È molto strano vedere il campus dalla stazione e non dal viale e dal parcheggio. Invece di mostrare il mio pass alla guardia stazionata all’entrata delle automobili lo mostro alla guardia dell’entrata che sta davanti alla stazione della metropolitana. Larghi marciapiedi bordati di aiole portano all’edificio dell’amministrazione. I fiori sono gialli e arancione con molti boccioli: i colori brillano alla luce del sole. Davanti all’amministrazione devo mostrare il pass a un’altra guardia.
— Perché non ha parcheggiato al suo solito posto? — mi domanda. Sembra irritato.
— Qualcuno ha tagliato le gomme della mia macchina — dico.
— Brutto guaio — commenta, e abbassa gli occhi a guardare il suo tavolo. Forse sarà deluso perché non ha nessuna ragione d’irritarsi. — Qual è la strada più breve da qui all’edificio Ventuno? — domando.
— Attraversi questo edificio, giri dietro il Quindici, poi passi davanti alla fontana con una donna nuda su un cavallo. Da lì potrà vedere il suo parcheggio.
Fa molto caldo e io sono sudato quando arrivo al nostro edificio e infilo la mia chiave magnetica nella serratura del portone. All’interno però c’è fresco e penombra e posso rilassarmi. Vado direttamente nel mio ufficio e accendo il ventilatore mettendolo al massimo.
Il computer è acceso come sempre e porta l’icona di un messaggio. Lo leggo:
Chiama appena arrivi.
Firmato: sig. Crenshaw, interno 2313.
Allungo la mano verso il telefono, che però suona prima che possa alzare il ricevitore.
— Ti avevo detto di chiamare appena arrivato in ufficio — dice la voce del signor Crenshaw.
— Sono appena arrivato — dico.
— Sei passato dall’ingresso principale venti minuti fa — obietta lui, con voce molto irritata. — Nemmeno a te ci dovrebbero volere venti minuti per arrivare da lì al tuo edificio.
Dovrei dire che mi dispiace, ma non è vero. Non so quanto tempo ho impiegato per percorrere la distanza dall’ingresso al mio edificio e non so neanche quanto in fretta avrei dovuto camminare se avessi affrettato il passo. Ma faceva troppo caldo per affrettarsi. Mi sento salire un calore alla nuca.
— Non mi sono fermato per via — protesto.
— E cos’è quella scusa su una gomma sgonfia? Non sei capace di cambiare una gomma? Sei in ritardo di due ore.
— Quattro gomme — dico. — Qualcuno mi ha tagliato tutt’e quattro le gomme.
— Quattro! Suppongo tu abbia denunciato il fatto alla polizia — esclama.
— Sì.
— Ma potevi aspettare a farlo fino a dopo il lavoro — dice lui. — Oppure potevi chiamare da qui.
— Il poliziotto era lì — spiego.
— Era lì? Qualcuno era presente mentre la tua macchina veniva danneggiata?
— No… — Lottando contro l’impazienza e la rabbia della sua voce io cerco d’interpretare il senso delle sue parole che sembrano più un brusio collerico che un discorso dotato di significato. È difficile scegliere una risposta adatta. — Si tratta del poliziotto che abita nel mio palazzo. Lui ha visto le gomme e ha chiamato un altro poliziotto. Mi ha detto lui cosa dovevo fare.
— Avrebbe dovuto dirti di venire al lavoro — lo critica Crenshaw. — Non c’era ragione che tu ti trattenessi. Dovrai rimediare al tempo perduto, sai.
— Lo so. — Mi chiedo se lui deve rimediare al tempo perduto quando gli succede di ritardare.
— E sta’ attento a non calcolare il tempo supplementare come straordinario — dice tagliando la comunicazione. Non ha detto che gli dispiaceva per le mie gomme. In questi casi si usa un’espressione convenzionale, come "peccato" o "che guaio"; invece, benché sia una persona normale, lui non ha detto niente del genere. Forse perché non gli dispiace affatto e non ha alcuna simpatia da esprimere. Io ho dovuto imparare a usare espressioni convenzionali anche quando non esprimevano il mio pensiero, perché ciò fa parte dell’inserirsi nell’ambiente, dell’andare d’accordo. Qualcuno ha mai preteso che il signor Crenshaw imparasse a inserirsi nell’ambiente, ad andare d’accordo?
