JON

Il terreno era coperto di aghi di pino e foglie trascinate dal vento, uno strato verde e marrone, ancora umido per le piogge recenti. Enormi querce spoglie, alti alberi-sentinella, schiere di pini-soldato torreggiavano tutto attorno a loro. Su un’alta collina c’era un altro torrione, antico e vuoto, con i fianchi coperti fino quasi alla sommità da uno spesso muschio verde.

«Chi l’ha costruita quella, tutta di pietra in quel modo lì?» gli chiese Ygritte. «Un re?»

Jon Snow scosse il capo. «No. Sono stati gli uomini che un tempo vivevano qui.»

«Cosa gli è successo?»

«Sono morti. Oppure se ne sono andati.»

Il Dono di Brandon era stato una zona agricola per migliaia di anni. Ma con l’assottigliarsi della confraternita in nero, sempre meno gente era andata a lavorare nei campi, a occuparsi delle api, a piantare gli alberi da frutta. A palmo a palmo, le terre selvagge erano tornate a riprendersi molti campi, molte strutture. Nel Nuovo Dono c’erano stati villaggi e fortini le cui gabelle, pagate in merci e lavoro, avevano aiutato a nutrire e a vestire i confratelli in nero. Ma adesso anch’essi erano svaniti quasi tutti.

«Sono stati stolti a lasciare un castello come questo» commentò Ygritte.

«È soltanto un torrione. Ci viveva un nobile di rango minore, assieme alla sua famiglia e a pochi uomini che gli avevano giurato fedeltà. Quando arrivavano i predoni, lui accendeva un fuoco sul tetto. I torrioni di Grande Inverno sono grossi il triplo di questo.»

Ygritte lo guardò come se pensasse che lui stava vaneggiando. «Come fanno gli uomini a costruire cose tanto alte, se non ci sono i giganti a sollevare le pietre?»

Secondo la leggenda, Brandon il Costruttore aveva davvero usato i giganti per aiutarlo a erigere Grande Inverno, Jon però non voleva mescolare troppi argomenti. «Gli uomini sono in grado di innalzare costruzioni molto più alte di queste. A Vecchia Città c’è una torre addirittura più alta della Barriera.» Intuì che Ygritte non gli credeva. “Se solo potessi portarla a Grande Inverno… donarle un fiore colto nei giardini vetrati, farla banchettare nella sala grande, mostrarle i re di pietra sui loro troni. Potremmo fare il bagno nelle sorgenti calde, e fare l’amore sotto il grande albero-cuore, con gli antichi dèi a proteggerci.”

Era un sogno splendido… solo che Grande Inverno non sarebbe mai stata sua. E lui non l’avrebbe mai mostrata a nessuno. Apparteneva a suo fratello Robb, il re del Nord. Lui era uno Snow, non uno Stark. “Bastardo, spergiuro, voltagabbana…”

«Magari dopo possiamo tornare qua, e vivere in quella torre» disse Ygritte. «Vuoi, Jon Snow? Dopo?»

Dopo. Una parola che gli pareva una punta di lancia conficcata nel petto. “Dopo la guerra. Dopo la conquista. Dopo che i bruti saranno dilagati oltre la Barriera… ”

Una volta, il lord suo padre aveva parlato di fare nuovi lord e di sistemarli nei fortini abbandonati, come difesa contro i bruti. La strategia avrebbe richiesto che i Guardiani della notte restituissero larga parte del Dono di Brandon, ma suo zio Benjen riteneva che il lord comandante Mormont potesse essere convinto in tal senso, bastava che i nuovi nobili pagassero i loro tributi al Castello Nero invece che a Grande Inverno. “Comunque, è un sogno per la primavera” aveva detto lord Eddard. “Quando l’inverno sta arrivando, neppure la promessa di terre convincerà gli uomini a venire al Nord.”

“Se l’inverno fosse arrivato e poi finito più in fretta, e se la primavera lo avesse seguito, anch’io avrei potuto essere scelto per dominare uno di questi torrioni nel nome di mio padre.” Ma lord Eddard Stark era morto, e suo fratello Benjen Stark era disperso. E la difesa che, insieme, avevano sognato non sarebbe mai stata forgiata.

«Questa terra» disse Jon «appartiene ai Guardiani della notte.»

Le narici di Ygritte si dilatarono. «Qui non ci vive nessuno.»

«Sono stati i vostri predoni a cacciarli.»

«Allora erano dei codardi. Se volevano la terra, dovevano rimanere a combattere.»

«Forse erano stanchi di combattere. Stanchi di sbarrare le loro porte ogni notte, di chiedersi se Rattleshirt o qualcun altro come lui sarebbe arrivato a sfondarle per portarsi via le loro mogli. Stanchi di avere i loro raccolti razziati, e rubato quel poco che possedevano. È più semplice andarsene dove non ci sono predoni.» “Ma se la Barriera dovesse cedere, tutto il Nord sarà esposto agli assalti dei predoni.”

«Tu non sai niente, Jon Snow. Sono le figlie che prendiamo, non le mogli. Siete voi quelli che rubano. Vi siete presi tutto il mondo, e avete costruito la Barriera per tenere fuori il popolo libero.»

