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Il nuovo luogo, sospetta, dev’essere quello che chiamano Pesante: un altro dei distretti sgradevoli. C’è entrato appena dopo l’alba, e lo trova tra i peggiori da lui mai visitati.

Tutto è cominciato senza preavviso: nessuna improvvisa transizione, nessuna sensazione di superare un confine. L’effetto è una cosa che si è accumulata lentamente, aumentando a ogni suo passo, opprimendolo sulle prime solo un po’, poi di più, poi molto di più. Adesso si ritrova sotto la piena tensione del luogo. È una regione di arbusti dallo stelo spesso, dalle foglie larghe e corte. Ovunque è diffusa una foschia gelida. Il tono generale è incolore: la luminosità è del tutto scomparsa. E c’è la tremenda spinta che proviene dal terreno, quell’aumento di gravità che pesa con forza inesorabile su ogni parte del suo corpo. Quanto tempo potrà durare questo supplizio? I suoi testicoli sono tirati così possentemente verso il basso che gli pare di camminare sulle ginocchia. Le palpebre sono di piombo. Le guance gli pendono. Deglutire è difficilissimo. La gola è un sacchetto di carta vetrata. Le ossa gli pesano sulla pelle. Quanto peserà, qui? Quattrocento chili? Quattromila? Quattro milioni? Pesante. Pesante. Pesante.

Il suo peso porta i suoi piedi ad appiattirsi per terra. Ogni volta che ne solleva uno per fare un passo in avanti, sente il risucchio tremendo del pianeta pesante che si distacca da lui. È consapevole dei vasi arteriosi pieni di sangue che si annidano scuri e sonnolenti lungo le stanche corsie del suo petto. Sente un mostruoso peso di ferro gravargli sulle spalle. Eppure continua a camminare. Anche questo dovrà finire…

Ma non finisce.

Fermandosi, si inginocchia, solo per riprendere fiato, e lacrime di sollievo gli solcano le gote non appena parte dello sforzo viene alleviata dalla struttura del suo corpo. Come gocce di mercurio le lente lacrime rotolano sulle sue guance e rimbombano cadendo a terra. Tornerà indietro, decide. Ritroverà i suoi passi e cercherà un’altra strada.

Tenta di alzarsi.

Al quinto tentativo ci riesce, e sollevandosi a fatica con le braccia, si alza in piedi, sentendosi gli intestini violentemente trascinati verso il basso, la spina dorsale al massimo della tensione, il collo che scricchiola, su, su, un’altra spinta; è in piedi. Annaspa. Cammina. Trovare il sentiero di cui si è servito non è un’impresa difficile, in quanto ci sono le sue impronte, profonde un paio di centimetri sul soffice suolo sabbioso. Mette i piedi sulle impronte precedenti e cammina. Ma la forza gravitazionale non diminuisce man mano che si allontana dal centro di Pesante. È piuttosto il contrario: continua ad aumentare. Calcola di trovarsi ormai a metà strada rispetto all’inizio del suo percorso, adesso; anche così, non prova una riduzione graduale della forza man mano che si avvicina all’uscita del distretto. Una semplice inversione di direzione non porta alcun sollievo. Respirare diventa una battaglia. La sua cassa toracica non si solleva se non a prezzo di duri sforzi; i suoi polmoni sono strizzati come spugne spremute. Le guance si allungano verso le spalle. Nella sua gola c’è un macigno. Una voce secca e lontana intona: L’intensità dell’attrazione è una funzione della durata della vostra esposizione a essa, e non della prossimità al centro del corpo attraente. - Corpo attraente? — chiede sommessamente. — Quale corpo? Il corpo di chi? — Ma riascoltando le parole nella sua mente capisce. Le leggi della fisica non contemplano fenomeni di questo tipo, e tuttavia sa che se rimarrà ancora qui, verrà completamente schiacciato. Diventerà una pellicola di molecole che copriranno il terreno come la brina di novembre.

Deve andarsene.

È molto peggio.

Non riesce più a rimanere eretto. È diventato pesantissimo, e la massa del suo cranio gli inarca la schiena; le sue vertebre si spostano, scricchiolando e stridendo. Deve strisciare. Resiste alla tentazione di sdraiarsi e arrendersi alla tremenda forza.

Il cielo gli sembra schiacciarlo con ancora maggior potenza. Uno scudo grigio è appoggiato sulla sua schiena. Le sue ginocchia stanno mettendo radici. Striscia. Striscia. Striscia. Striscia.

— Hanmer, aiutami! — grida.

Le sue parole sono di piombo. Escono dalla sua bocca e crollano per terra.

— Ninameen! Ti! Serifice! Qualcuno! Striscia.

Sente un dolore intollerabile a un fianco. Teme che la punta dell’intestino possa fuoriuscire forando la pelle. Anche le sue unghie reagiscono alla spaventosa attrazione. Le ossa premono ai gomiti e alle ginocchia. Striscia. Striscia. Striscia.

Striscia.

Si sente pietrificare. I lobi delle orecchie sono di pietra. Le labbra sono di pietra. Striscia. Le sue mani affondano nel terreno. A fatica riesce a liberarle. Striscia. È ormai giunto allo stremo delle forze. Morirà. Morirà di una morte lenta e tremenda. Il manto grigio lo sta frantumando? È prigioniero della terra e dell’aria. Pesante. Pesante. Pesante. Striscia. Vede solo il ruvido suolo spoglio a venti centimetri dal suo naso.

Vede acqua.

È arrivato a un laghetto. Un liquido grigio e immoto, lo attende. Vieni a me, dice. Allevia il tuo carico. Nel mio ventre non esiste pesantezza. Ma riuscirà a raggiungerlo percorrendo gli ultimi due metri? Le sue labbra toccano l’acqua. Il suo petto si graffia sul terreno. Posa una guancia sulla superficie dell’acqua: l’accarezza, una pellicola liscia e compatta. Si contorce, annaspando, verme della gravità, lottando per sopravvivere. Centimetro. Centimetro. Centimetro. Centimetro. Freddo contro il suo petto. Pesante. Spinta. Fatica. Dentro. Dentro.

Fluttua.

È acqua davvero? Sembra così densa, così tangibile. Acqua pesante? Si abbandona a essa, libero da quella forza distruttrice, le gambe verso il fondo, le braccia allargate. Il cuore gli rintrona. Eccomi qui, ma dove mi trovo? E come faccio ad andarmene? Più rimane qui a galleggiare, sospetta, più si renderà le cose difficili. Dal momento che la sua esposizione all’attrazione di Pesante continuerà per tutto questo tempo, l’impatto gravitazionale si accumulerà, e quando uscirà dall’acqua potrebbe essere ridotto a una poltiglia bidimensionale in un solo istante. Dunque, cosa deve fare? Forse c’è un’altra strada. Inspira profondamente.

Si immerge.

Discende agevolmente. L’acqua lo accetta. Scende attraverso strati di grigiore screziato dal sole fino a quando trova, vicino al pavimento della polla, una linea di rocce larga tre volte un uomo. Anche se i polmoni gli scoppiano, si costringe a entrare nella grotta che si apre sotto le rocce. Adesso sta viaggiando orizzontalmente sotto la superficie della terra. Questa gallerìa si rivelerà un vicolo cieco? Morirà annegato in questa sacca nera? E cos’è meglio, questo, o morire schiacciati dalla super-gravità esterna? Nuota. Nuota. Nuota. Vede davanti a sé una zona luminosa. Avanza.

Emerge.

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