XIII

Impiegarono cinque giorni per raggiungere la città. Avrebbero potuto impiegarne due, se non fossero stati costretti ad adattarsi all’andatura di Jurgens.

— Dovevo tornare alla locanda — disse il robot. — Ce l’avrei fatta, ad arrivarci da solo. Sarei rimasto lì ad aspettarvi. Così non avrei rallentato la marcia.

— E che cosa faremmo — disse Lansing, — quando venisse il momento in cui avremmo bisogno di te, se tu non fossi con noi?

— Può darsi che quel giorno non venga mai. Forse non avrete mai bisogno di me.

Lansing gli diede dell’idiota e gli disse di continuare a camminare.

Via via che procedevano, l’aspetto del territorio cambiava. Il paesaggio era ancora ondulato, ma diventava sempre più arido. I boschetti erano più distanziati e più piccoli, sia nell’estensione che nelle dimensioni degli alberi, che cominciavano a ridursi ad arbusti. Il vento era caldo, non più fresco. I ruscelletti che davano loro l’acqua erano più distanti e più esili; spesso non erano altro che rigagnoli.

Ogni notte il misterioso Fiutatore si aggirava intorno al bivacco. Una volta, la seconda notte da quando avevano lasciato il cubo, Lansing e Jurgens, armati di torce elettriche, si avventurarono nell’oscurità per cercarlo. Non trovarono nulla, neppure un’orma. Il terreno intorno al fuoco era sabbioso e avrebbe dovuto mostrare qualche traccia: ma non c’era.

— Ci segue — disse Mary. — Ci sta sempre dietro. Anche quando non fiuta, so che è là fuori. È là fuori e ci spia.

— Non ci ha mai minacciati — disse Lansing, cercando di tranquillizzarla. — Non ha cattive intenzioni. Se le avesse, ormai avrebbe agito. Ha avuto le occasioni possibili.

Dopo i primi due giorni, spesso restavano in silenzio intorno al fuoco: avevano ormai parlato di tutto, e non avevano bisogno di continuare a parlare per mantenere vivi gli stretti legami che l’avventura aveva forgiato tra loro.

A volte, durante quei lunghi silenzi, Lansing si sorprendeva a ripensare alla sua esistenza d’un tempo; e scopriva, stupito, che il college dove aveva insegnato gli sembrava immensamente lontano, che gli amici che vi aveva avuto erano amici di tanto tempo prima. Non era trascorsa più di una settimana, si diceva, costringendosi a ricordarlo; eppure aveva la sensazione che vi fosse un abisso di molti anni tra quel luogo e la piccola città universitaria. La nostalgia lo pervadeva, e provava l’impulso quasi irresistibile di ritornare sui suoi passi, di allontanarsi dal bivacco e di ripercorrere a ritroso la pista. Ma non sarebbe stato tanto semplice, lo sapeva. Anche se fosse ritornato indietro, non sarebbe andato oltre la locanda o, forse, la valletta boscosa dove s’era trovato all’inizio. Non c’era una strada che riportasse al college, da Andy e da Alice, nel mondo che aveva conosciuto. Fra lui e la sua vita di un tempo stava qualcosa d’imponderabile, e non aveva idea di cosa fosse.

Non poteva tornare indietro. Doveva proseguire, perché soltanto così avrebbe trovato, forse, la strada di casa. Lì c’era qualcosa che doveva scoprire, e fino a quando non l’avesse scoperto, per lui la strada di casa non sarebbe esistita. E anche quando l’avesse scoperto, se mai ci fosse riuscito, non avrebbe avuto comunque la certezza che fosse possibile tornare nel suo mondo.

Forse era una sciocchezza comportarsi così, ma non aveva scelta. Doveva proseguire. Non poteva abbandonare, come avevano abbandonato i quattro giocatori di carte, alla locanda.

Cercava d’immaginare un meccanismo logico che aveva trasferito lui e gli altri in quel luogo. L’intera faccenda sapeva di magia, eppure non poteva essere magia. Ciò che l’aveva compiuta doveva aver sfruttato l’applicazione di certe leggi fisiche. La stessa magia, se esisteva, non doveva essere altro che l’applicazione di leggi fisiche sconosciute nel mondo dal quale proveniva.