«Abbiamo fatto questo?» A volte Jon dimenticava che Ygritte apparteneva ai bruti, cosa che lei non mancava di ricordargli. «E com’è successo?»

«Gli dèi hanno fatto la terra perché tutti gli uomini la condividono. È stato solo quando sono venuti i re con le corone e le spade d’acciaio e hanno detto che era tutto loro. “Miei sono gli alberi” hanno detto “e tu non puoi mangiare le mie mele. Mio è il fiume, e tu non puoi pescare. Mio è il bosco, e tu non puoi cacciare. Mia la terra, mia l’acqua, mio il castello, mia la figlia, tieni giù le mani o te le taglio, però, se pieghi le ginocchia, magari te la faccio odorare.” Voi ci chiamate ladri, ma almeno un ladro dev’essere coraggioso, furbo e svelto. Uno che s’inginocchia, s’inginocchia e basta.»

«Harma Testa di cane e Sacco d’ossa non vengono a rubare il pesce o le mele. Vengono a rubare spade e asce. Spezie, sete e pellicce. Prendono ogni moneta, ogni anello, ogni coppa ingioiellata che riescono a trovare, otri di vino in estate e scorte di manzo in inverno. E in tutte le stagioni prendono le donne, per portarle a nord della Barriera.»

«E allora, se anche lo fanno? Io preferisco essere rubata da un uomo forte piuttosto che essere data da mio padre a un tipo molle.»

«Dici così, certo, ma che cosa ne sai? Come ti sentiresti se a rubarti fosse qualcuno che odi?»

«Sì, uno deve essere svelto, furbo e coraggioso per rubare me. Così anche i suoi figli potranno essere forti e abili. Perché dovrei odiare un uomo del genere?»

«Perché, per esempio, potrebbe non lavarsi mai, e puzzare come un orso.»

«Allora lo sbatto dentro un torrente o gli butto addosso una secchiata d’acqua. E comunque, gli uomini non è che devono profumare come fiori.»

«Che cos’è che non va nei fiori?»

«Niente, se sei un’ape. Per il letto, io voglio uno di questi.» Ygritte tentò di afferrargli quello che lui aveva in mezzo alle gambe.

Jon le prese il polso. «E se l’uomo che ti ruba bevesse troppo?» insistette. «Se fosse brutale e violento?» Serrò ancora di più la stretta, a sottolineare le sue parole. «Se fosse più forte te, e gli piacesse picchiarti a sangue?»

«Gli taglio la gola mentre dorme.» Ygritte si contorse come un’anguilla, divincolandosi dalla sua presa. «Tu non sai niente, Jon Snow.»

“Una cosa la so. So che sei selvaggia fino al midollo.” Certe volte, era facile dimenticarlo, quando ridevano assieme o si baciavano. Ma poi uno dei due diceva qualcosa, o faceva qualcosa, e a quel punto, all’improvviso, Jon veniva richiamato all’ordine dalla muraglia che divideva i loro mondi.

«Un uomo può possedere una donna o può possedere un coltello» riprese Ygritte «ma nessun uomo può possedere tutte e due. Perfino la bimba piccola lo impara da sua madre.» Sollevò il mento con aria di sfida, scuotendo i folti capelli rossi. «E gli uomini non possono essere padroni della terra più di quanto possono essere padroni del mare o del cielo. Voi sottomessi del Sud pensate di sì, ma Mance ve lo farà vedere che non è così.»

Era un’affermazione spavalda, ma suonava vuota. Jon gettò un’occhiata alle proprie spalle, per controllare che il maknar fosse fuori portata di voce. Errok, Grossa Vescica e Canapa Dan camminavano pochi passi più indietro, e non prestavano loro la minima attenzione. Grossa Vescica si stava lamentando che gli faceva male il culo.

«Ygritte» disse Jon a bassa voce «Mance non può vincerla, questa guerra.»

«Sì che può!» insistette lei. «Tu non sai niente, Jon Snow. Non hai visto come combatte il popolo libero!»

I bruti combattevano come erono come demoni, dipendeva dalla persona con cui si stava parlando, ma il risultato finale era lo stesso. “Combattono con coraggio temerario, ogni uomo in cerca di gloria.” «Non dubito che siate tutti molto valorosi, ma quando si arriva alla battaglia la disciplina batte sempre il valore. Alla fine, anche Mance fallirà, come tutti gli altri re oltre la Barriera prima di lui. E quando questo accadrà, tu morirai, Ygritte. Tutti voi morirete.»

Ygritte s’inferocì al punto che Jon pensò che stesse per colpirlo. «Tutti noi?» sibilò. «Anche tu, allora. Tu non sei più un corvo nero adesso, Jon Snow. Ho giurato che non lo sei, per cui è meglio che non lo sei davvero.»

Lo spinse contro il tronco di un albero e lo baciò, a bocca aperta, nel bel mezzo di quella strapelata colonna. Jon udì Grigg il Caprone che le diceva di continuare a marciare. Qualcuno rise. A dispetto di tutto e di tutti, lui rispose al bacio. Quando alla fine si staccarono, Ygfitte aveva il respiro affannato.

