— Salve, signor Arrendale — dice lui tendendo la mano. Io tendo la mia, benché le strette di mano non mi piacciano. So che è il gesto appropriato. — C’è qui un posto dove possiamo parlare?
— Il mio ufficio — dico, e faccio strada. Non ho mai visitatori, quindi c’è una sola sedia. Vedo che il signor Stacy guarda le mie girandole, spirali e altre decorazioni. Non so cosa possa pensarne. Il signor Aldrin mormora qualcosa al signor Stacy ed esce. Io non siedo perché non è educato sedere quando le altre persone stanno in piedi; ma il signor Aldrin torna con una sedia che riconosco per una di quelle del cucinino. La mette giù nello spazio tra la mia scrivania e gli scaffali, poi va a mettersi davanti alla porta.
— Lei è? — chiede Stacy rivolgendosi a lui.
— Pete Aldrin; sono il supervisore di Lou. Non so se lei capisce… — Aldrin mi lancia un’occhiata che non riesco a interpretare, e Stacy annuisce.
— Ho già parlato una volta con il signor Arrendale — dice. Ancora una volta rimango sbalordito per come lo fanno, per il modo in cui si passano informazioni senza pronunciare parole. — Non voglio trattenerla.
— Ma io… penso che Lou abbia bisogno…
— Signor Aldrin, il signor Arrendale non ha nulla da temere. Noi stiamo cercando di aiutarlo, di fare in modo che quel pazzo non gli faccia del male. Ora, se lei avesse un posto sicuro dove lui possa restare per pochi giorni, mentre noi cerchiamo di localizzare il vandalo, questo ci sarebbe di aiuto, ma altrimenti… non credo proprio che gli serva una balia mentre parlo con lui. Naturalmente, dipende dal signor Arrendale… — Il poliziotto mi guarda. Vedo qualcosa nel suo viso che potrebbe essere un sorriso, ma non ne sono sicuro. È un’espressione ambigua.
— Lou è una persona di grandi capacità e che noi apprezziamo molto — dice il signor Aldrin. — Io volevo solo…
— Assicurarmi che venga trattato come si deve. Lo capisco. Ma deve decidere lui.
Adesso mi guardano tutti e due, e io mi sento impalato da quelle due paia di occhi. So che il signor Aldrin vuole che io gli dica che può rimanere; ma lui vuol rimanere per le ragioni sbagliate e io non desidero che resti. — Andrà tutto bene — lo tranquillizzo. — La chiamerò se avrò bisogno di lei.
— Aspetto fuori, allora. — Esce e io sento i suoi passi risuonare nel corridoio. Entra nel cucinino e sento l’altra sedia scricchiolare. Evidentemente ha deciso di rimanere lì.
Il poliziotto chiude la porta del mio ufficio e siede nella sedia che Aldrin ha portato per lui. Io siedo nella mia poltrona. L’uomo si guarda intorno.
— Le piacciono le cose che girano, vero?
— Sì — dico. Mi chiedo quanto tempo rimarrà. Dovrò rimettere in pari il tempo perso.
— Ora le spiegherò alcune cose sui vandali — dice. — Ce ne sono di diversi tipi. C’è quello… di solito un ragazzino, che vuole solo provocare danni. Così taglia una gomma o rompe un parabrezza o porta via un segnale stradale… tanto per fare casino, e non sa e non si cura di sapere a chi fa il danno. Poi c’è quella cosa che noi chiamiamo rigurgito. Succede una rissa in un bar che poi continua fuori, e allora si ammaccano le automobili del vicino parcheggio; oppure c’è una folla per strada, qualcuno comincia a fare il matto e di colpo anche gli altri si mettono a infrangere vetrine e a rubare roba. Tra loro c’è gente che abitualmente non è violenta… che poi magari si scandalizza per come si è comportata in mezzo alla folla. — Fa una pausa e mi guarda. Io annuisco, so che lui vuole da me una risposta.
— Lei vuol dire che alcuni vandali non hanno intenzione di danneggiare una persona in particolare.
— Esatto. C’è l’individuo che gode a far danni ma senza conoscere la vittima; e c’è l’individuo che di solito non fa danni ma si trova coinvolto in una situazione violenta. Ora, quando noi ci troviamo di fronte a un episodio di vandalismo… come la faccenda delle sue gomme… che chiaramente non è un rigurgito, immediatamente pensiamo all’individuo a cui piace far danni, e che è il tipo di vandalo più comune. Se qualche altra macchina avesse avuto le gomme tagliate nel suo stesso quartiere nelle settimane seguenti, noi avremmo supposto che qualche monellaccio si stava divertendo a modo suo. Molto seccante ma non pericoloso.
— Anche costoso, per i proprietari delle automobili — dico.
