Fece colazione sotto l’albero d’ebano che cresceva nel giardino pensile, osservando i suoi draghi inseguirsi nel cielo al di sopra della cuspide della Grande Piramide, là dove un tempo si ergeva l’immane arpia di bronzo. C’erano molte altre piramidi più piccole a Meereen, nessuna però arrivava neppure alla metà di quelle dimensioni. Da dove si trovava, Daenerys poteva vedere l’intera città: stretti vicoli contorti e ampie strade di mattoni, templi e granai, baracche e palazzi, bordelli e terme, i grandi ovali rossi delle fosse da combattimento. Oltre le mura si stendeva il mare color indaco, lo snodarsi scuro del fiume Skahazadhan, le aride colline brulle, i frutteti bruciati, i campi anneriti. Lassù in quel giardino, a volte Dany si sentiva come una dea, unico abitante della più alta montagna del mondo.
“Tutti gli dèi si sentono così soli?” Per alcuni doveva essere certamente così. Missandei le aveva parlato del Signore dell’armonia, venerato dal Pacifico Popolo di Naath. Era l’unico vero dio, le aveva detto la piccola scriba, il dio che da sempre esisteva e che per sempre sarebbe esistito, il dio che aveva creato la luna, le stelle e la terra, e tutte le creature che vivevano in tutti i luoghi. “Povero Signore dell’armonia.” Daenerys lo compiangeva. Doveva essere terribile vivere eternamente soli, con attorno sciami di donne-farfalla che potevano essere creati o fatti, svanire con una semplice parola. Le terre d’Occidente per lo meno ne avevano sette, di dèi, anche se una volta Viserys le aveva detto che secondo certi septon erano aspetti diversi di una sola divinità, sette facce di uno stesso cristallo. I preti rossi credevano in due dèi, aveva appreso Dany, quello della luce e quello delle tenebre, impegnati in una eterna guerra. Concetto religioso, questo, che le piaceva ancora meno degli altri. Lei non avrebbe affatto voluto essere eternamente in guerra.
Missandei le servì uova d’anatra e salsicce di cane, con mezza coppa di vino addolcito, mescolato con spremuta di cedro. Il miele attirava le mosche, ma la candela profumata provvedeva ad allontanarle. Lassù, le mosche non erano fastidiose come in altre parti della città, aveva scoperto Dany, altra cosa che apprezzava della piramide.
«Devo ricordarmi di fare qualcosa riguardo alle mosche» disse Dany. «Ci sono molte mosche a Naath, Missandei?»
«A Naath ci sono le farfalle» rispose la scriba nella lingua comune. «Desideri altro vino, mia regina?»
«No. Tra poco avrò la riunione di corte.»
Dany aveva preso a volere molto bene a Missandei. La piccola scriba dagli occhi dorati era molto più saggia dei suoi anni. “Ed è anche coraggiosa. Deve esserlo, per essere riuscita a sopravvivere a tutto quello che ha passato.” Un giorno, Dany sperava di poter vedere con i propri occhi questa favolosa isola di Naath. Missandei le aveva detto che il Pacifico Popolo faceva musica invece di fare guerra. Non uccidevano neppure gli animali, mangiavano solo frutta, mai carne. Gli spiriti delle farfalle, sacri al Signore dell’armonia, proteggevano l’isola da chi voleva fare loro del male. Molti conquistatori erano approdati a Naath per arrossare le spade con il sangue del Pacifico Popolo, ma tutti, si erano ammalati e alla fine erano morti. “Gli spiriti delle farfalle, però, non aiutano il Pacifico Popolo quando le navi degli schiavisti arrivano a fare incursioni.”
«Un giorno ti riporterò a casa, Missandei» promise Daenerys. “Se avessi fatto a ser Jorah questa stessa promessa, mi avrebbe tradito comunque?” «Te lo giuro.»
«Questa scriba è lieta di rimanere con te, maestà. Naath continuerà a essere dove si trova, sempre. Tu sei gentile con questa scr… con me.»
«E tu lo sei con me.» Dany prese la ragazzina per mano. «Vieni, aiutami a vestirmi.»