«Tu sei mio» ansimò. «Mio, come io sono tua. Se moriamo, moriamo. Tutti gli uomini devono morire, Jon Snow. Ma prima, dobbiamo vivere.»

«Sì.» La voce di Jon era roca. «Prima dobbiamo vivere.»

Ygritte sogghignò a quelle parole, mostrando a Jon i suoi denti storti che in qualche modo lui aveva imparato ad amare. “Selvaggia fino al midollo” pensò di nuovo, sentendo alla bocca dello stomaco un vuoto scavato dalla tristezza. Contrasse le dita della mano ustionata, la mano della spada, chiedendosi che cosa avrebbe pensato Ygritte se avesse saputo quali erano le sue vere intenzioni. Lo avrebbe tradito se l’avesse presa da parte, rivelandole di essere ancora il figlio di Ned Stark e un Guardiano della notte? Jon sperava di no, ma non osava correre quel rischio. Troppe vite erano in gioco: doveva raggiungere il Castello Nero prima del maknar dei Thenn… questo nell’ipotesi che avesse avuto la possibilità di sfuggire ai bruti.

Erano discesi sul versante sud della Barriera a Guardia Grigia, un fortilizio abbandonato ormai da duecento anni. Un secolo prima, una parte dei colossali gradini di pietra era crollata. Ma anche così, la discesa era stata molto più agevole della salita. Da là, il maknar li aveva spinti ad addentrarsi in profondità nel Dono di Brandon, in modo da evitare le pattuglie della confraternita in nero. Grigg il Caprone li aveva guidati oltre i pochi villaggi disabitati che ancora rimanevano in quelle terre. A parte i radi torrioni che sembravano perforare il cielo come dita di pietra, non avevano incontrato alcuna traccia umana. Senza essere avvistati, senza essere osservati, continuavano a marciare oltre colline gelide, fradicie di pioggia, attraverso pianure battute dal vento.

“Non dovrai esitare, qualsiasi cosa ti chiedano” gli aveva detto Qhorin il Monco. “Cavalca con loro, mangia con loro, combatti con loro, per tutto il tempo necessario.” E con loro Jon aveva cavalcato per molte leghe, marciato per molte altre. Con loro aveva condiviso il pane e il sale. Aveva condiviso anche le coperte di Ygritte, eppure i bruti ancora non si fidavano di lui. I Thenn lo sorvegliavano giorno e notte, attenti al minimo segno di tradimento. Non poteva andarsene, e tra non molto sarebbe stato troppo tardi.

“Combatti con loro” aveva detto Qhorin prima di cedere la propria vita alla lama di Lungo artiglio… ma Jon non era arrivato a quello, non ancora. “Nel momento in cui dovessi versare il sangue di un confratello in nero, sarei perduto. Avrei veramente attraversato la Barriera per sempre, e senza ritorno.”

Alla fine di ogni giorno di marcia, il maknar lo convocava per porgli astute, taglienti domande riguardo al Castello Nero, le guarnigioni, le difese. Jon mentiva quando possibile, in altri casi faceva finta di non sapere. Ma ad ascoltare c’erano anche Grigg il Caprone ed Errok, e loro ne sapevano abbastanza da rendere Jon ancora più cauto. Una menzogna troppo evidente lo avrebbe tradito.

Ma la verità era spaventosa. Tranne che per la Barriera stessa, il Castello Nero era privo di difese. Non c’erano neppure palificazioni di rostri di legno e terrapieni. Come “castello” non era nulla di più di un grappolo di torri e di fortini, due terzi dei quali ridotti in rovina. E per quanto riguardava la guarnigione, nella sua spedizione a nord della muraglia di ghiaccio il Vecchio orso aveva portato con sé duecento uomini. Qualcuno di loro era tornato? Jon non aveva modo di saperlo. Al castello restavano, forse, quattrocento confratelli, ma per la maggior parte erano costruttori e attendenti, non ranger.

I Thenn erano guerrieri duri, e anche più disciplinati degli altri bruti; era senza dubbio per questo che Mance Rayder li aveva scelti per quell’incursione. I difensori del Castello Nero comprendevano il maestro cieco Aemon e il suo attendente Clydas, mezzo cieco anche lui; Donal Noye, l’armaiolo con un braccio solo; septon Cellador, quasi sempre ubriaco; Dick Follard il Sordo; Hobb Tre Dita, il cuoco; l’anziano ser Wynton Stout, e poi Halder e Pyp e Toad e Albert e gli altri ragazzi con i quali Jon si era addestrato. A comandarli sarebbe stato il lord attendente Bowen Marsh, grasso e dalla faccia rubizza, nominato castellano in assenza del lord comandante Mormont. Edd l’Addolorato a volte chiamava Marsh “Vecchio melograno”, soprannome azzeccato quanto lo era Vecchio orso riferito a Mormont. «È proprio l’uomo che vuoi in prima linea quando i nemici attaccano» commentava Edd con il suo inevitabile tono tetro. «Lui sì che te li conta per bene. Un vero diavolo con i numeri, il Vecchio melograno.»

