Nel tardo pomeriggio del secondo giorno, Mary e Lansing fecero la scoperta.
Tra due edifici, in fondo a uno stretto vicolo, videro la voragine. Lansing puntò nell’oscurità il raggio della torcia elettrica. Il fascio luminoso rivelò una rampa di scale, una rampa più solida di quella che ci si poteva aspettare di trovare in un vicolo.
— Tu resta qui — disse a Mary. — Scenderò a guardare. Probabilmente non troverò nulla.
— No — disse lei. — Vengo con te. Non voglio restar sola.
Lansing si calò prudentemente nel varco e scese la ripida scala. I suoni dietro di lui gli dicevano che Mary lo seguiva a poca distanza. La rampa non era l’unica. Arrivò a un pianerottolo. Un’altra rampa si calava ancora più in basso. Solo quando ebbe sceso i primi gradini sentì il mormorio. Si fermò di colpo per ascoltare, e Mary l’urtò alle spalle.
Il mormorio era sommesso. E non era un mormorio, come gli era parso in un primo momento. Sembrava piuttosto un canto gutturale, come se qualcuno canticchiasse fra sé. Un canto mascolino, non femminile.
— C’è qualcuno che canta — bisbigliò Mary.
— Dobbiamo andare a vedere — disse Lansing. Non avrebbe voluto proseguire. Se avesse dato ascolto all’impulso sarebbe fuggito in fretta. Perché, sebbene il canto (se era un canto) sembrasse umano, in quell’esperienza c’era una bizzarra alienità che gli allegava i denti.
La seconda rampa finiva a un altro ballatoio; quando incominciò a scendere la terza rampa, il canto divenne un poco più forte, e in basso, davanti a lui, scorse alcune luci fioche… occhi di gatto che lo fissavano nell’oscurità. Arrivò in fondo alla scala e avanzò di qualche passo su una striscia metallica. Mary lo raggiunse e si fermò al suo fianco.
— Macchine — disse lei. — O un’unica macchina.
— È difficile capirlo — disse Lansing. — È una specie d’installazione.
— E funziona — disse Mary. — Ti rendi conto che questa è la prima cosa funzionante che abbiamo trovato?
I macchinari, notò Lansing, non erano massicci. O imponenti. I numerosi occhi luminosi sparsi tutto intorno irradiavano abbastanza luce per permettergli di vedere i macchinari… di intuirli più che di vederli, anzi. Era un complesso fragile, esile. Sembrava che non avesse parti mobili. E cantava fra sé.
Quando Lansing puntò il fascio della torcia, più avanti, vide che la passerella di metallo proseguiva, formando uno stretto sentiero fra due agglomerati di macchinari. Si estendeva lontano, molto al di là della portata del fascio di luce, e fin dove arrivava lo sguardo era fiancheggiata da quelle forme esili.
A passo lento e guardingo, Lansing si avviò lungo la passerella, seguito da Mary. Quando arrivarono dove incominciava il macchinario, si fermarono, e Lansing puntò il raggio verso i segmenti più vicini dell’installazione.
Le macchine non erano semplicemente fragili: erano delicate. Il metallo levigato, se era metallo, brillava lucidissimo, senza tracce di polvere o di grasso. Non somigliava a nessuno dei macchinari che lui avesse avuto occasione di vedere. Sembrava una scultura metallica che un artista ispirato e un po’ ebbro avesse creato con un paio di pinze, ridendo incessantemente. Ma nonostante l’assenza di parti mobili, nonostante la mancanza di qualcosa che indicasse che era in funzione, pareva traboccare d’un senso di vita e di finalità. E non smetteva mai di canticchiare fra sé.
— È strano — disse Mary. — Sono ingegnere, e dovrei avere un’idea di quello che può essere. Ma non riesco a riconoscere neppure una delle componenti.
— Non immagini che cosa fa?
— No, assolutamente.
— Abbiamo detto che è un macchinario.
— In mancanza di un termine più preciso — disse Mary.
Lansing si accorse che il suo corpo reagiva inconsciamente al ritmo del canto delle macchine, come se rispondesse a quella musica. Si insinuava in lui, come per formare una base della sua vita.
