La scala che conduceva al castello di prora era ripida e irta di schegge, per cui Sansa Stark accettò la mano di Lothor Brune. “Ser Lothor” dovette ricordare a se stessa: il guerriero era stato fatto cavaliere per il valore di cui aveva dato prova nella battaglia delle Acque Nere. Per quanto, nessun cavaliere degno di questo nome avrebbe indossato quelle brache marrone tutte macchiate e quegli stivali scalcagnati, né quel giubbetto di pelle lacero, umido d’acqua salmastra. Brune, un uomo tozzo, con il naso schiacciato, i capelli grigi arruffati, parlava di rado. “Però è più forte di quanto sembri.” Sansa lo capì dalla facilità con cui la sollevò, come se lei fosse senza peso.
Oltre la prua del Re delle lance si stendeva una spiaggia nuda e pietrosa, un luogo battuto dal vento, senza alberi, ostile. Era comunque una vista piacevole. Molto tempo era stato speso nei tentativi per tornare sulla giusta rotta. L’ultima tempesta li aveva trascinati lontano da terra, mandando ad abbattersi sulla tolda della galea ondate così violente che Sansa era convinta che sarebbero andati a fondo. Due marinai erano stati scaraventati fuoribordo, aveva detto il vecchio Oswell, l’uomo che l’aveva portata a remi sulle Acque Nere, e un terzo era caduto dall’albero maestro, spezzandosi l’osso del collo.
Quanto a lei, ben di rado si era avventurata sul ponte. La sua piccola cabina era fredda e umida, ma Sansa era stata male per quasi tutto il viaggio… per il terrore, la febbre, le onde. Non riusciva a tenere niente nello stomaco, e faceva perfino fatica a dormire. Appena chiudeva gli occhi, rivedeva Joffrey che si afferrava la gola, che con le unghie scavava solchi sanguinolenti nella pelle delicata del collo e moriva con resti di crosta del pasticcio di piccioni sulle labbra e chiazze di vino sul farsetto. Il vento che sibilava tra il sartiame le faceva tornare in mente il lamento orribile, quella specie di risucchio che lui aveva emesso nel disperato e inutile tentativo di respirare. Certe notti, sognava anche Tyrion.
“Lui non c’entra” aveva detto a Ditocorto una volta in cui si era recato nella sua cabina a vedere se lei si sentiva meglio.
“Non ha ucciso Joffrey, è vero, ma le mani del nano sono tutt’altro che pulite. Ha avuto un’altra moglie prima di te, lo sapevi?”
“Me lo ha detto.”
“E ti ha anche detto che, quando si fu stancato di lei, la regalò agli armigeri di suo padre? Avrebbe potuto fare lo stesso anche con te, con il passare del tempo. Non sprecare le lacrime per il Folletto, mia signora.”
Il vento insinuò dita salmastre tra i suoi capelli, facendola rabbrividire. Perfino così vicino alla riva, il rollio le faceva venire un forte senso di nausea. Aveva disperatamente bisogno di fare un bagno e di cambiarsi. “Devo essere bianca come un cadavere e anche puzzare di vomito.”
Lord Petyr spuntò al suo fianco, di buonumore come sempre. «Buongiorno, mia cara. L’aria marina è tonificante, non trovi? A me stuzzica sempre l’appetito.» Per confortarla, le mise un braccio attorno alle spalle. «Sei certa di stare bene? Sei così pallida.»
«È lo stomaco. Mal di mare.»
«Un po’ di vino ti rimetterà in forma. Appena toccheremo terra, te ne porterò una coppa.» Petyr indicò un decrepito torrione, nero contro l’opprimente cielo grigio, con le onde che andavano a infrangersi contro le rocce ai suoi piedi. «Allegro, non trovi? Temo non ci sia un approdo sicuro qui. Andremo a terra in barca.»
«Qui?» Sansa non aveva alcuna intenzione di sbarcare in quel punto. Le Dita erano un luogo atroce, così aveva sentito dire. E c’era qualcosa di tetro e desolato in quel torrione scuro. «Non potrei rimanere a bordo fino a quando la nave salpa per Porto Bianco?»
«Da qui, la Re delle lance farà rotta verso est, per la città libera di Braavos, ma senza di noi.»
«Senza di noi? Ma… mio signore… avevi detto che stavamo tornando a casa.»
«Infatti è così: per quanto miserabile ti possa apparire, questa è la mia antica casa. Non ha nome, temo. La dimora di un grande lord dovrebbe avere un nome, non credi? Grande Inverno, Nido dell’Aquila, Delta delle Acque, quelli sono veri castelli. Adesso sono il lord di Harrenhal, non suona bene? Ma prima che cos’ero? Lord di Merda di Pecora? Signore di Forte Triste? Gli manca quel certo non so che.» Gli occhi grigioverdi di Ditocorto la fissarono con innocenza. «Sei sconvolta, vedo. Pensavi forse che stessimo dirigendoci verso Grande Inverno, cara? Grande Inverno è stata presa, bruciata, saccheggiata. Tutti coloro che amavi sono morti. Gli uomini del Nord che non sono stati sottomessi dagli uomini di ferro ora combattono gli uni contro gli altri. Perfino la Barriera è sotto attacco. Grande Inverno era la casa della tua infanzia, Sansa, ma ormai non sei più una bambina. Sei una donna adulta, e hai bisogno di avere una casa tua.»
«Ma non qui» disse Sansa, disperata. «È un posto così… così…»
«…piccolo, tetro e sinistro? Hai ragione, ed è anche peggio. Le Dita sono un posto magnifico… se sei un pezzo di roccia. Ma non temere, cara: non rimarremo più di quindici giorni. Tua zia è già in viaggio e non tarderà ad arrivare.» Petyr sorrise. «Lady Lysa e io ci sposeremo.»
«Vi sposerete?» Sansa era stupefatta. «Tu e mia zia?»
«Il lord di Harrenhal e la lady di Nido dell’Aquila.»
“Avevi detto che amavi mia madre.” Solo che adesso lady Catelyn era morta, per cui, anche se lei lo aveva amato in segreto, anche se gli aveva dato la sua verginità, ormai questo non aveva più importanza.
«Sei molto silenziosa, mia signora» riprese Ditocorto. «Ero certo che mi avresti dato la tua benedizione. Non capita di frequente che l’erede di un mucchio di pietre e di sterco di pecora sposi la figlia di lord Hoster Tully e vedova di lord Jon Arryn.»
