XXIII

Raggiunsero la torre che cantava il quarto giorno, dopo aver lasciato la locanda.

La torre non era una torre. Era un ago. Sorgeva sulla vetta di un alto colle e puntava verso il cielo come un dito. Alla base aveva un diametro di circa due metri, e saliva affusolandosi, aguzza, fino a una trentina di metri dal suolo. Era di un colore rosa piuttosto sgradevole, ed era fatta d’una sostanza simile a quella del cubo. Plastica, si disse Lansing, sebbene fosse quasi sicuro che non era plastica. Quando posò la mano sulla superficie, percepì una lieve vibrazione, come se il vento che spirava dall’ovest e la investiva la facesse fremere in tutta la sua altezza, come una inverosimile corda di violino, libera e affusolata, che vibrasse al tocco dell’archetto.

Ad eccezione di Sandra, rimasero tutti delusi della musica che produceva. Anzi, Jorgenson disse che non era musica… era soltanto un rumore. In genere non era molto forte, sebbene a volte divenisse un poco più alta. Sembrava, pensò Lansing, musica da camera, sebbene non conoscesse molto bene quel genere di musica. Molto tempo prima, rammentava, una domenica pomeriggio Alice era riuscita a trascinarlo a un concerto, e lui aveva sofferto in silenzio ma acutamente per due ore intere. Eppure, sebbene quasi sempre fosse una musica sommessa, aveva una fantastica potenza trascinatrice. Avevano sentito le prime frasi portate dal vento il pomeriggio del terzo giorno.

Sandra era andata subito in estasi; era rimasta affascinata, sebbene ne udisse appena qualche brano. Si era opposta all’idea di accamparsi, quella notte.

— Non possiamo proseguire? — aveva chiesto. — Forse possiamo raggiungere la torre prima che la notte finisca. Non siamo tanto stanchi, e potremo camminare al fresco.

Lansing aveva rifiutato, piuttosto bruscamente, quella proposta di viaggiare di notte.

Sandra non aveva discusso. Non aveva dato una mano a preparare la cena, contrariamente alla sua abitudine, e si era avviata su un piccolo dosso che sovrastava il campo. Era rimasta lì, ritta, minuta ed esile nel vento, ad ascoltare. Aveva rifiutato di mangiare e non aveva dormito. Era rimasta tutta la notte sull’altura.

Ora che avevano salito l’alto colle fino alla vetta, dove sorgeva la cosiddetta torre, era sempre in trance. S’era fermata in disparte con la testa rovesciata all’indietro, a fissare la torre, ascoltando con ogni fibra del suo essere.

— A me non fa nessun effetto — disse Jorgenson. — Chissà cosa ci trova, quella?

— Non ti fa nessun effetto — ribatté Melissa, — perché non hai anima. Qualunque cosa tu possa dire, è musica, anche se è una musica molto strana. A me piacciono i ballabili. Ballavo moltissimo, io. Ma questa non è una musica per ballare.

— Sono preoccupata per Sandra — disse Mary a Lansing. — Non ha mangiato più nulla, da quando abbiamo sentito le prime note della musica, e non ha dormito. Che cosa possiamo fare?

Lansing scrollò la testa. — Lasciamola in pace, per un po’.

Quando fu pronto il pasto della sera, Melissa portò un piatto a Sandra e insistette fino a quando riuscì a farla mangiare. Ma non mangiò molto, e non parlò affatto.

Mentre stava seduto accanto al fuoco e fissava la donna profilata contro il cielo occidentale colorato dal tramonto, Lansing ricordò che lei aveva atteso con tanta ansia di raggiungere la torre che cantava. La prima notte, dopo che erano partiti dalla locanda, aveva detto: — Potrebbe essere bellissimo. Spero che lo sia! C’è così poca bellezza in questo mondo. Un mondo privo di bellezza.

— Tu vivi per la bellezza — le aveva detto Lansing.

— Oh, sì, è vero. Per tutto il pomeriggio ho cercato di comporre una poesia. C’è qualcosa, qui, da cui si potrebbe ricavare una poesia… qualcosa di bello che scaturisce in un luogo di brutture. Ma non riesco a incominciare. So che cosa vorrei dire, ma il pensiero e le parole non si armonizzano.

Ed ora, seduto accanto al fuoco a guardarla, così stregata dalla musica che non incantava nessun altro, Lansing si chiese se aveva fatto qualche progresso con la sua poesia.

Jorgenson stava dicendo a Jurgens: — Quando eravamo alla locanda, hai detto che avremmo dovuto dirigerci verso nord. L’ostessa ci ha sconsigliato di andare a nord, e tu hai detto che t’insospettisci quando qualcuno ti mette in guardia, e se qualcuno dice di non andare in un dato posto, è là che bisogna andare. Ci sono sempre tentativi, hai detto, di mettere fuori pista, durante una cerca.

— È verissimo — rispose Jurgens. — Credo che il mio ragionamento sia logico.

— Ma siamo andati verso ovest, non verso nord.

