Cinque persone, quattro uomini e una donna, erano seduti intorno a un massiccio tavolo di quercia, davanti al camino acceso. Quando Lansing entrò dalla porta e la richiuse, tutti girarono la testa per guardarlo. Un uomo molto grasso si puntellò, si alzò dalla sedia e gli venne incontro.
— Professor Lansing, siamo lieti che sia arrivato — gli disse. — Eravamo in pensiero per lei. Ne manca ancora una. Speriamo che non le sia successo niente.
— Un’altra? Sapevate che sarei venuto?
— Oh, sì, da qualche ora. L’ho saputo quando è partito.
— Non riesco a capire — disse Lansing. — Nessuno poteva saperlo.
— Io sono l’oste — disse il grassone. — Gestisco meglio che posso questa modesta locanda, per comodità di quelli che viaggiano da queste parti. Prego, signore, venga accanto al fuoco a riscaldarsi. Il generale di brigata, sono sicuro, le cederà la sedia vicina al camino.
— Con piacere — disse il generale di brigata. — Mi sono addirittura un po’ strinato, a stare seduto così vicino alle fiamme.
Si alzò. Era un uomo massiccio, maestoso. Quando si mosse, la luce del fuoco scintillò sulle medaglie appuntate sul petto.
Lansing mormorò: — La ringrazio, signore.
Ma prima che potesse sedersi, la porta si aprì e una donna entrò nella locanda.
L’oste avanzò di un passo o due per accoglierla.
— Mary Owen — le disse. — Lei è Mary Owen? Siamo molto lieti che sia arrivata.
— Sì, sono Mary Owen — disse la donna. — E sono ancora più lieta d’essere arrivata di quanto lei lo sia di avermi qui. Ma sa dirmi dove mi trovo?
— Certamente — disse l’Oste. — Questo è il Cockadoodle Inn.
— Che nome strano, per una locanda — disse Mary Owen.
— Non saprei — disse l’Oste. — Non sono stato io a chiamarla così. Aveva già questo nome quando sono venuto qui. Come può osservare, è antica. A suo tempo ha ospitato molti illustri personaggi.
— Che posto è? — Chiese Mary Owen. — Voglio dire, questo paese. Che cos’è… che nazione? Che provincia, che paese?
— Questo non posso dirglielo — rispose l’Oste. — Non ho mai sentito che abbia un nome.
— E io non ho mai sentito una cosa simile — disse Mary. — Un uomo che non sa dove vive.
— Signora — disse l’uomo tutto vestito di nero che stava accanto al generale di brigata, — per la verità è tutto molto strano. L’Oste non sta cercando di farsi beffe di lei. Anche a noi ha detto la stessa cosa.
— Venga avanti, venga — insistette l’Oste. — Si avvicini al fuoco. I signori che sono qui già da un po’ e si sono scaldati lasceranno posto a lei e al professor Lansing. E ora che ci siete tutti, andrò in cucina a vedere a che punto è la cena.
Uscì, frettolosamente, e Mary Owen si avvicinò e si fermò accanto a Lansing.
— L’ha chiamata professore? — chiese.
— Sì, mi pare di sì. Avrei preferito che non lo facesse. Raramente mi chiamano professore. Persino i miei studenti…
— Ma lo è, vero?
— Sì. Insegno al Langmore College.
— Non l’ho mai sentito nominare.
— È un piccolo college del New England.
Il generale di brigata li chiamò. — Ecco qui due sedie accanto al fuoco. Io e il reverendo le abbiamo occupate anche troppo a lungo.
— Grazie, generale — disse Mary.
L’uomo che era rimasto seduto in silenzio di fronte al generale di brigata e al reverendo si alzò e toccò gentilmente il braccio di Lansing.
— Come può vedere — disse, — io non sono umano. Si offenderebbe se le dessi il mio benvenuto nel nostro piccolo gruppo?
— Ma no… — Disse Lansing, poi s’interruppe e fissò lo sconosciuto. — È un…
— Sono un robot, Mr. Lansing. Non ne aveva mai visti?
— No. Mai.
— Oh, certo, non siamo molti — disse il robot. — E non siamo su tutti i mondi. Mi chiamo Jurgens.
— Scusami se non ti avevo notato prima — disse Lansing. — Nonostante il fuoco acceso, qui è piuttosto buio, e poi sono successe tante cose.
