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Si ferma sul bordo del Pozzo. Un ampio bordo calcificato, bianco come ossa, levigato come la porcellana; alcuni metri davanti a lui la colonna di luce sorge verso l’alto da un abisso incommensurabile. Così vicino, è sorpreso di non sentire alcun effetto particolare. C’è un certo calore, e una certa secchezza elettrica nell’aria, e forse odore di ozono; ma con tutta quell’energia che esce impetuosa dal terreno si aspetterebbe sensazioni prodigiose, e invece non sente nulla. La colonna sembra intangibile, come il raggio di un faro colossale. Fa un altro passo per avvicinarsi. Si muove lentamente, ma non per paura o esitazione, in quanto ormai il suo sentiero è deciso; prima di entrare, vuole capirne il più possibile. Il bordo scende davanti a lui, porta verso il basso. Clay si trova ancora sulla parte piatta, ma al passo successivo i suoi piedi toccano l’inizio della curva discendente. Ormai è sufficiente un minimo spostamento in avanti del suo peso, e cadrà dentro. Ha deciso. Io sono il sacrificio. Io sono il capro espiatorio. Sono lo strumento di redenzione. Clay andrà. Comincia a chinarsi in avanti. Allarga le braccia, apre le mani, con i palmi rivolti verso la luce; la superficie della colonna sembra argentea, e ha la lucentezza di uno specchio: vi vede riflesso il suo volto che si avvicina, occhi scuri e cerchiati di scuro, labbra leggermente strette. La punta del naso tocca la colonna. Ci affonda dentro, cade; è privo di peso; è in estasi. La sua discesa termina dopo qualche momento. Come un mucchietto di cenere trascinato da una corrente ascendente, viene trasportato vorticosamente verso la cima della colonna, come una piuma, sbatacchiato da tutte le parti, spostato senza alcuna possibilità di controllare la situazione. Il suo corpo fisico si sta dissolvendo. Quello che rimane non è altro che un nucleo di impulsi elettrici. Non sa più se sta salendo o cadendo. È all’interno della colonna, e passa da zone di grande densità a zone di leggerezza, cambiando livello al volere della forza che lo tiene, e sa solo che sta girando e vorticando ed è in balia dell’effluvio luminoso nel Pozzo delle Prime Cose.

Ci sono delle forme, all’interno della colonna.

Alcune sono strane. Molte sono familiari. Ci sono gli archetipi della creazione. Scorge i profili di gatti, cani, cervi, pecore, orsi, bisonti, leoni, cammelli, zebre e altre creature del passato remoto. Hanno avuto la loro possibilità, poi sono scomparsi; rimangono qui solo in essenza, in reliquia. Poi vede le figure delle bestie di questa epoca, tutte quelle che ha incontrato nella savana, e molte altre che ha incontrato nei suoi viaggi. Frammiste a queste ultime sono le riproduzioni nebbiose di altre creature bizzarre. Fluttuano accanto a lui, follemente, e quindi svaniscono, lasciandolo con la bocca piena di domande essenziali. Sono forme vitali che si devono ancora sviluppare? Si tratta di animali che sono venuti e sono scomparsi tra la sua epoca e questa? Appartengono alla fauna estinta del Miocene e dell’Oligocene e dell’Eocene, dimenticata già perfino ai suoi giorni? È un viaggio meraviglioso in mezzo a un bestiario fantasmagorico, in mezzo a zoccoli e corna e artigli protesi. Questa è la fonte della creazione, questa è la sorgente della vita. Come si fa a distinguere i sogni dalla realtà? Cosa sono queste chimere, e sfingi, e gorgoni, basilischi, grifoni, arpie, ippogrifi, centauri, orchi, nani, elfi, tutta quest’orda di meraviglie disperate? Vengono dal passato, o da un futuro ancora da venire? Sono sogni turbolenti, e nulla più, della Fontana della Vita?

— Umanità — sussurra Clay. — Che ne è dell’umanità?