— Certo, e per questo l’azione è illegale. C’è però un terzo tipo di vandalo, e quello è pericoloso: il vandalo che se la prende con una persona in particolare. Tipicamente questa persona comincia con qualcosa che provoca danni ma non è dannosa… come tagliare le gomme. A questo punto alcune di queste persone si fermano, soddisfatte di una singola vendetta; e allora tutto può ancora andar bene. Ma altri non si accontentano, e a questo punto bisogna cominciare a preoccuparsi. Nel suo caso noi vediamo il taglio delle gomme, relativamente non violento, seguito dalla rottura del parabrezza, azione più violenta, e infine l’ancora più violento piazzamento di una piccola carica di esplosivo in un punto dove poteva farle del male. Ogni incidente è venuto a costituire un incremento di violenza. Ecco perché noi temiamo per la sua incolumità.
Io mi sento come se stessi fluttuando in una sfera di cristallo, non connessa con alcuna cosa esterna. Non mi percepisco in pericolo.
— Lei può ritenersi al sicuro — continua Stacy, leggendomi di nuovo nella mente — ma ciò non significa che lei sia al sicuro. L’unico modo per lei di trovarsi al sicuro è di vedere dietro le sbarre il picchiatello che la perseguita.
Ha detto "picchiatello" con tanta naturalezza: mi chiedo se è questo che pensa anche di me.
Legge di nuovo nei miei pensieri. — Spiacente, non avrei dovuto adoperare quel termine… probabilmente termini del genere lei ne avrà sentiti abbastanza. È questo che mi fa infuriare: lei è qui, buon lavoratore e brava persona e quello… quella persona cerca di farle del male. Cosa gli duole?
"Non l’autismo" vorrei dire, ma taccio. Non credo che un autista si comporterebbe in quel modo, però non li conosco tutti e potrei sbagliarmi.
— Voglio solo che lei sappia che stiamo prendendo la cosa sul serio — dice lui. — Anche se al principio non ci siamo mossi molto in fretta. Quindi adesso parliamo chiaro. Il bersaglio dev’essere proprio lei. Ha mai sentito citare il vecchio detto sugli atti ostili?
— No.
— Una volta è un incidente, due volte è una coincidenza, ma tre volte è un atto ostile. Perciò se qualcosa che può essere diretta solo contro di lei accade per tre volte, è il momento di arguire che qualcuno ce l’ha con lei.
Ci penso su per un momento. — Ma… se si tratta di un atto ostile, era così anche la prima volta, vero? Non era un incidente.
Lui sembra sorpreso, aggrotta la fronte, sporge le labbra. — Be’… Già, ha ragione, tuttavia lei non lo sa che è una prima volta finché non accadono le altre e solo allora si può riconoscere che appartengono alla stessa categoria.
— Comunque se accadono tre incidenti veri uno potrebbe pensare che si tratta di atti ostili… e sbagliare.
Lui mi guarda fisso, scuote la testa: — In quanti modi si può sbagliare? — chiede. — E in quanti si può aver ragione?
In un istante mi si presenta nella testa il calcolo bell’e fatto: le decisioni formano un arazzo dove gli incidenti sono arancione, le coincidenze sono verdi, gli atti ostili sono rossi. Tre incidenti, e per ognuno le possibilità di vero o falso, con tre teorie di verità, a seconda del valore assegnato a ogni azione. E un filtro a monte per la selezione dell’incidente. È con questo tipo di problemi che ho a che fare tutti i giorni, solo che di solito sono di ben altra complessità.
— Ci sono ventisette possibilità diverse — dico. — E di queste una sola è corretta, se per correttezza dobbiamo intendere che tutt’e tre le parti del detto siano vere, che il primo incidente sia davvero un incidente, il secondo davvero una coincidenza e il terzo davvero un atto ostile. Anche un’altra può essere corretta ma è diversa: quella che ammette tutti e tre gli incidenti come azioni ostili.
Lui mi contempla a bocca aperta. — Ma come…? Ha fatto il conto così, a mente?
— È un esercizio di permutazioni: non è difficile, la formula me l’hanno insegnata a scuola.
— Dunque c’è solo una possibilità su ventisette che la mia ipotesi sia giusta? Sciocchezze. Non sarebbe un detto popolare se non fosse vero in più casi del… del quattro per cento, no? Qui c’è qualcosa che non va.
Le sue mancanze di logica e di preparazione matematica sono penosamente evidenti. — Tuttavia il concetto di verità dipende dallo scopo — continuo io. — Una possibilità su ventisette corrisponde a una possibilità di errore del novantasei virgola tre per cento sul valore di tutto l’enunciato. Ma in nove casi… un terzo del totale… l’ultimo incidente è un atto ostile, il che fa scendere la possibilità di errore, rispetto all’incidente finale, al sessantasette per cento. E poi ci sono diciannove casi in cui l’atto ostile può verificarsi… come primo, secondo o ultimo incidente o come combinazione di essi. Diciannove su ventisette equivale al settanta virgola trentasette per cento: questa è la probabilità che un atto ostile si sia verificato in almeno uno dei tre incidenti. Presumere un atto ostile rimane errato nel ventinove virgola sessantatré per cento dei casi, che però equivale a solo un terzo del totale. Quindi, se è importante stare in guardia contro probabili atti ostili, cioè se per lei è più importante scoprire un atto ostile che evitare di sospettarlo quando non lo è, allora è più conveniente sospettare che si sia verificato un atto ostile quando si esaminano tre incidenti che sono in relazione tra di loro.