— Mr. Lansing, per caso lei non è un eccentrico?
— Non credo, Jurgens. Non ci ho mai pensato. Perché me lo domandi?
— Ho un hobby — disse il robot. — Faccio collezione di eccentrici. Ne ho uno che crede d’essere Dio, tutte le volte che si ubriaca.
— Allora puoi escludermi — disse Lansing. — Sobrio o sbronzo, non mi credo mai Dio.
— Ah — disse Jurgens — ma quello è soltanto uno degli aspetti che può assumere l’eccentricità. Ce ne sono molti altri.
— Non ne ho il minimo dubbio — disse Lansing.
Il generale di brigata si addossò il compito di presentare tutti gli altri. — Io sono Everett Darnley — disse. — Generale di brigata del Settore Diciassette. Il signore accanto a me è il reverendo Ezra Hatfield, e la signora seduta al tavolo è la poetessa Sandra Carver. Quello in piedi a fianco di Mr. Lansing è il robot Jurgens. E ora che ci conosciamo tuti, sediamoci e beviamo un po’ della gradevole bevanda che ci è stata servita. Noi tre umani l’abbiamo assaggiata, ed è piuttosto buona.
Lansing girò intorno alla tavola e sedette accanto a Mary Owen. La tavola, notò, era di quercia massiccia e di lavorazione rustica. Sopra c’erano tre candele accese, tre bottiglie e un vassoio con i bicchieri. Per la prima volta si accorse che nella stanza c’erano altri. A un tavolo d’angolo, quattro uomini giocavano a carte.
Il generale di brigata prese due boccali e li riempì, versando da una bottiglia. Passò un boccale a Mary e fece scivolar l’altro verso Lansing, attraverso la tavola.
— Spero che la cena in preparazione — disse, — sia gradevole quanto le bevande.
Lansing assaggiò. Il liquido gli scese piacevolmente nello stomaco e irradiò un calore amabile. Si assestò meglio sulla sedia e bevve una sorsata più lunga.
— Prima del vostro arrivo — disse il generale di brigata a Mary e a Lansing, — ci stavamo domandando se quando fossero venuti gli altri due, cioè voi, avrebbero avuto un’idea di quello che sta succedendo. Da ciò che ha detto, Miss Owen, è evidente che non ce l’ha. E lei, Lansing?
— Assolutamente no — disse Lansing.
— Il nostro oste sostiene di non sapere nulla — disse il reverendo, in tono stizzito. — Dice che si limita a gestire la locanda e che non fa mai domande. Soprattutto, immagino, perché non c’è nessuno cui rivolgerle. Secondo me, mente.
— Lo giudica troppo in fretta e troppo duramente — disse la poetessa, Sandra Carver. — Ha una faccia aperta e onesta.
— Sembra un porco — disse il reverendo. — E permette che sotto il suo tetto avvengano cose abominevoli. Quegli uomini giocano a carte…
— Eppure lei ha bevuto allegramente — disse il generale di brigata. — Un boccale per ogni boccale che ho bevuto io.
— Bere non è un peccato — disse il reverendo. — La Bibbia afferma che un po’ di vino fa bene allo stomaco…
— Amico — disse il generale. — Questa roba non è vino.
— Forse, se ci calmassimo un po’ e confrontassimo quello che ognuno di noi sa della situazione — disse Mary, — potremmo arrivare a capire qualcosa. Chi siamo, esattamente, e come siamo arrivati qui, e che cosa pensiamo in proposito.
— È la prima frase sensata che sia stata detta qui dentro — dichiarò il reverendo. — Qualcuno ha obiezioni a dire chi è?
— Io no — disse Sandra Carver, a voce così bassa che gli altri furono costretti ad ascoltare con grande attenzione per afferrare le sue parole. — Io sono una poetessa riconosciuta dell’Accademia dell’Antica Atene e parlo quattordici lingue, anche se scrivo e canto in una sola… uno dei dialetti della Vecchia Gallia, la lingua più espressiva che esista al mondo. Non ho capito con precisione come sono finita qui. Stavo assistendo a un concerto, una composizione nuova di un’orchestra venuta dalla Terra Oltre il Mare Occidentale, e in tutta la mia vita non avevo mai ascoltato nulla di più poderoso e travolgente. Mi è parso che mi astraesse dal corpo fisico e slanciasse il mio spirito altrove, e quando sono ridiscesa nel mio corpo, io, il mio spirito e il mio corpo eravamo in un luogo diversi, un luogo pastorale di indicibile bellezza. C’era un sentiero, l’ho seguito e…
— In che anno? — chiese il reverendo. — In che anno, prego?
