vedere l’attore all’opera nel pilot della serie per ricredersi immediatamente e arrivare a considerarlo “perfetto per il ruolo”.

La prima stagione viene trasmessa in America nel 2006 incontrando un clamoroso favore di pubblico e critica. Nell’incetta di premi ottenuti (miglior nuova serie, miglior attore, miglior cattivo, miglior personaggio eccetera) spicca un Emmy Award per la sequenza della sigla, piccolo gioiello di creatività di Michael Cuesta, regista principale della serie, anch’egli reduce dai successi di Six Feet Under.

La trama sviluppata nelle dodici puntate del telefilm ricalca, sostanzialmente, quella del primo romanzo Darkly Dreaming Dexter, con qualche lieve variante nei nomi e nelle caratterizzazioni dei personaggi di contorno. Dexter Morgan vive la sua personalità di lavoratore, fidanzato e fratello ideale in alternanza a quella doppia che sente più vicina alla sua natura interiore e che consiste nell’uccidere e fare a pezzi i serial killer, scaricandone i resti in mare dalla sua bella barca a motore il cui ironico nome risulta essere Slice of Life (Pezzo di Vita). La pur assurda tranquillità della sua esistenza viene sconvolta dall’irrompere in città di un nuovo serial killer che si accanisce su vittime di sesso femminile, sezionandone i corpi e lasciandoli esposti, ai rilievi della polizia scientifica, in pose “artistiche”. Questo assassino denominato “killer del camion frigo” (nel romanzo è Tamiami butcher) inizia a inviare dei messaggi a Dexter, dimostrando di essere al corrente del suo segreto. Dopo aver viaggiato, fino a un certo punto, su binari più o meno paralleli, le vicende di romanzo e serie TV divergono nettamente nel finale, andando a segnare pesantemente i futuri sviluppi della storia che si dipanerà, con eguale successo, in due direzioni alternative. Una sorta di effetto “sliding doors” applicato alla vita del personaggio, che continuerà a esistere come entità sia televisiva che letteraria seguendo strade simili e allo stesso tempo fortemente diverse.

Dando per scontate le evidenti variazioni nello stile narrativo, necessarie alla trasposizione di un soggetto letterario nel formato televisivo (tutto il romanzo è narrato in prima persona da Dexter, e viene lasciato molto spazio alle sue digressioni di carattere psicologico togliendone, fatalmente, ai personaggi di contorno), la scelta fatta dalla produzione del serial parve voler puntare su una “umanizzazione” del protagonista. Ogni immagine, ogni scelta narrativa, sembra studiata per renderlo simpatico, amabile, apprezzato dal pubblico nonostante la sua natura evidentemente psicopatica e deviata. Nella serie TV, Dexter prenderà alcune decisioni mirate a proteggere sua sorella Deborah e a custodire il suo segreto, mostrando (a discapito di quanto continuamente dichiarato nel corso di tutta la serie, nelle riflessioni fuori campo in prima persona che fungono da intermezzi all’azione) di non essere assolutamente indifferente alle persone, ai sentimenti e all’amicizia. Lo vediamo, ad esempio, fare sesso con la sua fidanzata Rita, dopo aver più volte affermato di non essere per nulla attratto da quell’aspetto del rapporto fra uomo e donna. Il meccanismo che scatta nello spettatore, in questi casi, non è di disappunto per l’evidente controsenso tra le riflessioni di Dexter e le sue azioni, quanto piuttosto di sollievo per la progressiva presunta “normalizzazione” di un personaggio che ispira un’irresistibile quanto positivamente malsana simpatia.

Al di là delle sostanziali differenze nel finale, sia nel romanzo che nel telefilm viene rivelata una traumatizzante esperienza vissuta da Dexter bambino, all’origine del suo attuale, grave disturbo della personalità. L’esperienza era stata completamente rimossa dalla memoria del nostro “eroe”, fino al momento in cui il “killer del camion frigo” la farà riemergere per perseguire i suoi diabolici scopi.