Si sta impadronendo di me, pensò: ma il pensiero giungeva da molto lontano, e non sembrava far parte di lui. Era come se fosse un altro a pensarlo. Si rese conto del pericolo e cercò di gridare un avvertimento a Mary, ma impiegò un po’ di tempo per riuscirci e, prima che potesse gridare, era divenuto un essere diverso.
Era alto molti anni-luce, ed ognuno dei suoi passi divorava molti trilioni di chilometri. Torreggiava nell’universo, e il suo corpo era rarefatto e tenue, un corpo che lampeggiava come una massa di lustrini nel bagliore dei soli ardenti che turbinavano e orbitavano intorno a lui. I pianeti non erano altro che ghiaia scricchiolante sotto i suoi piedi. Quando un buco nero gli bloccò il passo, lo buttò lontano con un calcio. Tese la mano per cogliere una mezza dozzina di quasar e li infilò su un filo di luce stellare per appenderseli intorno al collo.
Salì una collina formata da stelle ammucchiate. La collina era alta e scoscesa, e dovette arrampicarsi, aggrappandosi, e il suo movimento dislocò un gran numero delle stelle che formavano la collina, e le stelle caddero rotolando e rimbalzando, in fondo alla collina che non aveva fondo.
Raggiunse la vetta e si fermò, piantandosi a gambe larghe per tenersi saldo, e l’intero universo era disteso davanti a lui, fino al confine più lontano. Levò il pugno e lo scosse, gridando una sfida all’eternità, e gli echi del suo grido ritornarono a lui dalla curva più lontana dell’infinito.
Dal punto in cui si trovava vide la fine del tempo e dello spazio e rammentò che una volta s’era domandato che cosa c’era, al di là della fine del tempo e dello spazio. Ora lo vedeva, e barcollava sconvolto. Perse l’equilibrio e precipitò sul pendio della collina, e quando arrivò in fondo (ma non c’era il fondo), restò riverso in una massa di polvere interstellare e di gas che si agitava tutto intorno a lui e lo sbatacchiava furiosamente, come se fosse in preda a un mare in burrasca.
Ricordò ciò che aveva veduto al di là della fine del tempo e dello spazio, e gemette. E gemendo ritornò dov’era, in piedi sulla passerella metallica fiancheggiata dalle macchine esili che canticchiavano.
Mary lo stringeva per il braccio e tirava per farlo voltare. Stordito, non ancora certo di sapere dove fosse, seguì docilmente lo strattone e si voltò. La torcia elettrica era accesa sul pavimento. Si chinò per raccoglierla. La raccolse, ma per poco non cadde a bocconi.
Mary lo tirò di nuovo.
— Possiamo fermarci, adesso. Come ti senti?
— Mi riprenderò — disse Lansing. — Mi sento un po’ confuso. Ho visto l’universo…
— Allora è questo che hai visto.
— Vuoi dire che anche tu hai visto qualcosa?
— Quando mi sono ripresa — disse Mary. — Eri immobile, paralizzato. In un primo momento ho avuto paura di toccarti. Temevo che ti frantumassi in un milione di pezzi.
— Sediamoci — disse Lansing. — Sediamoci un momento.
— Non c’è posto per sederci.
— Sul pavimento — disse lui. — Possiamo sedere sul pavimento.
Sedettero sulla superficie dura della passerella, guardandosi in faccia.
— E così adesso sappiamo — disse Mary.
— Che cosa sappiamo? — Lansing scrollò la testa, per schiarirsi le idee. Lo stordimento si andava attenuando, ma era ancora confuso.
— Sappiamo qual è la funzione delle macchine. Edward, non possiamo parlare al generale di questo perderebbe la testa.
— Dobbiamo dirglielo — ribatté Lansing. — Ci siamo accordati con lui. Dobbiamo essere onesti.
— Ancora una volta — disse Mary, — si tratta di qualcosa di cui non sappiamo che fare. Come le porte.
Lansing girò la testa per guardare le macchine fragili. Adesso le vedeva più nitidamente. Lo stordimento stava passando.
— Hai detto di aver visto l’universo. Che cosa intendi, esattamente?