— Santo cielo, ma lei parla sul serio — dice lui e scuote la testa. — Non sapevo che lei fosse un genio della matematica.
— Io non sono un genio — comincio, ma mi fermo subito. Non è opportuno dirgli che simili calcoli sono semplici, alla portata di ogni ragazzino di scuola. Se lui non è capace di farli, potrebbe restarci male.
— Insomma, lei sostiene che dando retta a quel vecchio detto io sbaglierei comunque un sacco di volte?
— Dal punto di vista matematico, il vecchio detto che ha citato non può esser vero più volte di quelle che ho calcolate. È un detto, non una formula. E solo le formule sono valide in matematica. Nella vita reale dipenderà da come lei sceglie gli incidenti da correlare. — Cerco di spiegarmi. — Supponga che io metta una mano sulla vernice fresca perché non ho fatto caso al cartello che mi avvisava. E che nello stesso giorno mi cada un uovo per terra e infine inciampi in una sconnessura del marciapiedi. Dovrei chiamare il terzo di questi incidenti un atto ostile?
— No, perché è chiaro che è trascuratezza da parte sua. Vedo. Ma mi dica, se il numero di incidenti collegati aumenta, la percentuale di errore diminuisce?
— Naturalmente, se lei sceglie gli incidenti giusti.
Scuote di nuovo la testa. — Allora torniamo a lei e vediamo di focalizzarci sugli incidenti giusti. Qualcuno ha tagliato le gomme della sua macchina la notte di mercoledì di due settimane fa. Ora, ogni mercoledì lei va a casa di un amico per tirare di scherma. Cos’è, un combattimento con le spade o cosa?
— Non si tratta di spade autentiche — dico. — Servono solo per lo sport.
— Bene. Le tiene nella macchina?
— No. Le tengo in casa di Tom. Anche altri lo fanno.
— Quindi il motivo non può essere stato il furto. E la settimana seguente il suo parabrezza è stato rotto mentre lei si stava esercitando. Di nuovo il danno è stato inflitto all’automobile, e questa volta il luogo dove stava la sua automobile dimostra che il vandalo sapeva dove lei va il mercoledì. E il terzo danneggiamento è stato compiuto la notte di un mercoledì, fra l’ora in cui lei è tornato a casa dall’esercitazione di scherma e l’ora in cui si è alzato la mattina. I tempi mi suggeriscono che gli incidenti sono connessi con il gruppo che pratica la scherma.
— A meno che il vandalo non sia qualcuno che ha libere solo le notti di mercoledì — dico.
Lui mi fissa a lungo. — Mi pare che lei non voglia fronteggiare la possibilità che qualcuno che fa, o faceva, parte del suo gruppo, abbia del rancore verso di lei.
Ha ragione. Non voglio pensare che le persone con cui ho passato tanto tempo per tanti anni abbiano antipatia per me. Lì mi sentivo al sicuro. Tutti sono miei amici. Vedo lo schema che il signor Stacy vuol farmi vedere… lo avevo già immaginato… ma è impossibile.
— Io non… — Mi si chiude la gola e sento nella testa un senso di pressione: ciò significa che non potrò parlare con facilità per un po’. — Non è… giusto… dire… una cosa… quando… non si… è sicuri… che è vera.
— Lei non vuole pronunciare false accuse — dice Stacy.
Annuisco senza dir nulla.
Lui sospira. — Signor Arrendale, tutti abbiamo persone alle quali non piacciamo. Lei non deve essere per forza un cattivo soggetto perché qualcuno la prenda in odio. E prendere precauzioni per evitare che qualcuno le faccia del male non la fa diventare un cattivo soggetto. Se in quel gruppo c’è qualcuno che ha rancore verso di lei, a torto o a ragione, può anche darsi che quella persona non sia il vandalo. Questo lo so. Non ho nessuna intenzione di sbattere qualcuno in galera solo perché ha antipatia per lei. Però nemmeno voglio che lei venga ucciso perché questa minaccia non è stata presa sul serio.
Ma io proprio non riesco a immaginare che qualcuno… Don… stia cercando di uccidermi. Che io sappia, io non ho fatto mai del male a qualcuno. E la gente non uccide per sciocchezze.
— A mio parere, la gente uccide per ogni sorta di ragioni sciocchissime — dice Stacy.
— No — balbetto. Le persone normali hanno ragioni per ciò che fanno, ragioni importanti per cose importanti e ragioni da poco per cose da poco.
— Sì — afferma lui con voce decisa. Si vede che crede a ciò che dice. — Non tutti sono così, naturalmente. Ma colui che ha messo quel giocattolo cretino nella sua macchina, con l’esplosivo… non è una persona sana di mente a parer mio, signor Arrendale. E la mia professione mi ha fatto conoscere bene il tipo di persona che uccide. Padri che rompono la testa a un figlio perché ha preso un pezzo di pane senza permesso… mogli e mariti che afferrano un’arma nel mezzo di una discussione su chi ha scordato di comprare lo zucchero. Io non credo che lei sia tipo da fare accuse avventate. A sua volta lei pensi che noi investigheremo con cura su tutto ciò che ci dirà e che ci fornirà una base su cui lavorare. La persona che se la sta prendendo con lei potrebbe prendersela con qualcun altro in seguito.