Il plot della seconda stagione (andata in onda in America nel 2007) differisce quasi totalmente da quello del secondo romanzo, Dearly Devoted Dexter (Dexter il devoto, Il Giallo Mondadori, n. 2985), mantenendo l’unico elemento di similitudine nella persecuzione di Dexter da parte del sergente James Doakes (l’attore Erik King già apprezzato nel ruolo di condannato a morte in un paio di stagioni dell’allucinante serie carceraria Oz).

La stagione due introduce molti personaggi assolutamente estranei alla saga letteraria (come l’agente dell’FBI Frank Lundy, interpretato da Keith Carradine, e la nuova fiamma di Dexter, Lila, impersonata da Jamie Murray) conservando un ottimo livello di audience e culminando in un finale rocambolesco che, come ricordato prima, ha dato origine a svariate critiche, sia in USA che da noi in Italia.

È su queste che voglio soffermarmi brevemente, in particolare su quella avanzata dalle colonne del quotidiano “La Stampa”. L’ottimo scrittore e giornalista Andrea Scanzi demolisce pesantemente la seconda serie di Dexter accusandola di propagandare un “discutibile messaggio morale” dovuto a un “crollo etico” del personaggio. Scanzi, inoltre, si accanisce sullo “scarso livello intellettuale” di personaggi come Deborah (sorella di Dexter) o Rita (fidanzata dello stesso).

Senza voler contraddire le affermazioni del quotato critico e opinionista, mi permetto (a carattere di riflessione personale) di ribaltare l’ottica della sua analisi.

Ciò che viene maggiormente stigmatizzato, nella critica alla seconda stagione, è la morte di un personaggio sostanzialmente positivo come il sergente Doakes, già presente nella prima serie, che qui metteva in grave pericolo il segreto di Dexter (e quindi la sua permanenza in vita o, quantomeno, in libertà) con le sue insistenti indagini.

Doakes viene fatto morire non per mano del “serial killer dei serial killer”, ma per quella di un altro personaggio, sostanzialmente negativo. Un espediente narrativo giudicato un po’ forzato, ma che risulta essere senz’altro funzionale al riequilibrio di una vicenda sincopata e ingarbugliata che riesce, allo stesso tempo, a rimanere tesissima e avvincente. Assistiamo, addirittura, al ritrovamento casuale, da parte di sommozzatori a caccia di tesori sottomarini, dei resti subacquei di tutte le vittime del nostro simpatico “assassino della porta accanto”. Alla macabra scoperta farà seguito l’apertura di un’inchiesta finalizzata alla cattura del pericoloso omicida ribattezzato “macellaio di Bay Harbor”. Sarà proprio Dexter, nella sua qualità di stimato tecnico della Scientifica, a essere chiamato ad analizzare i resti umani delle sue stesse vittime dall’agente dell’FBI Frank Lundy, che lo riterrà punta di diamante della task force organizzata per risolvere il caso. Ed è sempre lo stesso Dexter, nel criticatissimo finale, a fare giustizia (tra l’altro con modalità estranee al suo consueto modus operandi) di colei che lo ha salvato dai sospetti del sergente Doakes riportando l’equilibrio in una storia dove, alla fine, il poliziotto che funge da malcapitata vittima sacrificale si ritroverà sulle spalle anche l’accusa postuma di essere il famigerato “macellaio di Bay Harbor”.

