VIII

Partirono piuttosto tardi. La colazione non arrivava mai, e c’erano state lunghe contrattazioni per l’acquisto del materiale che sarebbe stato necessario per il viaggio… viveri, indumenti, scarpe pesanti, sacchi a pelo, coltelli, accette, fiammiferi, utensili per cucinare, un lungo elenco di oggetti. Il generale di brigata aveva preteso un fucile, e c’era rimasto molto male quando il locandiere aveva risposto che non aveva armi da vendere.

— È ridicolo! — esclamò sdegnato il generale di brigata. — Chi ha mai sentito parlare di una spedizione che si mette in moto senza una difesa adeguata?

L’Oste cercò di tranquillizzarlo. — Non ci sono pericoli lungo la strada. Non c’è nulla da temere.

— E come fa a saperlo? — rimbeccò il generale. — Quando le abbiamo chiesto altre cose, stranamente, non sapeva nulla. Se non sa nulla, come può essere sicuro che non ci sia pericolo?

Al momento di pagare gli acquisti, Lansing dovette mercanteggiare. Il locandiere sembrava deciso a spuntare un prezzo elevato per compensare lo sconto che era stato costretto a fare per vitto e alloggio. Lansing ebbe l’appoggio veemente del reverendo, il quale era convinto che tutti cercassero di spennarlo.

Finalmente l’accordo fu concluso, in modo insoddisfacente per tutti; e partirono.

Il generale di brigata si avviò per primo, seguito dal reverendo. Poi venivano Mary e Sandra, mentre Jurgens e Lansing procedevano alla retroguardia. Jurgens portava un grosso zaino stracolmo di viveri. Era l’unico della compagnia che non aveva avuto bisogno di fare acquisti: né cibo né sacco a pelo, perché non mangiava e non dormiva. Non aveva bisogno neppure d’indumenti, ma aveva scelto un’accetta e un coltello, e adesso li portava appesi a una cintura.

— Sono incuriosito dalle prime parole che mi hai rivolto — disse Lansing al robot mentre procedevano fianco a fianco. — Mi hai chiesto se sono un eccentrico, e hai detto che fai collezione di eccentrici. Ma più tardi hai affermato che nel tuo mondo sono rimasti pochi umani. Se è così…

— Il mio è stato uno scherzo non troppo spiritoso — rispose il robot. — Ora me ne dispiace. Per la verità, non faccio collezione di umani. La faccio semplicemente degli umani eccentrici che incontro nella letteratura.

— Tieni un elenco dei personaggi strambi?

— Oh, molto di più. Costruisco le loro miniature. Miniature dei tipi di umani che avrebbero potuto essere, secondo me, nella vita reale.

— Allora sei un collezionista di pupazzi?

— Non è una collezione di pupazzi, Mr. Lansing. Si muovono e parlano, recitano piccole scene. È molto divertente. Mi ci diverto per ore e ore. Inoltre, credo di acquisire una maggiore comprensione della condizione umana, dalle loro interrelazioni.

— Pupazzi meccanici?

— Penso che si potrebbe chiamarli così. Sono fondamentalmente meccanici. Tuttavia, in alcuni loro aspetti sono biologici.

— È sorprendente — disse Lansing, un po’ frastornato. — Dunque crei esseri viventi.

— Sì, sono vivi, in molti modi diversi.

Lansing non disse altro. Preferiva non continuare a discutere quell’argomento.

La strada era poco più d’una pista. Ogni tanto si scorgeva il doppio solco lasciato da veicoli a ruote, ma quasi sempre quelle tracce erano cancellate dall’erosione, e sopra vi crescevano erbe e piante striscianti.

Per diverso tempo la strada continuò a salire attraverso un territorio forestato che, dopo un paio d’ore di cammino, incominciò a schiudersi e lasciò gradualmente il posto a una campagna ondulata ed erbosa, chiazzata qua e là da piccoli gruppi d’alberi. La giornata, che al mattino era stata d’un tepore gradevole, divenne sempre più calda all’avvicinarsi del meriggio.

Il generale di brigata, che era ancora in testa, si fermò in un boschetto, sedette per terra e si appoggiò contro un albero.