Sarebbe ora di pranzo, anche se sono indietro col lavoro. Provo un senso di vuoto allo stomaco. Sto per dirigermi verso il cucinino dell’ufficio quando mi rendo conto di non aver portato il pranzo. Devo averlo lasciato da qualche parte quando sono tornato nel mio appartamento per la denuncia dell’incidente all’assicurazione. Lo scomparto frigorifero con sopra le mie iniziali è quindi vuoto. Lo avevo vuotato ieri.
C’è una macchina che vende cibarie nell’edificio accanto al nostro, ma il cibo è immangiabile. Se si tratta di sandwich, gli ingredienti di cui sono imbottiti sono tutti mescolati insieme e grondanti di maionese o altre salse. Roba rossa, roba verde, carne tritata insieme con altri condimenti. Anche se io ne aprissi uno e raschiassi via la maionese, il suo odore e il suo sapore resterebbero. Quanto ai dolci, le ciambelle e i cornetti, sono appiccicosi e lasciano macchie disgustose nei contenitori di plastica quando si tirano fuori. Mi si contrae lo stomaco solo a pensarci.
Potrei andar fuori a comprare qualcosa, benché di solito nessuno di noi esca all’ora di pranzo, ma la mia macchina è a casa, inutilizzabile con le sue gomme sgonfie.
— Hai dimenticato il pranzo? — mi chiede Eric. Io sobbalzo. Non ho ancora parlato con nessuno dei miei colleghi.
— Qualcuno ha tagliato le gomme della mia automobile — spiego. — Così ho fatto tardi. Il signor Crenshaw è arrabbiato con me. Ho lasciato a casa il pranzo per distrazione. La mia macchina è a casa.
— Hai fame?
— Sì, ma non voglio comprare roba dalle macchine.
— Chuy deve uscire adesso — dice Eric.
— A Chuy non piace che qualcuno vada in macchina con lui — interviene Linda.
— Però posso parlargli — dico io.
Chuy acconsente a comprare qualcosa per il mio pranzo. Siccome non va in nessun negozio di alimentari, dovrò accontentarmi di qualcosa che troverà per strada. Quando ritorna mi porta qualche mela e una salsiccia dentro un panino. Le mele mi piacciono, ma la salsiccia no: non amo i pezzetti di carne mescolati insieme che ha dentro. Comunque non è disgustosa come certe altre cose, e io ho fame, così la mangio senza pensarci troppo.
Sono le 16.16 quando mi ricordo di non aver chiamato nessuno per sostituire le gomme alla mia macchina. Consulto le pagine gialle in rete e vedo che contengono i nomi e gli indirizzi delle officine, così faccio una lista e comincio a chiamare quelle più vicine a casa mia. Una dopo l’altra, tutte mi dicono che è troppo tardi per fare qualcosa oggi.
Uno dei loro impiegati mi dà un suggerimento. — La cosa più svelta da fare è comprare quattro gomme montate e sostituirle a quelle rotte lei stesso, una alla volta. — Ma costerebbe parecchio denaro acquistare quattro gomme montate, e poi come potrei fare a portarle a casa? Non posso chiedere a Chuy un altro favore così presto.
È come uno di quei problemi da risolvere in cui ci sono un uomo, una gallina, un gatto e un sacco di becchime da una parte del fiume e un battello con due soli posti di cui un uomo può servirsi per trasportare all’altra riva se stesso, le sue bestie e il sacco. Naturalmente senza lasciare il gatto con la gallina o la gallina col becchime. Io ho quattro gomme squarciate e una gomma di scorta. Se metto all’auto la ruota di scorta e porto quella rotta al negozio delle gomme, loro possono aggiustarla e io posso riportarla indietro, montarla e portare al negozio l’altra ruota danneggiata; e così via. Mi basterebbe avere tre gomme nuove per poter guidare l’auto al negozio portando l’ultima gomma tagliata.
La rivendita di gomme più vicina è a un chilometro e mezzo da casa mia. Non so quanto mi ci vorrà a farvi rotolare la ruota bucata… certo più di quanto ci vorrebbe con una gomma sana. Ma questa è l’unica soluzione che mi viene in mente.