Jhiqui aiutò Missandei a farle il bagno mentre Irri preparava i vestiti. Quel giorno, Daenerys indossò una tunica di sciamito viola e un ampio scialle argenteo. Sul capo mise la corona con le tre teste di drago che la fratellanza della Tormalina le aveva dato a Qarth. Anche i suoi sandali erano argentati, con tacchi talmente alti che temeva sempre di cadere. Quando fu vestita, Missandei le portò un piatto d’argento lucidato, in modo che potesse verificare il suo aspetto. Dany fissò in silenzio la propria immagine riflessa. “È questo il volto di una conquistatrice?” Nonostante tutto, era ancora il volto di un’adolescente.
Nessuno la chiamava Daenerys la Conquistatrice, non ancora. Ma forse, in futuro, lo avrebbero fatto. Aegon il Conquistatore si era impossessato dell’Occidente con tre draghi. Mentre lei, in meno di un giorno, si era impossessata di Meereen con i topi di fogna e un cazzo di legno. “Povero Groleo.” Il capitano di mare era ancora in lutto per la fine che aveva fatto la sua nave, Dany ne era consapevole. Ma se una galea da guerra poteva speronare un’altra nave, perché non farle speronare la porta di una città? Era questo che aveva pensato ordinando ai suoi tre capitani di scendere a terra. Le alberature erano state trasformate in arieti da sfondamento. Centinaia di liberti avevano demolito il fasciame per costruire barriere, testuggini, catapulte, scale d’assalto. I mercenari avevano dato a ogni ariete un nome osceno, ed era stato l’albero maestro della Meraxes, un tempo chiamata Scherzo di Joso, a fare breccia nella Porta est di Meereen. I guerrieri di Dany avevano battezzato quell’ariete “Cazzo di Joso”. I combattimenti erano stati furibondi, feroci e sanguinosi, per la maggior parte della giornata prima che il legno della grande porta cedesse sotto i colpi della polena di ferro della Meraxes, il volto sorridente di un guitto.
Dany avrebbe voluto guidare l’attacco di persona. I suoi comandanti erano insorti come un sol uomo, tutti d’accordo nel ripeterle che sarebbe stata pura follia. E i suoi comandanti non erano mai d’accordo su niente. Per cui Dany era rimasta nelle retrovie, in sella alla purosangue argentata, chiusa in una lunga tunica di maglia di ferro. Aveva udito solo il fragore della città che cadeva, da leghe di distanza, quando le grida di sfida dei difensori si erano tramutate in urla di terrore. In quel preciso istante, i suoi tre draghi avevano ruggito tutti assieme, riempiendo la notte di fiamme. “Gli schiavi sono in rivolta” aveva capito Dany. “I miei topi di fogna hanno rosicchiato le loro catene.”
Quando gli Immacolati avevano eliminato le ultime sacche di resistenza e il saccheggio aveva seguito il suo corso, Dany era entrata in città. Di fronte alla porta, i cumuli di morti erano così alti che i liberti avevano impiegato quasi un’ora per aprire un varco per la sua purosangue argentata. Il Cazzo di Joso, più la grande testuggine coperta di pelli di cavallo umide che lo aveva protetto, giacevano inerti e abbandonati appena dentro le mura. Dany aveva cavalcato oltre edifici bruciati e finestre sfondate, percorrendo strade di mattoni le cui aperture fognarie erano ostruite da cadaveri rigidi e gonfi. Schiavi plaudenti, con le mani rosse di sangue, inneggiavano al suo passaggio, chiamandola “Madre”.
Nella piazza antistante la Grande Piramide erano venuti a raccogliersi i meereenesi, prostrati. Nella luce del mattino, i Grandi Padroni apparivano tutto fuorché grandi. Spogliati dei loro gioielli e dei loro tokar ornati da frange, erano solo da compatire: un branco di vecchi con i testicoli rattrappiti e la pelle chiazzata, mescolati a giovani con ridicole acconciature. Quanto alle loro donne, erano o grasse e flaccide oppure asciutte come rami secchi, con le facce rigate dal belletto sciolto dalle lacrime.
«Voglio i vostri capi» aveva proclamato Daenerys. «Ditemi chi sono e gli altri saranno risparmiati.»
«Quanti?» aveva chiesto una vecchia, singhiozzando. «Quanti ne vuoi perché noi si venga risparmiati?»
«Centosessantatré» era stata la risposta della Madre dei draghi.