«Io… io prego affinché voi possiate trascorrere lunghi anni assieme, abbiate molti figli e possiate trovare tanta felicità l’uno nell’altra.»
Erano passati anni dall’ultima volta che Sansa aveva visto la sorella di sua madre. “Sarà gentile con me, ne sono certa, in ricordo di mia madre. Lysa è sangue del mio sangue.” E la valle di Arryn era splendida, lo dicevano tutte le canzoni. Forse non sarebbe stato così terribile rimanere là per qualche tempo.
Lothor Brune e il veccho Oswell li portarono a remi fino a riva. Seduta a prua e avvolta nel suo mantello, con il cappuccio sollevato per ripararsi dal vento, Sansa si chiedeva che cosa le riservasse il futuro. Dalla torre, uscirono alcuni servitori. Una donna anziana, alta e magra, un’altra donna grassa di mezza età, due vecchi con i capelli bianchi, una bambina di due o tre anni con una palpebra gonfia per un orzatolo. Quando riconobbero lord Petyr, s’inginocchiarono sulle rocce.
«La mia corte» spiegò lui. «Non so chi sia la bambina. Un altro figlio bastardo di Kella, immagino. Ogni qualche anno ne scodella uno.»
I due vecchi entrarono nell’acqua fino alle cosce per trasportare Sansa a riva, senza che si bagnasse le sottane. Oswell e Lothor invece non esitarono a sguazzare verso la costa. Lo stesso fece anche Ditocorto, che una volta arrivato diede un bacio sulla guancia alla donna anziana e fece un sorriso all’altra. «Chi è il padre della piccola, Kella?»
«Non saprei, mio lord» rispose ridendo la donna grassa. «Non sono una che dice di no.»
«E scommetto che tutti i ragazzotti della zona te ne saranno grati.»
«È bello riaverti a casa, mio lord» disse uno dei due vecchi. Sembrava avesse almeno ottant’anni, eppure indossava una tunica con le borchie e portava una spada lunga al fianco. «Quanto tempo ti tratterrai?»
«Il meno possibile, Bryen, non temere. La casa è abitabile, secondo te?»
«Se sapevamo che venivi, mettevamo le lenzuola pulite» rispose il vecchio. «C’è un fuoco di sterco acceso nel caminetto.»
«Che cosa c’è di meglio dell’odore di un bel fuoco di sterco?» Petyr si rivolse a Sansa. «Grisel era la mia balia, ma adesso si occupa del castello. Umfred è il mio attendente, e Bryen… non ti avevo nominato capitano della guarnigione l’ultima volta che sono stato qui?»
«È così, mio lord. Hai anche detto che procuravi altri uomini, ma non lo hai mai fatto. Io e i cani facciamo tutte le guardie.»
«E le fate anche molto bene, ne sono certo. Vedo con piacere che nessuno si è portato via i miei sassi e i miei escrementi di pecora.» Petyr accennò alla donna grassa. «Kella si occupa delle mie vaste greggi. Quante pecore ho al momento, Kella?»
Lei dovette pensarci un po’ su. «Tre più venti, mio lord. Ce n’erano nove più venti, ma i cani di Bryen ne hanno ammazzata una e noi abbiamo macellate le altre e salato la carne.»
«Ah, montone freddo salato. Mi sento proprio a casa. Ne avrò la conferma definitiva quando avrò mangiato uova di gabbiano e zuppa d’alghe.»
«Come vuoi, mio lord» rispose la vecchia Grisel.
Lord Petyr fece una smorfia. «Forza, vediamo se le mie sale sono deprimenti come le ricordo.»
Precedette il gruppo lungo la spiaggia di sassi, disseminata di alghe in putrefazione. Un gruppo di pecore stazionava alla base del torrione, brucando l’erba esile che cresceva tra l’ovile e la stalla con il tetto di ardesia. Sansa dovette fare attenzione a dove metteva i piedi, perché c’era sterco dappertutto.
La torre all’interno sembrava ancora più piccola. Una scala di pietra si snodava lungo tutta la parete interna, dal sotterraneo fino al tetto. Ogni piano era costituito da un unico locale. I servitori vivevano e dormivano nella cucina a pianterreno, condividendo lo spazio con un enorme mastino pezzato e una dozzina di cani da pastore. Al piano superiore c’era una modesta sala padronale, e sopra ancora la camera da letto. Non c’erano finestre, ma la continuità della parete ricurva delle scale era interrotta a intervalli regolari solo da feritoie per arcieri. Sopra il focolare erano appesi una spada lunga con la lama spezzata e uno scudo di legno di quercia, con la vernice fessurata e screpolata.
L’emblema dipinto sullo scudo era una testa di pietra grigia con occhi fiammeggianti su sfondo verde. Sansa non lo aveva mai visto. «Era lo scudo di mio nonno» le spiegò Petyr, notando che lei lo osservava. «Suo padre era nato a Braavos e arrivò nella valle di Arryn come mercenario al soldo di lord Corbray, e così quando venne fatto cavaliere mio nonno scelse come sigillo la testa del Titano.»
«Ha un aspetto molto feroce» rilevò Sansa.
«Anche troppo, per una persona affabile come me» rispose Petyr. «Preferisco il mio usignolo.»
Oswell fece un altro paio di viaggi fino alla Re delle lance per scaricare le provviste. Assieme al carico, portò a riva anche un paio di barili pieni di vino. Petyr ne versò a Sansa una coppa, come promesso. «Ecco, mia signora, questo dovrebbe aiutare il tuo stomaco, almeno spero.»
Il fatto di avere la solida terra sotto i piedi già la stava aiutando, ma Sansa prese obbediente la coppa con entrambe le mani e bevve un sorso. Il vino era eccellente, della vendemmia di Arbor, riconobbe. Sapeva di quercia, di frutta e di calde notti d’estate. I sapori sbocciavano sul suo palato come i fiori si dischiudono al sole. “Prego solo che resti giù.” Lord Petyr era così gentile con lei, che Sansa non avrebbe proprio voluto rovinare tutto vomitandoglielo addosso.
Ditocorto la stava fissando, al di sopra dell’orlo della propria coppa, con i suoi vividi occhi grigioverdi pieni di… divertimento? O forse di qualcosa d’altro? Sansa non ne era certa.
«Grisel» chiamò Ditocorto «portaci da mangiare. Niente di pesante, la mia signora ha lo stomaco delicato. Forse andrebbe bene della frutta. Oswell ha scaricato arance e melagrane.»
«Sì, mio lord.»