“Se il maknar riuscisse a sferrare un attacco di sorpresa contro il Castello Nero, sarebbe un bagno di sangue. Ragazzi macellati nei loro letti ancora prima che si rendano conto di essere assaliti.” Jon doveva avvertirli, ma come? Non veniva mai mandato a caccia o alla ricerca di cibo da solo, non gli veniva mai permesso di montare la guardia da solo. Inoltre, temeva anche per la sorte di Ygritte. Non poteva portarla con sé, ma nel momento in cui lui l’avesse lasciata indietro, il maknar avrebbe fatto scontare a lei il tradimento del corvo voltagabbana? “Due cuori che battono come uno solo…”

Passavano le notti avvolti nelle stesse pelli. Jon scivolava nel sonno con la testa di lei sul petto, i capelli rossi che gli solleticavano il mento. L’odore di Ygritte era diventato parte di lui. I suoi denti storti, il contatto del suo seno quando lui lo accarezzava, il sapore della sua bocca… tutto questo era la gioia e la disperazione di Jon Snow. Per molte e molte notti era rimasto a giacere con il corpo di Ygritte tra le braccia, a chiedersi se anche il lord suo padre era stato confuso quanto lo era lui in quel momento riguardo a sua madre, chiunque lei fosse. “Ygritte ha teso la trappola, e Mance Rayder mi ci ha spinto dritto dentro.”

Ogni giorno che Jon passava con i bruti rendeva il suo compito sempre più difficile. Presto avrebbe dovuto trovare un modo per tradire quella gente e, quando questo fosse accaduto, loro sarebbero morti. Non voleva la loro amicizia, non più di quanto volesse l’amore di Ygritte. Eppure… i Thenn parlavano l’antico linguaggio e si rivolgevano a Jon solo di rado, ma con i guerrieri di Jarl, quegli uomini coraggiosi che avevano dato la scalata alla Barriera, era mortalmente diverso. A dispetto di tutto, Jon stava cominciando a conoscerli: Errok, silenzioso e con il volto scavato, Grigg il Caprone, solido gregario, Quort e Bodger, due ragazzini, Canapa Dan, fabbricante di funi. Il peggiore di tutti era Del, un adolescente dalla faccia cavallina all’incirca della stessa età di Jon, che parlava con aria sognante della ragazza dei bruti che voleva rubare per sé. «È una fortunata, come la tua Ygritte. È anche lei baciata dal fuoco.»

Jon era costretto a mordersi la lingua. Non voleva sapere della ragazza di Del o della madre di Bodger, né del posto vicino al mare da cui veniva Helm, né di quando Grigg aveva visitato gli uomini verdi sull’isola dei Volti, né della volta in cui un alce aveva costretto Alluce ad arrampicarsi su un albero. Non voleva sentire della vescica sul culo di Grossa Vescica, né di quanta birra era in grado di bere Pollici di Pietra, né di come il fratellino di Quort lo aveva implorato di non andare con Jarl. Quort non poteva avere più di quattordici anni, anche se si era già procurato una moglie e aveva un bambino in viaggio. «Magari finisce che viene al mondo in un castello» si vantava il ragazzo. «In un castello come un lord!» Era molto impressionato dai “castelli” che avevano visto, anche se in realtà erano solo torri di guardia.

Jon si domandava anche dove fosse Spettro. Era riuscito a fare ritorno al Castello Nero, oppure correva nelle foreste, assieme a un branco di lupi? Non riusciva ad avere alcuna percezione del meta-lupo albino, nemmeno in sogno. Gli sembrava che una parte di sé fosse stata amputata. Perfino con Ygritte che dormiva accanto a lui si sentiva solo. E non voleva morire da solo.

Quel pomeriggio, mentre continuavano a marciare verso est, tagliando per una pianura disseminata di basse colline, gli alberi cominciarono a diradarsi. Attorno a loro, l’erba gli arrivava alla cintola, e gli steli di avena selvatica ondeggiavano frusciando a ogni soffio di vento. La giornata però rimase quasi sempre calda e luminosa. Tuttavia, all’approssimarsi del tramonto, nubi minacciose si ammassarono a occidente; ben presto, inghiottirono il disco arancione del sole, e Lenn dichiarò che una tempesta si stava avvicinando. Sua madre era una strega dei boschi, quindi tutti i predoni concordavano sul fatto che Lenn avesse il dono di prevedere il tempo. «Qui vicino c’è un villaggio» disse Grigg il Caprone al maknar. «Due miglia, forse tre. Possiamo trovare rifugio là.» Styr non se lo fece ripetere.


Le tenebre erano calate e la tempesta infuriava quando arrivarono a destinazione. Il villaggio, situato sulla riva di un lago, era abbandonato da così tanto tempo che la maggior parte delle case era crollata. Perfino la piccola locanda di tronchi, che in passato doveva essere stata una piacevole visione per i viandanti, era crollata e priva del tetto. “Qui troveremo ben misero rifugio” pensò cupamente Jon. Nel livido lampeggiare delle folgori, poté vedere i contorni di una torre di guardia cilindrica costruita su una piccola isola nel lago, ma non c’era modo di raggiungerla senza una barca.