Vede tutto. Dalla foschia escono figure oscure, circondate di fuoco, pupazzi della creazione. Questa scimmia marrone, è la padrona del teschio di Giava? Questi goffi clown sono dunque gli australopitechi? Che cosa sei tu, massiccio gigante: l’uomo di Heidelberg? Vorrebbe aver studiato di più. Gli si avvicina qualcosa con una piatta testa munita di cresta; incontra il suo sguardo, e gli pare di riconoscere una lontana parentela. Poi, peloso e selvaggio, arriva un inconfondibile Neanderthal, e lo prende per un braccio e lo fissa profondamente negli occhi, ed emana un’aura di intelligenza così intensa, un così accorato rimpianto che Clay si scioglie, un ruscello di lacrime roventi gettate nell’abisso. E chi sono tutti gli altri? Le sconosciute scimmie simili a orsi. I creatori dei dipinti murali delle caverne. Il padrone delle ossa ritrovate a Pechino. I pazienti seminatori del fertile suolo palestinese. I costruttori delle prime città. I primi fabbricatori di manufatti, i primi navigatori, i cacciatori di mastodonti, gli stregoni mascherati, pitturati di giallo e di rosso. Gli scribi, i faraoni, gli astronomi. L’abisso rigetta umanità a velocità maggiore di quanto lui riesca a percepire. Ogni specie, ogni sentiero sbagliato, ogni diramazione dall’albero principale… — Io sono umano — dice il Neanderthal, e — Io sono umano — dice il Pitecantropo, e l’artista peloso delle caverne grida: — Io sono umano — e il piccolo Australopiteco insiste: — Io sono umano — e il re dal suo trono dice: — Io sono umano — e il prete nel suo tempio: — Io sono umano — e l’astronauta nella sua capsula dice: — Io sono umano — e passano veloci accanto a Clay e si perdono nella luce brillante, e lui sussurra: — Io sono umano — perché lo odano tutti quelli che lo circondano.

E cos’è che viene avanti adesso?

Sferoidi in gabbie, puzzolenti uomini-capro, e cose con le branchie, esseri che sono tutto occhi, e molte altre, e anche loro sono umanità. Urla. Gli sembra di bruciare, e ardere, in mezzo alla storia della razza umana. — Noi siamo le mutazioni — gli dicono. — Abbiamo determinato il nostro destino. Chi porta testimonianza di noi? Chi si assume la responsabilità?

— Io sarò il vostro testimone — risponde Clay. — Io mi assumo la responsabilità.

Gli passano davanti interminabilmente, un milione di milioni di forme, e tutti dichiarano la loro umanità. Che cosa può fare? Piange. Allarga le braccia. Li benedice. Come è possibile che una simile prodigalità di forme sia stata concessa a una sola razza? Perché queste trasformazioni sono state tollerate? — Ci perdonerai le nostre metamorfosi? — gli chiedono urlando, e lui li perdona, e le legioni di mutanti si perdono nella luce.

— E noi siamo i figli dell’uomo — dichiarano quelli che emergono in seguito.

Respiratori. Mangiatori. Distruttori. Aspettatoli. Intercessori. Sfioratori. Tutti i superstiti dell’era attuale. Clay guarda da vicino gli Sfioratori, sperando di riconoscerne qualcuno, ma non gli sono familiari, e gli passano accanto. Un mostruoso Intercessore passa subito dopo, perso in sogni fangosi. Una falange di Distruttori. Tre Aspettatoli immobili. Clay intuisce, come non aveva mai intuito prima, il pieno svolgersi del tempo attraverso il quale è passato; infatti adesso si ritrova prigioniero in un mare di forme, preumane e umane e postumane, che vanno e vengono, implorandolo, chiedendogli conforto, cercando redenzione, chiacchierando, ridendo, piangendo…

— Hanmer? — chiama. — Serifice? Ti? Bril? Angelon? Ninameen?

