Per fortuna in quella parte della città le case crescevano più vicine delle alici in una scatola e Gelsomino non trovò difficoltà a saltare da un tetto all'altro, incoraggiato da Zoppino che avrebbe preferito tetti un pochino più distanti, per poter spiccare qualche balzo di suo gusto. A un tratto, però, a Gelsomino scappò un piede, ed egli cadde su un terrazzino dove un vecchietto stava bagnando i fiori.
— Lei mi scuserà, — esclamò Gelsomino, carezzandosi il ginocchio che aveva battuto, — non avevo nessuna intenzione di cascarle in casa a questo modo.
Non stia a scusarsi, — rispose il vecchietto, gentilmente. — Sono felice che lei mi abbia fatto visita. Piuttosto, si è fatto male? Spero che non ci sia niente di rotto.
Zoppino si sporse dal tetto e miagolò:
— È permesso?
— Oh, un'altra visita, — disse il vecchietto, rallegrandosi, — venga, venga, mi farà tanto piacere.
Il ginocchio di Gelsomino si gonfiava di minuto in minuto.
— Mi dispiace soltanto, — continuò il vecchietto, — di non avere nemmeno una sedia per farvi accomodare.
— Mettiamolo sul letto, — suggerì Zoppino, — sempre se non le dispiace.
— Il guaio è, — disse il vecchietto, rammaricato, — che non possiedo nemmeno un letto. Andrò da un vicino a farmi prestare una poltrona.
— No, no, — disse in fretta Gelsomino, — sto benissimo anche seduto per terra.
— Venite dentro, — propose il vecchietto, — dovrete sedervi sul pavimento, ma intanto vi preparerò un buon caffè.
La stanzetta era piccola ma pulita, con bei mobili lucidi: il tavolo, la credenza, l'armadio. Ma proprio non c'era ombra di sedie o di letti.
— Lei sta sempre in piedi? — domandò Zoppino.
— Per forza, — rispose il vecchietto.
— E non dorme mai?
— Dormo in piedi, qualche volta. Però molto di rado. Non più di un paio d'ore la settimana.
Gelsomino e Zoppino si guardarono come per dire: «Ecco un altro che ce le racconta grosse».
— Se non sono curioso, — domandò ancora Zoppino, — quanti anni ha lei?
— Con precisione non so. Sono nato dieci anni fa, ma debbo avere settantacinque o settantasei anni.
Il vecchietto dovette capire, dalle loro facce, che i suoi ospiti stentavano a credergli. Sospirò e disse:
— Non è una bugia. È una storia incredibile, ma è vera. Se volete, mentre passa il caffè ve la racconto.
— Il mio nome, — cominciò poi, — è Benvenuto. Ma mi chiamano Benvenuto-Mai seduto…
Benvenuto era figlio di un cenciaiolo. Un bambino così vispo non l'aveva veduto mai nessuno. Difatti, non avevano ancora finito di dargli un nome che già Benvenuto saltava fuori delle fasce e correva in giro per la casa. La sera lo mettevano a letto e la mattina lo trovavano con i piedi di fuori e la culla era diventata troppo corta.
— Si vede, — diceva il suo babbo, — che ha fretta di crescere e di aiutare la famiglia.
La sera lo mettevano a letto e la mattina dopo non gli andavano più bene i vestiti, le scarpe erano diventate strette, nelle carnicine non ci entrava più.
— Pazienza, — diceva la sua mamma, — per fortuna in casa di cenciaiolo gli stracci non mancano: gli cucirò un vestito nuovo.
In capo a una settimana Benvenuto era cresciuto tanto che le comari del vicinato dissero che era ora di mandarlo a scuola. La moglie del cenciaiolo lo accompagnò dal maestro, il quale si arrabbiò non poco:
— Ma perché non lo avete portato all'inizio dell'anno scolastico? Siamo quasi a Pasqua, come faccio a prenderlo?
Quando la madre gli ebbe spiegato che Benvenuto aveva soltanto sette giorni, il maestro si arrabbiò ancor di più.
— Sette giorni? Signora mia, io non faccio mica la balia. Tornate fra sei anni e ne riparleremo.
Alla fine però, levò il naso dai suoi registri e vide che Benvenuto era anche più grande degli altri suoi scolaretti. Lo fece mettere all'ultimo banco e prese a spiegare che due più due fanno quattro.
A mezzogiorno suonò la campanella, tutti gli scolari balzarono fuori dei banchi e si misero in fila per uscire. Soltanto Benvenuto non si muoveva.
— Benvenuto, — chiamò il maestro, — vieni a metterti in fila.
— Non posso, signor maestro.
Difatti dalle otto a mezzogiorno era cresciuto così in fretta che il banco gli era diventato stretto. Bisognò chiamare il bidello che lo aiutasse a liberarsi.
