Dopo colazione attraversarono la strada per osservare il cubo. L’erba era ancora rorida di rugiada. Jurgens li aveva svegliati alla prima luce dell’alba e aveva preparato la crema d’avena e il caffè.
Nella luce obliqua del mattino il cubo non era celeste com’era apparso nel pieno chiarore del giorno. Aveva un aspetto opalescente, delicato e fragile.
— Ora sembra di porcellana — disse Sandra. — Certe volte lo sembrava, quando l’abbiamo visto la prima volta, ma adesso è impossibile sbagliare. Dev’essere porcellana.
Il reverendo raccattò un sasso grosso come un pugno e lo scagliò contro il cubo. Il sasso rimbalzò.
— Non è porcellana — disse il reverendo.
— Che razza di sistema per scoprirlo — disse Lansing. — Il cubo potrebbe ricordare che ha tirato il sasso.
— Parla come se fosse vivo — disse Mary.
— Non giurerei che non lo è.
— Stiamo perdendo tempo, restando qui a parlare — disse il reverendo. — Sono una creazione del male, ma tutti voi siete decisi a indagare, allora indaghiamo. Prima la finiremo, e prima potremo occuparci di qualcosa d’altro.
— È giusto — disse il generale di brigata. — Torniamo al boschetto e tagliamo qualche ramo. Li useremo per sondare l’area, prima di avanzare.
Lansing non andò con il generale e il reverendo. Rimase con Jurgens, che stava provando la gruccia. Il robot era molto impacciato; ma dopo un po’ di tempo, si disse Lansing, avrebbe imparato a destreggiarsi. Cadde due volte e Lansing l’aiutò a rialzarsi.
— Mi lasci stare — gli disse alla fine Jurgens. — Mi mette in agitazione, standomi intorno così, pronto a darmi una mano. Le sono grato per la sollecitudine, ma devo arrangiarmi a modo mio. Se cado, ce la farò ad alzarmi da solo.
— D’accordo, amico — disse Lansing. — Molto probabilmente hai ragione.
Lasciò Jurgens e incominciò a girare intorno al cubo, lentamente, costeggiando la fascia di sabbia. Studiò con attenzione i muri, sperando di scorgere nella superficie qualche commessura, qualche discontinuità significativa. Ma non vide nulla. I muri si ergevano levigati, senza la minima frattura. Sembrava che il materiale fosse tutto d’un pezzo.
Ogni tanto lanciava un’occhiata furtiva a Jurgens. Il robot non se la cavava troppo bene, ma ci metteva molto impegno. Una volta cadde, si servì della gruccia per rialzarsi, e continuò a camminare. Gli altri non si vedevano. Il generale di brigata e il reverendo erano accanto al fuoco a tagliare le pertiche; a volte Lansing sentiva il suono delle lame sul legno. Mary e Sandra, probabilmente, erano dall’altra parte del cubo.
Si fermò a guardarlo, con mille interrogativi che gli turbinavano nella mente. Poteva essere uno spazio per vivere, una casa abitata da una famiglia d’esseri sconosciuti? E adesso erano là dentro, a farsi gli affari loro, e a volte guardavano dalle finestre (le finestre?) per osservare gli strani bipedi frastornati che giravano intorno alla loro dimora? Oppure era un magazzino di conoscenza, una biblioteca, un tesoro di nozioni e di pensieri completamente alieni alla mente umana, anche se forse non alieni in se stessi, le nozioni e i pensieri di un altro ramo della razza umana, di molti millenni più avanzata del mondo che lui aveva conosciuto. Era possibile, si disse. La sera prima lui e Jurgens ne avevano parlato, avevano parlato del divario di tempo che poteva esistere nei mondi alternativi. Da quel che gli aveva detto Jurgens, appariva evidente che il tempo del robot era situato molti millenni più avanti, nel futuro, rispetto alla Terra di Lansing. O forse il cubo era una struttura al di fuori del tempo, intravvista vagamente attraverso il velo nebuloso di un altro tempo e di un altro spazio? Era un’idea che non sembrava molto sensata, poiché il cubo era visibile chiaramente. Era lì, solido e concreto per quanto era possibile desiderare.