— Mary, Mary, Mary! Per favore, aspetta un momento.
— Ti ha sconvolto — disse lei.
— Sì, credo di sì.
— Io ne sono uscita facilmente.
— Grazie al tuo forte senso d’auto-percezione.
— Non scherzare — disse Mary. — Non cercare di buttarla in scherzo. È una cosa seria.
— Lo so. Scusami. Tu vuoi sapere, e cercherò di dirtelo. Ho visitato l’universo. Ero altissimo, immenso. Avevo un corpo di luce stellare, forse una coda di cometa. Era come un sogno, ma non esattamente un sogno. Ero veramente là. Sì, è ridicolo, ma ero là. Ho scalato una collina formata di stelle ammucchiate insieme e, dalla vetta, ho visto l’universo, l’intero universo, fino alla fine del tempo e dello spazio, dove il tempo e lo spazio si esauriscono. Ho visto quello che c’era al di là del tempo-spazio, e non ricordo esattamente che cosa fosse. Il Caos. Forse è il nome adatto. Un niente vorticante, un niente furioso. Non avevo mai pensato che il nulla potesse essere una collera. È questo che mi ha sconvolto. E quando dico furioso, non intendo che era rovente. Era freddo. Non dal punto di vista della temperatura, era impossibile conoscere la temperatura. Freddo in un senso esiziale, velenoso. Indifferente. Peggio che indifferente. In collera contro tutto ciò che esiste, contro tutto ciò che è mai esistito. Smanioso di afferrare tutto ciò che non è il nulla e di annientarlo.
Mary mosse le mani in un gesto comprensivo. — Non avrei dovuto chiedertelo. Non avrei dovuto insistere. Scusami se ti ho costretto a parlarne. Non ti è stato facile.
— Volevo dirtelo. Te l’avrei detto in ogni caso, ma forse non subito. Comunque ormai è fatta e mi sento più tranquillo. Parlandotene, in un certo senso me ne sono liberato. Di quello che mi hanno fatto… che ci hanno fatto. Hai detto di averlo visto anche tu.
— Non è stata la stessa cosa. Era meno evidente. Sono sicura che è stata la macchina. Prende la tua mente, il tuo io, la forza vitale, la personalità, te la strappa e la porta altrove. Hai detto che è stato come un sogno, eppure non era un sogno. Io credo che fosse realtà. Una macchina non può avere il concetto di sogno. Se fosse possibile che qualcuno andasse dove sei stato tu, nella realtà, vedrebbe quello che hai visto. C’erano assurdità, naturalmente…
— Ho allontanato con un calcio un buco nero. Ho scalato una montagna di stelle. I pianeti scricchiolavano come ghiaia sotto i miei piedi, quando li calpestavo.
— Queste sono le assurdità, Edward. La reazione, la ribellione della tua mente. Un meccanismo difensivo con il compito di salvarti la ragione. L’elemento del riso. La sghignazzata, per dimostrare che non te ne importava.
— Tu credi che fossi veramente là? Che la mia mente fosse davvero là?
— Senti — disse lei, — dobbiamo ammetterlo. Gli abitanti di questa città erano scienziati abilissimi, tecnici straordinari. Dovevano esserlo per forza di cose, per produrre questo macchinario e le porte e lo schermo grafico del generale. Le loro menti e le loro finalità seguivano direttrici diverse dalle mie e dalle tue. Cercavano spiegazioni alle quali noi non penseremmo mai. Per quanto possano essere assurde, le porte sono comprensibili. Ma quello che c’è qui non è comprensibile. Sotto certi aspetti, può essere un’eresia scientifica.
— Se continui a parlare così ancora per un po’, finirai per convincermi.
— Dobbiamo affrontare la realtà. Siamo alle prese con un mondo che non comprendiamo. Siamo alle prese con ciò che ne resta. Dio sa che cosa avremmo trovato qui, al culmine della loro cultura. Può darsi che siano concetti umani. Anzi, credo che lo siano. Sono quel tipo di progetti ambiziosi e ubriacanti che la razza umana potrebbe proporsi. Ma per il fatto stesso che sono tanto stranamente umani, possono sembrarci più alieni di qualcosa creato da una razza di qualche lontanissimo sistema solare.