Il negozio rimane aperto fino alle nove. Se lavoro le due ore supplementari stasera e riesco ad arrivare a casa per le otto, allora sarò In grado di portare la ruota al negozio prima che chiudano. E domani, uscendo dal lavoro in orario, potrò portarcene altre due.
Arrivo a casa alle 19.43. Apro il cofano della macchina e tiro fuori la ruota di scorta. Ho imparato a cambiare una gomma quando frequentavo l’autoscuola, ma da allora non ne ho mai più cambiata una. In teoria è semplice, ma ci metto parecchio tempo. Il martinetto è difficile da mettere in posizione, e la macchina si solleva lentamente. Quando infine riesco a estrarre la ruota danneggiata e a mettere al suo posto quella di scorta sono senza fiato e fradicio di sudore. So che i bulloni devono essere stretti in un certo ordine, ma non lo ricordo esattamente; il mio istruttore diceva che era importante stringerli come si deve. Intanto sono le otto passate e comincia a farsi buio…
— Ehi!
Mi raddrizzo di scatto e al momento non riconosco la voce o la figura alta e scura che sta correndo verso di me. La figura rallenta.
— Oh… sei tu, Lou. Temevo che fosse il vandalo venuto a combinare altri danni. Cos’hai intenzione di fare, comprare una nuova serie di ruote?
È Danny. Sento tremarmi le ginocchia dal sollievo. — No. Questa è la ruota di scorta. Ho intenzione di metterla, poi portare la ruota danneggiata a una rivendita di gomme e fargliene adattare una nuova. Poi tornerei qui e cambierei un’altra ruota danneggiata con quella riparata. E domani potrei ripetere l’operazione.
— Ma… avresti potuto chiamare qualcuno e fartele cambiare tutt’e quattro. Perché hai scelto la soluzione più faticosa?
— Perché nessuno poteva servirmi prima di domani o dopodomani, così hanno detto. Un uomo mi ha suggerito di comprare una serie di gomme montate e cambiarle io stesso, se volevo un lavoro svelto. Così io ci ho pensato e ho ricordato la ruota di scorta. Ho immaginato come poter cambiare le gomme da me e risparmiare tempo e denaro, e ho deciso di cominciare a farlo appena arrivato a casa…
— Sei appena arrivato?
— Stamattina ho fatto tardi al lavoro, così ho dovuto reintegrare il tempo perduto. Il signor Crenshaw era molto arrabbiato con me.
— Sì, ma in questo modo ti ci vorranno diversi giorni. E comunque il negozio chiude tra meno di un’ora. Pensi di prendere un tassi?
— No, vado a piedi facendo rotolare la ruota. — La ruota con la sua gomma flaccida sembra mi prenda in giro: è già stato abbastanza duro farla rotolare da una parte.
— Vai a piedi? — Danny scuote la testa. — Non ce la farai mai, amico. Meglio metterla nella mia auto. Ti darò un passaggio. Peccato non poterne portare due… Ma aspetta, possiamo.
— Io non ho due gomme di scorta — dico.
— Puoi adoperare la mia, abbiamo ruote di dimensioni uguali. — Questo non lo sapevo. Noi non abbiamo né la stessa marca né lo stesso modello di automobile, e macchine diverse spesso non hanno le ruote di grandezza uguale. Lui come poteva saperlo? — E ricordati di serrare i bulloni opposti… non a fondo!… e poi i rimanenti. Poi serra a fondo, sempre gli opposti a coppie, va bene? Tu mantieni così bene la tua automobile che probabilmente non hai mai avuto bisogno di sapere questo.
Mi chino a serrare i bulloni. Dopo ciò che mi ha detto, ricordo esattamente che me lo aveva detto anche il mio istruttore. È uno schema anche questo, uno schema semplice. Mi piacciono gli schemi simmetrici. Appena ho finito vedo Danny di ritorno con la sua ruota di scorta. Guarda l’orologio.
— Dovremo sbrigarci — dice. — Ti dispiace se la prossima la cambio io? Ho molta più pratica di te.
— No, non mi dispiace — rispondo. Non sto dicendo l’intera verità. Se davvero lui ha ragione e io potrò avere due gomme nuove stasera, questo mi sarà di grande aiuto; però Danny si sta introducendo a forza nella mia vita, mi sta mettendo fretta, mi fa sentire lento e stupido. E questo mi dispiace. Lui però si sta comportando come un amico. Sta cercando di aiutarmi. È importante essere riconoscenti quando uno ci aiuta.