Non desidero parlare, ho la gola talmente stretta che mi duole. Ma se tutto ciò dovesse accadere a qualcun altro…
Penso a quello che ho da dire e a come dirlo quando lui chiede: — Mi dica qualcosa di più sul gruppo degli schermidori.
A questo posso rispondere e lo faccio. Stacy chiede ancora come ci esercitiamo, quando la gente viene, cosa fa, quando se ne va.
Descrivo la casa di Tom, il cortile, la stanza dove riponiamo l’attrezzatura. — Le mie cose occupano sempre lo stesso posto.
— Quanti di voi ripongono le loro cose in casa di Tom?
— Oltre a me? Due — rispondo. — Anche alcuni altri, quando devono partecipare a tornei, ma solo tre di noi regolarmente. Gli altri due sono Don e Sheraton.
— Perché? — domanda Stacy con calma.
— Sheraton viaggia molto per lavoro. E una volta ha subito un furto nel suo appartamento e gli hanno rubato un’intera serie di armi bianche. Don… — La gola minaccia di chiudermisi ancora una volta, ma continuo: — Don non faceva che dimenticarsi le sue cose e chiedere quelle degli altri in prestito, e alla fine Tom gli disse di lasciarle in casa sua.
— Don. Si tratta dello stesso Don del quale mi ha parlato per telefono?
— Sì — dico. Ho i muscoli completamente irrigiditi.
— Faceva già parte del gruppo quando lei è arrivato?
— Sì.
— Quali sono i suoi amici nel gruppo?
Io pensavo che tutti fossero miei amici. Emmy diceva che era impossibile, perché loro erano normali e io no. Io però lo pensavo. — Tom — rispondo. — Lucia. Brian. M-Marjory…
— Lucia è la moglie di Tom, vero? Chi è questa Marjory?
Sento il sangue salirmi al viso. — Lei… lei è una persona che… che è mia amica.
— È la sua ragazza? La sua amante?
Le parole fuggono dalla mia testa, spariscono. Di nuovo muto, scuoto il capo.
— Una persona che lei vorrebbe fosse la sua ragazza?
Impietrisco. Lo vorrei? Certo. Oso sperarlo? No. Non posso muovermi, non posso parlare. Non voglio vedere l’espressione del signor Stacy, non voglio sapere cosa pensa. Vorrei solo fuggire.
— Vorrei esprimere un’ipotesi, signor Arrendale — dice Stacy. — Supponiamo che a lei piaccia davvero questa donna, questa Marjory…
Questa Marjory, come se lei fosse un oggetto, non una persona. Il solo pensiero del suo viso, dei suoi capelli, della sua voce mi riempie di calore.
— E lei è piuttosto timido… be’, è normale in un uomo che non ha avuto molte relazioni, come credo lei non ne abbia avute. E forse Marjory ha simpatia per lei o forse prova piacere a essere ammirata. E quest’altra persona… forse Don, forse un altro… si irrita per questa simpatia. Magari Marjory piace anche a lui. Comunque, lui vede qualcosa che non gli va instaurarsi tra voi due. La gelosia è un motivo molto comune di comportamenti violenti.
— Io… non voglio… che lui… sia il vandalo — riesco a dire con voce strozzata.
— Le è simpatico?
— Lo conosco… penso… pensavo… di conoscerlo… — Ondate di nausea mi travolgono spegnendo il calore del pensiero di Marjory. Ricordo i momenti in cui Don parlava, rideva, scherzava.
— Il tradimento fa sempre male — dice Stacy come un prete che reciti i Dieci comandamenti. Ha tirato fuori il suo palmare e lo sta usando.
Posso vedere qualcosa di oscuro che incombe su Don, come una nube temporalesca su un paesaggio assolato. Vorrei disperderla, ma non so come fare.
— Quando finisce di lavorare? — domanda Stacy.
— Di solito esco alle cinque e trenta — dico. — Ma oggi ho perso tempo a causa di ciò che è accaduto alla mia auto. Devo rimettermi in pari.
Lui aggrotta la fronte. — Lei deve rimettere in pari il tempo che perde parlando con me?
— Naturalmente.
— Il suo principale non mi sembrava tanto puntiglioso — commenta Stacy.
— Non si tratta del signor Aldrin — dico. — Io rimetterei in pari il tempo in ogni caso, ma è il signor Crenshaw che si arrabbia se pensa che non lavoriamo abbastanza duro.
— Ah, vedo — dice. Il suo viso diventa molto rosso. — Sospetto che non troverò simpatico il signor Crenshaw.
— A me non piace — ammetto. — Però io ho il dovere di fare comunque del mio meglio.
— Ne sono sicuro — dice lui. — A che ora pensa di uscire oggi, signor Arrendale?