— Abbiamo viaggiato verso qualcosa di conosciuto; ora proseguiremo verso l’ignoto. Ora che abbiamo raggiunto la torre, devieremo verso nord e andremo a dare un’occhiata al Caos.

Jorgenson lanciò uno sguardo interrogativo a Lansing, e Lansing annuì. — È quel che avevo in mente anch’io. Hai qualche commento da fare?

Jorgenson scrollò la testa, imbarazzato.

— Chissà — disse Melissa, — cosa può essere il Caos.

— Potrebbe essere qualunque cosa, in pratica — disse Lansing.

— È un nome che non mi piace.

— Vuoi dire che ti fa paura?

— Sì, ecco. Mi fa paura.

— La gente dà molti nomi diversi alla stessa cosa — disse Mary. — Caos potrebbe significare una cosa per noi, e una cosa completamente diversa per qualcun altro. Le diverse basi culturali portano a percezioni molto differenti.

— Ci stiamo aggrappando alle pagliuzze — disse Jorgenson. — Disperatamente, e senza neppure rendercene conto. Prima ci siamo aggrappati al cubo, poi alla città. Adesso ci sono la torre che canta e il Caos.

— Io credo ancora che il cubo fosse importante — disse Mary. — Ho ancora la sensazione, e non riesco a liberarmene, che abbiamo sbagliato tutto, con il cubo. Il generale era convinto che fosse la città, ma la città era troppo clamorosa, troppo fuorviante. Sarebbe stata una reazione naturale per chiunque, attendersi una soluzione dalla città. — Poi chiese a Jorgenson: — Voi non avete trovato nessuna spiegazione, là?

— Soltanto stanze vuote e polvere dappertutto. I quattro che si sono perduti, forse, avevano trovato una soluzione; e forse è per questo che non sono ritornati. Voi avete trovato qualcosa più di noi… le porte e l’installazione. Ma non vi hanno detto nulla; non avevano alcun valore.

— Non erano interamente prive di valore — disse Mary. — Ci hanno rivelato molte cose sugli abitanti della città. Un popolo portato alla scienza e alla tecnologia, molto sofisticato. E quello che abbiamo trovato indicava la strada che aveva percorso… per raggiungere altri mondi.

— Come noi siamo giunti in un altro mondo?

— Precisamente — disse Jurgens. — Con un’unica differenza… loro ci andarono perché lo volevano.

— E adesso hanno arraffato noi.

— Non possiamo esserne certi — disse Lansing. — Qualcuno, qualche entità, come hai detto, ci ha arraffati. Ma non sappiamo con certezza chi sia stato.

— Questa esperienza — disse Mary a Jorgenson, — non può esserti completamente estranea. Tu viaggiavi. Andavi volontariamente in altri mondi, viaggiando nel tempo.

— Ma ora non più — disse Jorgenson. — Ne ho perduto la capacità. Qui le mie procedure non servono.

— Forse se ti concentrassi, se ricordassi come facevi, il meccanismo che usavi. Quello che dicevi o che facevi, il tuo stato d’animo.

Jorgenson gridò: — Non credi che abbia tentato? Ho tentato di farlo, nella città.

— Sì, è vero — disse Melissa. — L’ho visto io.

— Se ci fossi riuscito — disse Jorgenson, — se solo ci fossi riuscito, avrei potuto tornare indietro nel tempo, nel periodo anteriore all’abbandono della città, quando c’erano ancora gli abitanti impegnati nell’opera che hanno tentato di realizzare.

— Sarebbe stato molto bello — disse Melissa. — Non capite? Sarebbe stato molto bello.

— Sì, ce ne rendiamo conto — disse Lansing.

— Tu non credi che io viaggiassi nel tempo — disse Jorgenson in tono di sfida.

— Non ho detto questo.

— No. Non l’hai detto. Non l’hai detto chiaramente.

— Stai a sentire — disse Lansing, — non cercare di attaccar briga. Abbiamo già abbastanza guai. Perché non tiriamo avanti senza scontri? Tu dici che viaggiavi nel tempo, e io non ti contraddico. Vogliamo chiudere così?

— Mi sta bene — disse Jorgenson. — Purché tenga la bocca chiusa.

Lansing non rispose.

— Abbiamo escluso gran parte di quello che abbiamo trovato, ormai — disse Mary. — Avevo la speranza che la torre potesse fornirci un’indicazione.

— Non ci ha fornito un bel niente — disse Jorgenson. — È come tutto il resto.

— Forse Sandra troverà qualcosa — disse Jurgens. — Sta assimilando la musica. Dopo un po’…

— Non è altro che una specie di tintinnio altalenante — disse Jorgenson. — Non riesco a capire che cosa possa trovarci.

— Sandra proviene da un mondo artistico — disse Mary. — Percepisce le qualità estetiche che in altri mondi sono sviluppate solo marginalmente. La musica…

— Se è musica.

— La musica potrebbe avere un significato, per lei — disse Mary, imperturbata dall’interruzione. — E forse, dopo un po’, si deciderà a dircelo.

Загрузка...