Gli Sfioratori lo circondano e gli danno un caloroso benvenuto. Tutti e sei hanno assunto forma femminile in suo onore; lo baciano e lo accarezzano e si strofinano contro di lui. Hanmer, Ti, Bril, Serifice, Angelon, Ninameen. Serifice? Serifice. Non gli lasciano la possibilità di fare domande. Ridacchiando, lo portano a un minuscolo laghetto nel mezzo del prato, e lo ripuliscono dalla polvere del mondo-galleria. Le loro mani arrivano ovunque, come quelle esperte delle ragazze di un harem. Non riesce nemmeno a vedere, tra gli spruzzi d’acqua. Serifice? Gambe gli si avvinghiano. Viene velocemente e gioiosamente sedotto, ma l’unione viene interrotta prima che riesca a raggiungere l’orgasmo. Qualcuno gli esplora l’avambraccio. Qualcun altro gli solletica le orecchie. — Basta! — dice, ma continuano per un po’. Infine si rialza, con un’imponente e sgraziata erezione, e risale sulla riva, e li trova tutti maschi e ridenti. Lo sferoide è fermo poco distante.
— Serifice? — chiede — Sei davvero Serifice?
Si avvicina alla figura magra, Serifice annuisce. C’è nuova saggezza negli occhi scarlatti. Hanmer dice: — Serifice, sì. La morte lo annoiava.
— Ma…
— La Melodia dell’Oscurità! — grida Ninameen, e si alzano tutti quanti, affollandosi intorno a Clay e urlando. Perfino lo sferoide si unisce al clamore generale. — Andavi troppo velocemente per me — dice Clay con tono di rimprovero. — Mi hai lasciato indietro in quel terribile deserto. — Lo sferoide, colpito, sembra abbattuto, cambia colore e si sposta a disagio sulle ruote. Ma l’allegria degli altri rende subito inopportuni tali scambi di accuse e colpe. La loro danza selvaggia sembra una preparazione per il rito che sta per iniziare, e lui sente che stanno traendo energia dalla terra, e la raccolgono in pulsazioni risonanti con cui si avvolgono il corpo. Un tetto ionizzato, tintinnante e sibilante, li copre. Un meraviglioso bagliore blu sorge dall’erba. Nell’intessere i loro incantesimi gli Sfioratori passano da un sesso all’altro, concentrati in cose completamente aliene. Lui vaga in mezzo al gruppo, a disagio. Il cielo si oscura; il sole si sposta come se fosse spinto da qualcuno, e le stelle cominciano a splendere attraverso la nube di elettroni ronzanti, man mano che il giorno si avvicina alla fine. Clay si avvicina a Serifice, che è femmina. Lei si muove avanti e indietro, avanti e indietro, compiendo un passo intricato senza mai spostarsi da un fazzoletto di terra di un metro quadrato. Le sue braccia descrivono una serie di movimenti a elica e ruotano. Scintille pallide scaturiscono dai suoi polpastrelli. — Tu eri morta — le dice. — Non è così? — Lei non interrompe il suo passo. Con un piccolo sospiro, promette: — Ti dirò tutto. — Lui cade nel ritmo dei movimenti di lei. — Dove sei andata? — chiede. — Com’era? Come hai fatto a trovare il modo di tornare? — Lei solleva un braccio e lo inonda di scintille che ronzano e fischiano contro la sua pelle. — Più tardi — gli dice. — Ti darò notizie sulla morte. Ma adesso dobbiamo sintonizzarci con l’oscurità.
— Posso partecipare al rito?
— Certo — dice lei. — Certo, certo, certo.
