XII

Ancora una volta girarono intorno al cubo, tenendosi vicini l’uno all’altro; perché, adesso che gli altri se n’erano andati, si sentivano molto soli. Scrutarono attentamente i muri, cercando qualche linea di colore diverso, qualche configurazione sottile che potesse rivelare qualcosa. Certe linee non erano altro che ombre, e cambiavano o scomparivano con il mutare della luce, senza lasciare tracce. Trovarono tre lastre di pietra che prima nessuno aveva notato, situate al bordo esterno del cerchio di sabbia, piatte e così ben coperte che erano sfuggite all’attenzione. Le scoprirono per puro caso. Erano larghe un metro e venti, e si estendevano nel cerchio per poco meno di due metri. Quando rimossero la sabbia dalle superfici, videro che erano semplici lastre di pietra levigatissima. Non c’era traccia di lavorazione; sembrava che si fossero scisse lungo le linee di una frattura geologica naturale. Era impossibile capire fino a che profondità penetrassero nel suolo. Per quanto unissero i loro sforzi, i due umani e il robot non riuscirono a smuoverle. Discussero la possibilità di usare un badile per scavare lungo l’estremità esterna d’una pietra per cercare di scoprire quanto fosse alta, ma poi decisero di non farlo… il cerchio era protetto da qualcosa che colpiva con forza fulminea, e il pericolo era probabilmente più grande del valore di ciò che avrebbero potuto scoprire. Le tre pietre erano collocate a distanze approssimativamente eguali l’una dall’altra, e dividevano il cerchio in tre parti.

— Non è un caso se stanno dove stanno — disse Mary. — Indicano una conoscenza tecnologica. La loro posizione deve avere uno scopo o un significato.

— Forse è soltanto uno scopo estetico — suggerì Lansing. — Una certa simmetria.

— Può darsi, ma ne dubito.

— Una magia — disse Jurgens. — Può darsi che reagiscano a un certo rituale, a certi canti o a certe parole.

— Se è così — disse Mary, — non abbiamo nessuna possibilità di scoprirlo.

Vicino alla strada ritrovarono la pertica che il reverendo aveva gettato via non appena era arrivato al sicuro. Lansing la raccolse.

— Non vorrà tentare di avvicinarsi? — chiese Mary. — Se fossi in lei, non mi ci proverei neppure.

— No, non intendo compiere un tentativo così stupido — disse lui. — Ma ho ricordato una cosa. Quando ho cercato di correre nel cerchio per raggiungere Jurgens, sono inciampato e caduto. Sono sicuro che qualcosa mi ha urtato il piede mentre correvo. Voglio vedere se riusciamo a trovarlo.

— Forse è inciampato, semplicemente.

— Può darsi, ma mi sembra di ricordare che ho urtato il piede contro qualcosa.

Le tracce erano visibili sulla sabbia… quelle che aveva lasciato Jurgens, coperte da quelle del reverendo e dall’impronta di Lansing nel punto dov’era caduto. Sporgendosi dal bordo del cerchio di sabbia, Lansing protese la pertica e sondò. Dopo parecchi secondi, il pezzo di legno urtò qualcosa. Cautamente, Lansing fece leva per estrarre a forza l’oggetto sotto il quale s’era incastrata l’estremità. Dalla sabbia affiorò l’angolo di un’asse di legno, e dopo altri numerosi tentativi Lansing riuscì a liberarla e a rastrellarla verso il bordo del cerchio. Era un’asse, non più di un quinto di metro quadrato, con una stretta striscia di legno (un paletto?) fissata da un lato.

Mary si tese e l’afferrò, l’estrasse dal cerchio e la girò. C’era una scritta, a lettere rozze.

Lansing si chinò a esaminarla. — Mi sembra cirillico — disse. — Può essere russo?

È russo — disse Mary. — La prima riga, con le lettere più grosse, è un segnale di pericolo. Almeno credo. Sì, è un segnale di pericolo.

— Come fa a saperlo? Sa leggere il russo?

— Un po’. Ma questo non è esattamente il russo che conosco io. Certi caratteri sembrano sbagliati. Quelli più grossi segnalano il pericolo: di questo sono sicura. Ma non riconosco la scritta più piccola, quella che sta sotto.

— Il cartello era stato piantato qui fuori, di fronte alla strada — disse Lansing. — In modo che ogni passante lo vedesse. Ma il vento deve averlo rovesciato, oppure qualcuno l’ha urtato, e la sabbia l’ha coperto. Io non l’avrei mai trovato, se non fossi andato a inciamparci.

— Vorrei saperlo leggere un po’ meglio — disse Mary. — Ho una conoscenza del russo piuttosto limitata. Quanto basta per arrangiarmi a leggere una relazione tecnica, non di più. Moltissimi ingegneri, come me, leggono un po’ il russo; è virtualmente obbligatorio. I russi hanno una tecnologia degna di tutto il rispetto. Val la pena di sforzarsi un po’ per star dietro a quello che fanno. Certo, c’è un libero scambio di idee, ma…

— Un libero scambio di idee? Con la Russia?