Li vede. Sono ammucchiati alla base della colonna, inseriti profondamente nel terreno. Non riesce a raggiungerli. Sono avvolti in colori evanescenti, e le loro immagini sono indistinte. Si precipita verso il basso, ma viene sospinto di continuo verso l’alto. Dopo un po’ svaniscono. Sono morti? Possono essere salvati? Capisce che cosa deve fare. Vivrà la storia intera della sua razza. Prenderà su di sé tutte le angosce del mondo. Si abbandonerà completamente, sacrificandosi perché i suoi Sfioratori non muoiano. Fluttua liberamente attraverso la colonna, passando senza difficoltà da un’epoca all’altra, ora trovandosi di fronte a un tormentato Neanderthal, ora a un impassibile Distruttore, ora a uno sferoide, infine a un capro. — Datemi le vostre angosce — sussurra. — Datemi i vostri fallimenti e i vostri errori e le vostre paure. Datemi le vostre noie. Datemi la vostra solitudine. — Glieli danno. Lui avvizzisce. Non aveva mai conosciuto un tale dolore. La sua anima è un bianco sudario di agonia. Eppure c’è un nucleo di forza dentro di lui di cui non aveva mai sospettato l’esistenza. Assorbe le sofferenze dei millenni; dispensa redenzione in nuvole cremisi. Procedendo in questo modo verso il basso, offrendosi liberamente agli uomini di tutte le specie, raggiunge la barriera che lo separa dai sei Sfioratori, e preme gentilmente per superarla, rimbalzando, ritornando, rimbalzando, ritornando, per penetrarla, finalmente. Leggero come un fiocco di luce discende su di loro. — Guardatemi — mormora. — Come sono imperfetto, eh? Come sono volgare. Come sono vile. Ma considerate le potenzialità. Vi rendete conto che io sono voi, vero? Esattamente come queste scimmie pelose sono me. E gli Intercessori, i Neanderthal, gli sferoidi, i Distruttori… tutti uno, tutti ruscelli dello stesso fiume. Perché negarlo? Perché distogliere lo sguardo? Guardatemi. Guardatemi. Sono Clay. Sono amore. — Li prende per mano. Sorridono, gli si avvicinano. Lui percepisce le loro vere forme, né femminili né maschili; vede la luce dentro di loro. — Abbiamo viaggiato per molto tempo insieme — dice. — Ma il vostro viaggio non finisce qui. — Indica verso l’alto nella colonna di fuoco freddo, mostrando loro le forme non ancora nate che attendono, i figli dei figli dell’uomo. — Datemi le vostre paure. Datemi il vostro odio. Datemi i vostri dubbi. E andate. E tornate al vostro mondo. E andate. E andate. — Li abbraccia. — Sono Clay. Sono amore. — Il dolore cresce dentro di lui; sente una punta rovente di angoscia in mezzo al cranio. — Sono Hanmer — gli dicono. — Sono Ninameen. — Sono Ti. — Sono Bril. — Sono Angelon. — Sono Serifice. — E lui: — Avete bisogno della morte? Cosa può insegnarvi? Lasciatemi. Lasciatemi. Il mio tempo è finito; il vostro sta appena cominciando. — Si mette in sintonia con loro e vede che traboccano di comprensione e amore. Bene, bene. Fa un gesto, si alzano: in alto sopra di lui, girano, danzano nella luce intensa, gli mandano baci. — Addio. Addio. Ti amiamo. — "I sogni finiscono" gli ha detto una volta Ti. Bene, finiscono adesso. Terminano su un’onda di amore. Gli Sfioratori non moriranno. Sopra di lui roteano spirali di colore, e Clay vede le gloriose nebulose, vede le galassie in collisione, vede il dorato arco dell’umanità che esce dal passato per scomparire, splendente, nel tempo a venire. E tutti gli uomini e i figli dell’uomo percorrono quel sentiero. Mangiatori, Distruttori, sferoidi, capri, Hanmer, Ninameen, Ti, Intercessori, Neanderthal, Bril, Serifice, Angelon, tutti, i delegati degli eoni, avanzano verso quello spettro splendente che proprio lui dopo tutto non raggiungerà. Non adesso. Né mai. I sogni finiscono. Lui porta i loro pesi. Fluttua al di sopra dell’abisso, ed è arrivato all’orlo del Pozzo. Qui si ferma, guardando in basso allo splendore della potenza della creazione, contemplando una visione di quello che ne emergerà un giorno, di cui questo non è che un semplice prologo. Adesso il dolore è completamente scomparso. Porta il suo peso bene. È uomo, ed è Figlio dell’uomo, e il sogno è finito. Risale dal basso. Cammina lentamente verso l’esterno del bordo di porcellana. Le bestie si sono raccolte nella pianura deserta e spoglia, e così hanno fatto i suoi amici. Sorride. Si sdraia. Finalmente dorme. Finalmente. Dorme.


Tenetevi all’erta, vegliate e pregate: infatti non sapete quando è il momento.

Perché il Figlio dell’Uomo è come un uomo che fa un lungo viaggio, che ha abbandonato la sua casa, e ha lasciato autorità ai servitori, e a ogni uomo alle sue dipendenze, e ha ordinato al portiere di vegliare.

Vegliate quindi: perché non saprete quando tornerà il padrone della casa, a sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino.

Perché tornando improvvisamente non vi trovi addormentati.

E quello che dico a voi lo dico a tutti: Vegliate.

Marco, 13:33-37

FINE
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