Guardo l’orologio e cerco di fare i miei calcoli. — Se ricomincio a lavorare adesso, potrò uscire alle sei e cinquantatré — rispondo. — C’è un treno che parte dalla stazione del campus alle sette e quattro, e se mi sbrigo potrò prenderlo.
— Lei non andrà in treno — mi informa Stacy. — Le organizzeremo un passaggio. Non mi ha sentito quando ho detto che siamo preoccupati per la sua incolumità? Non ha qualcuno col quale stare per pochi giorni? Sarà meglio che lei non rimanga nel suo appartamento.
Scuoto la testa. — Non conosco nessuno — dico. Non sono mai stato in casa di nessuno da quando ho lasciato casa mia: sono sempre rimasto nel mio appartamento o in un albergo. Ma adesso non ho voglia di andare in albergo.
— Stiamo cercando questo Don, ma non è facile localizzarlo. Il suo datore di lavoro dice che non lo vede da diversi giorni, e a casa sua non c’è. Lei sarà al sicuro qui per qualche ora, credo, ma non se ne vada senza farcelo sapere, capito?
Annuisco. È più facile che discutere. Ho l’impressione che tutto questo stia avvenendo in un film o in uno spettacolo, non nella vita reale. Non somiglia a nulla di quanto mi abbiano mai detto.
La porta si apre all’improvviso e io ho un gran sobbalzo. È il signor Crenshaw e sembra di nuovo arrabbiato.
— Lou! Cos’è questa cosa che sento, che hai guai con la polizia? — Si guarda intorno e s’irrigidisce vedendo il signor Stacy.
— Sono il tenente Stacy — si presenta il poliziotto. — Il signor Arrendale non è in nessun guaio. Io sto investigando un caso nel quale lui è la vittima. Le ha detto delle gomme tagliate, no?
— Sì… — Il rosso sulla faccia del signor Crenshaw va e viene. — Lo ha detto. Ma è quella una ragione sufficiente per mandare un agente anche qui?
— No, quella no — dice Stacy. — Tuttavia i due atti di vandalismo seguenti, compreso l’ordigno esplosivo piazzato nella sua macchina, sono una ragione più che sufficiente.
— Un ordigno esplosivo? — Il signor Crenshaw torna a impallidire. — Qualcuno sta cercando di far del male a Lou?
— Noi crediamo di sì — dice Stacy. — Siamo preoccupati per l’incolumità del signor Arrendale.
— Chi crede che sia il colpevole? — Il signor Crenshaw non aspetta risposta, ma continua a parlare. — Lou sta facendo dei lavori importanti per noi; forse un nostro competitore vuole sabotarli…
— Non lo penso — dice Stacy. — Gli indizi puntano a qualcuno che non ha alcun rapporto con l’ambiente di lavoro del signor Arrendale. Sono certo comunque che anche lei consideri importante proteggere un prezioso collaboratore. La sua compagnia ha un alloggio per ospiti o qualche altro posto dove il signor Arrendale potrebbe abitare per qualche giorno?
— No… Voglio dire, lei pensa che la minaccia sia seria?
Il poliziotto socchiude gli occhi. — Lei è il signor Crenshaw, vero? La riconosco dalla descrizione del signor Arrendale. Se qualcuno togliesse la batteria dalla sua macchina e la sostituisse con un attrezzo destinato a esplodere quando lei aprisse il cofano, lei considererebbe questa una minaccia seria?
— Dio mio — dice il signor Crenshaw. Io so che non sta chiamando il signor Stacy il suo Dio: è solo un modo di esprimere sorpresa. Poi guarda me e la sua espressione si fa dura. — Cosa sei andato combinando, Lou, perché qualcuno cerchi di ucciderti? Tu conosci la politica aziendale: se vengo a sapere che ti sei imbrancato con elementi criminali…
— Lei sta parlando a vanvera, signor Crenshaw — lo interrompe Stacy. — Il signor Arrendale non ha fatto proprio nulla di male. Noi sospettiamo anzi che il colpevole possa essere qualcuno che è geloso delle doti del signor Arrendale… che vorrebbe vederlo meno capace.
— Qualcuno che non sopporta i suoi privilegi? — chiede il signor Crenshaw. — La cosa si spiegherebbe. Io ho sempre detto che il trattamento speciale di cui gode questa gente avrebbe suscitato reazioni da parte di quelli che non l’hanno. Noi abbiamo lavoratori che non vedono per quale ragione questa sezione dovrebbe avere un proprio parcheggio, una palestra, un impianto stereo e un cucinino.
Guardo il signor Stacy, il cui viso si è indurito. Il signor Crenshaw ha detto qualcosa che lo ha fatto arrabbiare, ma cosa? Quando parla la sua voce è strascicata e al tempo stesso tagliente, un tono che (me lo hanno insegnato) esprime forte disapprovazione.
— Ah, sì… il signor Arrendale mi aveva detto che lei deplorava le misure di sostegno per i lavoratori handicappati.
— Non è del tutto vero — si corregge il signor Crenshaw. — Si deve vedere se sono davvero necessarie o no. Rampe, passaggi riservati eccetera sono un conto, ma altre cosiddette misure di sostegno sono lussi e basta…
— E lei che è tanto esperto conosce bene la differenza tra le due cose, vero? — domanda Stacy. Il signor Crenshaw arrossisce di nuovo. Guardo Stacy che non sembra affatto impaurito.