Errok e Del si spinsero in avanscoperta tra le rovine, Del però tornò quasi subito. Styr fece fermare la colonna e mandò avanti una dozzina dei suoi Thenn, con le lance in resta. A quel punto, anche Jon aveva visto: il bagliore del fuoco arrossava il camino tra le macerie della locanda. “Non siamo soli.” Il terrore strisciò dentro di lui come un serpente. Udì il nitrito di un cavallo, e poi le grida. “Cavalca con loro, mangia con loro, combatti con loro…” aveva detto Qhorin.

Ma il combattimento si era già concluso. «È solo un uomo» riferì Errok tornando da Styr. «Un vecchio a cavallo.»

Il maknar gridò ordini nell’antico linguaggio. Una falange di Thenn si sparpagliò a formare un perimetro difensivo attorno al villaggio. Altri Thenn andarono a rastrellare le rovine in modo da essere sicuri che nessun altro si nascondesse tra le erbacce e le pietre crollate. Gli altri guerrieri si concentrarono nella locanda senza tetto, sgomitando per essere più vicini al fuoco che ardeva nel caminetto. I rami bagnati che il vecchio stava bruciando causavano più fumo che fuoco, ma qualsiasi quantità di calore era la benvenuta in una notte di pioggia come quella. Due Thenn avevano gettato a terra il vecchio e frugavano tra le sue cose, uno tratteneva il cavallo, mentre altri tre razziavano il contenuto delle bisacce da sella.

Jon preferì andarsene. Schiacciò sotto il tacco una mela marcia, che emise un suono viscido. “Styr lo ucciderà.” Tanto il maknar di Thenn aveva dichiarato a Guardia Grigia: qualunque sottomesso avessero incontrato, sarebbe stato immediatamente messo a morte, per evitare che fosse dato l’allarme. “Cavalca con loro, mangia con loro, combatti con loro.” Significava che lui doveva farsi da parte, muto e indifferente, mentre i bruti sgozzavano un vecchio?

Ai margini del villaggio, Jon incontrò una delle guardie di Styr. Il Thenn grugnì qualcosa nell’antico linguaggio e indicò verso la locanda con la punta della picca. “Torna da dove sei venuto” intuì Jon. “Certo… ma da dove sono venuto?”

Si diresse verso la sponda del lago, riuscendo a scoprire un punto abbastanza asciutto sotto un’arcata in un muro di pietre a secco di una struttura quasi completamente crollata. Fu là che Ygritte lo trovò, seduto a scrutare il lago flagellato dalla pioggia. «Io conosco questo posto» disse mentre la ragazza si sistemava accanto a lui. «Quella torre… guarda la cima la prossima volta che arriva un lampo, e dimmi che cosa vedi.»

«Aye, se vuoi» rispose lei. Poi aggiunse: «Certi Thenn dicono che hanno sentito dei rumori qua fuori. Grida, dicono».

«Tuoni.»

«No, grida hanno detto. Forse ci sono gli spettri.»

Ergendosi nero dall’isola rocciosa, con la pioggia che martellava il lago tutto attorno, quel fortino aveva in effetti un aspetto tetro, spettrale.

«Porremmo andare a dare un’occhiata» suggerì Jon. «Sarebbe difficile ritrovarsi più inzuppati di quanto già siamo.»

«A nuoto? Con la tempesta?» Ygritte rise all’idea. «Cos’è questo, Jon Snow, un trucco per farmi togliere i vestiti?»

«Vuoi dire che mi servono trucchi, adesso?» scherzò lui. «Non sarà perché non sai fare nemmeno una bracciata?» Jon era un abile nuotatore, arte che aveva imparato fin da bambino nel fossato di Grande Inverno.

Ygritte gli diede un pugno sul braccio. «Tu non sai niente, Jon Snow. Io sono un mezzo pesce, e te lo faccio vedere.»

«Mezzo pesce, mezzo caprone, mezzo cavallo… ci sono troppi mezzi in te, Ygritte.» Jon scosse la testa. «Non ci sarà bisogno di nuotare. Se questo è il posto che credo, possiamo andare a piedi.»

Lei si ritrasse, lanciandogli un’occhiata. «A piedi sull’acqua? Che razza di stregoneria del Sud è mai questa?»

«Nessuna streg…» Jon venne interrotto da una folgore enorme che dal cielo nero calò a pugnalare la superficie del lago. Per un battito di ciglia, il mondo fu illuminato come a mezzogiorno. Il rombo del tuono che seguì fu talmente assordante che Ygritte gemette, coprendosi le orecchie.

«Hai guardato?» chiese Jon, mentre il boato si affievoliva e le tenebre tornavano a invadere la notte. «Hai visto?»

«Giallo» rispose lei. «È questo che intendi? Alcune pietre in piedi là sulla cima sono gialle.»

«Si chiamano merli. Sono state dipinte di vernice dorata molto tempo fa. Questo posto è chiamato Corona della Regina.»

Oltre il lago, la città era di nuovo nera, una forma incerta, che si distingueva vagamente.

«Ci viveva una regina?» domandò Ygritte.