La mattina dopo lo misero in un banco più grande, ma quando fu mezzogiorno Benvenuto non potè uscire, perché anche quel banco gli era diventato stretto: pareva un topo in gabbia. Bisognò chiamare un falegname e fargli schiodare il banco.
— Domani prenderemo un banco di quinta, — disse il maestro grattandosi la testa.
Fece portare in classe un banco dei più grandi.
— Come ci stai?
— Ci sto largo, — rispose Benvenuto allegramente.
E per mostrare che ci stava largo davvero entrò e uscì dal banco più volte. Ma ogni volta che ci si metteva seduto faceva più fatica ad uscirne, e quando suonò la campanella di mezzodì anche quel banco era diventato piccolo, e bisognò chiamare un'altra volta il falegname.
Il direttore della scuola e il sindaco cominciarono a protestare:
— Che cosa succede, signor maestro? Forse non sapete più tenere la disciplina? Quest'anno i banchi si rompono come noccioline. Sarà il caso che teniate d'occhio quei marmocchi; il comune non può mica comperare un banco nuovo al giorno.
Il cenciaiolo dovette decidersi ad accompagnare il figliolo dal primo medico della città, al quale narrò le cose per bene.
— Vediamo, vediamo, — disse il medico mettendosi gli occhiali per vedere meglio. Misurò Benvenuto in altezza e in larghezza.
— Adesso, — disse poi, — mettiti seduto.
Benvenuto si accomodò su una sedia, il dottore lasciò passare un minuto e gli ordinò:
— Alzati.
Benvenuto si alzò e il dottore ricominciò a misurarlo quant'era lungo e quant'era largo.
— Hm, — fece pulendosi gli occhiali col fazzoletto per essere proprio sicuro di vederci bene, — rimettiti seduto.
Fece così parecchie volte e finalmente sentenziò:
— È proprio un caso interessante. Questo ragazzo ha una malattia nuovissima, che prima di lui non è mai capitata a nessuno. Questa malattia si manifesta così: che a star seduto il ragazzo invecchia rapidamente. Per lui un minuto è come un giorno. La cura è questa: bisogna che stia sempre in piedi, altrimenti in poche settimane lo vedrete diventare un vecchietto con la barba bianca.
Dopo il verdetto del medico, la vita di Benvenuto cambiò da cima a fondo. A scuola gli fecero un banco speciale, senza sedile, perché non gli venisse nemmeno la tentazione di mettersi seduto. A casa, doveva mangiare in piedi, e guai a lui se cercava di riposarsi appena un momento sulla pietra del camino.
— Attento, vuoi invecchiare prima del tempo?
— Su, su, vuoi che ti vengano i capelli bianchi?
E a letto? Niente letto se non voleva svegliarsi con la barba bianca. Benvenuto dovette imparare a dormire in piedi, come i cavalli. Fu così che le comari del vicinato lo chimarono Benvenuto-Mai seduto. E il soprannome gli restò per tutta la vita.
Un brutto giorno il cenciaiolo padre si ammalò e doveva morire.
— Benvenuto, — egli disse al figliolo, prima di chiudere gli occhi per sempre, — adesso tocca a te, aiuta tua madre che è vecchia e non può lavorare, cercati un lavoro onesto. Già a lavorare non farai fatica: il lavoro ti farà restare giovane, perché non ti lascerà mai tempo per restare seduto.
Il giorno dopo i funerali, Benvenuto andò in cerca di un lavoro, ma tutti gli ridevano in faccia:
— Un lavoro, figlio bello? Ma qui non si gioca mica alle palline o ai birilli: sei troppo piccolo, sei troppo giovane per entrare in fabbrica.
— Un lavoro? Ma ci daranno la multa se ti faremo lavorare: è proibito far lavorare i ragazzi…
Benvenuto non protestava, ma tra sé pensava alla maniera di cavarsela.
Andò a casa, si sedette davanti allo specchio e aspettò.
— Il dottore diceva che a star seduto divento vecchio: vediamo un po' se è vero…
Dopo qualche minuto si accorse che cresceva, perché le scarpe gli andavano strette: le gettò via e stette a contemplarsi i piedi che si allungavano. Quando tornò a fissare lo specchio, sulle prime rimase piuttosto sorpreso.
— Chi sarà mai quel giovanotto con i baffi neri sotto il naso che mi sta guardando? Mi sembra di conoscerlo: ha qualcosa in faccia che mi sembra di avere già visto…
Finalmente comprese e scoppiò a ridere:
— Ma sono io, sono proprio cresciuto in fretta. E adesso mi alzo in piedi perché più vecchio di così mi dispiacerebbe diventare…
Figuratevi la faccia di sua madre quando si vide davanti un giovanottone grande e grosso, con una voce da orco e due baffi da brigadiere di pubblica sicurezza.