— Ma la loro cultura si è estinta. Nonostante tutto quello che facevano o potevano fare, è finita in niente. Loro non ci sono più, e la città è morta.
— Può darsi che siano andati altrove. In un altro mondo che hanno scoperto.
— O forse hanno ecceduto. Ci hai pensato? Hanno perduto l’anima… è così che diceva il reverendo?
— Parli come lui — disse Mary.
— E adesso, dimmi tu. Dove ti hanno mandata?
— L’ho appena intravvisto. Tu devi essere rimasto lontano più a lungo di me. È stata una visione passeggera. Un’altra cultura, credo. Non ho visto nessuno. Non ho parlato con nessuno. Ero come uno spettro che nessuno vedeva. Un’ombra che è entrata ed è uscita. Ma sentivo la gente, la vita che viveva, i pensieri che pensava. Era bellissimo.
«Erano divini. Veramente divini. Non c’è dubbio. Se rimanessi là abbastanza a lungo, a percepirli, a capire quanto ti sono superiori, ti sentiresti ridotto al livello di un verme. Sono divinità benevole, credo. Ma sofisticate. Civilizzate. Completamente civilizzate. Non hanno un governo. Non ne hanno bisogno. E non hanno il senso dell’economia, non hanno bisogno neppure di questo. È necessaria una vera civiltà, la concezione più alta della civiltà, per non aver bisogno d’un governo e di un sistema economico. Niente denaro, niente compravendite, niente prestiti, e quindi, niente tassi d’interesse, niente banchieri, niente avvocati. Forse non esiste neppure la legge.
— E come fai a sapere tutto questo?
— L’ho assimilato. Era tutto lì, disponibile. Per conoscerlo. Non per vederlo, naturalmente. Per conoscerlo.
— Al posto dei telescopi — disse Lansing.
— I telescopi?
— Stavo pensando a voce alta. Nel mio mondo, e suppongo anche nel tuo, gli uomini si servono dei telescopi per scoprire i segreti dello spazio. Ma questa gente… non si serviva dei telescopi. Anziché guardare lontano, ci andavano. Potevano andare a vedere personalmente. Dovunque volessero, immagino. Dopo aver costruito un’installazione come questa, avrebbero saputo indubbiamente come usarla e controllarla, per poter raggiungere obiettivi specifici. Ma adesso le macchine… in quale altro modo posso chiamarle?
— Macchine va bene.
— Adesso sono impazzite. Ci hanno mandati di qua e di là, a casaccio.
— In questa città — disse Mary, — da qualche parte, deve esserci la sala di comando per controllare questa installazione. Forse esistono cabine nelle quali entravano le persone che si sottoponevano al suo funzionamento… ma ne dubito. Deve essere un sistema molto più sottile.
— Anche se trovassimo quella sala — disse Lansing, — potremmo impiegare anni ed anni, prima d’imparare a farla funzionare.
— Può darsi. Ma forse varrebbe la pena di tentare.
— Forse è ciò che è accaduto alla gente della città. Forse trovarono un altro mondo, un mondo migliore, e vi andarono tutti.
— Fisicamente e non soltanto mentalmente? — chiese Mary. — Non doveva essere molto semplice.
— È vero. Non ci avevo pensato. Anche se avessero potuto riuscirci, non spiegherebbe perché è scomparso anche tutto il resto. A meno che avessero trasferito ciò che possedevano.
— Ne dubito — disse Mary. — A meno che usassero questa installazione per trovare un altro mondo e costruire un’altra porta che permettesse di accedervi. Potrebbe esserci una connessione tra queste macchine e le porte, anche se tendo piuttosto a credere che l’installazione fosse uno strumento di ricerca usato per apprendere di più sui mondi alieni. Immagina tutto quello che se ne potrebbe fare. Potresti ottenere tutti i dati adattabili alla tua cultura. Potresti modificare i sistemi politici ed economici, rubare procedimenti tecnologici che prima non conoscevi, perfezionare le strutture sociologiche, forse scoprire nuove metodologie scientifiche, o addirittura discipline ignote. Per una razza civile, sarebbe un’iniezione culturale ricostituente.