Quando gli altri lo raggiunsero, spiegò la ragione della sosta. — Ho pensato che sarebbe meglio fermarci, per riguardo verso le signore. Il sole è molto forte.

Estrasse un grande fazzoletto candido da una tasca della tunica e si asciugò la faccia sudata. Poi prese la borraccia, la stappò e ingollò lunghe sorsate d’acqua.

— Possiamo riposare un po’ — disse Lansing. — Se vogliamo approfittarne, tanto vale che mangiamo qualcosa.

Il generale di brigata accettò prontamente. — Un’idea magnifica — commentò.

Jurgens aveva già aperto lo zaino e stava tagliando fette di carne fredda e di formaggio. Tirò fuori una latta di gallette e tolse il coperchio.

— Devo preparare il tè? — chiese.

— Non c’è tempo — disse il reverendo. — Dovremmo proseguire.

— Andrò in cerca di un po’ di legna — disse Lansing. — Così potremo accendere il fuoco. Ho visto un albero morto, un po’ più indietro. Il tè ci farebbe bene.

— Non è necessario — disse il reverendo. — Non abbiamo bisogno del tè. Possiamo mangiare formaggio e gallette mentre camminiamo.

— Si sieda — disse il generale di brigata. — Si sieda e si riposi. Una marcia non va affrontata precipitosamente come abbiamo fatto finora. Bisogna farci l’abitudine a poco a poco, e all’inizio andarci con calma.

— Non sono stanco — scattò il reverendo. — E non ho bisogno di farci l’abitudine.

— Ma le signore, reverendo!

— Le signore se la cavano benissimo — disse il reverendo. — È lei, quello che non ce la fa più.

Stavano ancora bisticciando quando Lansing tornò indietro lungo la strada per rintracciare l’albero morto che aveva adocchiato poco prima. Non era lontano come aveva pensato, e si mise subito all’opera, tranciando i rami secchi in pezzi abbastanza corti per trasportali. Non occorreva molto combustibile, per un fuoco da accendere nella sosta di mezzogiorno. Una bracciata sarebbe stata sufficiente.

Un fuscello secco scricchiolò dietro di lui, facendolo voltare di scatto. Mary era lì, a pochi passi.

— Spero di non darle fastidio — disse.

— Anzi. Lieto della compagnia.

— Non resistevo più… quei due non hanno ancora smesso di litigare. Ci sarà qualche guaio serio, con loro, prima del termine del viaggio.

— Sono due uomini ossessionati.

— E molto simili.

Lansing rise. — Se glielo dicesse, l’ammazzerebbero. Ognuno dei due è convinto di disprezzare l’altro.

— Forse è vero. Forse si disprezzano, dato che si somigliano tanto. Forse ognuno vede se stesso nell’altro. Forse è l’odio che provano per se stessi.

— Non lo so — disse Lansing. — Non capisco nulla di psicologia.

— E di che cosa s’intende? Voglio dire, che cosa insegna?

— Letteratura inglese. Al college ero la massima autorità locale su Shakespeare e la sua opera.

— Sa una cosa? — disse Mary. — Ha anche l’aspetto adatto. Ha l’aria dello studioso.

— Mi pare che così basti — disse lui, inginocchiandosi per raccogliere la legna.

— Posso aiutarla? — chiese lei.

— No. Non ne occorre molta, per preparare il tè.

— Edward, lei cosa pensa che troveremo? Che cosa stiamo cercando?

— Non lo so, Mary, e non credo che lo sappia nessuno. Sembra che non ci sia una ragione per la nostra presenza qui. Nessuno, credo, ci vuole veramente. Eppure eccoci qua, noi sei.

— Io ci ho pensato molto — disse lei. — Questa notte quasi non ho dormito, per pensarci. Qualcuno ci vuole qui. Qualcuno ci ha mandati qui. Non abbiamo chiesto noi, di venire.

Lansing si rialzò, stringendo il mucchio di legna che reggeva con il braccio. — Non preoccupiamoci troppo. Per il momento. Fra un giorno o due, forse, ne sapremo di più.

Risalirono la strada. Jurgens stava salendo il pendio a grandi passi, con quattro borracce appese alla spalla.