«Una regina si fermò qui per una notte.» La storia gli era stata narrata dalla vecchia Nan, e maestro Luwin l’aveva confermata quasi tutta. «Alysanne, moglie del re Jaehaerys Targaryen, il Conciliatore. È chiamato il Vecchio re perché regnò molto a lungo, ma era giovane quando salì sul Trono di Spade. In quei giorni, il suo desiderio era viaggiare per tutto il reame. Quando arrivò a Grande Inverno, aveva con sé la sua regina, sei draghi e metà della sua corte. Il re doveva discutere di alcune cose con il protettore del Nord, e Alysanne cominciò ad annoiarsi, così salì in groppa al suo drago, Ali d’argento, e volò a nord a vedere la Barriera. Questo villaggio fu uno dei luoghi in cui si fermò. In seguito, gli abitanti dipinsero la cima del loro fortino in modo che sembrasse la corona d’oro che Alysanne aveva indossato quando passò la notte tra loro.»

«Io non l’ho mai visto, un drago.»

«Nessuno l’ha mai visto. Gli ultimi draghi morirono più di cento anni fa. Ma questo accadde prima di allora.»

«La regina Alysanne, dici?»

«Alysanne la Buona, come la chiamarono in seguito. Anche uno dei castelli sulla sommità della Barriera ha il suo nome. Porta della regina. Prima della sua visita, era chiamato Porta della neve.»

«Se era davvero tanto buona, doveva abbatterla, la Barriera.»

“No.” Il pensiero folgorò Jon. “La Barriera protegge il reame degli uomini. Dagli Estranei… e anche da quelli come te, tesoro.” «Avevo un amico che sognava i draghi. Un nano. Mi disse…»

«JON SNOW!» Uno dei Thenn incombeva su di loro, con la fronte aggrottata. «Maknar vuole.»

Jon pensò che forse si trattava dello stesso uomo che aveva trovato all’esterno della caverna la notte prima di affrontare la scalata della Barriera, ma non poteva esserne certo. Si alzò in piedi. Ygritte andò con lui, cosa che faceva sempre inarcare il sopracciglio al maknar. Ogni volta che lui cercava di allontanarla, Ygritte gli ricordava di essere una donna libera, non una sottomessa come le femmine del Sud. Ygritte andava e veniva come e quando le pareva.

Trovarono il maknar in piedi sotto l’albero cresciuto attraverso il pavimento della sala comune della locanda in rovina. Il prigioniero era in ginocchio vicino al focolare, circondato da picche di legno e spade di bronzo. Osservò Jon avvicinarsi, ma non parlò. La pioggia ruscellava sui muri sbrecciati, picchiando sulle poche foglie che ancora si ostinavano a restare attaccate all’albero. Dal fuoco si alzava un fumo denso, acre.

«Deve morire» decretò Styr, maknar dei Thenn. «Uccidilo, corvo.»

Il vecchio continuò a rimanere in silenzio. Si limitò a guardare Jon, in piedi in mezzo ai bruti. Tra la pioggia e il fumo, al bagliore delle fiamme, non poteva aver visto che Jon era tutto vestito di nero, eccetto per il mantello di pelle di pecora. “O forse invece mi ha visto?”

Dal fodero di traverso alla schiena, Jon estrasse Lungo artiglio. La pioggia corse sull’acciaio, la luce del fuoco tracciò una linea arancione vivido lungo il filo della lama. “Un fuoco così piccolo basta per porre fine alla vita di un uomo.” Gli tornò in mente quello che Qhorin il Monco aveva detto ai confratelli della pattuglia quando avevano avvistato il fuoco al passo Skirling. “Il fuoco è vita quassù, ma può anche trasformarsi in morte.” Solo che quelle parole erano state pronunciate tra gli alti Artigli del Gelo, nelle desolazioni senza legge a nord della Barriera. Questo era il Dono di Brandon, terra creata dal primo degli Stark, protetta dai Guardiani della notte e dal potere di Grande Inverno. Terra in cui un uomo doveva avere il diritto e la libertà di accendersi un fuoco, senza morire per questo.

«Perché esiti?» chiese Styr. «Uccidilo e falla finita.»

Nemmeno in quel momento il prigioniero proferì parola. “Pietà” avrebbe potuto invocare. Oppure: “Vi siete già presi il mio cavallo, il mio conio e il mio cibo, lasciatemi almeno la vita”. O anche: “No, vi prego, non vi ho fatto alcun male”. Mille e mille cose avrebbe potuto dire, o forse avrebbe potuto piangere, chiedendo aiuto ai suoi dèi. Invece da lui continuava a non uscire niente. Forse sapeva che non c’era niente da dire. Continuò a fissare Jon, uno sguardo di accusa e di richiesta di aiuto.

“Non dovrai esitare, qualsiasi cosa ti chiedano. Cavalca con loro, mangia con loro, combatti con loro…” Ma quel vecchio non opponeva alcuna resistenza. Si era semplicemente trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Chiunque fosse, da qualsiasi parte venisse, dovunque volesse andare su quel suo triste cavallo dalla schiena incurvata… nulla di tutto questo aveva importanza.