— Appunto — disse Lansing. — Una razza intelligente, hai detto. La razza che viveva qui era abbastanza intelligente? La tua cultura e la mia sarebbero abbastanza intelligenti per usare ciò che potremmo scoprire mediante lo sfruttamento di questa installazione? Oppure ci limiteremo a tener stretti i nostri vecchi sistemi, la vita su altri mondi… e magari l’useremo in modo disastroso?
— Non sta a me e a te decidere — disse Mary. — Almeno per il momento. Credo che dovremmo uscire, e vedere se è possibile trovare quell’ipotetica sala comando.
Lansing si alzò e tese la mano per aiutarla. Quando Mary fu in piedi, non lo lasciò.
— Edward — disse, — noi due ne abbiamo passate tante, insieme. Anche in un tempo così breve…
— A me non è sembrato breve — disse Lansing. — Non riesco a ricordare che ci sia stato un tempo senza di te.
Si chinò a baciarla, e Mary si tenne stretta a lui per un momento, poi si scostò.
Salirono la scala, ritornarono nel vicolo e incominciarono a cercare. Continuarono fino a quando scese l’imbrunire. Non trovarono la sala comando.
Quando ritornarono nell’edificio dov’erano accampati, trovarono Sandra e Jurgens indaffarati a preparare il pasto serale. Il generale di brigata non c’era.
— Se n’è andato per conto suo — spiegò Sandra. — Non l’abbiamo più visto.
— Non abbiamo trovato niente — disse Jurgens. — E voi?
— Non parliamo di lavoro, per piacere, prima di aver cenato — disse Mary. — Nel frattempo, il generale dovrebbe tornare.
Il generale di brigata arrivò mezz’ora dopo e sedette pesantemente sul suo sacco a pelo arrotolato. — Devo confessare che sono depresso — disse. — Ho esplorato gran parte del settore nord-orientale. Avevo la strana sensazione che, se dovevamo trovare qualcosa, l’avremmo trovato là. Ma non ho trovato niente.
Sandra gli passò un piatto. — Mangiamo — disse.
Il generale di brigata prese il piatto e incominciò a mangiare senza aspettare gli altri, riempiendosi avidamente la bocca. Sembrava stanco, pensò Lansing. Stanco e vecchio. Per la prima volta, il generale sembrava vecchio.
Quando ebbero finito di mangiare, il generale pescò una bottiglia nel suo zaino e la passò agli altri. Appena gliela restituirono, bevve una lunga sorsata, la tappò e se la mise sulle ginocchia.
— Sono passati qui giorni — disse. — Il tempo che mi avete promesso. Sono un uomo di parola. Non cercherò di trattenervi ancora. Mary, so che proseguirà con Lansing. E gli altri due?
— Credo che andremo con Mary e Lansing — disse Sandra. — Io, almeno, andrò con loro. La città mi fa paura.
— E tu? — chiese il generale di brigata a Jurgens.
— Con tutto il rispetto — rispose il robot, — mi sembra che non ci sia motivo di restare.
— In quanto a me — disse il generale di brigata, — mi fermerò per qualche tempo. Forse vi raggiungerò più tardi. Sono sicuro che qui si può trovare qualcosa.
— Generale — disse Lansing, — l’abbiamo trovato noi, questo pomeriggio. Ma devo avvertirla che…
Il generale di brigata si alzò di scatto e la bottiglia cadde. Urtò il pavimento ma non si ruppe. Rotolò via, e Lansing l’afferrò.
— L’avete trovato — gridò il generale di brigata. — Che cosa? Ditemi che cosa avete trovato.
— Si sieda, generale — disse Lansing, bruscamente, come se si rivolgesse a un bambino capriccioso.
Apparentemente sbalordito dal tono di Lansing, il generale di brigata sedette, docile. Lansing si tese e gli restituì la bottiglia; lui la prese e se la rimise sulle ginocchia.
— E adesso parliamone con calma — disse Mary. — Riflettiamo. Non corriamo subito via all’impazzata. Avevo suggerito a Edward di non dir niente della scoperta, ma lui ha risposto che avevamo fatto un patto…
— Ma perché? — gridò il generale di brigata. — Perché non dire niente?