— Non capisco la sua domanda, reverendo.
— Che anno era? Secondo la sua misura del tempo.
— Il sessantotto del Terzo Rinascimento.
— No, no, non intendevo questo. Anno Domini… l’anno di Nostro Signore.
— Di quale Signore parla? Nel mio tempo ci sono moltissimi Signori.
— Quanti anni dopo la nascita di Gesù?
— Gesù?
— Sì, il Cristo.
— Mi scusi, ma non ho mai sentito parlare di Gesù o del Cristo.
Il reverendo sembrava sull’orlo di un colpo apoplettico. Diventò rosso in viso e si allentò il colletto, come se cercasse di respirare meglio. Tentò di parlare e non ci riuscì.
— Mi dispiace se l’ho sconvolta — disse la poetessa. — Non l’ho fatto apposta. Non volevo offenderla.
— Non importa, mia cara — disse il generale di brigata. — Il nostro amico reverendo è stato colpito da uno shock culturale. Può darsi che non sarà il solo, prima che finisca questa storia. Incomincio a farmi una vaga idea della situazione in cui ci troviamo. Per me è assolutamente incredibile, ma può darsi che via via che andremo avanti diventi credibile, anche se ho la sensazione che molti di noi se ne renderanno conto con grande fatica.
— Lei sta dicendo — fece Lansing, — che forse noi tutti veniamo da culture diverse e forse da mondi diversi… anche se non sono molto sicuro, per quel che riguarda i mondi. — Era stupito di ciò che diceva, e ripensava a quando, poche ore prima, Andy Spaulding, lanciato in una delle sue speculazioni oziose e senza molta convinzione, aveva discusso i mondi alternativi… anche se, questo lo ricordava, lui non aveva ascoltato.
— Ma parliamo tutti l’inglese — disse Mary Owen. — O almeno, siamo in grado di parlarlo. Quante lingue ha detto che conosce, Sandra?
— Quattordici — rispose la poetessa. — Ma alcune le parlo piuttosto male.
— Lansing ha espresso una buona nozione preliminare, a proposito di quello che può esserci accaduto. — Disse il generale. — Mi congratulo con lei signore, per l’acutezza della sua percezione. Forse le cose non stanno esattamente come dice, ma può darsi che si sia avvicinato molto alla verità. In quanto al fatto che parliamo inglese, continuiamo con qualche ipotesi. Siamo un piccolo gruppo, e tutti parliamo inglese. Non potrebbero esistere altri gruppi? Gruppi francesi, latini, greci spagnoli… piccoli gruppi di persone che possono andare d’accordo perché parlano la stessa lingua?
Il reverendo gridò: — Queste sono pure e semplici ipotesi! È una pazzia suggerire e persino immaginare un concetto come quello che a quanto pare state esponendo voi due. È contrario a tutto quello che si sa del Cielo e della Terra.
— La conoscenza che abbiamo del Cielo e della Terra — ribatté in tono secco il generale di brigata, — è ben poca cosa in confronto alla verità totale. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte al fatto che siamo qui, e senza dubbio il fatto che ci siamo e il modo in cui siamo arrivati non quadrano con le conoscenze che possediamo.
— Io credo che quello che ci ha detto Mr. Lansing… — Cominciò Mary. — Lansing, qual è il suo nome di battesimo? Non possiamo continuare a chiamarla per cognome.
— Edward.
— Grazie. Credo che il suggerimento di Edward sia un po’ romantico, o addirittura visionario. Ma se vogliamo conoscere dove siamo e la ragione per cui ci siamo, mi sembra che saremo costretti a orientare i nostri pensieri in una direzione nuova. Io sono ingegnere, e vivo in una società altamente tecnologica. Ogni pensiero che si proietta al di fuori del conosciuto e delle teorie più solide mi dà ai nervi. Non c’è nulla, in tutte le metodologie cui posso attingere, che offra una spiegazione. Forse tra voi c’è qualcuno che dispone di una base più concreta per spiegare come sono andate le cose. Il nostro amico robot, per esempio?