«Potrei anche fare un bagno caldo?» chiese Sansa.
«Chiedo a Kella di tirare su l’acqua, dal pozzo, milady» rispose la vecchia.
Sansa bevve un altro sorso di vino, cercando di trovare qualcosa da dire, ma lord Petyr le risparmiò la fatica. «Lysa non verrà da sola» disse quando Grisel e gli altri servitori se ne furono andati. «Prima del suo arrivo, dobbiamo decidere chi sarai.»
«Chi sarò?… Non capisco.»
«Varys ha informatori ovunque. Se Sansa Stark dovesse essere avvistata nella valle di Arryn, l’eunuco lo saprebbe nel giro di un ciclo di luna, il che creerebbe sgradevoli… complicazioni. Non è sicuro essere uno Stark, in un momento come questo. Per cui diremo al seguito di Lysa che sei una mia figlia naturale.»
Sansa rimase senza fiato. «Vuoi dire… una bastarda?»
«Be’, è piuttosto difficile che tu possa essere una mia figlia legittima. Io non mi sono mai sposato, questo è risaputo. Come ti potresti chiamare?»
«Io… potrei prendere il nome di mia madre…»
«Catelyn? Un po’ troppo ovvio… Invece quello di mia madre potrebbe andare. Alayne. Ti piace?»
«È carino.» Sansa sperò di riuscire a ricordarselo. «Ma non potrei invece essere la figlia legittima di un cavaliere al tuo servizio? Qualcuno caduto valorosamente in battaglia e…»
«Io non ho valorosi cavalieri al mio servizio, Alayne. Inoltre, una storia del genere attirerebbe domande indesiderate peggio di come un cadavere putrefatto attira i corvi. Viceversa, è indelicato voler indagare troppo sulle origini di una figlia naturale. Quindi…» Petyr inclinò la testa di lato. «Chi sei?»
«Alayne… Stone, vero?» Ditocorto annuì. «E chi è mia madre?»
«Kella?»
«No, ti prego» esclamò Sansa, mortificata.
«Stavo solo scherzando. Tua madre era una gentildonna di Braavos, figlia di un principe mercante. Lei e io c’incontrammo a Città del Gabbiano, quando avevo il comando del porto. Morì nel darti alla luce e io ti affidai al Credo. Ho alcuni libri religiosi cui potrai dare un’occhiata. Impara a memoria qualche citazione. Niente scoraggia le domande indesiderate quanto uno sproloquio bigotto. In ogni caso, al tempo del tuo primo ciclo di luna tu decidesti di non diventare una septa e mi scrivesti. Fu in quella circostanza che appresi della tua esistenza.» Si passò un dito sul pizzetto. «Pensi di poterti ricordare tutto?»
«Lo spero. Sarà una specie di gioco, vero?»
«A te piace giocare, Alayne?»
Doveva abituarsi a quel nuovo nome. «Giocare? Io… ecco, credo che dipenderebbe da…»
Grisel spuntò dalle scale prima che lei potesse aggiungere altro. L’anziana serva appoggiò un grande piatto sul tavolo in mezzo a loro. C’erano mele, pere, melagrane, uva dall’aspetto triste e un’enorme arancia rossa. Grisel aveva portato anche una forma di pane e un pezzo di burro. Petyr tagliò la melagrana in due con la daga, e ne offrì metà a Sansa. «Prova a mangiare qualcosa.»
«Grazie, mio lord.»
La melagrana era troppo scomoda da mangiare. Sansa scelse una pera e diede un piccolo morso delicato. Era molto matura. Il succo le colò lungo il mento.
Lord Petyr staccò un grano con la punta della daga. «Tuo padre deve mancarti terribilmente. Lord Eddard era un uomo coraggioso, onesto, leale… ma un pessimo giocatore.» Si portò il seme alle labbra con la lama. «Esistono due tipi di persone ad Approdo del Re: i giocatori e le pedine.»
«E io ero una pedina?» Sansa temeva la risposta.
«Sì, ma non devi esserne turbata. Sei poco più che una bambina. All’inizio, siamo tutti pedine, uomini e donne. Anche quelli che pensano di essere giocatori.» Mangiò un altro seme della melagrana. «Cersei Lannister, per esempio. Crede di essere scaltra, ma in realtà è fin troppo prevedibile. La sua forza sta nella bellezza, nel lignaggio, nella ricchezza. Ma soltanto la prima è veramente sua, e ben presto anche quella l’avrà abbandonata. La compatisco. Lei vuole il potere, ma quando l’avrà ottenuto non saprà che cosa farsene. Tutti vogliono qualcosa, Alayne. E quando scopri quello che una persona vuole, capisci anche chi è e sai come farla muovere.»
«Così come tu hai fatto muovere ser Dontos perché avvelenasse Joffrey?» Perché doveva per forza essere stato lui, aveva concluso Sansa.
Ditocorto rise. «Ser Dontos il Rosso era un otre di vino con le gambe. Non mi sarei mai fidato di lui per un’impresa del genere. Avrebbe mandato tutto all’aria oppure mi avrebbe tradito. No, quello che Dontos doveva fare era solo portarti fuori dalla Fortezza Rossa… e assicurarsi che tu indossassi quel retino da capelli di filo d’argento.»
“Le ametiste nere.” «Ma allora, se non è stato Dontos…? Tu hai altre pedine?»
«Anche se rivoltassi tutta Approdo del Re, non troveresti neppure un uomo con l’emblema dell’usignolo cucito sulla tunica. Ma questo non significa che io non abbia amici.» Petyr si alzò e andò verso la scala. «Oswell, vieni su, lascia che lady Sansa ti dia un’occhiata.»
Pochi momenti dopo, il vecchio apparve, facendo un gran sorriso e un inchino. Sansa lo guardò titubante. «Che cosa dovrei vedere?»
«Conosci quest’uomo?» le chiese Petyr.
«No.»
«Guarda meglio.»
Sansa studiò il viso del vecchio, pieno di rughe e scavato dal vento, con il naso aquilino, i capelli bianchi, le grandi mani nodose. Effettivamente c’era qualcosa di familiare in lui, ma alla fine Sansa fu costretta a scuotere la testa. «Non so chi sia. Sono certa di non averlo mai visto prima di salire a bordo della sua barca.»
Oswell continuava a sorridere, mostrando una chiostra di denti marci. «No, ma milady ha di certo incontrato i miei tre figli.»
I tre figli, e poi quel sorriso da un orecchio all’altro… «Kettleblack!» Sansa sbarrò gli occhi. «Sei un Kettleblack!»