— Benvenuto, figlio mio, come sei cambiato!
— Tutto per il meglio, mamma. Vedrete che ora potrò lavorare.
E senza andare a chiedere lavoro a nessuno, fece uscire dalla rimessa il carrettino di suo padre e se ne andò per le strade gridando:
— Cenciaiolooooo! Cencistracciiiiii!
— Ma che bel giovanotto! Di dove venite? — domandavano le comari, chiamate sulle soglie da quella bella voce.
— Benvenuto-Mai seduto! Ma sei proprio tu?
— Sono io, comare. Mi sono addormentato su una sedia e mi sono svegliato con i baffi.
Così Benvenuto cominciò a lavorare. Tutti gli volevano bene. Sempre in piedi, sempre attivo, sempre pronto ad aiutare gli altri, sempre al lavoro, per forza era simpatico. Una volta lo volevano fare anche sindaco:
— Ci vuole un tipo come te, che non si attacca troppo alla poltrona…
Ma Benvenuto non accettò la carica.
Dopo qualche anno gli morì la madre e Benvenuto pensò:
— Adesso sono solo del tutto. Visto che tanto non posso star seduto a far niente, perché sennò divento vecchio, è meglio che me ne vada per il mondo a vedere che cosa c'è di nuovo.
E così fece: prese il suo carrettino e tutti gli stracci che c'erano sopra e se ne andò per il mondo. Poteva camminare giorno e notte senza stancarsi, e vedere un monte di cose e parlare con la gente.
— Siete proprio un giovanotto simpatico, — gli dicevano, — sedetevi a fare due chiacchiere un momento.
— Due chiacchiere si possono fare anche in piedi, — rispondeva Benvenuto.
Va e va, non diventava mai vecchio. Una volta, passando davanti ad una povera casupola vide uno spettacolo che gli strinse il cuore: c'era una donna malata a letto, e attorno a lei una fila di bambini per terra, che facevano a chi strillava più forte.
— Quel giovanotto… — pregò la donna appena lo vide, — se non avete niente da fare, entrate un momento. Io non mi posso muovere per far chetare ì bambini e ogni loro lacrima è per me come una pugnalata al petto.
Benvenuto entrò nella stanza, prese in braccio uno dei bambini, e passeggiando avanti e indietro lo fece addormentare. E così fece per gli altri. Ma l'ultimo, il più piccolo, non si chetava.
— Sedetevi un momento, — disse la donna, — e tenetelo in braccio. Se vi sedete, vedrete che si addormenterà.
Benvenuto andò vicino al camino, dove c'era uno sgabello, sedette, e subito il bambino cessò di piangere. Era proprio un bel bambino, e quando sorrideva la stanza pareva più bella. Benvenuto gli fece mille smorfie per farlo ridere, gli cantò perfino una canzonetta e finalmente il bambino si addormentò.
— Vi ringrazio di tutto cuore, — disse la donna, — se non capitavate voi, ero così disperata che avevo deciso di ammazzarmi.
— Non ditelo neanche per scherzo, — fece Benvenuto.
Mentre stava per andarsene lo sguardo gli cadde su uno specchio che stava sopra la mensola del camino, e nello specchio vide che gli era spuntato un capello bianco.
«Mi ero dimenticato che a star seduto divento vecchio», — pensò Benvenuto. Ma poi scrollò le spalle, diede un'occhiata ai bambini che dormivano e se ne andò per la sua strada.
Un'altra volta, di notte, mentre passava per la stradina di un villaggio, vide dietro una finestra una lampada accesa. C'era una ragazza seduta presso una macchina da tessere la lana, e mentre lavorava sospirava e si lamentava.
— Che cosa avete? — le domandò Benvenuto.
— Ho che sono tre notti che non dormo. Debbo finire questo lavoro per domani: se non lo finisco non sarò pagata e la mia famiglia patirà la fame. Eppoi forse mi porteranno via la macchina. Chissà quanto pagherei per dormire una mezz'oretta.
«Una mezz'oretta sono trenta minuti soli, — riflette Benvenuto, — posso sedermi per trenta minuti a quella macchina».
— Sentite, — disse poi ad alta voce, — andate a dormire, lavorerò al posto vostro: ho proprio voglia di provare quella macchina, così bella e precisa; fra una mezz'oretta poi vi richiamerò.
La ragazza si sdraiò su una panchetta e si addormentò subito come un gattino. Benvenuto cominciò a lavorare al suo posto e non ebbe mai il coraggio di svegliarla, perché ogni volta che le si avvicinava gli pareva che stesse sognando chissà quali belle cose.