— Anch’io ho una preparazione tecnica — disse Jurgens. — Ma non conosco nessuna metodologia che…
— Perché lo chiede a lui? — urlò il reverendo. — Lo chiama robot, ed è una parola che esce facilmente dalle labbra, ma quando si arriva al dunque non è altro che una macchina, un congegno meccanico.
— Adesso esagera — disse il generale di brigata. — Si dà il caso che io viva in un mondo dove i congegni meccanici combattono una guerra da anni, e la combattono bene e con intelligenza, con un’immaginazione, anzi, che a volte supera quella degli umani.
— È orribile — disse la poetessa.
— Intende dire, suppongo — disse il generale di brigata, — che la guerra è orribile.
— Non lo è, forse?
— La guerra è una funzione umana naturale — rispose il generale di brigata. — Nella nostra specie c’è un istinto aggressivo, competitivo che reagisce al conflitto. Se non fosse così, non ci sarebbero state tante guerre.
— Ma le sofferenze umane? Le angosce? Le speranze annientate?
— Nei miei tempi è diventata un gioco — disse il generale di brigata. — Come lo era per molte tribù umane primitive. Gli indiani del Continente Occidentale la consideravano un gioco. Un giovane non diventava uomo fino a che non aveva conseguito la sua prima vittoria. Tutto ciò che esiste di nobile e di virile nasce dalla guerra. In passato, senza dubbio, vi furono tempi in cui l’eccesso di zelo portò alcune delle conseguenze che lei ha citato. Ma oggi viene versato pochissimo sangue. La guerra è diventata una specie di partita a scacchi, per noi.
— E usate i robot — disse Jurgens.
— Non li chiamiamo robot.
— Forse no. Mezzi meccanici. Mezzi meccanici che hanno un’identità personale e la capacità di pensare.
— Appunto. Ben costruiti e magnificamente addestrati. Ci aiutano a preparare i piani, oltre a combattere. Nel mio stato maggiore c’erano parecchi mezzi meccanici. Sotto molti punti di vista, a volte hanno una comprensione di una situazione militare superiore alla mia.
— E il campo di battaglia è sparso di mezzi meccanici?
— Sì, naturalmente. Noi recuperiamo tutti quelli che possiamo.
— E li riparate e poi li mandate di nuovo a combattere?
— Ma certo — rispose il generale di brigata. — In guerra bisogna conservare gelosamente le risorse di cui si dispone.
— Generale — disse Jurgens, — non credo che mi piacerebbe vivere in un mondo come il suo.
— E il tuo, com’è? Se non vorresti vivere in un mondo come il mio, spiegami com’è quello dove vivi tu.
— È un mondo pacifico. Un mondo gentile. Noi abbiamo compassione per i nostri umani.
— Mi sembra allucinante — disse il generale di brigata. — Avete compassione per i vostri umani. I vostri umani?
— Nel nostro mondo ce ne sono rimasti pochi. Noi ci prendiamo cura di loro.
— Tutto questo mi sconvolge — disse il reverendo. — Sto arrivando alla conclusione che Edward Lansing, forse, ha colpito nel segno. Ascoltandovi mentre parlate, appare evidente che tutti noi veniamo da mondi diversi. Un mondo cinico che considera la guerra un semplice gioco…
— Non è semplice — disse il generale di brigata. — A volte è molto complesso.
— Un mondo cinico — ripeté il reverendo, — che considera la guerra un gioco complesso. Un mondo di poetesse e di poeti, di musiche e di accademie. Un mondo dove i robot si prendono premurosamente cura degli umani. E nel suo mondo, signora mia, una società dove una donna può diventare ingegnere.
— Che cosa c’è di male? — chiese Mary.
— C’è il fatto che le donne non devono diventare ingegneri. Devono essere mogli fedeli, casalinghe efficienti, buone allevatrici di figli. Queste sono le attività naturali delle donne.
— Nel mio mondo le donne non sono soltanto ingegneri — disse Mary. — Sono dottori, fisici, chimici, filosofi, paleontologi, geologi, membri dei consigli d’amministrazione di grandi aziende, presidenti di società prestigiose, avvocati e giuristi, dirigenti di organismi esecutivi. L’elenco potrebbe continuare per un pezzo.
L’Oste arrivò correndo.
— Fate largo — disse. — Fate largo alla cena. Spero che sia di vostro gradimento.