— Sì, certo. Perché no? È così anche con tutte le altre nazioni tecnicamente evolute.

— Immagino — disse Lansing, — che non ci siano ragioni perché non debba essere cosi.

Sollevò l’insegna e, servendosi del coltello, batté sul paletto per piantarlo nel terreno.

— Resterà qui finché il vento non lo rovescerà o fino a che non cadrà di nuovo — disse. — Per quel che può servire.

Ritornarono al campo, lentamente, perché Jurgens potesse reggere la loro andatura. Il sole era disceso a metà del cielo, a occidente; erano rimasti a studiare il cubo più a lungo di quanto avessero creduto.

Il fuoco s’era ridotto a uno strato di cenere grigia, ma c’era ancora qualche brace quando Lansing lo smosse. Aggiunse bracciate di ramoscelli secchi fino a quando le fiamme salirono e poi, con pazienza, alimentò il fuoco. Mary rimase a guardarlo, senza dir nulla, mentre lavorava. Anche se lei sapeva benissimo, pensò Lansing, che era inutile restare ancora lì, che avevano fatto tutto ciò che potevano e che tanto valeva proseguire per la città… se, come aveva detto Mary, la città esisteva veramente.

Ma ormai, senza dubbio, al college dovevano essersi accorti della sua scomparsa, si disse; forse avevano trovato la sua macchina abbandonata. Si chiese se quella sparizione avrebbe fatto chiasso… sì, forse per qualche giorno, qualche titolo sul giornale, e poi l’avrebbero dimenticato e il suo caso sarebbe stato archiviato con tutte le altre sparizioni irrisolte e inspiegate che avvenivano ogni anno. Tese le mani verso il fuoco, per scaldarle. Era una giornata tiepida, ma gli sembrava di sentire un soffio di gelo.

Lui e gli altri, lui e i molti altri che erano spariti… C’erano stati altri che erano venuti lì? si chiese.

— Poco fa, quando eravamo vicino al cubo — disse Mary, — mi è sembrato sorpreso all’idea che ci fosse una collaborazione nelle ricerche, con la Russia. Perché? Ne dubitava?

— Nel mio tempo — rispose Lansing, — gli Stati Uniti e varie altre nazioni non sono in buon accordo con la Russia. Ci fu una rivoluzione durante la Prima guerra mondiale e la Russia diventò uno stato comunista.

— La Prima guerra?

— Sì, la Prima guerra mondiale. La Seconda guerra mondiale. La bomba nucleare.

— Edward, nel mio mondo non ci sono state guerre mondiali, non c’è… come l’ha chiamata? Bomba nucleare?

Lansing si accosciò, scostandosi un po’ dal fuoco. — Dunque quello è stato il punto critico fra il suo mondo e il mio. Voi non avete avuto la Prima guerra mondiale e noi sì. Mi dica… e l’Impero Britannico?

— È ancora ben saldo. Il sole non vi tramonta mai. Ma lei ha detto un’altra cosa. Gli Stati, mi pare. Gli Stati Uniti di che cosa?

— Gli Stati Uniti d’America.

— Ma l’America settentrionale fa parte dell’Impero Britannico, e quella meridionale fa parte della Spagna… eccettuato il Brasile, cioè.

Lansing la guardò a bocca aperta.

— È la verità — disse Mary. — Le cose stanno proprio così.

— Ma le colonie americane si ribellarono.

— Certo, nel secolo decimottavo. La ribellione non durò a lungo.

— Dunque il punto critico è molto anteriore alla Prima guerra mondiale.

— Sono un po’ confusa — disse lei, — ma evidentemente è così. Lei ci ha parlato delle ipotesi del suo amico circa i punti critici e i mondi alternativi. Quando gliene ha parlato, lei non gli ha creduto. Ha pensato che fossero soltanto fantasie, e forse lo pensava anche lui. Stava solo cercando di dimostrare una tesi. Quando ce l’ha raccontato, alla locanda, mi è sembrato che fosse un concetto interessante e fantasioso. Ma a giudicare da quello che mi ha appena detto, dev’essere qualcosa più d’un concetto.

— Lei doveva vivere in un bel mondo, Mary. Molto migliore del mio.

— È solido e sereno — disse lei. — Non ci sono state quasi guerre… soltanto alcune di poco conto. Le grandi potenze si sono insidiate saldamente nei rispettivi territori e sembrano contente di quello che hanno. Certo, c’è chi grida all’imperialismo, ma nessuno gli dà ascolto.

— L’India, naturalmente è alla fame.

Mary alzò le spalle. — L’India è sempre alla fame. È troppo sovvrappopolata.

— E l’Africa viene sfruttata?

— Edward, è con me o contro di me? Che cosa pensa dell’Impero Britannico?

— Oh, non troppo male. Molte volte ho pensato che abbiamo perduto qualcosa di grande e rassicurante, quando è andato a pezzi subito dopo la Seconda guerra mondiale.

— È andato a pezzi?

— Completamente.

Per un momento Lansing notò l’espressione sconvolta di Mary, poi lei si rasserenò.