Andy, quando gli aveva parlato al Club dei Docenti, aveva accennato alla fine della conoscenza, la fine delle leggi fisiche. Ma Andy non conosceva e non comprendeva i concetti che aveva discusso; s’era limitata a blaterare le sue concezioni filosofiche.

Era possibile che la soluzione fosse lì, si chiese Lansing, nel mondo in cui ora sedeva accanto a un fuoco? Era possibile che fosse ciò che doveva cercare… e se c’era, e se l’avesse trovato, l’avrebbe riconosciuto? Se anche avesse incontrato la fine della conoscenza, l’avrebbe capito?

Irritato con se stesso, cercò di scacciare dalla mente quei pensieri, ma non ci riuscì.

Trovarono il punto dove s’erano accampati gli altri tre: le ceneri fredde del fuoco, l’incarto d’una scatola di crackers, croste di formaggio, fondi di caffè.

Il tempo si manteneva al bello. Qualche volta le nubi salivano dall’orizzonte a occidente, ma presto si disperdevano. Non pioveva. Il sole era caldo e luminoso.

La terza notte, Lansing si svegliò all’improvviso da un sonno profondo. Si sollevò a sedere, faticosamente, lottando contro una forza che cercava di tenerlo inchiodato.

Nella luce guizzante del fuoco, vide Jurgens accanto a lui. Il robot gli stringeva la spalla e mormorava qualcosa.

— Cosa succede?

— È Miss Mary, signore. Sembra che stia male. Come se avesse le convulsioni.

Lansing girò la testa per guardare. Mary si era sollevata a sedere, dentro il sacco a pelo. Teneva la testa reclinata all’indietro e guardava il cielo.

Lansing uscì dal sacco a pelo e si alzò, barcollando.

— Le ho parlato — disse Jurgens. — Ma non mi ha sentito.

Le ho parlato più volte, per chiederle che cosa aveva, cosa potevo fare per lei.

Lansing raggiunse Mary. Sembrava una statua… rigida ed eretta, stretta in una morsa invisibile.

Si chinò su di lei, le prese il viso tra le mani, premendo con delicatezza.

— Mary — disse. — Mary, cosa c’è?

Lei non gli diede ascolto.

La schiaffeggiò con una mano, poi con l’altra. I muscoli della faccia si decontrassero e tremarono. Mary si accasciò, tenendogli le braccia… non a lui, pensò Lansing, ma a qualunque cosa, per aggrapparsi.

La strinse a sé, cullandola. Mary tremava irrefrenabilmente. Incominciò a singhiozzare: singulti sommessi, soffocati.

— Preparo il tè — disse Jurgens. — E riattizzo il fuoco. Ha bisogno di scaldarsi.

— Dove sono? — mormorò lei.

— Qui con noi. Al sicuro.

— Edward?

— Sì, Edward. E Jurgens. Ti sta preparando il tè.

— Mi sono svegliata, e loro erano chini su di me, mi guardavano.

— Taci — disse lui. — Taci. Riposa. Calmati. Non agitarti. Potrai dircelo più tardi. È tutto a posto.

— Sì — disse Mary.

Per un po’ non parlò più. Lansing, che la teneva stretta, sentì che la tensione si andava attenuando.

Finalmente Mary si scosse, si scostò da lui. Si sollevò a sedere e lo guardò.

— Era spaventoso — disse, in tono calmo. — Non ho mai avuto tanta paura.

— Ormai è passato. Cos’è stato… un brutto sogno?

— Qualcosa di più di un sogno. Loro erano là, librati nel cielo, affacciati dal cielo. Lasciami uscire dal sacco a pelo, vorrei avvicinarmi al fuoco. Hai detto che Jurgens sta preparando il tè?

— È pronto — disse Jurgens. — Gliel’ho già versato. Se ricordo bene, ci mette sempre due cucchiaini di zucchero.

— Infatti — disse lei. — Due cucchiaini.

— Ne prende una tazza anche lei? — chiese Jurgens a Lansing.

— Sì, grazie — disse Lansing.