“È un vecchio” si ripeté Jon. “Cinquant’anni, forse sessanta. Ha vissuto più a lungo di molta gente. I Thenn lo uccideranno comunque, nulla che io possa fare o dire potrà salvarlo.” Nella sua mano, Lungo artiglio sembrava troppo pesante perché lui riuscisse a sollevarla. Il vecchio continuava a guardarlo, con i suoi occhi grandi e scuri, profondi come pozzi. “Cadrò dentro quegli occhi, e in essi annegherò.” Anche il maknar lo stava guardando, Jon poteva quasi sentire in bocca il sapore della sua diffidenza. “Quest’uomo è già morto. Che differenza fa se è la mia mano ad abbatterlo?” Un solo fendente sarebbe bastato, un colpo rapido, pulito. Lungo artiglio era forgiata in acciaio di Valyria. “Come Ghiaccio.” Jon ricordò un’altra esecuzione, moltissimo tempo prima: il disertore in ginocchio, la sua testa che rotola, il rosso del sangue sul bianco della neve… Ghiaccio, la grande spada degli Stark… la spada di suo padre, le parole di suo padre, il volto di suo padre…

«Fallo, Jon Snow» lo incitò Ygritte. «Devi farlo. Così dimostri che non sei un corvo nero, che sei uno del popolo libero.»

«Un vecchio seduto accanto a un fuoco?»

«Anche Orell stava seduto vicino al fuoco. Lui però lo hai ucciso subito.» Lo sguardo che Ygritte gli lanciò era pieno di durezza. «Eri pronto a uccidere anche me, prima di vedere che ero una donna. E io dormivo.»

«Era diverso. Eravate soldati… sentinelle.»

«Aye, e voi corvi non volevate che vi vedevamo. Quello che noi vogliamo adesso. È proprio uguale. Uccidilo.»

Jon voltò le spalle al vecchio. «No.»

Il maknar si avvicinò, una presenza fredda, alta, pericolosa. «Io dico sì. E qui io comando.»

«Tu comandi i Thenn» ribatté Jon. «Non il popolo libero.»

«Io non vedo nessun popolo libero. Vedo solo un corvo nero e la donna del corvo nero.»

«Io non sono la donna di nessun corvo nero!» Ygritte estrasse il pugnale dal fodero. Fece tre rapidi passi, afferrò il vecchio per i capelli, esponendo la sua gola. Dopo di che, gliela aprì da un orecchio all’altro. Neppure nella morte l’uomo si lasciò sfuggire un suono. «Tu non sai niente, Jon Snow!» gli urlò Ygritte in faccia, gettando ai suoi piedi il pugnale arrossato.

Il maknar disse qualcosa nell’antico linguaggio. Jon si chiese se avesse detto ai Thenn di ucciderlo lì dove si trovava, ma non ebbe mai quella risposta. Un’ennesima folgore calò dal cielo nero, e si abbatté sulla cima della torre nel lago. Tutti ne sentirono il furore, e quando il tuono arrivò, parve mandare in pezzi la notte stessa.

E poi, a calare tra loro fu la morte.

Il bagliore del lampo aveva reso Jon momentaneamente cieco. Ebbe solo la visione frantumata di una forma grigia in pieno balzo. Poi udì l’urlo. Il primo Thenn morì come il vecchio: la gola squarciata che esplodeva in una fontana di sangue. La luce della folgore svanì ma la forma grigia continuò a vorticare, ringhiando. Un altro Thenn piombò nelle tenebre. Ci furono imprecazioni, urla, grida di dolore. Jon vide Grossa Vescica barcollare all’indietro, trascinando altri tre uomini nella caduta. “Spettro!” pensò per un folle istante. “Spettro ha superato la Barriera!” Un’ennesima folgore tramutò la notte in giorno, e lui poté finalmente vedere il lupo che torreggiava sul torace dilaniato di Del, zanne snudate da cui ruscellavano cascate rosse che apparivano nere nella luce glaciale. “È grigio! Questo meta-lupo è grigio!”

Le tenebre tornarono assieme al rombo dei tuoni. I Thenn cercavano di difendersi con le lance, mentre il meta-lupo schizzava tra loro. Il destriero del vecchio arretrò, reso pazzo dall’odore del sangue, scalciando freneticamente. Jon Snow continuava a stringere in pugno Lungo artiglio. E di colpo, ebbe la sua risposta: non avrebbe più avuto un’altra possibilità come questa. Mai più!

Tagliò in due il primo Thenn mentre si girava verso il lupo, abbatté il secondo con uno spintone, decapitò il terzo. Nel caos della strage, udì qualcuno urlare il suo nome. Forse Ygritte, forse il maknar. Impossibile dirlo. Il Thenn che lottava per tenere sotto controllo il cavallo non lo vide nemmeno avventarsi. Di colpo, Lungo artiglio era diventata leggera come una piuma. Mulinò la spada contro il polpaccio dell’avversario, sentì l’acciaio aprirsi la strada fino all’osso. Il bruto crollò e il destriero si diede alla fuga. In qualche modo, chissà come, Jon riuscì ad afferrarlo per la criniera con la mano sinistra. Volò letteralmente sulla groppa. Una mano si serrò attorno alla sua caviglia, Jon calò la lama di Lungo artiglio quasi alla cieca. Vide la faccia, il cranio di Bodger dissolversi in uno scintillante anemone purpureo. E cavallo si impennò di nuovo, scalciando. Uno zoccolo centrò uno dei Thenn alla tempia. Crack!