In tutto questo, non mi è chiaro come si possano definire “crollo etico” le azioni riprovevoli di un personaggio che, comunque, anche nella prima serie, abbiamo visto uccidere e fare a pezzi ben undici persone. Parimenti, mi viene da pensare che non si possa pretendere di traghettare “messaggi morali” con un telefilm di questo genere. Si tratta semplicemente di uno show televisivo divertente e avvincente, pervaso da quella vena ironica e surreale che costituisce sicuramente uno degli aspetti fondamentali del suo successo. Tutti gli elementi “visivi” presenti nella serie, dall’aspetto fisico di Dexter e degli altri personaggi, al loro look minimalista e curato, al cibo di cui sono soliti cibarsi, alle loro case, le loro automobili, ai colori stessi e alle angolazioni con cui viene ritratta la città di Miami, sembrano dar vita a una sorta di realtà virtuale, un cartone animato tridimensionale, piuttosto che all’ambientazione realistica di una serie drammatica. Questa scelta, certamente non casuale, degli sceneggiatori fa sì che tutto appaia fittizio, costruito, falso. Ma ugualmente godibile, grazie a un vero e proprio patto di “sospensione dell’incredulità” con i consapevoli spettatori. È proprio grazie a questo tacito accordo che non ci si sente troppo in colpa nell’accettare di veder giustiziare e fare a pezzi un uomo, senza perdere la simpatia nei confronti del suo assassino. Arrivando, anzi, quasi a desiderare di averlo come vicino di casa.

Tanto per spiegare meglio questo punto di vista, proviamo a immaginare un personaggio come Dexter che agisse in un’altra città (molto meno ospitale e solare di Miami) e in tutt’altro ambiente di lavoro. Magari realistico e cupo come quello del 15° Distretto di NYPD Blue (strepitosa e ultralongeva serie poliziesca che ha di fatto costituito uno spartiacque nella evoluzione dei serial televisivi). E magari ipotizziamo un Dexter con le ruvide fattezze del detective Andy Sipowicz, il bravissimo, pluripremiato ma grasso, tozzo e semicalvo attore Dennis Franz. Possiamo affermare che proveremmo la stessa empatia per quello che è stato definito il “serial killer della porta accanto”? Non credo.

Onore, quindi, agli sceneggiatori della serie che sono riusciti a dare il massimo anche nella seconda stagione, minando quelle certezze che lo spettatore aveva appena fatto in tempo ad agguantare, ovvero l’impossibilità per Dexter di essere scoperto, l’intoccabilità di un comprimario solido e convincente come Doakes che viene invece sacrificato, lo “scarso livello intellettuale” di Deborah Morgan, che dimostra al contrario di essere una detective di tutto rispetto. E finanche la candida asessualità di Dexter, che arriva a tradire la sua fidanzata con un’altra bellissima donna. Viene inoltre introdotto l’elemento dell’instabilità emotiva del protagonista che lo spinge a desiderare di rivelare la sua vera natura ad altri per poter finalmente essere se stesso, un tema inquietante che sarà riproposto in un crescendo di drammaticità nelle successive stagioni.

L’evoluzione parallela del personaggio, nella sua incarnazione letteraria, prosegue nel romanzo Dexter il devoto, dove Deborah Morgan ingaggia una sorta di lotta personale con un ennesimo, spietato serial killer che riuscirà a sconfiggere solo grazie all’aiuto del singolare fratellino. I sospetti del detective Doakes nei confronti di Dexter impediranno momentaneamente a quest’ultimo di dar sfogo alla sua natura assassina, costringendolo a dedicarsi maggiormente alla sua fidanzata Rita e ai due figlioletti di lei, nell’attesa della situazione propizia per giustiziare un pedofilo preso di mira da parecchio tempo. Il rapporto fra Dexter e i figli di Rita viene approfondito e dà origine a una sottotrama inquietante e complessa che avrà numerosi strascichi nel proseguimento della saga di Lindsay (ma che, a quinta stagione conclusa, non è stata ancora utilizzata nella serie televisiva). Per la cronaca, nel romanzo il sergente Doakes non muore, ma subisce una sorte, se possibile, ancora peggiore.


E passiamo, a questo punto, alla terza stagione di Dexter, trasmessa negli USA nel 2008, dove troviamo come guest star l’attore Jimmy Smits che proprio nel già citato NYPD Blue aveva vissuto il suo momento di maggior successo interpretando il ruolo del detective Bobby Simone dalla seconda alla sesta serie (con una comparsata nella undicesima).

