12

Si sistema nel fango umido e freddo. Non riesce a muoversi: il concetto di "potersi muovere" gli è estraneo. È soddisfatto di stare lì incastonato, di trarre le sostanze nutritive di cui ha bisogno attraverso le radici fibrose, e di osservare gli splendidi flutti colorati del fiume mentre passa accanto all’isola. Il suo compagno Aspettatore vive non distante da lui. Clay è costantemente cosciente dei pensieri dell’Aspettatore: una grande forza, una calma profonda, un intelletto appassionato, e, cosa che pervade tutto, una sorta di trascinante malinconia, una tristezza per la natura stessa delle cose.

Non conosce l’età dell’Aspettatore, e capisce rapidamente che sarebbe stupido chiederla, in quanto il tempo interessa all’Aspettatore solo in termini negativi. — Studieremo — gli dice l’Aspettatore — le virtù dell’assenza di tempo. — Né osa chiedere a quale punto della storia umana sia diventato necessario, auspicabile, assumere quella forma particolare, e per quali motivi. Accetta tutto passivamente. Ha imparato ad aspettarsi l’infinita varietà.

Passivo è, e passivamente agisce. — Qual è il tuo fine? — chiede all’Aspettatore, e l’Aspettatore risponde: — Aspettare.

— Ci sono molti della tua razza?

— Molti.

— Sei in contatto con loro?

— Raramente.

— Senti la solitudine, qui?

— Sento la libertà.

Clay ha esaurito le domande. Studia il fiume. I suoi occhi sono come antenne che captano immagini da tutte le parti; vede le montagne, il mare, le nuvole, le circostanti foschie violette. Il sole sorge e tramonta e sorge e tramonta, ma lui non associa questi cambiamenti all’idea del passaggio del tempo. Si tratta di semplici fenomeni luminosi. Il tempo non passa. I non-minuti fluiscono in altri non-minuti, e i non-minuti formano non-ore, che si ammucchiano in anti-giorni e in contro-settimane e in non-mesi, e questi a loro volta nell’antitesi degli anni e nell’opposto dei secoli. Tali intervalli di atemporalità sono interrotti, occasionalmente, da qualche lento pensiero che si apre la strada attraverso lente connessioni cerebrali fino alle profondità della sua coscienza. Non è affatto infastidito dal nuovo ritmo delle cose. Gli sembra abbastanza delicato e perfetto e splendido funzionare in quel modo, perché ha la possibilità di esaminare ogni aspetto di una nozione, rivoltandola da tutte le parti, manipolandola, analizzandola, scomponendola, sondandola. Spesso passa un’intera serie di non-eoni prima che tra lui e l’Aspettatore che è accanto a lui si verifichi qualche scambio di pensieri. Non è necessario parlare molto. È solo necessario pensare, e considerare, e apprendere, e comprendere. Riesamina gran parte dei contenuti trascurati dalla sua mente. Rigetta la fallacia del movimento, l’assurdità della tensione, l’inutilità dell’aggressività; e l’idiozia dell’arrivismo, l’errore del progresso, l’assurdo concetto di velocità, l’aberrazione dell’orgoglio, l’allucinazione della curiosità, l’illusione della realizzazione, il miraggio della consecutività, e una gran quantità di altre cose che ha portato in sé troppo a lungo. Solidamente radicato, sufficientemente nutrito, pienamente soddisfatto della sua condizione, padroneggia passivamente universi inquietanti di pensiero.

Tra le sue nuove riflessioni sfavillano siffatte gemme.

Tutti i momenti convergono nell’adesso.

La stasi contiene e circonda il dinamismo.

È un errore immaginare l’esistenza di una sequenza lineare di eventi.

Gli eventi stessi sono semplici aggregazioni di energia casuale, alla quale imprimiamo il nostro erroneo senso della forma.

Combattere l’entropia significa guardare nei propri occhi.

Ogni fiume ritorna alla sorgente.

La sola dottrina più spuria del determinismo è la dottrina del libero arbitrio.

La memoria è lo specchio dell’errore.

Costruire oggetti fisici servendosi di dati sensoriali prestabiliti è un piacevole passatempo, ma oggetti del genere sono privi di un contenuto verificabile, e perciò irreali.

Dobbiamo renderci conto, a priori, del fatto che tutte le nozioni a priori sulla natura dell’universo sono conseguentemente false.

Non esistono condizioni necessarie né relazioni causali; perciò la logica è tirannia.