Adesso dal cuore del mondo proviene un torrente di energia, una colonna blu luminosa che sorge come un Albero della Cuccagna nel mezzo del prato. Torrenti di energia ne discendono, stordendoli; Serifice ne stringe uno, Hanmer un altro, e così Ninameen, Ti, Bril, Angelon. Lo sferoide, pur sembrando in apprensione, permette al flusso lucente di penetrare nella sua gabbia. Clay esita per un momento. Poi afferra un baleno, e percepisce una sensazione familiare: quella sensazione di carne che si dissolve che ha provato quando Hanmer l’ha preso, molto tempo prima, e l’ha trasportato da un pianeta all’altro; ma adesso è senz’altro più intensa. Stanno salendo, lui, Hanmer, Serifice, Angelon, tutti loro, diventano una sola fiamma, salgono guizzando e puntano verso i cieli, e quasi istantaneamente sono al di fuori dell’atmosfera della Terra. Vede il pianeta che gira sonnolento sotto di lui, avvolto in strati di luce azzurra. Una zona di luce diurna si sposta sulla superficie; minuscole particelle risplendono in quel raggio. Gli altri mondi persi nel cielo si muovono e ruotano musicalmente seguendo il proprio cammino. Lui vorrebbe visitare ancora una volta Giove, arrendersi alla sua forza possente. Sogna di nuotare nel nebbioso Nettuno. Ma non sono previste fermate in questo viaggio, come presto scopre. I pianeti si allontanano veloci e si perdono in lontananza, semplici punti nella notte, poi neanche più quello. Piange, a questa perdita dei mondi; le sue lacrime scorrono libere e si perdono splendenti in tutto il firmamento, e girano ancora più rapidamente, raccogliendo sempre più energia cinetica, risucchiando energia dalle radici della galassia mentre si muovono nella notte, e una dopo l’altra prendono fuoco e bruciano con una luminosità improvvisa. Assumono lo splendore chiaro e autosufficiente dei soli: ha creato una costellazione rutilante. — Sì — dice Hanmer mormorando da un punto vicino. — Siamo qui.
Si raccolgono, tutti quanti, di fronte al volto congelato dell’universo.
Vorrebbe aver studiato l’astronomia. Queste stelle non hanno etichette! Come farà a sapere quali sta visitando? Cos’è quella terribile sfera rossa, incastonata in un’enorme conchiglia in espansione di gas sottili? Cos’è quel fiero raggio blu, che lacera lo spàzio con il suo enorme flusso energetico? Quell’ammasso di polvere rutilante? Quel massiccio corpo biancastro? Quell’occhio arancione malato? Questo sole triplo? Quella nuvola di luminosità speculare? — I loro nomi? — chiede. — Sapete dirmeli? — E qualcuno (Hanmer?) risponde: — Uovo, Foglia, Labbro, Raggio, Sangue, Mare e Strisce. — Clay protesta: — No, no. I loro vecchi nomi. Sirio, Canopo, Vega, Capella, Arturo, Rigel, Procione, Altair, Betelgeuse, Spica, Deneb, Aldebaran, Antares… — Ma loro gli danno altri nomi, indicando eccitati i globi di energia: — Calderone. Sottile. Primo. Piatto. Pietra. Cieco. — Clay rifiuta ancora una volta quei nomi. Si sente preda di profonda frustrazione. Dove si trova? Che sono queste stelle? Beta Lyrae! Tau Ceti! Epsilon Aurigae! Gamma Leonis! Rimane sospeso nello spazio con le stelle che scintillano nella parete oscura davanti a lui. Riesce a toccarle, può accarezzarle, ma non sa dar loro un nome.
Qui ce n’è una gialla come il suo sole, ma mostruosa, comprende enormi ore-luce di spazio.
Qui c’è un globo blu senza pianeti che invia onde selvagge di energia dirompente nell’oscurità. Qui c’è un gigante rosso che raccoglie dolcemente un centinaio di mondi orbitanti intorno a sé. E qui. E qui. E qui. Stelle morte. Stelle nane. Stelle doppie. Stelle che esplodono. Stelle consumate. Stelle timide. Stelle polverose. Comete. Meteore. Nebulose. Asteroidi. Lune. Da una parte appaiono stelle sfilacciate. Dall’altra stelle che eseguono una febbrile danza doppia. Qui ci sono stelle in collasso. Qui stelle in collisione. Dove finisce l’universo? Qual è il colore della terra che si stende al di là di queste pareti? Quale lingua parlano, laggiù? Quali vini bevono?
Il cosmo è pieno di toni discordanti che giungono da ogni parte e lui attraversa, confuso, interi parsec in pochi momenti, intontito dal violento clangore di queste stelle che giostrano senza nome. Ognuna canta con la propria tonalità e chiave risonante. Ognuna crea una serie privata di scale. Non esiste armonia. Non esiste ordine. Non esiste motivo. È perso, privo di aiuto, indifeso, intontito, disorientato, rimpicciolito.