Smits è il procuratore distrettuale Miguel Prado, che stringerà un legame complesso con Dexter, fino ad arrivare a fargli confessare la sua vera natura di spietato giustiziere e a chiedergli di aiutarlo a intraprendere la stessa strada. Assistiamo, nel corso delle dodici puntate, alle perplessità del nostro antieroe, che mostrerà un forte desiderio di abbandonare la sua doppia esistenza per arrivare a essere finalmente se stesso, per lo meno nel rapporto con un’unica persona che possa comprenderlo e accettarlo per quello che è, senza finzioni di sorta. Nella serie viene fatto largo uso della figura del padre defunto di Dexter, il poliziotto Harry Morgan (interpretato dall’attore James Remar), che, dopo essere apparso nei flashback delle prime due stagioni, inizia a comparire regolarmente sotto forma di fantasma (una specie di coscienza di Dexter) per sconsigliare al figlio di condividere i suoi segreti con altri trascurando le rigide regole del “codice di sicurezza” che gli hanno finora garantito l’anonimato e la libertà. Dexter assume, per la prima volta, un atteggiamento critico nei confronti del padre (o per meglio dire, della di lui memoria) anche in seguito alla scoperta di scottanti rivelazioni sul suo passato che glielo faranno apparire meno integerrimo e meno sincero di quanto avesse creduto.

Nel corso della serie, il passato di Harry Morgan sarà oggetto di una ricerca anche da parte della figlia Deborah, sorella di Dexter. Una ricerca destinata a concludersi drammaticamente solo nell’episodio finale della quarta stagione.

L’evolversi della vicenda vedrà Dexter e Miguel Prado interrompere il loro sodalizio allo svelarsi delle vere intenzioni di quest’ultimo, tutt’altro che disinteressate. I due ingaggeranno una lotta spietata che porterà a una sanguinaria, forse scontata, conclusione. La serie, però, riserva anche altri aspetti interessanti. Tutta la parabola della perdita di certezze da parte di Dexter (il desiderio di far emergere la sua doppia personalità, la figura paterna che vede ridimensionato il suo ruolo di assoluto riferimento, l’evoluzione del suo rapporto con gli altri, la crescita del personaggio di Deborah) sembra concludersi con un ritorno alla tranquilla doppia vita di sempre, suggellato addirittura dal matrimonio con Rita in dolce attesa. Ma l’ultimo, inquietante fotogramma dell’episodio conclusivo lascia intendere che non ci sarà pace nel futuro del nostro amabile killer e di coloro che gli sono vicini.

Nel terzo romanzo della saga, Dexter in the Dark, 2007 (Dexter l’oscuro, Il Giallo Mondadori, n. 2999), Jeff Lindsay continua, con fiera determinazione, a seguire una strada diversa da quella del serial TV, introducendo un aspetto che rende la divergenza ancora più significativa, ovvero la rivelazione della natura demoniaca del cosiddetto “Passeggero Oscuro”. Questi non è altro che la voce narrante, onnipresente nei romanzi e molto meno invasiva nella serie televisiva, che racconta, con lucido distacco ed elegante ironia, l’irrefrenabile bisogno di uccidere di Dexter. Lindsay sceglie di percorrere la strada del fantastico, rivelandoci che il Passeggero Oscuro è uno dei figli di Moloch (antica divinità sanguinaria) fuggito nel nostro mondo per difendersi dall’ira paterna, e finito ad albergare nella coscienza del malcapitato Dexter. Una scelta senz’altro coraggiosa rispetto a quella di altri autori che, in seguito al successo delle versioni televisive o cinematografiche dei propri personaggi, hanno preferito uniformarsi agli indirizzi degli sceneggiatori per far breccia nel pubblico televisivo, numericamente molto più imponente di quello dedito alla lettura.