«Aye.»
«Visto, Oswell? La giovane lady non sta più nella pelle dalla contentezza.» Ditocorto congedò il vecchio con un gesto e tornò a dedicarsi alla melagrana, mentre Oswell scendeva per i gradini di pietra. «Per cui, dimmi, Alayne, che cosa è più pericoloso: la daga impugnata da un nemico o la daga nascosta, premuta contro la tua schiena da qualcuno che neppure vedi?»
«La daga nascosta.»
«Fanciulla arguta.» Petyr sorrise, con le labbra arrossate dal succo della melagrana. «Quando il Folletto liquidò le guardie di Cersei, la regina diede a ser Lancel l’incarico di assoldare dei mercenari. Lancel le trovò i Kettleblack, cosa che deliziò il piccolo lord tuo marito, in quanto i Kettleblack erano sul suo libro paga attraverso un suo uomo, Bronn.» Ridacchiò. «Ma non appena appresi che Bronn stava cercando spade in vendita, fui io a dire a Oswell di mandare i suoi tre figli ad Approdo del Re. Tre daghe nascoste, Alayne, dislocate nei posti giusti.»
«Quindi è stato uno dei Kettleblack a mettere il veleno nel calice di Joffrey?» Ser Osmund, come lei ricordava, era rimasto vicino al re quasi tutta la sera.
«Ho forse detto questo?» Lord Petyr Baelish tagliò in due l’arancia con la daga, e ne offrì metà a Sansa. «Quei bravi ragazzi sono troppo infidi per prendere parte a un piano del genere. Quanto a Osmund… be’, da quando è entrato a far parte della Guardia reale non ci si può più fidare di lui. Quel mantello bianco trovo che abbia uno strano effetto su chi lo indossa.» Alzò il mento e si lasciò scivolare il succo dell’arancia direttamente in bocca. «Adoro il succo, ma odio le dita appiccicose» commentò, pulendosi le mani. «Qualsiasi cosa tu faccia, Sansa, assicurati sempre che le tue mani siano pulite.»
Sansa raccolse del succo dalla sua arancia servendosi di un cucchiaio. «Ma se non sono stati i Kettleblack, e se non è stato ser Dontos… tu non eri nemmeno in città, Tyrion non può averlo fatto…»
«Hai qualche altro candidato, piccola mia?»
Sansa scosse la testa. «Non credo che…»
Petyr sorrise. «Per non so quale ragione, credo di sapere che a un certo punto della festa qualcuno ti abbia detto che il tuo retino per capelli era fuori posto e si è avvicinato per sistemartelo.»
Sansa si portò una mano alla bocca. «Non vorrai dire… lei voleva portarmi ad Alto Giardino, e farmi sposare suo nipote Willas…»
«Oh, Wìllas Tyrell, così gentile e pio, un vero cuore d’oro. Sii contenta che ti è stato risparmiato, Sansa: ti saresti annoiata a morte. Invece la vecchia non è affatto noiosa, bisogna ammettere. Un’orribile megera, certo non così fragile come finge di essere. Quando andai ad Alto Giardino a trattare per la mano di Margaery, la regina di Spine fece addirittura arrossire suo figlio, lord Mace Tyrell, facendo tutta una serie di domande pungenti sul carattere di Joffrey. Io ho tessuto le sue lodi più sperticate… mentre i miei uomini diffondevano tra la servitù dei Tyrell le più atroci dicerie. È così che si gioca la partita.
«Ho anche diffuso la notizia che ser Loras sarebbe entrato nelle Spade bianche. In realtà non sono stato io a suggerirla. Ma uomini del mio seguito hanno fornito macabri racconti di come la folla inferocita aveva fatto a pezzi ser Preston Greenfield e stuprato lady Lollys Stokeworth. Hanno anche distribuito qualche conio d’argento all’esercito di cantastorie presente alla corte di lord Tyrell, perché celebrassero le eroiche gesta di Ryam Redwyne, Serwyn dallo Scudo a specchio e del principe Aemon, il cavaliere del Drago. Nelle mani giuste, un’arpa può essere pericolosa quanto una spada.
«Mace Tyrell arrivò addirittura a credere che l’idea di far entrare ser Loras nella Guardia reale come parte integrante del contratto di nozze con Joffrey fosse davvero sua. Chi avrebbe potuto proteggere l’adorabile Margaery meglio del suo splendido, cavalieresco fratellino? Idea che peraltro lo ha liberato del gravoso compito di trovare terre e una sposa per il proprio terzogenito; un compito non facile in generale e ancora più arduo nel caso di ser Loras in particolare.
«Comunque sia, lady Olenna non aveva certo intenzione di permettere che Joffrey facesse del male alla sua tenera nipotina. A differenza di quel grasso geranio di suo figlio, però, la vecchia era ben consapevole che, sotto tutti i suoi fiori e le sue buone maniere, Loras Tyrell ha un carattere impulsivo quanto Jaime Lannister. Metti Joffrey, Margaery e Loras nello stesso calderone e avrai la ricetta per un altro sterminio di re. E c’era anche un’altra cosa di cui la vecchia era consapevole. Suo figlio Mace era deciso a fare di Margaery una regina, e quindi gli serviva un re… ma non necessariamente Joffrey. Presto, molto presto, avremo un altro matrimonio. Aspetta e vedrai. Margaery Tyrell sposerà Tommen Baratheon. Si terrà la corona di regina e anche la sua verginità, non che lei desideri particolarmente né l’una né l’altra, ma in fondo che cosa importa? La grande alleanza occidentale dei Sette Regni sarà preservata… almeno per un po’.»
“Margaery e Tommen.” Sansa non sapeva che cosa dire. Margaery Tyrell le era simpatica e le piaceva anche la sua piccola, acida nonna. Aveva pensato con nostalgia ad Alto Giardino, con i suoi prati fioriti e i suoi musicanti, con le sue barche da diporto sul fiume Mander. Tutti paesaggi ben diversi da quella tetra costa pietrosa. “Ma per lo meno qui sono al sicuro. Joffrey è morto, non può più farmi del male, e adesso io sono solo una bastarda. Alayne Stone non ha marito e non ha titolo.” E presto sarebbe arrivata anche sua zia Lysa. Il lungo incubo di Approdo del Re era ormai alle sue spalle, e anche la farsa del matrimonio con Tyrion. Ora poteva farsi una nuova casa. Proprio come diceva Petyr.