— Perché ciò che abbiamo trovato trascende la nostra comprensione. Conosciamo almeno una delle cose che può fare, ma non c’è modo di controllarlo. È pericoloso. Non è il caso di scherzarci. Abbiamo pensato che da qualche parte dev’esserci una sala comando, ma non siamo riusciti a trovarla.
— Lei è ingegnere — disse Jurgens. — Lei dovrebbe capire queste cose molto meglio di tutti noi. Perché non si decide a spiegarci che cosa avete trovato?
— Vuoi parlare tu, Edward? — chiese Mary.
— No — disse Lansing. — No, spetta a te.
Mary parlò, e gli altri l’ascoltarono attentamente. Ci fu qualche domanda, ma non molte.
Quando ebbe finito, ci fu un lungo silenzio. Finalmente Jurgens si rivolse a Mary. — Insomma, ha detto che gli abitanti, qui, cercavano altri mondi. Mondi alieni, con ogni probabilità, anziché Terre alternative.
— Forse non conoscevano l’esistenza delle Terre alternative — disse Lansing.
— Volevano andarsene da qui — disse Jurgens. — L’installazione che avete trovato e le porte sono collegate, fanno parte dello stesso programma di ricerca.
— Sembra molto probabile — disse Mary.
Il generale disse, con calma, una calma insolita in lui: — Voi due siete i soli che l’avete visto. Dovremmo vederlo tutti, tutti e cinque.
— Non ho detto che non dobbiamo indagare — ribatté Mary. — Ho detto solo che dovremmo essere molto prudenti. Io ed Edward siamo stati catturati, ma solo per un momento. Forse è stato un puro e semplice esempio di ciò che può fare l’installazione.
— Avete cercato la sala comando?
— L’abbiamo cercata fino all’imbrunire — disse Lansing.
— Secondo ogni logica, i comandi dovrebbero trovarsi nella stessa sede dell’installazione — disse il generale di brigata.
— Ci abbiamo pensato, ovviamente. Ma non c’è nessuna stanza. Tutto lo spazio è occupato dalle macchine. Abbiamo immaginato che forse, in un edificio vicino…
— Non è detto che sia proprio così — l’interruppe Mary. — Ora me ne rendo conto. La sala comando potrebbe essere in qualunque punto della città. In qualunque posto.
— Ha detto che il meccanismo è irriconoscibile? Che non ha un’idea di ciò che è?
— Non c’è un solo pezzo — disse Mary, — che io abbia riconosciuto come possibile equivalente di un meccanismo del mio mondo. Naturalmente, se l’esaminassi da vicino può darsi che riuscirei a capirci qualcosa. Ma il fatto è che non vorrei avvicinarmi troppo, lasciarmi coinvolgere. Sarebbe troppo rischioso. Io ed Edward non abbiamo fatto l’esperienza dell’effetto totale, ne sono sicura. Se ci si avvicina di più… non so proprio cosa potrebbe accadere.
— La caratteristica di questa città che mi allarma di più — disse Sandra, — è la sua piattezza. Non la piattezza della città, ma della cultura che rappresenta. Attesta una povertà culturale semplicemente impossibile. Non esistono chiese, né luoghi di culto riconoscibili, niente che potesse essere un tempo una biblioteca, una galleria d’arte, una sala da concerti. Mi sembra inconcepibile che un popolo potesse essere tanto privo di sensibilità, che si accontentasse di vivere un’esistemza tanto piatta.
— Forse era un popolo votato ad un’unica idea — disse Lansing. — Completamente dedito ad un’unico campo di ricerca e di iniziativa. Certo, è difficile capirlo, ma non possiamo conoscerne le motivazioni. Sarebbe possibile, suppongo, avere una motivazione tanto forte da…
— Questa discussione non ci porta a niente di concreto — borbottò il generale di brigata. — Domattina daremo un’occhiata. O almeno, io darò un’occhiata. Voialtri ve ne andrete.
— Resteremo con lei — disse Lansing. — Il tempo sufficiente per dare quell’occhiata.
— Ma, per amor di Dio — disse Mary, — cerchiamo d’essere prudenti, tutti quanti.