— Mi dispiace — Le disse.

— Preparerò qualcosa per cena — disse Mary. — Procuri un po’ di legna per il fuoco. Ha fame, vero?

— Una fame da lupo. Abbiamo fatto colazione prestissimo e abbiamo saltato il pranzo.

— L’aiuterò io a prendere la legna — disse Jurgens. — Anche ridotto come sono, qualcosa posso fare.

— Sicuro — disse Lansing. — Vieni pure.

Dopo la cena riattizzarono il fuoco e gli sedettero intorno.

— Così, stiamo scoprendo lentamente da dove siamo venuti — osservò Mary. — Ma ancora non sappiamo dove stiamo andando. Io vengo da una continuazione dei grandi imperi, l’affermazione logica della concezione imperiale, e lei da un mondo in cui gli imperi sono scomparsi. Oppure è scomparso soltanto quello britannico?

— No, non soltanto quello britannico. Tutte le nazioni hanno perduto almeno la maggior parte dei possedimenti coloniali. In un certo senso ci sono tutt’ora alcuni imperi, ma non è la stessa cosa. La Russia e gli Stati Uniti. Non li chiamano più imperi… li chiamano superpotenze.

— Il mondo di Sandra è più difficile da capire — disse Mary. — Mi sembra il paese delle favole. Come una combinazione dell’antica etica greca e di Rinascimenti che ricorrono di continuo. Non aveva detto così… il Terzo Rinascimento? Comunque, sembra un mondo irreale. Uno splendido mondo nebuloso.

— Non sappiamo molto di quelli del reverendo e del generale — disse Lansing. — A parte quello che il generale ha detto a proposito dei loro giochi di guerra.

— Credo che avesse l’impressione — disse Mary, — che noi disapprovassimo il suo mondo. Ha cercato di presentarcelo come un mondo di tornei cavaliereschi medioevali, ma credo che non sia esattamente così.

— Il reverendo è quello che ha parlato meno — disse Lansing. — Quella faccenda della Gloria divina nel campo di rape… ma non ci ha detto niente altro. Dopo è stato zitto.

— Ho la sensazione che il suo mondo sia molto tetro — disse Mary. — Tetro e santimonioso. Spesso sono due caratteristiche inseparabili. Ma abbiamo dimenticato Jurgens.

— Scusatemi, prego — disse Jurgens.

— Oh, per me va bene — disse Mary. — Stavamo semplicemente spettegolando.

— Quello che non riesco assolutamente a capire — disse Lansing, — è che cosa possiamo avere in comune. L’unica ragione possibile perché ci abbiano scaraventati qui insieme è che tutti e sei siamo della stessa categoria. Ma a pensarci appare evidente che tra noi ci sono poche rassomiglianze.

— Un professore di college — disse Mary, — un militare, un reverendo, una poetessa e… tu come ti descriveresti, Jurgens?

— Sono un robot. Ecco tutto. Non sono neppure umano.

— Piantala — disse bruscamente Lansing. — Chi ci ha portati qui non ha fatto distinzioni tra un robot e gli umani. Quindi sei uno di noi.

— Più tardi — disse Mary, — il denominatore comune cui ha accennato potrebbe risultare chiaro. Al momento, però, non riesco a trovarlo.

— Non siamo gli unici — disse Lansing. — Altri sono venuti qui prima di noi e forse dopo di noi ne verranno altri. Tutto sembra indicare un programma, un progetto. Vorrei tanto che qualcuno ci spiegasse di quale progetto, di quale programma si tratta. Mi sentirei più tranquillo.

— Anch’io — disse Mary.

Jurgens si alzò, faticosamente e, tenendosi in equilibrio con la gruccia, gettò altra legna sul fuoco.

— Ha sentito? — chiese Mary.

— Non ho sentito niente — disse Lansing.

— C’è qualcosa là fuori, nel buio. L’ho sentito fiutare.

Rimasero tutti in ascolto. Non sentirono nulla. L’oscurità era silenziosa.

Poi Lansing lo sentì… qualcosa che fiutava. Alzò la mano per chiedere agli altri di non far rumore.

Il suono cessò, poi riprese, a poca distanza dal punto dove s’era interrotto. Come se un animale tenesse il naso a terra e fiutasse un’usta. S’interruppe ancora, riprese in un punto diverso; sembrava che l’animale stesse girando intorno al fuoco del bivacco.

Jurgens roteò su se stesso, brandendo la gruccia. Lansing scrollò la testa, e il robot si fermò di colpo.

Continuarono ad ascoltare. Per lunghi minuti non si sentì più fiutare. Si rilassarono.

— Avete sentito? — chiese Mary.

— Sì — disse Jurgens. — È incominciato proprio dietro di me.

— Allora c’era veramente qualcosa, là fuori?

— Adesso se n’è andato — disse Lansing. — Jurgens l’ha spaventato.

— Sandra l’aveva sentito, ieri notte — disse Mary. — È sempre rimasto qui.

— Non è insolito — disse Lansing. — Dovevamo aspettarcelo. Gli animali selvatici sono sempre attratti dal fuoco.

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