— Ho trovato una sorgente — disse. — Avreste dovuto lasciarmi le borracce. Ve le avrei riempite.

— La mia è quasi piena — disse Mary. — Ho bevuto appena un sorso.

Lansing si mise all’opera per accendere il fuoco mentre Jurgens versava l’acqua in un bricco e piantava per terra un ramo forcuto per sospenderlo sopra le fiamme.

— Lei sapeva — chiese il reverendo, fermandosi accanto a Lansing, — che questo robot ha portato una borraccia anche per sé?

— Cosa c’è di male? — chiese Lansing.

— Lui non beve. Perché crede che…

— Forse l’ha portata perché lei e il generale possano avere acqua quando le borracce sono vuote. Ci ha pensato?

Il reverendo sbuffò, irritato e sarcastico.

Lansing si sentì vincere dalla collera. Si alzò e fronteggiò l’ecclesiastico. — Voglio dirle una cosa, e gliela dirò una volta sola. Lei è un piantagrane. E non abbiamo bisogno di piantagrane. Se non la smette, gliela farò pagare. Ha capito?

— Ehi! Ehi! — gridò il generale di brigata.

— E lei — disse Lansing, rivolgendosi al generale, — tenga la bocca chiusa. Si è autonominato capo del nostro gruppo, ma se la cava malissimo.

— Immagino — ribatté il generale di brigata, — che ritenga di dover essere lei, il capo.

— Non abbiamo bisogno d’un capo, generale. Se lo ricordi, quando la sua pomposità minaccerà di sopraffarla.

In un silenzio cupo consumarono il pranzo e bevvero il tè e poi si rimisero in cammino, con il generale di brigata ancora all’avanguardia e il reverendo che lo seguiva a pochi passi.

La campagna ondulata continuò a mostrare gruppi d’alberi. Era un territorio ameno, ma era caldo. In testa a tutti, il generale procedeva a un’andatura più lenta di quella con cui aveva marciato prima che si fermassero a mangiare.

La strada continuò in salita per l’intero pomeriggio, su pendii sempre più alti. A un certo punto il generale di brigata, che aveva un po’ distanziato gli altri, si fermò e gridò qualcosa. Il reverendo si affrettò per piazzarsi al suo fianco e gli altri allungarono il passo per raggiungerli.

Il terreno digradava in una conca, e in fondo alla conca stava un cubo celeste. Anche dall’alto della cresta sembrava una struttura massiccia. Era semplicissimo, senza fronzoli… le facce diritte salivano fino alla sommità piatta. Dalla distanza dalla quale lo vedevano appariva disadorno. Ma le dimensioni e l’intenso colore celeste lo rendevano spettacolare. La strada che avevano percorso fino a quel momento scendeva il pendio sconnesso e accidentato in curve e tornanti. Quando raggiungeva il fondo, proseguiva diritta come una freccia verso il cubo; ma quando vi arrivava, gli girava intorno, su un lato, e poi continuava attraverso la conca e saliva a zigzag il versante opposto.

Sandra proruppe in un gridolino. — È bellissimo! — disse.

Il generale di brigata si schiarì la gola. — Quando il locandiere ne ha parlato — disse, — non ho immaginato neppure per un istante che fosse una cosa del genere. Non sapevo che cosa aspettarmi. Forse una rovina cadente. Ma per la verità non ci pensavo troppo. Pensavo soprattutto alla città.

Il reverendo piegò verso il basso gli angoli della bocca. — Non mi piace.

— A lei non piace mai niente — disse il generale di brigata.

— Prima di esprimere giudizi — disse Lansing, — scendiamo a guardarlo da vicino.

Impiegarono diverso tempo per arrivarci. Furono costretti a seguire la strada perché la pendenza era troppo forte e il terreno troppo infido. Invece, seguendo la strada in tutte le sue giravolte, coprirono parecchie volte la distanza tra la sommità della cresta e la base.

Il cubo sorgeva al centro di un’ampia area sabbiosa che lo circondava completamente, un cerchio di sabbia così preciso che sembrava tracciato meticolosamente da una squadra di geometri… sabbia bianchissima, come quella che si può trovare in un parco giochi per bambini, sabbia simile a zucchero che forse un tempo era perfettamente spianata, ma che il vento aveva ondulato in una serie d’increspature.