Quando è giunto a una comprensione intima di queste premesse tutta l’irrequietezza l’abbandona. È in pace. Non è mai stato felice come da quando si trova nella forma dell’Aspettatore, perché adesso si rende conto che la gioia e la tristezza sono semplicemente aspetti della stessa delusione, non più tangibili né significative di elettroni, neutroni o mesoni. Può fare a meno di tutte le sensazioni e vivere in un ambiente di astrazioni pure: tralasciare strutture, colori, tonalità, gusti e distinzioni di forma! Non si limita semplicemente a ripudiare il messaggio dei sensi: ne nega la realtà complessiva. In questa nuova atmosfera di tranquillità riconosce rapidamente che l’Aspettatore deve essere considerato l’aspetto più evoluto mai sviluppato dalla razza umana, poiché è quello maggiormente padrone dell’ambiente. Il fatto che l’umanità abbia continuato a mutare dopo aver sviluppato gli Aspettatori è un volgare paradosso, un’impressione basata su un’errata comprensione della casualità degli eventi, e lui non perde molto tempo ad analizzarla. Questi Sfioratori, questi Respiratori, questi Mangiatori, tutte le forme successive sono pietosamente inconsapevoli della loro irrilevanza nei confronti della non-struttura del non-universo.

Non lascerà mai questo posto.

Pure, curiose stonature si sviluppano nella sua soddisfazione. Il suo collega Aspettatore, per esempio, irradia spesso una pigra e inquietante tonalità di dubbio che stride stranamente con la visione filosofica dell’Aspettatore stesso. Talvolta il fiume cresce e spinge nuvole di particene scintillanti nel luogo in cui Clay è radicato nel terreno; questi flussi bloccano contemporaneamente le sue percezioni sensoriali e lo lasciano indiscutibilmente preoccupato dall’importanza delle percezioni. Anche se è capace di trascendere queste difficoltà, è turbato da un’incertezza fondamentale che è in conflitto non solo con la sua consapevolezza della non-esistenza di scopi, ma con la consapevolezza altresì della non-esistenza di conflitti. Sorpassa a fatica questo punto oscuro senza tentare di affrontarlo. Il tempo passa atemporalmente, diffondendosi in una serie di conchiglie grigie concentriche autodivorantisi. Non sa più se vive nel crepuscolo o all’alba del mondo. Non ritorna a una concezione lineare degli eventi fino al giorno in cui una certa combinazione di strutture e densità si presenta sull’isola in cui si è stabilito, e riesce a penetrare nel suo isolamento.

Percepisce una morbidezza all’interno della durezza. Percepisce un ovale all’interno di un rettangolo. Percepisce un suono all’interno del silenzio.

Sente una voce acuta dire: — I tuoi amici ti cercano. Vuoi tornare da loro?

Clay permette a questo schema astratto di fenomeni coincidenti di assumere l’illusione della realtà. Adesso percepisce l’amico risorto, lo sferoide. Osserva la rosea creatura gelatinosa inserita nelle sbarre di metallo splendente della sua gabbia. Dice: — Come posso capire quello che dici?

— Nessuna barriera è eterna — dice lo sferoide. — Adesso sono in sintonia con la lingua corrente.

— Perché sei qui?

— Per aiutarti. In me c’è un debito di gratitudine, perché sei stato tu a riportarmi alla vita.

— Nego questo debito. La vita e la morte sono condizioni indistinguibili. Eri semplicemente confuso, io ti ho illuminato.

— Sia come sia, vuoi rimanere radicato nel terreno fino alla fine del tempo?

— Vago come più mi piace senza bisogno di lasciare questo spazio.

— Non vorrei offenderti — dice lo sferoide. — Ma temo che tu non sia più padrone di te stesso. Penso che tu abbia bisogno di essere salvato. Rimani nella sabbia di tua spontanea volontà?

— Lascia che ti spieghi il libero arbitrio — dice Clay.

