È risalito ai bordi del paradiso. Il sole ha un’aureola verde di felicità; l’aria è dolce e fresca; gli uccelli cantano; le piante emanano un felice bagliore. Dopo Ghiaccio, dopo Fuoco, dopo Pesante, quasi non riesce a credere nella sua attuale fortuna. Si vede sdraiato su quel tappeto amichevole di erba dolce mormorante; si vede inondato da un amichevole calore; dà il benvenuto al ristoro nel suo corpo esaurito. Si spinge nuovamente in avanti. C’è il suono di un leggero singhiozzo, sente un impatto improvviso e qualcosa lo respinge indietro. C’è forse qualche muro invisibile, intorno a questo Eden? No. No. Riesce a entrare. Ma lentamente. Molto lentamente. Anche questa è una regione sgradevole… Anche questa… È arrivato a Lento.
L’aria è melassa trasparente e cristallina. Ne è prigioniero. Non è pensabile correre, qui, solo un solenne e lento trascinarsi. Le ginocchia salgono senza difficoltà, le spalle si muovono, i capelli fluttuano liberi… sulle prime sembra una delizia. Ma il piacere scompare lentamente. Scopre quanto sia spiacevole. Il cervello ronza, inviando ordini impazienti, e il corpo non riesce a reagire. Impulsi improvvisi rallentano e ostacolano le sue sinapsi. Vorrebbe chinarsi per raccogliere un bocciolo sfolgorante, e si ferma bruscamente, come se la sua fronte avesse sbattuto in una lastra di vetro. Sente un suono, cerca di voltarsi, e deve combattere contro la stretta segreta. Ogni movimento è una sfida; ogni mossa è una frustrazione. Non esiste dolore in questo posto, ma non esiste neanche libertà.
Attraversarlo e liberarsene, allora? Sì, certamente. Ma quanto tempo richiederà la traversata? Cerca di adattarsi. Acquieta ogni irritabile impazienza. Si calma. Si calma. Si calma. Sale, scende, lentamente, lentamente, sforzandosi di non offrire nessuna controresistenza alla resistenza del mezzo in cui si muove. Nonostante se stesso, si innervosisce. Cerca di affrettarsi. Vuole combattere di nuovo contro la liquida aria dorata. Dimentica se stesso e cerca di accelerare, e non ottiene nulla. Bolle. Suda. Tutto intorno a lui è grazia e bellezza; gli alberi ondeggiano dolcemente, il cielo sembra di miele, la luce è sublime. Ma lui è trattenuto.
E, si rende conto, anche in questo posto la forza si accumula progressivamente contro di lui…
Si sta muovendo ancora più lentamente. L’aria tesa aumenta costantemente la sua stretta. La viscosità aumenta. Per muoversi con lenta cadenza perde l’ultima illusione di estasi: è terrorizzato. Sollevare le gambe adesso è diventato uno sforzo. Muovere un gomito è una battaglia. Fare un passo è una guerra. Non è un’agonia lenta, come quella che ha provato a Pesante, ma un’immobilità crescente da tutte le parti; questo posto lo sta costringendo, dolcemente e senza fargli del male, a fermarsi. Il panico si impadronisce di lui. Cerca di accelerare la traversata. Ciò non fa che moltiplicare la sua fatica. Più combatte, più strettamente si sente legato. Quanta strada ancora? Si fermerà completamente, una statua vivente in questo campo paradisiaco? Un passo. Un passo. Un passo. Lotta per liberarsi i piedi. Le pareti invisibili lo circondano da ogni lato. Gli appiattiscono il naso. Gli spingono le labbra. Cerca di rendersi aerodinamico, di forare le pareti. Forse camminando lateralmente, prima con le spalle? Gli ci vuole qualche minuto per voltarsi di novanta gradi. Finalmente ci riesce. Si appoggia contro l’etere luminescente. Spinge. Preme. Rallenta.
Adesso non si muove quasi più.