Dopo di che partirono al galoppo. Jon non tentò nemmeno di guidare il destriero. Era troppo impegnato a restarci sopra attraverso il fango e i tuoni e la pioggia. L’alta erba bagnata gli frustò la faccia. Una lancia sibilò a un palmo dal suo orecchio. “Se il cavallo inciampa e si spezza una zampa, mi crollerà addosso e mi ucciderà.” Ma gli antichi dèi erano dalla sua parte e il cavallo non inciampò. Altri lampi dilaniarono la nera volta del cielo, altri tuoni rotolarono sulla pianura vuota chiamata Dono di Brandon Stark.

Dietro Jon Snow, le grida, le urla si affievolirono. Alla fine, svanirono del tutto.


Molte ore dopo, la pioggia era cessata. Jon Snow era solo in un oceano di erba nera.

Un dolore sordo, pulsante, gli dilaniava la coscia destra. Abbassò lo sguardo. Aveva una freccia conficcata nella parte posteriore. “E questo quando è successo?” Afferrò la freccia e, con cautela, cercò di estrarla. Niente da fare, la punta era penetrata in profondità nella carne. Quando tentò nuovamente, il dolore fu atroce. Cercò di ritornare con la mente alla follia di devastazione nella locanda in rovina. Ma l’unica cosa cui riuscì a pensare fu la belva: quella fiera grigia, scavata, terribile. “Era troppo grosso per essere un lupo normale. Un meta-lupo, questo doveva essere.” Non aveva mai visto un animale muoversi con simile rapidità. “Come un vento grigio…” Vento Grigio? Robb era forse tornato al Nord?

Jon scosse la testa. Là e in quel momento, pensare era troppo arduo… il lupo, quel vecchio, Ygritte, tutto quanto…

Goffamente, si trascinò giù dal cavallo. La gamba ferita cedette, costringendolo a soffocare un grido. “Sarà un vero tormento.” Ma doveva estrarre la freccia, aspettare non sarebbe servito a niente. Jon afferrò l’impennaggio con una mano, inspirò a fondo, spinse la freccia in avanti. Prima grugnì e poi imprecò. Il dolore fu talmente intenso da costringerlo a fermarsi. “Sto sanguinando come un maiale macellato.” Ma non c’era niente da fare finché non avesse estratto la freccia. Digrignò i denti e fece un altro tentativo. … fu costretto a fermarsi di nuovo, tremando. “Ancora una volta.” E non poté fare a meno di urlare. Ma quando ebbe finito, la punta della freccia si era aperta la strada fino alla parte anteriore della coscia. Jon tirò indietro le brache fradicie di sangue in modo da avere una presa più solida. Lentamente, spinse tutto il fusto della freccia attraverso la gamba. Gli parve impossibile esserci riuscito senza perdere i sensi.

Giacque nell’erba nera per molto tempo, con le mani strette attorno al suo rosso trofeo, continuando a perdere sangue, troppo debole per muoversi. Dopo un po’, si rese conto che se non si fosse costretto a muoversi sarebbe morto dissanguato.

Jon si trascinò fino al piccolo corso d’acqua nel quale il cavallo si stava abbeverando. Lavò la ferita nell’acqua gelida, la fasciò stretta con lembi strappati dal mantello. Lavò anche la freccia, rigirandosela tra le dita. L’impennaggio… era grigio o bianco? Ygritte sistemava in coda alle sue frecce piume d’anatra di colore grigio pallido. “Mi ha lanciato una freccia mentre stavo scappando?” Se lo aveva fatto, Jon non poteva biasimarla. Si chiese se avesse mirato al cavallo o a lui. Se il destriero fosse stato colpito, anche per lui sarebbe stata la fine.

«Fortuna che la mia gamba si sia messa di mezzo» grugnì.

Riposò per qualche tempo, lasciando che il cavallo brucasse. L’animale per fortuna non si allontanò troppo. Con una gamba ferita, non sarebbe mai riuscito a riprenderlo. Si rimise faticosamente in piedi e montò in sella. Solo allora si rese conto che non c’era alcuna sella. Non c’era mai stata. “Come ho fatto a saltargli sulla schiena, senza sella, senza staffe, e con la spada in pugno?” Un’altra domanda che non avrebbe mai avuto risposta.

Dei tuoni brontolarono in lontananza, ma sopra di lui le nubi si stavano aprendo. Jon frugò il cielo con lo sguardo fino a trovare il Drago di ghiaccio. Fece voltare il destriero verso nord, verso il Castello Nero. Il dolore pulsante alla coscia lo costrinse a digrignare di nuovo i denti mentre dava di talloni ai fianchi del cavallo appartenuto a quel vecchio sconosciuto. “Sto tornando a casa” disse a se stesso. Ma allora perché sentiva quel grande vuoto dentro?

Cavalcò fino all’alba. Le stelle continuarono a scrutarlo come tanti occhi.

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