Lansing continuò a girare lentamente intorno al cubo. Adesso che il sole s’era alzato, era una bellissima giornata. La rugiada era evaporata, e il cielo era alto e azzurro, senza un ricciolo di nuvole che ne deturpasse la profondità. Il generale di brigata e il reverendo avanzarono verso la strada. Ognuno di loro brandiva una lunga pertica, un arboscello sfrondato. Attraversarono la strada e gli si avvicinarono.
— Ha fatto il giro? — chiese il generale di brigata. — Tutto intorno?
— Sì — rispose Lansing. — Ed è così dappertutto. Non c’è nulla. Nulla, assolutamente.
— Forse, avvicinandosi — disse il reverendo, — è possibile vedere qualcosa che da qui non si scorge. È sempre megliio vedere le cose da vicino.
Lansing annuì. — Questo è vero, — disse.
— Perché non va a tagliarsi una pertica? — chiese il generale di brigata. — Lavorando in tre, l’esplorazione procederà più rapidamente.
— Non credo che lo farò — disse Lansing. — Secondo me, è tutto tempo sprecato.
I due lo fissarono per un momento, poi distolsero gli sguardi. Il generale di brigata disse al reverendo: — Organizziamoci così. Incominciamo a tre metri e mezzo di distanza l’uno dall’altro e battiamo il terreno tutto intorno a noi, sondando con le pertiche in modo che, se c’è qualcosa, attacchi i pali e non noi.
Il reverendo annuì con aria saputa. — L’avevo in mente anch’io.
Si mossero. Il generale di brigata disse: — Procederemo verso il muro e, quando ci saremo avvicinati, ci separeremo. Lei andrà a sinistra e io a destra. Continueremo con prudenza, fino a incontrarci di nuovo.
Il reverendo non rispose. Proseguirono, avanzando lentamente verso il muro e sondando con le pertiche.
E se, pensò Lansing, la cosa o le cose nascoste entro il cerchio di sabbia erano programmate o adddestrate per aggredire un essere vivente che invadeva il loro dominio, e niente altro? Ma non disse nulla, e si avviò lungo la strada, in cerca di Mary e Sandra. Le scorse poco più avanti: stavano girando intorno al cubo tenendosi a distanza di sicurezza dal cerchio di sabbia.
Un grido, alle sue spalle, lo fece voltare di scatto. Il generale di brigata stava correndo al galoppo attraverso la sabbia, in direzione della strada. La pertica che stringeva in mano era tranciata a metà. Era stata spezzata nettamente, e l’altro pezzo giaceva sulla sabbia alla base del muro. Il reverendo era immobile, come pietrificato, contro il muro, e girava la testa per guardare il generale in fuga. A destra del generale qualcosa guizzò emergendo dalla sabbia, così rapido che era impossibile vedere che cosa fosse, e l’altra metà della mezza pertica che il generale stringeva in mano volò nell’aria, stroncata di colpo. Il generale di brigata lanciò un urlo di terrore e gettò via l’ultimo troncone di pertica. Con un lungo balzo, superò gli ultimi metri di sabbia e piombò sulla superficie erbosa, tra la sabbia e la strada.
Mary e Sandra accorsero per raggiungerlo, mentre il reverendo, paralizzato, restava rigido accanto al muro.
Il generale di brigata si rimise in piedi e si spolverò la tunica. Poi, come se avesse dimenticato l’accaduto, assunse quella solita aria di impettita solennità militare, attenuata da una regale noncuranza, che era il suo atteggiamento abituale.
— Mie care — disse alle due donne mentre si fermavano davanti a lui, — posso dire che là c’è una forza in agguato.
Si voltò e chiamò il reverendo, a gran voce, con un tuono da parata militare.
— Torni indietro — gridò. — Si volti e torni indietro lentamente, continuando a sondare. E stia attento a seguire lo stesso percorso che ha fatto all’andata.
— Ho notato — disse Lansing — che non è stato altrettanto meticoloso nel seguire il suo percorso precedente. Per così dire, si è lanciato su un terreno nuovo.