Arriviamo, quindi, alla strepitosa, sorprendente quarta serie, vero e proprio capolavoro televisivo. Già dalla scelta della guest star si comprende che il livello sarà alto. John Lithgow, professore ad Harvard, apprezzato attore teatrale, stimato scrittore e cantautore, con alle spalle ben tre Emmy Award e due nomination all’Oscar (lo ricorderete nelle parti di due memorabili cattivi in Doppia personalità del 1992, di Brian De Palma, e in Cliffhanger del 1993, di Renny Harlin).

Lithgow, classe 1945, recita il ruolo di Arthur Mitchell, un serial killer ultrasessantenne, soprannominato “Trinity”. Al di là della impeccabile interpretazione del grande attore, si deve dare atto agli sceneggiatori di essere riusciti a delineare una figura di assassino seriale davvero originale. Cosa tutt’altro che facile dopo che sull’argomento è stato scritto e mostrato praticamente di tutto, con una miriade di serie televisive che, per centinaia di puntate, presentano le gesta di altrettanti spietati serial killer.

L’inizio della serie è inquietante e, in un certo senso, destabilizzante. Alle allucinanti gesta del killer Trinity viene alternata la vicenda personale di Dexter che, a causa dell’inedito ruolo di padre a tempo pieno di tre figli (due della moglie Rita e uno, neonato, di entrambi), non riesce più a dormire, a lavorare con profitto e a dedicarsi alla sua prediletta attività di assassino.

Godibilissima la sequenza nella quale viene fatto il verso alla sigla iniziale dello show, presentando un Dexter alle prese con i rituali gesti mattutini, completamente stravolto dal sonno e dalla stanchezza dovuti allo stress del suo nuovo ruolo di genitore.

Parallelamente assistiamo all’inatteso ritorno in scena del personaggio di Frank Lundy (interpretato da Keith Carradine, guest star della seconda serie), agente dell’FBI ora in pensione, che riallaccerà una storia d’amore con Deborah Morgan, facendo naufragare quello che pareva essere il primo rapporto stabile e duraturo della ragazza (con un giovane musicista di colore) che risaliva alla terza stagione.

I colpi di scena, davvero clamorosi, si susseguono in maniera inaspettata e convincente, con una drammaticità fino a quel momento inedita per la serie, con picchi di eccellenza assoluti, come quello raggiunto nella puntata numero nove intitolata Hungry Man (in Italia Giorno di festa), che considero il miglior episodio televisivo che abbia mai visto. E ancora, uno dei principali capisaldi alla base del rapporto fra lo spettatore e il singolare personaggio di Dexter verrà scosso dalle fondamenta quando questi ucciderà, per sbaglio, un innocente e, dopo un iniziale momento di crisi, accetterà l’accaduto come un’inevitabile fatalità. E questa volta non interverrà alcun espediente narrativo (come era già accaduto nella terza serie) a risistemare le cose rivelando che l’innocente non era affatto tale, tanto per tacitare la coscienza di Dexter e quella dei suoi fan.

Tutte le certezze faticosamente raggiunte dallo spettatore, nel corso dei precedenti trentasei episodi delle prime tre serie, subiscono stavolta una sequela di duri colpi, col ribaltamento di situazioni ormai consolidate, fino al faticosissimo raggiungimento di una ipotetica ritrovata stabilità che viene letteralmente polverizzata nel più bello, sconcertante, coraggioso finale che una serie televisiva abbia mai potuto vantare.

Rispetto agli eventi narrati nel serial TV, il quarto romanzo della serie di Jeff Lindsay, Dexter by Design (Dexter l’esteta, Il Giallo Mondadori, n. 3023), segue tutt’altra strada.

Dexter si trova a fronteggiare un nuovo serial killer appassionato d’arte e, contemporaneamente, a fare i conti con l’insofferenza di sua sorella Deborah (che nella versione letteraria è al corrente della sua attività di spietato giustiziere). A tutto ciò si somma la difficile convivenza col Passeggero Oscuro, la malefica entità con la quale i rapporti di forza sono notevolmente mutati, in seguito agli eventi del romanzo precedente.