— Io conosco i bilanci — risponde il signor Crenshaw. — Non esiste legge che possa costringerci a fallire per viziare certa gente che crede di aver bisogno di… di giocattoli come questi… — Indica le girandole sulla mia scrivania.
— Già, specie se si pensa che costeranno almeno un dollaro e trenta — dice Stacy. — A meno che non le compriate da aziende che lavorano per la Difesa. — Ma questo è assurdo. Le aziende che lavorano per la Difesa non vendono girandole, vendono missili, mine e aeroplani. Cerco di spiegarmi come mai Stacy, che sembra una persona istruita tranne che nelle permutazioni, suggerisca di comprare girandole da un’azienda che lavori per la Difesa. O è tutto uno scherzo?
— Ma non è questo il punto — sta dicendo Stacy quando riprendo ad ascoltare. — Se lei dovesse abolire questa sezione… con quanti impiegati, sedici, venti?… tra il pagamento a tante persone delle liquidazioni e della parte del sussidio di disoccupazione che spetta all’azienda, finirebbe col perdere un sacco di soldi. Per non parlare della perdita della sua posizione come datore di lavoro per questa classe di disabilità, che le procura grosse facilitazioni fiscali.
— Lei che ne sa di questo? — chiede il signor Crenshaw.
— Anche il nostro dipartimento ha lavoratori handicappati — dice Stacy. — E ogni volta che qualche saputello vien fuori con l’idea di sbarazzarcene per risparmiare, gli dimostriamo con documenti alla mano che licenziandoli perderemmo denaro.
— Voi siete pagati con i soldi delle tasse — ribatte il signor Crenshaw, e gli vedo pulsare le vene della fronte. — Non dovete preoccuparvi di profitti e perdite. Siamo noi che dobbiamo guadagnare i soldi per pagarvi il salario.
— E sono sicuro che questo non vi fa dormire la notte — dice Stacy, e anche le vene della sua fronte pulsano. — Adesso se vuole scusarmi, devo parlare col signor Arrendale.
— Lou, dovrai rimettere in pari il tempo perduto — dice il signor Crenshaw, e si precipita fuori sbattendo la porta.
Guardo Stacy che scuote la testa. — Che tipo. Da noi c’era un sergente così, meno male che si è trasferito a Chicago. Farebbe bene a cercarsi un altro lavoro, signor Arrendale. Quello vuole sbarazzarsi di lei a tutti i costi.
— Io non lo capisco — dico. — Io… tutti noi lavoriamo duro qui. Perché ce l’ha tanto con noi?
— Perché è un figlio di puttana avido di potere — dice Stacy. — Quelli lì non fanno che cercar di fare bella figura facendo fare brutte figure agli altri. Purtroppo per lui, adesso a lei è capitato quest’altro guaio.
— Ma questo non porta danno a lui, se mai a me — dico.
— Già, però adesso il suo signor Crenshaw avrà a che fare con me… e troverà che la sua arroganza non fa molto effetto sulla polizia.
Non sono molto sicuro che questo sia esatto. Il signor Crenshaw è anche la compagnia, e la compagnia ha molta influenza in città.
— Torniamo ai nostri incidenti — dice Stacy — così potrò lasciarla in pace. Ci sono state altre circostanze, anche di poco conto, che possano indicare l’esistenza di malanimo contro di lei da parte di Don?
Sembra sciocco, ma gli riferisco del momento in cui Don si era messo tra me e Marjory a casa di Tom, e di Marjory che lo aveva chiamato una vipera, anche se questo non era vero.
— Quindi a me sembra che lo schema delle cose sia che gli altri suoi amici cercavano di proteggerla da Don, facendogli capire che a loro non piaceva come lui la trattava, no?
Non avevo considerato le cose da questo punto di vista. Quando lui me lo dice, vedo lo schema chiarissimo e mi chiedo come mai non me ne ero accorto prima. — Lui ci sarà rimasto male — dico. — Avrà pensato che io ero trattato in modo diverso da lui, e… — M’interrompo, colpito all’improvviso da un altro schema che non avevo notato in precedenza. — È come con il signor Crenshaw — aggiungo. C’è tensione nella mia voce, ma la scoperta è eccitante. — Lui prova antipatia per me per la stessa ragione. — M’interrompo di nuovo, cercando di riflettere a fondo. Allungo una mano e accendo il ventilatore. Le girandole mi aiutano a pensare quando sono eccitato.
— Sono tutti schemi di persone le quali non credono che noi abbiamo davvero bisogno di misure di sostegno e le guardano di malocchio. È questa combinazione di far bene e di avere le facilitazioni che desta la loro collera. Io sono troppo normale… — Guardo Stacy che sta sorridendo e annuendo. — No, è sciocco — dico. — Io non sono normale. Né adesso né mai.