Alle 20.21 ambedue le ruote di scorta sono montate nel retro della mia macchina, che ha un aspetto buffo con le gomme anteriori a terra e quelle posteriori gonfie. Le ruote inservibili sono nel portabagagli dell’auto di Danny e io sono seduto accanto a lui. Di nuovo lui accende la radio e una musica violentemente ritmica mi scuote i nervi. Vorrei balzar fuori, i suoni sono troppo rumorosi e sono sbagliati. Danny mi parla, ma io non riesco a capire ciò che dice: i suoni e la sua voce si confondono.
Quando arriviamo alla rivendita di gomme, lo aiuto a portare le ruote sgonfie nel negozio. L’impiegato mi guarda quasi senza espressione. Prima che io possa cominciare a spiegargli cosa voglio, lui scuote la testa.
— È troppo tardi — dice. — Non possiamo cambiare gomme a quest’ora.
— Ma siete aperti fino alle nove — obietto.
— Il negozio sì; ma non cambiamo gomme così tardi. — Guarda verso la porta del negozio, dove un uomo dinoccolato in calzoni blu scuro e camicia avana con un taschino sta appoggiato allo stipite e si sta pulendo le mani con uno straccio rosso.
— Non sono potuto arrivare prima — spiego. — E comunque voi siete aperti fino alle nove.
— Senta, signore — dice l’impiegato. Ha sollevato un angolo della bocca, ma non in un sorriso e nemmeno in un mezzo sorriso. — Gliel’ho detto: è arrivato troppo tardi. Anche se volessimo metterle gomme nuove alle ruote, dovremmo trattenerci qui fino a dopo le nove. E scommetto che lei non si trattiene fino a tardi solo per finire un lavoro che qualche idiota le ha appiccicato all’ultimo momento.
Apro la bocca per dire che io ho davvero fatto tardi al lavoro ed è per questo che sono arrivato tardi qui, ma Danny ha fatto un passo avanti. L’uomo dietro il bancone di colpo si raddrizza e pare allarmato; comunque Danny sta guardando l’uomo accanto alla porta.
— Ciao, Fred — dice con voce lieta, come se avesse incontrato un amico. Ma in sottofondo c’è uno strano filo di acciaio nella sua voce. — Come te la passi di questi tempi?
— Ah… bene, signor Bryce. Mi mantengo pulito.
A me non pare. Ha macchie nere sulle mani e le unghie sporche; anche i suoi calzoni e la camicia sono macchiati.
— Bravo Fred, bravo. Guarda, a questo mio amico hanno vandalizzato la macchina ieri notte. E ha dovuto far tardi al lavoro perché era arrivato tardi stamattina. Io speravo proprio che tu potessi dargli una mano.
L’uomo alla porta guarda quello dietro il bancone e le loro sopracciglia vanno su e giù. Poi l’uomo dietro il bancone si stringe nelle spalle. — Dovrai chiudere tu — dice; poi si rivolge a me. — Suppongo lei sappia che genere di gomme vuole.
Certo che lo so. Ho comprato gomme qui solo pochi mesi fa, perciò so cosa dire.
Sono le 21.17 quando io e Danny ce ne andiamo con due ruote rimesse a nuovo. Fred le fa rotolare fuori e le mette nel portabagagli della sua macchina. Io mi sento stanchissimo. Non so perché Danny mi stia aiutando. Non mi piace l’idea della sua ruota di scorta sulla mia macchina; è una cosa sbagliata, come un pezzo di pesce in uno spezzatino di carne. Quando arriviamo a casa lui mi aiuta a montare le gomme nuove al posto delle ruote anteriori della mia auto e a mettere le due ruote ancora sgonfie nel portabagagli. Solo allora mi rendo conto che domani mattina potrò andare in macchina al lavoro e a mezzogiorno potrò sostituire tutt’e due le gomme tagliate.
— Grazie tante — dico. — Adesso posso usare l’auto.
— Certo che puoi — dice Danny e sorride, un sorriso autentico stavolta. — Ascolta un suggerimento: cambia posto alla tua macchina. Mettila verso il retro del parcheggio.
— Buona idea — dico. Sono talmente stanco che mi costa molto dirlo.