E siamo giunti, così, alla quinta stagione televisiva. Nel corso delle riprese, Michael C. Hall, reduce da una chemioterapia per contrastare un tumore al sistema linfatico, rivelò di aver girato la quarta stagione sotto il pesante effetto dei farmaci, grazie ai quali ha brillantemente superato la fase critica della malattia ormai in via di guarigione.

Va subito detto che si tratta di un prodotto meno convincente del precedente, probabilmente perché paga lo scotto di essere immediatamente successivo a un vero e proprio capolavoro di genere.

Nella prima puntata assistiamo a un Dexter quanto mai sotto pressione, sospettato di essere coinvolto nella drammatica morte che concludeva la passata stagione. Abbandonato dai suoi figliastri, guardato con sospetto dai colleghi, Dexter cadrà in un vortice di depressione e insicurezza che lo condurranno sull’orlo dell’autodistruzione. Riuscirà a trovare nuovi stimoli per portare avanti la sua oscura, doppia esistenza, grazie all’incontro con Lumen Pierce, una ragazza miracolosamente scampata alle grinfie di un gruppo di uomini dai quali ha subito violenze e torture (e che, si scoprirà in seguito, nel corso degli anni hanno perpetrato una vera e propria strage di giovani donne).

L’ispiratore e capo del gruppo di assassini si rivelerà essere tale Jordan Chase, una sorta di leader spirituale di una congrega di adepti invasati e soggiogati dalle sue dottrine “motivazionali”. Sarà lui l’obiettivo su cui si concentreranno i progetti di vendetta da parte di Dexter, che convoglierà, nel rapporto con la giovane protetta, la speranza di poter condividere, con almeno un altro essere umano, la vera natura delle proprie pulsioni omicide (tematica già trattata nelle precedenti stagioni ma qui approfondita in maniera più drammatica e convincente).

Sullo sfondo assistiamo alla convulsa evoluzione dei rapporti interpersonali fra i personaggi di contorno, in particolare fra Deborah Morgan e il detective Joey Quinn e fra il tenente LaGuerta e il detective Angel Batista.

Sul quinto romanzo di Lindsay, Dexter il delicato (Dexter Is Delicious), non dico nulla, visto che lo avete fra le mani e preferirete sicuramente leggerlo. In America è già uscito il sesto capitolo della serie intitolato Double Dexter, che introdurrà nuove sorprese nell’incarnazione letteraria del personaggio e che giungerà presto in Italia edito da Mondadori.

Quanto alla sesta serie televisiva, pareva destinata a essere l’ultima prima che, sulla scorta di uno strepitoso successo di pubblico, il canale Showtime annunciasse, a novembre del 2011, la produzione di ben altre due stagioni per complessivi ventiquattro episodi. Anche in questo caso, sulla sceneggiatura non faccio anticipazioni. Sono certo che, come me, vorrete gustarvi le puntate in italiano che andranno in onda nella primavera del 2012 senza subire inopportune opere di “spoileraggio”.


La saga di Dexter, a tutt’oggi, è un grandissimo successo internazionale. Tra l’altro, la passione dei fan ha dato vita sul sito web ufficiale a una serie animata (prequel del primo romanzo e della prima stagione televisiva) in cui il protagonista, ancora diciannovenne, dà la caccia a un serial killer di bambini. Di recente è stata commercializzata una serie di action figures ed è uscito un videogioco per iPhone e iPod Touch.

Da fan convinto di Dexter, posso solo augurarmi che il lavoro di Jeff Lindsay e quello degli sceneggiatori della serie televisiva continuino a mantenere il livello di eccellenza sin qui dimostrato, regalandoci ancora emozioni e colpi di scena e rendendoci partecipi della vita di questo originale, unico serial killer, che tutti vorremmo avere per amico.

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