— A lei può sembrare così — dice lui. — Ma io la vedo guidare un’automobile, sbrigare ottimamente il suo lavoro, innamorarsi, partecipare a tornei di scherma…
— Soltanto a uno, finora — preciso.
— Va bene, soltanto a uno. Io vedo anche un sacco di persone che funzionano peggio di lei, signor Arrendale, e altre che funzionano altrettanto bene senza facilitazioni. Ora, io so che le facilitazioni sono necessarie e fanno perfino risparmiare denaro, ma c’è chi non la pensa così. È come mettere un cuneo sotto la gamba zoppa di un tavolo… perché non avere un tavolo solido e con le gambe tutte uguali? C’è chi percepisce quel cuneo come una minaccia contro di sé… e lo prende in odio.
— Non vedo in cosa io possa costituire una minaccia per Don o per il signor Crenshaw — dico.
— Può non esserlo, personalmente; e non credo che nemmeno le facilitazioni di cui gode lo siano. Ma ci sono persone che non accettano responsabilità, che hanno bisogno di biasimare gli altri per quello che non va nelle loro vite. Don probabilmente pensa che se lei non ricevesse un trattamento preferenziale, lui avrebbe successo con quella donna.
Vorrei che usasse il suo nome, Marjory. Non mi piace che la chiami "quella donna".
— La quale probabilmente non lo vorrebbe comunque, ma Don preferisce gettare il biasimo su di lei… se davvero c’è lui dietro questi vandalismi. — Dà un’occhiata al suo palmare. — Dalle informazioni che abbiamo raccolto su di lui, l’uomo ha avuto una serie di lavori di basso profilo. A volte li piantava lì, a volte lo licenziavano. Non ha credito. Può darsi che veda in se stesso un fallito e cerchi qualcuno su cui sfogarsi.
Io non avevo mai pensato che le persone normali dovessero trovare una ragione per i loro fallimenti. Non avevo mai pensato che subissero fallimenti.
— Manderemo qualcuno a prenderla, signor Arrendale — dice Stacy. — Chiami questo numero quando desidera andare a casa. — Mi porge una carta. — Non metteremo nessuno di guardia qui, il vostro apparato di sicurezza è buono… però mi creda, sia prudente.
È duro rimettersi al lavoro dopo che lui se n’è andato, ma io mi concentro e riesco a fare parecchio prima che venga l’ora di andarmene e chiamare per il passaggio.
Pete Aldrin tirò un respiro profondo dopo che Crenshaw fu uscito dal suo ufficio furibondo contro quel "pallone gonfiato" di poliziotto che era andato a interrogare Lou Arrendale. Prese il telefono e chiamò l’ufficio Risorse umane. Chiese di un certo Bart, il cui nome gli era stato suggerito da Paul: un impiegato giovane e inesperto che certo sarebbe ricorso all’aiuto di qualcuno per avere spiegazioni. — Bart, ho bisogno di licenze per l’intera sezione A: i miei ragazzi stanno per essere coinvolti in un programma di ricerca.
— Di cosa si tratta? — domandò Bart.
— Del primo esperimento su esseri umani di un nuovo prodotto concepito per autistici adulti. Il signor Crenshaw considera questa una massima priorità per il nostro dipartimento, perciò ti sarei davvero grato se ti spicciassi a ottenermi per la sezione una serie di congedi a tempo indeterminato. Sarebbe meglio così, credo, perché non sappiamo quanto tempo ci vorrà per l’esperimento…
— Per tutti gli impiegati? E subito?
— Può darsi che entrino nella ricerca a scaglioni, ma non ne sono sicuro. Te lo farò sapere dopo che avranno firmato il consenso informato. Ma ci vorranno almeno trenta giorni…
— Non vedo come…
— Ecco il codice di autorizzazione. Se hai bisogno della firma del signor Crenshaw…
— Ma non è…
— Grazie — disse Aldrin, e riattaccò. Poteva immaginare Bart sbalordito e allarmato che si precipitava dal suo supervisore per domandargli cosa doveva fare. Aldrin tirò un altro respiro profondo e chiamò Shirley alla Contabilità.
— Ho bisogno di prendere accordi per il deposito degli stipendi degli impiegati della sezione A direttamente nelle loro banche, mentre loro si troveranno in congedo a tempo indeterminato…
— Pete, te l’ho già detto, non è così che funziona la cosa. Devi avere un nullaosta speciale…
— Il signor Crenshaw considera questa una massima priorità. Ho il codice di autorizzazione per il progetto e posso avere la sua firma…
— Ma come dovrei fare a…
— Non puoi limitarti a dire che loro stanno lavorando in una sede decentrata? Così non si dovrebbero introdurre variazioni nei bilanci dei dipartimenti.
La sentì digrignare i denti a quella proposta. — Potrei anche farlo se tu mi dicessi qual è questa sede decentrata.
— Edificio quarantadue del campus principale.
Un istante di silenzio, poi: — Ma quella è la clinica, Pete. Che imbroglio stai meditando? Vuoi raddoppiare i compensi degli impiegati della ditta facendoli apparire anche come soggetti di ricerca?