Il generale di brigata l’ignorò.
Più avanti, sulla strada, Jurgens s’era girato e stava tornando indietro. Si destreggiava un po’ meglio con la gruccia: aveva imparato a muovere la gamba irrigidita, ma camminava ancora lentamente.
Il generale di brigata chiese a Lansing: — Ha visto quel maledetto coso, quando ha attaccato la seconda volta?
— No, non l’ho visto — rispose Lansing. — È stato fulmineo. Troppo veloce per poterlo vedere.
Il reverendo era ritornato indietro lungo il muro e si stava avviando lungo il percorso che aveva compiuto nell’avvicinarsi: usava con impegno la pertica per sondare ogni spanna del terreno.
— Un uomo in gamba — disse il generale di brigata in tono d’approvazione. — Esegue bene gli ordini.
Rimasero a guardare il reverendo che procedeva lentamente.
Jurgens li raggiunse e si fermò accanto a loro. Il reverendo arrivò alla strada. Senza cercare di nascondere il sollievo, gettò via la pertica e si accostò.
— E adesso che abbiamo finito — disse il generale di brigata, — dovremmo tornare all’accampamento e riorganizzarci meglio che possiamo.
— Non si tratta di riorganizzarci — disse il reverendo. — Si tratta di andarcene. Questo posto è pericoloso. Ben difeso, come lei ha scoperto a sue spese — disse, lanciando un’occhiata al generale di brigata. — Penso che dobbiamo andar via. Non ho nessuna intenzione di fermarmi. Propongo di proseguire immediatamente verso la città, e vedere che cosa ci troveremo. Un’accoglienza migliore, mi auguro, di quella che abbiamo ricevuto qui.
— La penso più o meno come lei — disse il generale di brigata. — Non vedo cosa potremmo ricavare restando qui.
— Ma il fatto che sia così ben difeso — disse Mary, — dimostra che c’è qualcosa di prezioso. Non sono sicura che dovremmo andarcene.
— Magari, più tardi — disse il generale di brigata, — potremo tornare, se sarà necessario. Prima dovremo vedere la città.
Il generale e il reverendo s’incamminarono verso l’accampamento. Sandra li seguì.
Mary si accostò a Lansing. — Io credo che sbaglino — disse. — Credo che qui ci sia qualcosa… forse ciò che dovremmo trovare.
— Il guaio — disse Lansing, — è che non sappiamo cosa c’è da trovare, e non sappiamo neppure se dobbiamo cercare qualcosa. Devo ammettere che la faccenda mi preoccupa.
— In quanto a questo, sono preoccupata anch’io.
Jurgens li raggiunse, zoppicando.
— Come va? — chiese Lansing.
— Abbastanza bene — rispose il robot. — Ma sono ancora lento. Non so se, con questa gruccia, potrò ritrovare la velocità e la destrezza di una volta.
— Io non ho la stessa fiducia nella città che ha il generale — disse Mary. — Ammettendo che la città esista.
— Non si può mai sapere — disse Jurgens. — Dobbiamo aspettare e vedere come vanno le cose.
— Torniamo al campo — disse Lansing, — e prepariamo il caffè. Possiamo parlarne. Per quel che mi riguarda, credo che il cubo sia piuttosto promettente. Se riflettiamo bene, potremo scoprire un indizio che al momento è invisibile, o che nessuno di noi ha notato. Così come lo vediamo ora, non ha un significato. È fuori posto. Non è il tipo di struttura che ci si potrebbe aspettare di trovare qui, così isolata. Tuttavia, deve avere una ragione. Come lei, Mary, mi sentirei meglio se riuscissimo a farci un’idea dello scopo della sua esistenza.
— È vero — disse Mary. — Detesto le situazioni che non hanno un significato.
— Allora torniamo al campo e parliamone con gli altri — disse Lansing.
Quando arrivarono all’accampamento, scoprirono che gli altri avevano già deciso.