Hanmer, sempre tranquillo, dice: — Adesso c’è la Melodia dell’Oscurità.
Inizia. Uno sforzo supremo, difficile, ma necessario. Clay sente che gli altri si stringono intorno a lui, lo abbracciano, scambiano sostanze con lui: non è una cosa che possa essere fatta con uno sforzo individuale. Fonde la sua forza con la loro. Cominciano a organizzare le stelle. I clangori e i colpi e i sibili e gli swoosh e i bong e gli smash delle energie casuali che si propagano liberamente devono essere sintonizzati. Lavorano pazientemente per sintonizzare le frequenze disarmoniche. Modificano e sistemano i colori contrastanti. Rinforzano le vibrazioni più deboli e classificano gli ammassi di radiazioni disordinate. Il lavoro è lento e difficile, ma contiene in potenza l’estasi. Il nemico è l’entropia; portiamo guerra in questo territorio, e prevaliamo. Là! Adesso le file splendenti prendono forma! Adesso l’ordine esce dal caos! Non è ancora finito: sono necessari interventi più delicati. Una manipolazione qui, una trasposizione là. Si sentono ancora poche dissonanze gorgoglianti. E poi ci sono gli elementi ribelli: non tutti tengono volontariamente il loro posto, e alcuni ripiombano nella casualità quasi immediatamente dopo aver ricevuto una disposizione ordinata. Ma ascoltate! Ascoltate! Le melodie stanno emergendo, adesso! La sintonia è piacevole, erotica; le scale sono elusive, ma convincenti, con molte sinfonie gradevoli, molti intervalli rilassanti. L’organo cosmico suona la sua musica. Noi siamo i martelletti, loro sono lo xilofono, ascolta la musica! I tintinnii, gli scampanellii; i tremolii, i bagliori; l’universo che si muove serenamente sulla sua struttura, il cosmo in armonia.
Adesso Clay rimane immobile e rapito di fronte alle stelle musicali.
Il loro fuoco è freddo. La loro epidermide è soffice. La loro musica è pura e fresca.
E noi siamo i figli dell’uomo, i sintonizzatori dell’oscurità.
Alza gli occhi alle stelle e le saluta. Saluta Fomalhaut, Betelgeuse, Achernar, Capella, e Alphecca; Mirzan e Muliphe, Wezen e Adhata; Thuban, Polluce, Denebola, Bellatrix; Sheliak, Sulaphat, Aladfar, Markab; Muscida, Porrima, la stella Polare, Zaniah; Merak, Dubhe, Mizar, Alcaid. Saluta El-rischa, Alnilam, Ascella, e Nunki; trae gioia da Al-gjlebba, Al-geiba, Mebsuta, Mekbufa; sente armonia venire da Mira, Mimosa, Mesarthim, Menkar. Tutti i soli cantano in uno splendido unisono: Safalmalik, Sadalsud, Sadachbia, Saqsakib akma; Regolo, Algol, Naos, Ankaa. Si unisce anche lui alla canzone. Guardate, dice loro, io sono qui sospeso nello spazio, io che sono uomo nato di donna, che sono avanzato e ho lottato e ho imparato a stare eretto; io che porto i figli nell’utero, io che posso vivere sessanta e poi dieci anni, io che ho sofferto e ho conosciuto il dolore e sono stato solo. Io mi levo di fronte alle stelle. Io creo melodie per loro. Io il vagabondo del passato perduto, io l’esule, io la vittima: eccomi qui. Con i miei compagni. Con i figli dell’uomo. Dunque, sono davvero così piccolo? Sono così debole? Cantate! Riempite l’universo di tuoni! Adesso, ottoni, flauti, corde, percussioni! Adesso e adesso e adesso e adesso!
Si estende attraverso il cosmo da una parete all’altra. Ride. Ruggisce. Gioca con i soli. Fischia. Singhiozza. Urla il proprio nome. Esulta.
E le stelle in sintonia esultano con lui.
E Hanmer dice tranquillamente, quando arriva il momento: — È fatta. Adesso torniamo.