Venne l'alba, spuntò il sole e svegliò la ragazza.
— Mi avete lasciato dormire tutta la notte.
— Niente, niente, mi sono divertito.
— E vi siete anche impolverato la testa.
«Chissà di quanti anni sono diventato vecchio?», — si domandò Benvenuto. Ma non provò nessun dispiacere, perché aveva finito il lavoro della ragazza ed essa aveva la faccia più felice e serena di questo mondo.
Un'altra volta ancora Benvenuto trovò un povero vecchio che stava per morire.
— Mi dispiace, — diceva il vecchio sospirando, — mi dispiace di dover morire senza avere potuto fare una bella partita a carte. Tutti i miei amici sono morti prima di me.
— Se è soltanto per questo, — disse Benvenuto, — a briscola so giocare anch'io.
Cominciarono a giocare e Benvenuto stava in piedi, ma il vecchio lo sgridò:
— Tu resti in piedi e mi guardi le carte! Vuoi vincere per forza! Te ne approfitti perché sono un povero vecchio!
Benvenuto cascò a sedere su una sedia e ci stette fino alla fine della partita. Era così confuso che sbagliò le carte, e il vecchio vinse la partita, e si fregava le mani come un monello che è andato a rubare le pere e l'ha fatta franca.
— Un'altra partita! — propose allegramente.
Benvenuto avrebbe voluto alzarsi da quella sedia che gli rubava i giorni e i mesi, e forse gli anni. Ma non voleva dare un dispiacere al povero vecchio. Restò a sedere, perse una seconda partita, e poi una terza. Il vecchio dalla gioia pareva ringiovanito.
— I suoi anni me li sono presi io, — mormorò Benvenuto, | guardandosi nello specchio che stava nella stanza del vecchio: i capelli erano come se ci fosse caduta sopra la grandine. — Pazienza: chissà da quanto tempo sognava di vincere una mano46 a briscola.
Così, ogni volta che per aiutare qualcuno gli capitava di sedersi, al nostro Benvenuto crescevano i capelli bianchi, e poi la sua schiena cominciò a piegarsi come fanno gli alberi quando soffia il vento, e gli occhi non ci vedevano più come prima.
Benvenuto-Mai seduto diventava vecchio anche lui, e alla fine non ebbe più un capello scuro e quelli che conoscevano la sua storia gli dicevano:
— Bel guadagno hai avuto, a far del bene! Se pensavi solo per te, a quest'ora saresti ancora un giovanotto arzillo come un passero.
Benvenuto-Mai seduto non dava retta a questi discorsi. Ogni capello bianco gli ricordava una bella azione: perché mai avrebbe dovuto pentirsene?
— Potevi tenerti la tua vita, invece di darne un po' a tutti… — gli dicevano le comari.
Ma Benvenuto crollava il capo sorridendo e pensava che per ogni capello bianco si era fatto un amico: migliala e migliala sparsi su tutta la terra. Avete tanti amici voi? Vi piacerebbe averne tanti così?
Di viaggiare, poi, non era mai stanco, anche se adesso doveva appoggiarsi al bastone e fermarsi spesso a prendere fiato. E così viaggiando era capitato nel paese dei bugiardi, dove si guadagnava la vita facendo il cenciaiolo, come suo padre.
— Ma fra tanti paesi, — protestò Zoppino a questo punto del racconto, — non potevate sceglierne uno migliore di questo per fermarvi?
Benvenuto-Mai seduto sorrise:
— È proprio qui che la gente ha bisogno di aiuto. Questo è certamente il paese più infelice della terra, dunque è il posto che fa per me.
— Ecco! — esclamò Gelsomino, che aveva ascoltato le parole del vecchio con le lacrime agli occhi. — Ecco la strada giusta. Adesso capisco che cosa avrei dovuto fare della mia voce, invece di andarmene attorno per il mondo a far disastri. Avrei dovuto adoperarla per far del bene al mio prossimo.
— Ti sarebbe stato difficile, — osservò Zoppino. — Per esempio, se ti ci fossi messo tu a cantare la ninna-nanna ai bambini avresti impedito loro di dormire.
— Il bene si può fare anche svegliando la gente che dorme, qualche volta, — disse dolcemente Benvenuto.
— Risolverò questa questione, — concluse Gelsomino, battendo un pugno per terra.
— Per intanto, — disse Zoppino, — dovrai curarti il ginocchio.
Il ginocchio, infatti, era sempre più gonfio, e Gelsomino non poteva più camminare né star ritto. Fu deciso che sarebbe rimasto a casa di Benvenuto fino alla guarigione. Benvenuto, che non dormiva quasi mai, poteva vegliare sul suo sonno, e impedirgli di mettersi a cantare, cosa che avrebbe fatto accorrere nuovamente le guardie.