— Por nada - risponde Danny, mi fa un cenno di saluto ed entra in casa.
Salgo in macchina. L’aria è un poco stantia, ma il sedile è a posto. Sto tremando un poco. Accendo il motore e poi la musica… la mia musica… e lentamente faccio marcia indietro, giro di fianco alle altre macchine e vado a fermarmi al posto che Danny mi ha indicato. È vicino alla sua auto.
Stento ad addormentarmi, anche se sono così stanco, o forse proprio a causa di questo. Mi fanno male le gambe e la schiena. Continuo a pensare di udire rumori e a svegliarmi di soprassalto. Infine metto di nuovo la mia musica, Bach stavolta, e finalmente mi addormento cullato dalla sua armonia.
Al mattino faccio colazione, mi preparo il pranzo ed esco. Per le scale incontro Danny.
— A mezzogiorno farò sostituire le gomme tagliate — gli dico. — Ti restituirò la ruota di scorta stasera.
— Non c’è fretta — risponde. — Oggi non userò la macchina.
Io però gli restituirò la ruota ugualmente, perché non la voglio sulla mia auto. È una stonatura perché non è la mia.
Arrivo al lavoro con cinque minuti di anticipo e trovo nell’atrio il signor Crenshaw e il signor Aldrin che parlano. Il signor Crenshaw mi guarda. Ha gli occhi lucidi e duri. Non mi piace guardarli, ma non abbasso i miei.
— Niente gomme a terra oggi, Arrendale?
— No, signor Crenshaw — dico.
— La polizia ha poi trovato quel vandalo?
— Non lo so. — Vorrei andare nel mio ufficio, ma c’è lui di mezzo e io dovrei spingerlo da parte. Questo non è educato.
— Chi è l’agente che si occupa del caso? — chiede il signor Crenshaw.
— Non ricordo il suo nome, ma ho scritte qui le sue specificazioni — dico tirando fuori di tasca il portafogli.
Il signor Crenshaw alza le spalle e scuote la testa. La sua fronte si è aggrottata. — Lascia stare — dice, poi si volge al signor Aldrin. — Vieni, andiamo nel mio ufficio a parlarne con comodo. — Si volta e il signor Aldrin lo segue. Adesso posso andare in ufficio.
Non so perché il signor Crenshaw abbia chiesto il nome del poliziotto e poi non abbia voluto guardare la carta che quello mi ha data. Vorrei chiedere al signor Aldrin di spiegarmelo, ma se n’è andato anche lui. Non so perché il signor Aldrin, che è una persona normale, segua dappertutto il signor Crenshaw in quel modo. Forse ne ha paura? Le persone normali possono avere paura l’una dell’altra? E se è così, che vantaggio c’è a essere normali?
Espello queste idee dalla mia mente per mettermi al lavoro.
A mezzogiorno porto le ruote in un’altra officina vicino al campus e le lascio per far sostituire le gomme danneggiate. Ho scritto di che tipo e di che dimensioni le voglio e porgo il biglietto all’impiegata dietro il banco. È una donna della mia età con capelli corti e neri; porta una camicetta avana con una targhetta ricamata in rosso che dice: SERVIZIO CLIENTI.
— Grazie — dice lei, e mi sorride. — Non sa quanta gente viene qui senza la minima idea di che tipo di gomme vuole e quanta confusione fa.
— Ma è facile scriverlo — dico.
— Già, ma loro non ci pensano. Vuole aspettare o ritornare dopo?
— Ritornerò dopo — rispondo. — Fino a che ora siete aperti?
— Fino alle nove, ma può tornare anche domani.
— Tornerò prima delle nove — dico. La donna fa passare la mia carta di credito nella macchinetta apposita e scrive sul buono d’ordine: "Pagamento anticipato".
— Ecco la sua copia — dice. — Non la dimentichi… per quanto, uno che è tanto furbo da scriversi il tipo di gomme che gli servono è certo anche abbastanza furbo da non perdere le ricevute.
Ritorno alla macchina sentendomi più sollevato. È facile ingannare la gente e far pensare loro che sono uguale agli altri in incontri di questo genere. Se poi all’altra persona piace parlare, come a quella donna, è ancora più agevole. Io non devo fare altro che dire poche frasi convenzionali, sorridere ed è fatta.