Prima dell’arrivo di Lysa Arryn ci vollero otto lunghi giorni, cinque dei quali furono di pioggia ininterrotta. Sansa sedeva vicino al fuoco, annoiata e inquieta, accanto al vecchio cane cieco. L’animale era troppo malandato e senza denti per uscire con Bryen nei turni di guardia, e passava la maggior parte del tempo a dormire, ma quando lei gli faceva una carezza, guaiva e le leccava la mano, così dopo un po’ diventarono amici.
Quando finalmente smise di piovere, Petyr l’accompagnò a visitare i suoi possedimenti: impiegarono meno di mezza giornata. Il suo dominio era una grande quantità di rocce, proprio come lui aveva preannunciato. C’era un punto della scogliera in cui le onde si infrangevano alzando verso il cielo spruzzi alti trenta piedi, e un altro più avanti dove qualcuno aveva scolpito su un masso la stella a sette punte che simboleggiava i nuovi dèi. Petyr disse che indicava il luogo in cui gli andali erano sbarcati, dopo aver attraversato il mare per strappare la valle ai Primi Uomini.
Più verso l’entroterra, una dozzina di famiglie viveva in casupole con muri di pietre a secco vicino a una torbiera. «Il mio popolino» dichiarò Petyr, ma soltanto i più vecchi sembravano conoscerlo. Sulle sue terre c’era anche la caverna di un eremita, ma nessuna traccia dell’eremita. «Adesso è morto, ma quando ero ragazzo mio padre mi portò da lui. Erano quarant’anni che quell’uomo non si lavava, per cui puoi immaginarti l’odore, ma si diceva che avesse il dono della profezia. Mi palpò un po’, poi disse che sarei diventato qualcuno di importante, così mio padre lo ricompensò con un otre di vino.» Petyr grugnì. «Avrei potuto dirgli la stessa cosa anch’io per mezza coppa.»
Finalmente, in un pomeriggio grigio e ventoso, Bryen arrivò di corsa alla torre, con i cani che lo seguivano abbaiando. Annunciò che un gruppo di cavalieri si stava avvicinando da sudest. «Lysa» disse lord Petyr con sicurezza. «Vieni, Alayne. Andiamo ad accoglierla.»
Indossarono il mantello e uscirono ad attenderla. Gli uomini a cavallo erano solo una ventina, una scorta piuttosto modesta per la lady di Nido dell’Aquila. Al suo seguito c’erano tre cameriere e una dozzina di cavalieri di corte in maglia di ferro e corazza. Lysa aveva portato con sé anche un septon e un cantastorie di bell’aspetto, con i baffi sottili e lunghi riccioli color sabbia.
“E questa sarebbe mia zia?” Lady Lysa aveva due anni meno di sua madre, lady Catelyn, mentre quella donna sembrava di dieci anni più vecchia. Spesse trecce castane le ricadevano fino alla cintola, ma sotto il costoso abito di velluto e il corpetto tempestato di pietre preziose c’era un corpo gonfio e cascante. Il suo volto era roseo e truccato. Aveva seni pesanti e membra tozze. Era più alta di Ditocorto e più grossa. Il modo goffo in cui smontò da cavallo dimostrò quanto fosse priva di qualsiasi grazia.
Petyr appoggiò un ginocchio a terra e le baciò le dita. «Il Concilio ristretto del re mi ha ordinato di corteggiarti e persuaderti a sposarmi, mia signora. Ritieni di potermi accettare quale lord tuo marito?»
Lady Lysa protese le labbra e lo attirò a sé per schioccargli un bacio sulla guancia. «Oh, forse potrei lasciarmi persuadere.» Ridacchiò come una ragazzina. «Hai portato qualche dono per riscaldare il mio cuore?»
«La pace del re.»
«Oh, e chi se ne importa della pace del re! Che cos’alto mi hai portato?»
«Mia figlia.» Ditocorto fece cenno a Sansa di farsi avanti. «Mia signora, permettimi di presentarti Alayne Stone.»
Lysa Arryn però non parve troppo entusiasta di conoscerla. Sansa fece una profonda riverenza, tenendo il capo chino. «Una bastarda?» udì che diceva sua zia. «Petyr, sei forse stato uno screanzato? Chi è la madre?»
«La donzella è morta. Spero di poter portare Alayne con me a Nido dell’Aquila.»
«E io che cosa me ne dovrei fare di lei lassù?»
«Ho qualche idea al riguardo» rispose lord Petyr. «Per adesso, comunque, mi interessa molto di più quello che farei io con te, mia signora.»
Tutta l’ostilità scomparve dalla tonda faccia rosea di Lysa, e per un momento Sansa credette che sua zia si sarebbe messa a piangere. «Caro, dolce Petyr, tu non sai, non puoi sapere, quanto mi sei mancato. Yohn Royce non ha fatto altro che sollevare problemi, chiedendomi in continuazione di chiamare a raccolta i vessilli e scendere in guerra. E tutti gli altri mi stanno attorno come locuste, Hunter e Corbray e quell’orribile Nestor Royce… tutti vogliono sposarmi e fare di mio figlio il loro protetto. Ma nessuno di loro mi ama davvero. Solamente tu, Petyr. Oh, non sai da quanto tempo sogno di te.»
«E io di te, mia signora.» Ditocorto le passò un braccio attorno alla vita e la baciò sul collo. «Quando potremo sposarci?»
«Adesso.» Lady Lysa sospirò. «Ho portato il mio septon, un cantastorie e birra al malto per il banchetto nuziale.»
«Qui?» Petyr Baelish non sembrava troppo entusiasta. «Preferirei sposarti a Nido dell’Aquila, alla presenza di tutta la tua corte.»
«Che sprofondi, la mia corte. Aspetto da così tanto tempo questo momento che non intendo sprecare un altro minuto.» Lo abbracciò. «Voglio condividere il letto con te questa notte, mio tesoro. Voglio che facciamo un altro bambino, un fratellino per Robert, oppure una bella sorellina.»
«Anch’io, certo, sogno tutto questo. Però penso che un matrimonio pubblico, al cospetto di tutta la Valle…»
«No!» Lysa pestò un piede per terra. «Io ti voglio adesso, questa notte stessa. E ti avverto, dopo tutti questi anni di silenzio e di sussurri, quando mi amerai intendo urlare, e urlerò così forte che mi sentiranno fino a Nido dell’Aquila!»
«Forse potrei portarti a letto adesso e sposarti dopo?»