— Ci siamo consultati — disse il generale di brigata. — Noi tre. Abbiamo stabilito di proseguire verso la città con la massima rapidità possibile. Il robot ci farebbe rallentare, quindi riteniamo che sia meglio abbandonarlo e lasciare che prosegua come può. A suo tempo finirà per raggiungerlo.
— È una mascalzonata — disse Mary. — Avete lasciato che portasse uno zaino carico, soprattutto di viveri… viveri per voi, non per lui, dato che non ne ha bisogno. Avete lasciato che sbrigasse tutti i lavori. L’avete mandato a riempire d’acqua le borracce, quando lui non beve. L’avete accettato, forse non come uno di noi ma come un servitore, e adesso che è danneggiato proponete di abbandonarlo.
— Non è altro che un robot — disse il reverendo. — Non è un umano, ma soltanto una macchina.
— Eppure è stato considerato degno di partecipare a questa avventura — disse Mary. — Qualunque possa essere. E non c’è bisogno che sia io a ricordarvi che è stato prescelto, come siamo stati prescelti noi, da qualcuno che pensava che dovesse stare con noi.
— E lei, Lansing? — chiese il generale di brigata. — Finora non ha aperto bocca. Il suo parere?
— Io resto con Jurgens — disse Lansing. — Mi rifiuto di abbandonarlo. Se fossi io l’invalido, quello che non è in grado di starvi dietro, Jurgens resterebbe con me. Ne sono certo.
— Anch’io — disse Mary. — Resto con il robot. Voi vi siete lasciati vincere dal panico, a meno che siate stupidi. In un territorio come questo non dovremmo dividere le nostre forze. Perché avete tanta fretta di raggiungere la città?
— Perché qui non c’è niente — disse il generale di brigata. — E in città potremo trovare qualcosa.
— E allora andate, andate pure a cercarla — disse Mary. — Io ed Edward resteremo con Jurgens.
Jurgens disse: — Mia bella signora, non voglio diventare la causa di una controversia…
— Tu stai zitto — disse Lansing. — La decisione spetta a noi. Tu non hai voce in capitolo.
— Allora penso che non ci sia altro da aggiungere — disse il generale di brigata. — Noi tre proseguiremo e voi due ci seguite più lentamente con il robot.
— Come, Sandra? — chiese Mary. — Sei d’accordo con questi due?
— Non mi sembra che ci siano ragioni per rimanere con voi — disse Sandra. — Come dicono loro, qui non c’è niente. Soltanto la bellezza del cubo e…
— Non possiamo esserne sicuri — disse il reverendo. — Ne abbiamo discusso. E adesso che tutto è sistemato, dovremmo distribuire i viveri che portava il robot.
Si avvicinò d’un passo allo zaino di Jurgens, ma Lansing gli si parò davanti.
— Un momento — disse. — Lo zaino appartiene a Jurgens, e quindi resta con noi.
— Ma va diviso in parti eguali!
Lansing scrollò la testa. — Se ci abbandonate, arrangiatevi con i viveri che avete. Niente di più.
Il generale di brigata si fece avanti con un ringhio. — Che cosa spera di guadagnarci? — chiese.
— La certezza che ci aspetterete in città. Che non scapperete via. Se vorrete mangiare, ci aspetterete.
— Sa bene che possiamo prenderlo con la forza.
— Non ne sono del tutto sicuro — disse Lansing. — Non ho mai picchiato un uomo in vita mia; ma se mi costringerete, farò a pugni con tutti e due.
Jurgens si avvicinò zoppicando e si piazzò a fianco di Lansing. — Anch’io non ho mai picchiato un umano — disse. — Ma se aggredite il mio amico, lo difenderò.
Mary si rivolse al generale di brigata. — Credo che farebbe meglio a ripiegare. Immagino che un robot sia un cliente difficile.
Il generale di brigata sembrò sul punto di dire qualcosa, poi evidentemente cambiò idea. Si avvicinò al suo zaino e se lo issò su una spalla, infilò le braccia nelle cinghie e se l’assestò sul dorso.
— Venite — disse agli altri due. — Dobbiamo metterci in cammino.
Gli altri tre rimasero a seguirli con lo sguardo fino a quando la strada superò un dosso e li nascose alla loro vista.