Sedettero insieme accanto al fuoco. Jurgens stava acquattato da una parte. La legna che aveva aggiunto stava prendendo fuoco, e le fiamme balzavano alte. Bevvero il tè, in silenzio.

Poi Mary disse — Non sono una donnicciola isterica. Lo sai.

Lansing annuì. — Sì, lo so. Sei un tipo energico e pratico.

— Mi sono svegliata — disse lei. — È stato un risveglio facile, piacevole. Non brusco e improvviso. Ero sdraiata sul dorso, e quando ho aperto gli occhi ho visto direttamente il cielo.

Bevve un altro sorso di tè e attese, come se cercasse di farsi forza per continuare il racconto.

Posò a terra la tazza e si voltò verso Lansing. — Erano tre — disse. — O almeno, credo che fossero tre. Forse quattro. Tre facce. Senza corpo. Soltanto le facce. Molto grandi. Più grandi di quelle umane, anche se sono sicura che erano umane. Sembravano umane. Tre grandi facce nel cielo. Riempivano metà del cielo, e mi guardavano. E io ho pensato che era assurdo, credere che le vedevo. Ho battuto le palpebre, pensando che fosse uno scherzo dell’immaginazione, che sarebbero sparite. Ma non sono sparite. Dopo che ho sbattuto gli occhi, le ho viste ancora più chiaramente.

— Calma — disse Lansing. — Parla con calma.

— Sto parlando con calma, accidenti. Tu pensi che si sia trattato di un’allucinazione, vero?

— No — disse lui. — Se dici di averle viste, le hai viste. Sei un tipo energico e pratico, ricordi? Non una donnicciola isterica.

Jurgens si tese verso di loro e riempì di nuovo le tazze.

— Grazie, Jurgens — disse Mary. — Il tuo tè è delizioso.

Poi continuò: — Le facce non avevano niente che non andava. Niente di mostruoso. Erano molto normali, ora che ci penso. Una aveva la barba. Il giovane. Gli altri due erano vecchi. Non avevano niente di anormale, ho detto… all’inizio. Poi ho cominciato a sentirlo. Mi stavano guardando attentamente. Con interesse. L’interesse che proverebbe uno di noi due se si imbattesse in un insetto orrendo, una creatura abominevole, un essere vivente d’una specie nuova. Come se io non fossi una creatura: come se fossi una cosa. All’inizio c’era, mi sembrava, una sorta di compassione per me; ma poi ho compreso che non era così, era piuttosto un miscuglio di disprezzo e di pietà, ed era la pietà, quella che mi feriva di più. Riuscivo quasi a leggere i loro pensieri. Mio Dio, pensavano, guardala! E poi… e poi…

Lansing non disse nulla; intuiva che era meglio non dire nulla.

— E poi hanno distolto le teste. Non sono scomparsi. Hanno distolto le teste, disinteressandosi di me. Come se fossi indegna della loro attenzione, del loro disprezzo e della loro pietà. Come se non fossi niente… e per estensione non fosse niente neppure la razza umana. Ci condannavano al nulla, anche se forse non è esatto parlare di condanna. Non eravamo degni neppure di quello. Eravamo una forma inferiore, alla quale non volevano più pensare.

Lansing esalò un lungo respiro. — Per amor di Dio — disse. — Non mi meraviglio che…

— Appunto. Non c’è da meravigliarsi. È stato un colpo terribile. Edward, forse la mia reazione…

— Non parliamo di reazioni. La mia, probabilmente, sarebbe stata anche peggio.

— Che cosa pensi che fossero? Non chi… che cosa?

— Non saprei. In questo momento non cercherei neppure di indovinarlo.

— Non è stata la mia immaginazione.

— Tu non hai immaginazione — disse Lansing. — Sei un ingegnere. Pensi in termini di dadi e bulloni. Molto realista. Per te, due e due fanno quattro, non tre o cinque.

— Grazie — disse Mary.

— Più tardi — disse lui, — passeremo ore a chiederci chi erano. Ma adesso no. È trascorso troppo poco tempo. Più tardi.

— Un’altra persona — continuò Mary, — forse ti avrebbe detto che erano dei. Sandra avrebbe detto così. Un primitivo ti avrebbe detto così. Il reverendo avrebbe sostenuto che erano diavoli, smaniosi di catturare la sua anima. Io posso dirti soltanto questo… avevano l’arroganza, l’indifferenza, la sicurezza degli dei, ma non erano dei.