Di nuovo, lady Lysa ridacchiò come una ragazzina. «Oh, Petyr Baelish, sei proprio uno screanzato. No, e ancora no. Sono la lady di Nido dell’Aquila, e voglio che tu mi sposi in questo preciso istante!»
Petyr alzò le spalle. «Come la mia signora comanda. Sono disarmato al tuo cospetto, come sempre.»
Pronunciarono i loro giuramenti di matrimonio dopo un’ora, in piedi sotto un baldacchino azzurro cielo, mentre il sole tramontava a occidente. Più tardi, vennero allestiti dei tavoli sotto la torre e si banchettò a base di quaglie, cacciagione e cinghiale arrosto, il tutto innaffiato da una leggera birra al malto. Al calare della sera, vennero accese le torce. Il cantastorie di Lysa eseguì La promessa silente, Le stagioni del mio amore e Due cuori che battono come uno solo. Parecchi cavalieri del seguito più giovani invitarono Sansa a ballare. Anche sua zia ballò, le sottane che svolazzavano mentre volteggiava tra le braccia di Petyr. La birra e le nozze le avevano tolto molti anni di dosso. Bastava che il suo nuovo marito le tenesse la mano, e Lysa rideva per qualsiasi cosa, e ogni volta che lui la guardava i suoi occhi brillavano.
Quando arrivò il momento della messa a letto, i suoi cavalieri la trasportarono su nella torre, spogliandola lungo la scala di pietra e gridando battute sconce. “Cosa che Tyrion mi ha risparmiato” ricordò Sansa. Forse però non sarebbe stato così male essere spogliata per l’uomo che amava, da amici che li amavano entrambi. “Ma se quell’uomo fosse stato Joffrey…” La sola idea le fece venire freddo alla schiena.
Lysa aveva portato con sé solamente tre cortigiane, per cui queste chiesero aiuto a Sansa per spogliare lord Petyr e spingerlo più o meno a forza verso il talamo nuziale. Ditocorto si piegò di buon grado alla tradizione, distribuendo battute con la sua lingua salace. Quando finalmente lo ebbero portato dentro la torre e tirato fuori dai vestiti, le tre donne di Nido dell’Aquila erano scarmigliate e ansimanti, con i corpetti mezzo slacciati, le scollature allargate e le gonne in disordine. Ma Sansa fu l’unica cui Petyr Baelish sorrise, mentre veniva spinto verso la camera dove la lady sua moglie lo stava aspettando.
Lady Lysa e lord Petyr avevano a disposizione la stanza da letto al terzo piano. Ma la torre era piccola… e, come aveva promesso, Lysa urlò. Fuori aveva cominciato a piovere, costringendo gli ospiti a trovare riparo nei locali più in basso, e a udire pressoché ogni parola. «Petyr» mugolava lady Lysa «oh, Petyr, Petyr, dolce Petyr… Oh, oh, oh. Sì, Petyr, proprio lì. Oh, sì, continua così.» Il giovane cantastorie venuto da Nido dell’Aquila si lanciò in una versione oscena di La cena della mia lady, ma neppure i suoi gorgheggi riuscirono a coprire le grida di Lysa. «Fammi fare un bambino, Petyr» ululava «fammi fare un altro piccolo e dolce bambino. Oh, Petyr, mio adorato, mio adorato… PEEEEEETYR!» L’ultimo urlo fu così forte che i cani si misero ad abbaiare e due cortigiane trattennero a stento il loro giubilo.
Sansa scese i gradini di pietra e uscì nel buio della notte. Una pioggia sottile continuava a cadere sui resti della festa, l’aria era fresca, pulita. Il ricordo della prima notte di nozze con Tyrion si agitava vivido nella sua mente. “Al buio, sono il Cavaliere di Fiori” le aveva detto. “Potrei andare bene per te.” Ma era stata solo un’altra menzogna da Lannister. “Un cane fiuta sempre la menzogna” le aveva detto il Mastino. Sansa poteva quasi udire la sua voce dura e raschiante. “Guardati attorno e annusa bene. Sono tutti bugiardi, nella Fortezza Rossa. E tutti mentono meglio di te.” Si domandò che ne era stato di Sandor Clegane. Sapeva che Joffrey era stato assassinato? Gliene sarebbe importato qualcosa? Era stato lo scudo giurato del principe per anni.
Sansa rimase a lungo fuori della torre. Quando alla fine, bagnata e intirizzita, decise di andare a letto, nella sala buia c’era solamente il debole chiarore purpureo delle braci. Dall’alto non veniva più alcun rumore. Il giovane cantastorie sedeva in un angolo, suonando una nenia dolce. Una delle cortigiane di lady Lysa stava baciando un cavaliere sullo scranno di Petyr e le loro mani frugavano sotto i vestiti l’uno dell’altra. Parecchi uomini erano sprofondati nel sonno dell’ubriaco. Un altro era nella latrina, a vomitare rumorosamente. Sansa trovò il vecchio cane cieco di Bryen accucciato nella piccola alcova sotto la scala dove lei dormiva di solito e gli sedette accanto. L’animale si svegliò e le leccò il viso. «Vecchio cane triste» sussurrò Sansa, arruffandogli il pelo.
«Alayne.» Il cantastorie di lady Lysa era in piedi accanto a lei. «Dolce Alayne, il mio nome è Marillion. Ti ho vista rientrare bagnata dalla pioggia. È una notte così fredda, così umida. Lascia che ti riscaldi.»
Il vecchio cane sollevò la testa e ringhiò, ma il cantastorie gli assestò un manrovescio che lo fece arretrare uggiolando.
«Marillion» disse Sansa timorosa «tu sei… gentile con me, ma… ti prego di non insistere. Sono molto stanca.»
«E anche molto bella. È tutta la notte che compongo canzoni per te. Un inno per i tuoi occhi, una ballata per le tue labbra, un duetto per i tuoi seni. Non intendo cantarle però. Sono poca cosa, indegne di tanta beltà.» Il cantastorie sedette sul letto e le mise una mano sulla gamba. «Permetti che sia il mio corpo a farti la serenata.»
A Sansa arrivò una zaffata del suo alito. «Ma sei ubriaco!»
«Io non sono mai ubriaco. La birra al malto mi rende solo più lieto. Sono rovente.» Fece scivolare una mano lungo la coscia di lei. «E anche tu.»
«Non mi toccare. Fermati. Stai esagerando.»
«Ti prego. Ho cantato per ore. Il mio sangue ribolle. E anche il tuo, lo so… non esiste donzella più calda di una che è nata bastarda. Sei già bagnata per me?»