Parla a lungo. Mentre parla, lo sferoide gli si avvicina. Clay ha appena completato un’esauriente spiegazione della natura interiore dell’apparente linearità delle circostanze quando lo sferoide estende un anello brillante di radiazioni dorate che penetra nel terreno tutt’intorno a lui. È circondato da questo cono di energia. Nella profondità della sabbia umida esso preme contro le punte delle sue radici. I punti estremi del suo corpo si appiattiscono sulla base inferiore del cono. Smettendo di parlare, chiede: — Che cosa stai facendo? — Lo sferoide risponde paziente: — Ti sto salvando. — Clay non desidera affatto essere salvato. — Violazione della mia integrità fisica — dichiara. — Comportamento arbitrario e antisociale. Contraddice la natura essenzialmente non violenta di questo periodo di storia umana. Violenza contro la mia anima per agire sulla mia personalità contro i miei desideri. Io protesto. Non hai alcun diritto. Nel nome del debito che hai con me. Voglio essere lasciato come sono. Interrompi subito. Lasciami. Perché non mi lasci solo? Questa sfera di forza. La costrizione come arma dell’uomo contro l’entropia. Vai… Via… — Ma nessuna di queste frasi induce lo sferoide a desistere dalla sua impresa. Il cono d’energia ruota rapidamente. L’aria crepita e si illumina per via della ionizzazione. Clay perde il controllo di sé. Chiede aiuto all’Aspettatore, che non interviene minimamente. Clay sta emergendo. C’è un suono, come lo scoppio di un sacchetto, e balza dalla sabbia. Giace sulla spiaggia, una gigantesca carota pensante, e agita debolmente le radici, ruotando gli enormi occhi tutt’intorno. — Mi hai frainteso — dice allo sferoide. — Non avevo la minima intenzione di essere estratto. Ho accettato con decisione la condizione passiva. Questa è un’intrusione. Provo il più fiero risentimento. Sono incapace di portare avanti le mie ricerche. Grama ricompensa per il favore che t’ho fatto! Insisto per tornare dov’ero: è un dovere morale. — Lo sferoide, ronzando intensamente, estende pseudopodi di carne rosa per colpire la fronte pelosa e febbrile di Clay. Una nuvola blu gli si crea intorno. Piccoli tentacoli di fumo grigio gli penetrano nei pori. — Imperdonabile — dice Clay. — Termine involontario della metamorfosi. Puro fascismo biologico. — Lo sferoide piange. Clay sta cambiando, adesso. Sente l’impulso e l’urgenza. Quale forma assumerò? Antenne rosse, tentacoli purpurei? Struttura oblunga di carne flaccida? Gobbe verdi che spuntano da un cranio con la cresta? Si stiracchia. Si siede. È di nuovo biforcato. Gambe: e un soffice insieme di organi nel mezzo. È stato risessualizzato. Mani. Dita. Orecchie. Labbra. Un giardino epiteliale. Un gorgoglìo dentro di lui: microflora nascosta sottoposta al movimento ritmico della vita che risorge. La battaglia dei globuli bianchi. È nuovamente se stesso.

La gratitudine esce da lui in un fluido oleoso. Lo sferoide l’ha salvato dalla propria passività. Si alza rapido in piedi. Danza sulla sabbia fangosa. Felice abbraccia la gabbia dell’altro essere, e ne riceve parecchie miti scosse, che gli danno i brividi. — Sarei rimasto qui fino alla fine del tempo — dice Clay. — Un vegetale. — L’Aspettatore sepolto esprime la sua disapprovazione per la superficialità di Clay. — Naturalmente — aggiunge Clay — ho acquisito notevoli informazioni sulla realtà e sull’illusione. — Si acciglia e, prendendo pensosamente a calci la sabbia, cerca di fare qualche esempio allo sferoide, ma adesso non ha più nessuna intuizione. La cosa lo intristisce. È tutto scomparso, allora, quel torrente meraviglioso di filosofia, quell’ammasso di dati aurei? La sua consapevolezza dell’illusione non era altro che pura illusione? Per un momento si sente tentato di ripiantarsi nella sabbia e mettere ancora una volta radici, per riacquistare per un momento quella sorgente di elusiva saggezza. Ma non lo fa. Sa quanto sia ristretta la strada della fuga. Prova un intenso calore e affetto, quasi attrazione sessuale, per il suo salvatore. L’umanità innata di tutte le creature umane li collega, ne è sicuro. Lo sferoide è mio fratello e io non devo rifiutarlo. Ma l’Aspettatore aggiunge, tristemente: — Anch’io sono umano — e Clay sprofonda nella colpa, rendendosi conto della sua attuale crudeltà. — Mi dispiace — mormora. — Devo fare una scelta. La saggezza non è sufficiente. È essenziale anche l’esperienza. In ogni modo… — (un tentativo di consolazione) — …potrei tornare. Dopo aver visto di più. Non ti lascio per sempre. — L’Aspettatore risponde: — Non ha molta importanza. Tu sei in transito. Fai quello che preferisci: la tua volontà è libera. — Il paradosso manda in crisi Clay. Quasi ricade nel fiume dissolutore. Fermandosi sulle ginocchia a poche decine di centimetri dall’acqua, risale preoccupato la spiaggia per un po’ e si sdraia, angosciato, allarmato. Il cielo si oscura. Il sole scompare. Infila il pene nella sabbia umida. Lo accarezza con le dita. Prende una boccata di sabbia e mastica le particelle che sono sotto i suoi denti. Pezzettini di duro quarzo, di silicio, di calcio, i detriti di età che si sono succedute su questa spiaggia, frammenti di città, autostrade, vecchi satelliti spaziali, rocce lunari, tutti amorosamente mescolati e modellati dal mare sospiroso e poi depositati qui… Vuole recepire tutto. L’ombra esile dello sferoide cade su di lui. — Andiamo? — chiede. Clay sobbalza, nel sentirlo. — Di dove ti viene quella voce? — s’informa. — Non sembri avere una bocca. Non hai nessun tipo di orifizio. Come diavolo fate a essere umani, senza orifizi? — Lo sferoide risponde gentilmente: — Hanmer spera che tu ritorni. Ti. Serifice. Ninameen. Angelon. Bril.

— Serifice è morta — dice Clay, alzandosi, spazzolandosi la sabbia di dosso. — Ma vorrei rivedere gli altri. In realtà non volevo abbandonarli. Andiamo.

Загрузка...