È arrivato vicino all’esaurimento. È stremato dalla lotta. I polmoni gli bruciano. I muscoli si tendono e contraggono nelle guance tese. Si ordina di rilassarsi: spingiti in avanti, fluttua, insinuati attraverso la pressione. Sì, facile dirlo! Almeno in questo modo è meno faticoso, ma non sta facendo molti progressi. Un altro tentativo: semplicemente lasciati cadere. Allenta completamente la tensione muscolare. Poi rialzati e cadi ancora, spingendoti in avanti, sempre più in avanti e ancora in avanti, fino a quando sarai uscito da questo posto. Cerca di farlo, lasciandoti andare, sporgendoti in avanti, lasciandoti crollare mollemente al suolo. Gli ci vogliono parecchi minuti per completare la caduta. Adesso: raccogli le gambe sotto il tronco e alzati! Ma non è così facile. Potrebbe benissimo essere tornato a Pesante, tanto forte è lo schermo invisibile che preme su di lui. Si insinua, lentamente, lentamente, lentamente, senza forzare, solo muovendosi con fredda determinazione, e infine riesce ad alzarsi di nuovo in piedi. La manovra l’ha fatto avanzare di circa un metro e gli ha richiesto circa quattro minuti. Rimane per un po’ in piedi, raccogliendo le forze; per lo meno stare fermi non richiede fatica, dato che l’ambiente lo abbraccia e lo sostiene da tutte le parti. Tentare di nuovo, adesso? Cadere e rialzarsi? La sua discesa è ancora più lenta dell’altra volta. È un ciottolo che rotola nell’asfalto appiccicoso. Giù. Giù. Giù. Terra. In piedi di nuovo. Impiega mezza eternità. Adesso si rialza. Come prima, ma meno velocemente. Che aspetto avrebbe di fronte a un osservatore non interessato dal fenomeno? Un Verme ubriaco? È in piedi. Probabilmente ha rallentato a un centesimo il ritmo normale della sua attività. O a un millesimo. Potrebbe impiegare tutta l’eternità per attraversare questo campo. Cade di nuovo. Si alza. Cade. Comincia il crepuscolo: una tonalità ramata screzia l’erba. Tenta di alzarsi, ma questa volta la battaglia è troppo dura. Gli viene in mente che la resistenza dell’atmosfera potrebbe essere meno elevata in prossimità del terreno. Cercherà di strisciare, come a Pesante. Striscia. La resistenza non è minore, qui. No, deve muoversi nello spazio libero davanti a sé. Ogni movimento è rallentato: le palpebre gli scendono in battiti monumentali, i polmoni si espandono in inalazioni marmoree. Striscia. Striscia. Striscia. È notte. La luce delle stelle allevierà questa stasi? No. Raggi argentei danzano nell’aria. La luce delle stelle non dovrebbe essere rifratta da questo mezzo intrattabile? E lui, non è capace di rilevare una tale rifrazione? Ci sarà un fine a questo tormento? Oh, lentamente, così lentamente, con una lentezza così totale… E presto non riuscirà più nemmeno a muoversi. — Bril? — chiama speranzoso. — Angelon? — Anche la sua voce è rallentata; le vibrazioni si spezzano in particelle pesanti che si disperdono e cedono tutta la loro risonanza. — Ti? Hanmer? Han Mer? Ser I Fice? Ser? I? Fice? — È stato dimenticato. È assorbito da Lento.
Ormai non ha più possibilità di rialzarsi in piedi. Ci vorrebbe un milione di anni. Si concentra sull’atto di strisciare. Mano destra avanti, ginocchio destro, mano sinistra, ginocchio sinistro. I piedi vengono trascinati dalle gambe. La testa è spinta dalle spalle. E così si trascina. La luce debole dell’alba gli raggiunge gli occhi. Mano destra in avanti. È mezzogiorno: fuoco sulla sua testa. Ginocchio destro. Il sole scende. Mano sinistra nella penombra del crepuscolo. Notte e ginocchio sinistro. Sotto le stelle: riposo, ricupero delle forze. Mano destra avanti. Alba. Sole di mezzogiorno. Ginocchio destro. Quanto tempo? Non potrà continuare così per l’eternità. Le ombre si allungano. Mano sinistra. Alba. Ginocchio sinistro. Notte. Alba. Mano destra. Crepuscolo. Ginocchio destro. Oscurità. Alba. Mano sinistra. Mezzogiorno. Notte. Alba. Mezzogiorno. Ginocchio sinistro. Notte. Notte. Notte. Notte. Notte. Rinuncia. Il suo ritmo ha ormai raggiunto l’infinitamente lento. In questa regione di velocità inesistente il confine tra movimento e non-movimento è facilmente superato in un senso, ma non in quello opposto. Giorno. Notte. Giorno. Notte. Cerchi di nuovo di muoverti, forse? Lento trionfo. Ci vuole un mese tra la sistole e la diastole… Studia le sue dita e, sperimentalmente, le solleva. Ha visto montagne fare una danza più veloce di quella. Ma in qualche modo riesce ad avanzare di una frazione di centimetro, portandosi avanti ancora più lentamente. E poi, miracolosamente, si ritrova al confine estremo di Lento.
Ha raggiunto la sommità di una piccola collinetta. La parte superiore della sua testa si proietta al di là di quel confine, permettendogli di vedere un pianoro sottostante. Sarà rischioso lasciarsi cadere su quel pianoro, ma cos’è mai la possibilità di rompersi un osso o due contro la prospettiva di arrivare a un completo arresto dei processi vitali, prigioniero di Lento? Non ha possibilità di scelta. Deve lasciarsi cadere. Forse l’influenza di Lento si estenderà leggermente oltre il margine, e così la sua caduta verrà rallentata. Riesce a spingersi in avanti ancora di pochi centimetri. A questo punto oscilla e si spinge verso il basso. La sua testa oscilla sull’abisso. In quale punto il suo centro di equilibrio supererà i sostegni della collinetta, così da liberare la sua massa dai legami di Lento? Per un po’ fa progressi molto lenti. Probabilmente l’effetto cumulativo è arrivato troppo vicino al punto critico: arriverà la stasi e lui rimarrà lì a penzolare per tutta l’eternità. Ma riesce a conquistarsi un altro paio di centimetri. Adesso il petto ha superato il bordo. Spinge avanti il braccio destro per parecchi giorni e notti. E adesso. E adesso.
Cade.