Il signor Crenshaw si trova di nuovo nel nostro atrio quando ritorno al campus, tre minuti prima della fine della pausa di un’ora per il pranzo. Gli si contrae il viso quando mi vede, non capisco perché. Si volta quasi subito e se ne va, senza parlarmi. Talvolta quando le persone non parlano è perché sono in collera, ma io non so cosa possa aver fatto per farlo irritare. Va bene che sono arrivato tardi due volte negli ultimi tempi, ma nessuna delle due volte per colpa mia. La prima volta non ho causato io l’incidente automobilistico, e la seconda volta non ho rovinato io le mie gomme.
È difficile concentrarmi nel lavoro.
Arrivo a casa alle 19.00 con le gomme nuove su tutt’e quattro le ruote e le ruote di scorta mia e di Danny nel portabagagli. Decido di fermarmi di nuovo accanto alla macchina di Danny, anche se non so se lui sia a casa. Se le due macchine sono vicine, sarà più facile trasferire la ruota di scorta dalla mia alla sua.
Busso alla sua porta. — Sì? — risponde la sua voce.
— Sono Lou Arrendale — dico. — Ho la tua ruota in auto.
Sento i suoi passi che si avvicinano alla porta. — Lou, te l’avevo detto, non c’era bisogno di tanta fretta. Tuttavia grazie. — Apre la porta. Sul pavimento del suo appartamento c’è la stessa moquette screziata di marrone, beige e ruggine che ho anche nel mio; io però l’ho coperta con qualcosa che non mi faccia male agli occhi. Danny ha un grande schermo TV grigio scuro; gli altoparlanti sono blu e sono scompagnati. Ha un divano marrone a quadratini più scuri: lo schema è regolare, ma non va d’accordo con la moquette. Una giovane donna è seduta sul divano. Porta un vestito a disegni gialli e verdi su fondo bianco, che stona sia con la moquette che con il divano. Danny la guarda. — Lyn, devo andare a prendere la mia ruota di scorta dalla macchina di Lou.
— Bene. — La donna sembra indifferente e guarda il tavolino basso. Mi chiedo se sia la ragazza di Danny.
Danny dice: — Lyn, questo è Lou che abita nell’appartamento sopra il mio. Ieri ha preso in prestito la mia ruota.
— Ciao — mi saluta lei guardandomi e subito riabbassando gli occhi.
— Ciao — rispondo io, e guardo Danny che va alla scrivania a prendere le chiavi della macchina. Il ripiano della scrivania è molto ordinato, con solo una cartella portacarte e un telefono.
Scendiamo e andiamo al parcheggio. Io apro il portabagagli della mia macchina e Danny prende la sua ruota. Apre il portabagagli della sua auto, la mette dentro e richiude.
— Grazie per l’aiuto — dico.
— Nessun problema — risponde lui. — Sono contento di averti potuto aiutare. E grazie per avermi riportato la ruota così presto.
— Oh, prego — dico. Non mi sembra giusto dire solo "prego" quando lui è stato tanto cortese con me, ma non so cos’altro dire.
Lui rimane a guardarmi per un po’ senza parlare, poi conclude: — Be’, ci vediamo — e se ne va. Naturale che ci vedremo, visto che abitiamo nella stessa casa. Ma forse quelle parole volevano dire che lui non desiderava rientrare nel palazzo insieme a me. Allora perché non l’ha detto chiaro e tondo, se era questo che voleva dire? Ritorno alla mia macchina e aspetto finché non sento il portone del palazzo aprirsi e chiudersi.
Se accettassi il trattamento, capirei tutte queste cose? Era forse a causa della donna nel suo appartamento? Se Marjory venisse a farmi visita, forse non vorrei che Danny tornasse a casa insieme a me? Non lo so. Certe volte il motivo per cui le persone normali fanno le cose mi sembra ovvio, ma altre volte non riesco proprio a capirlo.
Finalmente rientro anch’io in casa. Metto una musica calmante: i preludi di Chopin. Verso due tazze d’acqua in un pentolino e apro un pacchetto di pasta e verdura. Appena l’acqua bolle vi getto il contenuto del pacchetto e mescolo come dicono le istruzioni. Mi piace vedere le verdure agitarsi nell’acqua che bolle.
Talvolta però mi stancano queste verdure che si agitano stupidamente.