Le facce del cubo salivano altissime. Misurandole attentamente, a occhio, Lansing calcolò che dovevano essere almeno una quindicina di metri. Non c’erano aperture, non c’era niente che sembrasse una finestra o una porta; e non c’erano ornamenti, né sculture eleganti, né lapidi commemorative, né simboli incisi che annunciassero il nome specifico della struttura. Visto da vicino, il celeste dei muri risultava immutato… un azzurro chiaro che pareva rappresentare l’innocenza più pura. E i muri erano levigati. Non erano di pietra, si disse Lansing. Plastica, forse, anche se la plastica sembrava incongrua in quella zona selvaggia; oppure ceramica… un cubo di porcellana finissima.

Quasi senza parlare, il gruppo girò intorno al cubo; per un tacito accordo nessuno mise il piede nel cerchio di sabbia che l’attorniava. Quando furono di nuovo sulla strada, si fermarono a guardare quella mole azzurra.

— È bellissimo — disse Sandra, con un profondo respiro che esprimeva uno stupore incessante. — Più bello di quanto sembrasse quando l’abbiamo visto dall’alto. Più bello di quanto si immagini che possa essere qualunque cosa al mondo.

— Sbalorditivo — disse il generale di brigata. — Davvero sbalorditivo. Ma qualcuno ha una vaga idea di quel che è?

— Deve avere una funzione — disse Mary. — Le dimensioni e la massa lo indicano. Se fosse semplicemente simbolico, non sarebbe tanto enorme. E se fosse un simbolo, sarebbe collocato in un punto dove risulterebbe visibile da molto lontano, in un posto molto elevato, anziché essere nascosto quaggiù.

— Non è stato visitato di recente — disse Lansing. — Non ci sono tracce nel cerchio di sabbia che lo circonda.

— Se le tracce ci fossero — disse il generale di brigata, — verrebbero coperte ben presto dalla sabbia spostata dal vento. Anche le tracce recenti.

— Perché ce ne stiamo qui impalati a guardarlo? — chiese Jurgens. — Sembra che ci faccia paura.

— Io penso che forse stiamo qui perché ci fa paura — disse il generale di brigata. — Mi sembra evidente che sia opera di costruttori molto evoluti. Non è un monumento raffazzonato, come avrebbero potuto erigerlo pagani primitivi decisi a rendere omaggio alle loro divinità. Una simile opera, secondo ogni logica, deve essere protetta in un modo o nell’altro. Altrimenti ci sarebbero graffiti scarabocchiati sui muri.

— Non ci sono graffiti — disse Mary. — Sui muri non c’è il minimo segno.

— Forse i muri sono di una sostanza inattaccabile — disse Sandra. — E uno strumento appuntito scivolerebbe senza lasciar tracce.

— Io credo ancora — disse il robot, — che dovremo esaminarlo più da vicino. Se ci accostassimo, forse troveremmo una risposta agli interrogativi che ci poniamo.

Con queste parole, Jurgens si avviò a grandi passi attraverso il cerchio di sabbia. Lansing gli gridò un avvertimento, ma il robot non diede segno di aver sentito. Lansing si lanciò, correndo per trattenerlo, perché il cerchio di sabbia, ora se ne rendeva conto, racchiudeva una sottile minaccia, qualcosa che tutti avevano riconosciuto, ad eccezione di Jurgens. Il robot continuava ad avanzare a grandi passi. Lansing ridusse la distanza e tese una mano per stringergli la spalla. Ma un attimo prima che le sue dita l’afferrassero, un ostacolo sepolto nella sabbia lo fece inciampare. Cadde bocconi.

Mentre si risollevava sulle mani e sulle ginocchia, scrollando la testa per liberarla dalla sabbia, sentì gli altri che gridavano, dietro di lui. La voce del generale di brigata tuonò più forte delle altre: — Torna indietro, stupido! Può esserci una trappola!