— Io non sto meditando nessun imbroglio — disse Aldrin con l’atteggiamento più dignitoso che poté. — Io sto solo cercando di varare un progetto al quale il signor Crenshaw tiene moltissimo. Gli impiegati non raddoppieranno nulla se avranno solo gli stipendi e non i compensi.
— Ho i miei dubbi su questo punto — commentò Shirley. — Ma vedrò cosa posso fare.
— Grazie — disse Aldrin, e riappese di nuovo. Sentiva il sudore scorrergli lungo la schiena. Shirley non era una novellina: doveva sapere perfettamente che la sua richiesta era completamente sballata, e avrebbe avuto parecchio da ridire.
Risorse umane, Contabilità… rimanevano l’ufficio legale e l’ufficio Ricerca. Aldrin frugò tra le carte che Crenshaw gli aveva lasciato fino a trovare il nome dello scienziato che dirigeva il protocollo. Liselle Hendricks… notò che non si trattava dell’uomo che era stato mandato a parlare con i volontari. Il dottor Ransome compariva nella lista semplicemente come membro dell’equipe tecnica.
— Dottoressa Hendricks — disse pochi minuti dopo — sono Pete Aldrin, del dipartimento Analisi. Sovrintendo alla sezione A, dalla quale provengono i suoi volontari. Ha già pronti i moduli del consenso informato?
— Di cosa sta parlando? — chiese la dottoressa. — Se vuol mettersi in contatto con il reclutamento di volontari, si colleghi con l’interno tre-trentasette. Io non ho nulla a che fare con certe questioni.
— Ma lei è la dirigente del protocollo, no?
— Sì… — Aldrin poteva immaginare il viso stupito della donna.
— Ebbene, io mi stavo giusto domandando quando avrebbe spedito i moduli del consenso informato per i volontari.
— Ma perché dovrei mandarli a lei? — chiese la Hendricks. — È il dottor Ransome che deve incaricarsene.
— Vede, il fatto è che i volontari lavorano tutti qui — disse Aldrin. — Mandare i moduli a me sarebbe più semplice.
— Tutti nella stessa sezione? — La dottoressa Hendricks sembrava più sbalordita di quanto Aldrin si sarebbe aspettato. — Questo non lo sapevo. La cosa non vi creerà dei problemi?
— Oh, li risolverò — la rassicurò Aldrin forzandosi a emettere un risolino astuto. — Il fatto è che i miei impiegati non hanno preso tutti una ferma decisione in proposito. Io sono certo che lo faranno, sa, tra una cosa e l’altra, ma comunque…
La voce della dottoressa Hendricks si fece aspra. — Cosa significa quel "tra una cosa e l’altra"? Lei non starà per caso facendo pressione sui volontari? Sarebbe una violazione dell’etica…
— Oh, io non mi preoccuperei per questo, se fossi in lei — disse Aldrin. — Naturalmente nessuno può essere costretto a collaborare, non stiamo parlando di costrizioni, ma questi sono tempi difficili dal punto di vista economico. Il signor Crenshaw dice…
— Ma… ma… — La donna quasi sputacchiava.
— Perciò, se lei potesse spedirmi subito quei moduli, mi farebbe un vero favore — concluse Aldrin, e riappese. Poi chiamò subito un altro Bart, quello che Crenshaw gli aveva detto di contattare.
— Quando si sbrigherà ad avere quei moduli del consenso informato? — domandò. — E i tempi del programma sono stati stabiliti? Ha parlato con la Contabilità circa il problema degli stipendi? Si è messo in contatto con l’ufficio Risorse umane?
— Ehm… no. — Bart sembrava troppo giovane per essere importante, ma probabilmente era stato assegnato a quel posto da Crenshaw. — Pensavo solo… sa, il signor Crenshaw ha detto che lui… la sua sezione… si sarebbe presa cura dei dettagli. Mi pareva che il mio unico dovere fosse di assicurarmi che i volontari si qualificassero per il protocollo qui da me. I moduli del consenso non credo siano stati ancora compilati…
Aldrin sorrise tra sé e sé. La confusione di Bart era un vantaggio in più: qualunque dirigente sarebbe stato giustificato nello scavalcare un simile sciocco. Gli forniva la scusa buona per chiamare la dottoressa Hendricks. Se fosse stato fortunato… e su quel punto si sentiva fortunato… nessuno avrebbe capito chi dei due aveva chiamato per primo.
Adesso il problema era quando contattare qualcuno dei piani alti. Lui avrebbe preferito farlo quando i pettegolezzi avessero raggiunto un livello sufficiente, ma non aveva idea di quanto tempo ci avrebbero impiegato. Fino a quando Shirley o la dottoressa Hendricks avrebbero tenuto per sé le preoccupanti notizie che lui aveva fornite loro senza far nulla? E allorché si fossero decise ad agire, cos’avrebbero fatto? Se fossero corse subito da qualcuno dei massimi dirigenti, sarebbe stata questione di ore prima che lo scandalo scoppiasse; ma se avessero aspettato un giorno o due, ci sarebbe voluta probabilmente una settimana.
Il suo stomaco si contrasse. Aldrin masticò due compresse di antiacido.