«Sono vergine» protestò Sansa.
«Davvero? Oh, Alayne, Alayne, mia dolce fanciulla, dammi il dono della tua innocenza. Ringrazierai gli dèi per averlo fatto. Ti farò cantare anche più forte di lady Lysa.»
Sansa si divincolò, spaventata. «Se non mi lasci stare, mia zi… mio padre t’impiccherà. Lord Petyr.»
«Ditocorto?» Marillion ridacchiò. «Lady Lysa stravede per me, e sono anche il favorito del piccolo lord Robert. Se tuo padre mi offende, basterà una mia strofa per distruggerlo.» Le mise una mano su un seno, strinse. «E adesso togliti questi abiti bagnati. Non vorrai certo che ti siano strappati di dosso, vero? Vieni, dolce fanciulla, aprimi il tuo cuore e anche le tue…»
«Ehi, guitto.»
Sansa udì lo sfregare dell’acciaio contro il cuoio.
«È meglio che vai» avvertì una voce rude «se vuoi continuare a cantare.»
La luce era tenue, ma Sansa vide il riflesso rossastro di una lama.
Lo vide anche Marillion. «Trovati anche tu una baldrac…» La lama balenò. Il guitto urlò di dolore. «Mi hai fatto male!»
«Farò di peggio se non ti togli dai piedi.»
Marillion si dileguò, più rapido ancora del lampo dell’acciaio. L’altro rimase nelle tenebre, vicino a Sansa. «Lord Petyr ha detto di farti la guardia.» Era la voce di Lothor Brune. “Non può essere il Mastino, certo che no… deve trattarsi di Lothor.”
Quella notte, Sansa non dormì affatto. Continuò a girarsi e rigirarsi come se fosse stata ancora a bordo della Re delle lance. Sognò di nuovo la morte di Joffrey, ma mentre lui si graffiava il collo e il sangue gli colava lungo le dita, Sansa si rese conto con orrore che non era Joffrey. Era suo fratello Robb. Sognò anche la sua notte di nozze, gli occhi di Tyrion che la divoravano mentre lei si spogliava. Solo che il lord suo marito era molto più grosso di Tyrion, e quando entrò nel letto, metà della sua faccia era ustionata. “Ce l’ho io una canzondna per te” ringhiò.
Sansa si svegliò di soprassalto. Ma accanto a lei c’era solamente il vecchio cane cieco. «Come vorrei che tu fossi Lady, la mia lupa…»
Venne il mattino. L’anziana Grisel salì fino alla stanza superiore della torre per portare al lord e alla lady il vassoio della colazione con pane, burro, miele, frutta e crema. Quando ridiscese, disse che Alayne era attesa di sopra. Sansa era ancora intontita dalla notte insonne, e le ci volle qualche momento per realizzare che Alayne era lei.
Lady Lysa era ancora a letto, ma lord Petyr era già in piedi e vestito. «Tua zia desidera parlarti» disse a Sansa infilandosi uno stivale. «Le ho detto chi sei realmente.»
“Dèi, siate misericordiosi.” «Io… ti ringrazio, mio lord.»
Petyr infilò a forza anche l’altro stivale. «Sono stato nella mia dolce dimora più di quanto possa sopportare. Partiremo per Nido dell’Aquila questo pomeriggio stesso.» Baciò la lady sua moglie, le leccò via dalle labbra una goccia di miele e scomparve giù per le scale.
Sansa rimase immobile ai piedi del letto, mentre sua zia la studiava mordicchiando una pera. «Adesso vedo.» Lady Lysa buttò via il torsolo. «Assomigli molto a Catelyn.»
«È gentile da parte tua.»
«Non voleva affatto essere un complimento. Il fatto è che tu le assomigli anche troppo. Bisognerà fare qualcosa: prima di portarti a Nido dell’Aquila, penso che ti scuriremo un po’ i capelli.»
“Scurirmi i capelli?” «Se questo ti compiace, zia Lysa.»
«Non chiamarmi mai così. Non voglio che arrivi ad Approdo del Re il benché minimo indizio della tua presenza. Non intendo mettere in pericolo mio figlio.» Lysa leccò la punta di un favo gocciolante di miele. «Ho tenuto la valle di Arryn fuori da questa guerra. I nostri raccolti sono stati abbondanti, le montagne ci proteggono e Nido dell’Aquila è inespugnabile. Sarebbe comunque poco saggio attirare su di noi la collera di lord Tywin.» Lysa depose il favo e continuò a leccarsi il miele dalle dita. «Tu avevi sposato Tyrion Lannister, mi dice Petyr. Quell’infame nanerottolo.»
«Mi hanno costretta. Non ho mai voluto quel matrimonio.»
«Non più di quanto io avessi voluto il mio primo matrimonio» dichiarò sua zia. «Jon Arryn non era un nano, ma in compenso era un vecchio. A vedermi ora forse non ci crederai, ma il giorno del matrimonio ero così bella da fare sfigurare perfino tua madre. Però l’unica cosa che Jon Arryn desiderava erano le spade di mio padre, lord Tully, come rinforzo ai suoi adorati ragazzi guerrieri. Avrei dovuto respingerlo, ma era già così vecchio, quanto sarebbe vissuto? Era mezzo sdentato e aveva il fiato che gli puzzava come formaggio andato a male. Non ho mai potuto sopportare gli uomini con l’alito cattivo. Petyr, invece, ha sempre l’alito fresco… è il primo uomo che ho baciato, sai? Mio padre diceva che era di lignaggio troppo basso, ma io sapevo quanto sarebbe salito in alto. Per compiacermi, Jon gli affidò le dogane di Città del Gabbiano. Ma quando vide in che modo Petyr era riuscito a decuplicare le entrate, il lord mio marito, che era anche Primo Cavaliere del re, si rese conto di quanto fosse abile e gli affidò altri incarichi. Lo portò addirittura con sé ad Approdo del Re, nominandolo maestro del conio. Per me era così difficile vedere Petyr ogni giorno ed essere ancora sposata con quel vecchio. In camera da letto, Jon faceva il suo dovere, ma non riuscì mai a darmi piacere e nemmeno dei figli. Il suo seme era vecchio, stanco. Tutti i miei piccoli morirono, tre maschietti e due femminucce. Tutti eccetto Robert. Tanti bei bambini morti e il vecchio continuava ad andare avanti con il suo alito fetido. Come vedi, ho sofferto anch’io.» Lady Lysa tirò su con il naso. «Sai che la tua povera madre è morta?»