— Un tempo, noi robot credevamo che gli umani fossero dei — disse Jurgens. — Dopotutto, in un certo senso lo erano, forse. Potete capire perché pensavamo così: ci avete creati. Ma poi non lo credemmo più. Dopo qualche tempo ci accorgemmo che erano soltanto esseri di un tipo diverso.

— Non è necessario che mi conforti — disse Mary. — So che non erano dei. Non sono sicura che gli dei esistano. Credo che non esistano, anzi.

Lansing e Mary non tornarono a infilarsi nei sacchi a pelo. Non sarebbero riusciti a dormire, e l’alba non era lontana. Rimasero seduti accanto al fuoco a parlare. Adesso parlavano senza difficoltà. Dopo un po’, Jurgens incominciò a preparare la colazione.

— Frittelle e prosciutto — disse. — Va bene?

— Per me va benissimo — disse Lansing.

— Faremo colazione presto — disse il robot. — E partiremo presto. Forse oggi raggiungeremo la città.

Non raggiunsero la città quel giorno, ma nel tardo pomeriggio del giorno seguente.

La scorsero quando arrivarono sulla cresta di un’alta collina, che la strada saliva in tornanti tortuosi.

Mary trattenne il respiro. — Eccola — disse. — Ma la gente dov’è?

— Forse non c’è — disse Lansing. — È un ammasso di rovine, non una città.

Si estendeva sulla piana, ai piedi della collina… una piana color terra e una città color terra. Copriva una buona parte della piana tra le colline. Era inerte, senza vita. Non c’era nulla che si muovesse.

— Non ho mai visto niente di tanto deprimente in tutta la mia vita disse Mary. — E il generale era così ansioso di raggiungerla. Diceva che ci sarebbe stata gente.

— Si potrebbe guadagnare parecchio, scommettendo sempre contro quello che dice il generale — commentò Lansing.

— Non c’è traccia degli altri — disse Mary. — Neppure l’ombra. Credevo che stessero di vedetta, ad aspettarci, che tenessero d’occhio la pista.

— Forse lo stanno facendo. Forse fra poco compariranno.

— Se sono ancora là.

— Io credo che ci siano — disse Lansing. — Ci accamperemo quassù. Terremo acceso il fuoco tutta la notte. Lo vedranno.

— Vuoi dire che non scenderemo subito?

— Non subito. Sta per calare la notte, e mi sentirei più sicuro quassù che in città.

— Meno male — disse Mary. — Potrei sopportarla in pieno giorno. Ma adesso no.

— C’era un ruscello, un chilometro e mezzo più indietro — disse Jurgens. — Andrò a prendere l’acqua.

— No — disse Lansing. — Resta qui e raccogli la legna. Tutta la legna che puoi. L’acqua vado a prenderla io.

— Sono contenta che siamo qui — disse Mary. — Anche se la città mi fa paura, sono contenta che ce l’abbiamo fatta.

— Anch’io — disse Lansing.

Dopo aver mangiato, sedettero sulla cresta della collina e guardarono la città. Non c’era nessun movimento. Non c’era un barlume di luce. Si aspettavano, da un istante all’altro, di vedere uno dei tre che li avevano preceduti uscire dalla città e agitare le braccia in segno di benvenuto. Invece niente.

Alla fine, quando fu scesa la notte, Mary disse: — Tanto vale che cerchiamo di dormire, se ci riusciremo.

— Dormirete — disse Jurgens. — Sono stati giorni faticosi, per voi.

— Lo spero — disse Mary.

Jurgens li svegliò alle prime luci.

— Gli altri sono laggiù ad aspettarci — disse. — Devono aver visto il nostro fuoco.

Lansing uscì dal sacco a pelo. Nella luce pallida dell’alba scorse tre figure ferme appena oltre il muro devastato della città. Una, la più piccola, era indubbiamente Sandra, ma non riusciva a distinguere le altre due. Alzò le braccia e le agitò. Tutti e tre risposero al suo gesto.

Загрузка...