Jurgens era quasi arrivato al muro; non aveva rallentato il passo pesante e sicuro. Come se, pensò Lansing, quell’idiota avesse intenzione di caricarlo a testa bassa, di penetrarvi di slancio. E nello stesso istante in cui gli balenò in mente quel pensiero, il robot venne scagliato in aria, volò all’indietro torcendosi, e piombò sulla sabbia. Lansing alzò la mano per soffregarsi gli occhi, per schiarirsi la vista perché, nella frazione di secondo in cui Jurgens era stato gettato lontano, aveva creduto di scorgere qualcosa (come un serpente, forse, anche se non poteva esserlo) che emergeva fulmineo dalla sabbia, si avventava e poi spariva, troppo veloce perché l’occhio lo cogliesse nitidamente se non come un rapido guizzo nell’aria.

Jurgens era caduto sul dorso e adesso si girava su se stesso, aggrappandosi con entrambe le mani e spingendo con una gamba per scivolare lontano dal muro. L’altra gamba era inerte.

Lansing balzò in piedi e corse verso il robot. Lo afferrò per un braccio e cominciò a trascinarlo indietro, alla strada.

— Lasci, faccio io — disse qualcuno. Lansing alzò la testa e vide il reverendo, ritto accanto a lui. L’ecclesiastico si chinò, afferrò Jurgens intorno alla vita e se lo issò sulla spalla come un sacco di patate, barcollando leggermente sotto il peso.

Quando arrivò sulla strada, il reverendo posò a terra Jurgens, e Lansing gli s’inginocchiò accanto.

— Dimmi dove ti fa male — disse.

— Non mi fa male — rispose il robot. — Non sono equipaggiato per sentire dolore.

— Trascinava una gamba — disse Sandra. — La gamba destra. Non può servirsene.

— Qua — disse il generale di brigata. — Lascia, ti aiuto ad alzarti. Ti metto in piedi, e vediamo se ce la fai a reggere il tuo peso.

Tirò energicamente, rimise in piedi il robot e lo sorresse. Jurgens vacillò sulla gamba sinistra, cercando di appoggiare il peso sulla destra. La gamba destra si piegò. Il generale di brigata l’aiutò a mettersi seduto.

Mary disse: — È un problema meccanico. Possiamo dare un’occhiata. Ma è esclusivamente meccanico? Cosa ne dici, Jurgens?

— Credo che sia soprattutto meccanico — disse Jurgens. — Ma potrebbe esserci di mezzo qualcosa di biologico. Una funzione nervosa biologica. Non ne sono sicuro.

— Se avessimo qualche utensile — disse Mary. — Maledizione, perché non abbiamo pensato di comprarne qualcuno?

— Io ho una serie di utensili — disse Jurgens. — Una piccola serie, ma forse è sufficiente.

— Bene, così va meglio — disse Mary. — Forse potremo fare qualcosa per te.

— Qualcuno ha visto con precisione quello che è successo? — chiese Sandra.

Gli altri scrollarono la testa. Lansing non disse nulla. Non era certo di ciò che aveva visto, se pure aveva visto qualcosa.

— Qualcosa mi ha colpito — disse il robot.

— Hai visto cos’era? — chiese Sandra.

— Non ho visto niente. Ho solo sentito il colpo.

— È inutile che restiamo qui in mezzo alla strada — disse il generale di brigata. — Ci vorrà un po’ per effettuare le riparazioni. Troviamo un posto per accamparci. Ormai si avvicina la sera.

Trovarono un posto per accamparsi ai margini di un boschetto, a poco più di ottocento metri. Vicino c’era un ruscello che offriva la sua acqua. Alcuni alberi caduti offrivano la loro legna. Lansing aiutò Jurgens a procedere zoppicando e lo fece sedere in modo che potesse appoggiarsi a un albero.

Il generale di brigata intervenne. Disse a Mary: — Noi provvederemo ad accendere il fuoco e a cucinare e a fare quanto d’altro sarà necessario. Perché non si mette al lavoro con Jurgens? Lansing può aiutarla, se vuole.

S’incamminò per allontanarsi, poi tornò indietro. Disse a Lansing: — Io e il reverendo abbiamo discusso. Non molto amabilmente, ma abbiamo discusso. Il piccolo incidente che è successo prima, sul sentiero… abbiamo riconosciuto tutti e due di aver ecceduto. Pensavo che ci tenesse a saperlo.

— Grazie per avermelo detto — rispose Lansing.

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