«Me lo ha detto Tyrion» rispose Sansa. «Mi ha detto che i Frey l’hanno assassinata alle Torri Gemelle, assieme a Robb.»
Di colpo, gli occhi di lady Lysa furono pieni di lacrime. «Siamo due donne sole adesso, tu e io. Hai paura, piccola? Sii coraggiosa. Io non volterò mai le spalle a una figlia di Cat. Noi abbiamo un legame di sangue.» Fece cenno a Sansa di avvicinarsi. «Ora puoi baciarmi la guancia, Alayne.»
Sansa si accostò obbediente e mise un ginocchio a terra accanto al letto. Sua zia Lysa era avvolta da un profumo dolce, anche se sotto si sentiva un effluvio acido, lattiginoso. La sua guancia sapeva di belletto e di cipria.
Quando Sansa arretrò, Lysa la prese per un polso. «Adesso dimmi» le intimò in tono sferzante «aspetti un bambino? Voglio la verità. Sappi che so riconoscere la menzogna.»
«Non aspetto nessun bambino» rispose Sansa, sorpresa da una simile domanda.
«Però sei una donna fatta, vero?»
«Sì.» Sansa sapeva che i suoi cicli non sarebbero potuti rimanere segreti a lungo una volta raggiunto Nido dell’Aquila. «Tyrion non… non ha mai…» Sentì il rossore invaderle le guance. «Io sono ancora vergine.»
«Il nano è impotente?»
«No. Lui era… era…» “Gentile?” Sansa non riuscì a dirlo, non in quella stanza, non a questa zia che odiava Tyrion così visceralmente. «Lui… aveva delle puttane, mia signora.»
«Puttane.» Lysa le lasciò andare il polso. «Certo. Quale donna vorrebbe andare a letto con una creatura simile, se non per denaro? Avrei dovuto uccidere il Folletto quando l’avevo in mio potere, ma lui mi ha ingannata. È pieno di turpe astuzia, quel mostriciattolo. Il suo mercenario ha assassinato il mio valoroso ser Vardis Egen. Catelyn non avrebbe mai dovuto condurlo a Nido dell’Aquila, l’avevo avvertita. E poi si è portato via nostro zio Brynden. Un altro torto che mi fece. Il Pesce Nero era il mio cavaliere della Porta. E da quando lui ci ha lasciato, i clan delle montagne si sono fatti molto insidiosi. Petyr però rimetterà tutto a posto. Lo nominerò lord protettore della valle di Arryn.» Per la prima volta, lady Lysa sorrise alla nipote, quasi con affetto. «Potrà non essere alto e forte come tanti altri cavalieri, ma vale più di tutti loro messi assieme. Fidati di lui e fa’ come dice.»
«Lo farò, zi… mia signora.»
Lady Lysa parve soddisfatta. «Io conoscevo quel Joffrey. Era solito insultare il mio piccolo Robert e una volta lo ha anche colpito con una spada di legno. Un uomo direbbe che il veleno è un’arma disonorevole, ma l’onore per una donna è diverso. La Madre ci ha create per proteggere i nostri figli, e il nostro unico disonore è fallire in questo compito. Lo capirai quando anche tu avrai un bambino»
«Un bambino?» Sansa continuava a non capire.
«Non adesso.» Lady Lysa fece un gesto con la mano. «Sei ancora troppo giovane per diventare madre. Un giorno però anche tu vorrai avere dei figli. E vorrai sposarti.»
«Io… sono già sposata, mia signora.»
«Sì, ma sarai presto vedova. Sii lieta che il Folletto preferisca le puttane. Non sarebbe stato bello che mio figlio raccogliesse gli avanzi di quel nano, comunque, ma visto che non ti ha mai toccata… Che ne pensi dell’idea di sposare tuo cugino, lord Robert Arryn?»
Il pensiero la mise a disagio. Di lord Robert Arryn sapeva solamente che era un ragazzino, e malaticcio. “Non è me che vuole per suo figlio: è il mio diritto di eredità su Grande Inverno. Nessuno mi sposerà per amore. Mai.” Ma ormai Sansa Stark mentiva facilmente. «Io… non vedo l’ora d’incontrarlo, mia signora. Però è ancora un bambino, vero?»
«Ha otto anni. E non è molto robusto. Ma è un ragazzo così buono, arguto e intelligente. Diventerà un grande uomo, Alayne. “Il seme è forte” diceva il lord mio marito. Furono le sue ultime parole. Talvolta gli dèi ci permettono di avere brevi visioni del futuro quando siamo in punto di morte. Non vedo perché tu non dovresti sposarlo non appena avremo conferma che tuo marito è morto. Sarà un matrimonio segreto, è chiaro. Non è nemmeno pensabile che il lord di Nido dell’Aquila sposi una bastarda, sarebbe quanto mai inopportuno. Una volta che la testa del Folletto sarà finita sul ceppo, la notizia ci perverrà sulle ali dei corvi messaggeri di Approdo del Re. Tu e Robert potrete sposarvi il giorno dopo, non è meraviglioso? A lui farà bene avere un po’ di compagnia. Quando arrivammo a Nido dell’Aquila, giocava con il figlio di ser Vardis Egen, e anche con i bambini del nostro attendente, ma erano fin troppo rudi con lui, cosicché non ebbi altra scelta se non allontanarli. Tu sai leggere bene, Alayne?»
«Septa Mordane era così gentile da dire di sì.»
«Robert ha la vista debole, ma adora che qualcuno gli legga a voce alta» dichiarò lady Lysa. «Le storie che preferisce sono quelle degli animali. Conosci la canzoncina della gallina travestita da volpe? Io gliela canto sempre, al mio dolce Robert, lui non si stanca mai di sentirla. E gli piace anche giocare a Salta-rospo, Fai-girare-la-spada e Vieni-nel-mio-castello, ma devi sempre lasciarlo vincere. È giusto che sia così, non trovi? Lui è il lord di Nido dell’Aquila, dopo tutto, e tu non lo dovrai mai dimenticare. Il tuo lignaggio è nobile, certo, e gli Stark di Grande Inverno sono sempre stati orgogliosi. Ma adesso Grande Inverno è caduta, e tu sei solo una mendicante, quindi farai bene a mettere da parte il tuo orgoglio. Nelle tue attuali condizioni, il tuo primo sentimento dovrà invece essere la gratitudine. E l’obbedienza. Sì, mio figlio avrà una mogliettina grata e obbediente.»