Tanti quanti erano stati i bambini inchiodati dagli schiavisti lungo la strada da Yunkai. E centosessantatré Grandi Padroni di un tempo Daenerys aveva fatto inchiodare su pali di legno tutto attorno alla piazza, ogni uomo con il braccio teso a indicare il vicino. Nel dare l’ordine, la rabbia dentro di lei era feroce, ribollente. Una rabbia che l’aveva fatta sentire come un drago vendicatore. Ma più tardi, passando davanti a tutti quegli uomini morenti inchiodati ai pali, udendo i loro lamenti di agonia, sentendo il tanfo delle loro viscere, del loro sangue…
Dany posò la coppa. “Ho fatto la cosa giusta. Sì. L’ho fatto per tutti quei bambini.”
La sala delle udienze si trovava al livello inferiore della piramide, un locale pieno di echi, con il soffitto alto e le pareti di marmo viola. Un luogo grandioso, certo, ma gelido. C’era già un trono, là dentro, un fantasmagorico scranno di legno istoriato, scolpito a forma di arpia infuriata. Quando Daenerys lo vide, diede subito ordine di distruggerlo e farne legna da ardere. “Non intendo sedere in grembo a un’arpia” aveva detto. Aveva quindi preso posto su una semplice panca di legno d’ebano, anche se aveva udito i meereenesi mugugnare che non era degna di una regina.
I suoi cavalieri di sangue la stavano aspettando. Secondo il costume dothraki, portavano campanelli tintinnanti tra i capelli lucidi di olio e indossavano gli ori e i gioielli strappati ai morti. Meereen era ricca al di là di ogni immaginazione. Perfino gli avidi mercenari sembravano essersi sazi, almeno per un po’. Dalla parte opposta della sala, Verme Grigio indossava la spartana uniforme degli Immacolati, l’elmo con il rostro sotto il braccio. Per lo meno quelli erano uomini su cui Daenerys poteva contare, o così sperava… e su Ben Plumm il Marrone, il solido Ben Plumm, con i capelli spruzzati di grigio e il volto scavato, che tanto amava i suoi draghi. E anche su Daario Naharis, in piedi accanto a lui, scintillante d’oro. Daario e Ben Plumm, Verme Grigio, Irri, Jhiqui, Missandei… osservandoli, Dany si chiese chi di loro sarebbe stato il prossimo a tradirla.
“Tre teste ha il drago. E due sono gli uomini al mondo di cui potrò fidarmi… se riuscirò a trovarli. A quel punto, non sarò più sola. Saremo noi tre contro il mondo, come Aegon e le sue sorelle.”
«È stata una notte tranquilla come mi è parso?» esordì Dany.
«Così sembra, maestà» rispose Ben Plumm il Marrone.
Questo le fece piacere. Meereen era stata selvaggiamente saccheggiata, come sempre accadeva alle città conquistate, ma, adesso che era sua, Dany voleva che i saccheggi avessero fine. Aveva decretato che gli assassini fossero impiccati, che ai ladri venisse tagliata una mano e che agli stupratori fosse mutilata la virilità. Già otto penzolavano dalle mura, e gli Immacolati avevano riempito una grossa gerla di mani mozzate e di viscidi vermi molli. Adesso però l’ordine regnava di nuovo a Meereen. “Ma quanto tempo durerà?”
Una mosca le ronzò vicino alla testa. Irritata, Dany cercò di scacciarla. Inutile, la mosca tornò un attimo dopo. «Ci sono troppe mosche in questa città.»
Ben Plumm scoppiò in una risata roca. «C’erano mosche anche nella mia birra, questa mattina. Una l’ho mandata giù.»
«Le mosche sono la vendetta dei morti» disse Daario Naharis con un sorriso, accarezzandosi la punta centrale della barba. «I cadaveri alimentano i vermi e i vermi alimentano le mosche.»
«E allora ci sbarazzeremo dei cadaveri. A cominciare da quelli nella piazza. Verme Grigio, te ne occupi tu?»
«La regina comanda, questo soldato obbedisce.»
«Ehi, Verme, oltre alle pale portatevi dietro anche dei sacchi» suggerì Ben Plumm. «Quelli sui pali sono più che maturi. Perdono pezzi e brulicano di…»
«Lo sa di che cosa brulicano» tagliò corto Dany. «E lo so anch’io.» Continuava a ricordare l’orrore che aveva provato nel vedere la piazza del supplizio ad Astapor. “Sono stata artefice di un orrore altrettanto enorme, anche se i Grandi Padroni certo se lo meritavano. Giustizia brutale, ma pur sempre giustizia.”
«Maestà» intervenne Missandei «i ghiscariani interrano i defunti cui vogliono rendere onore in cripte sotto le loro magioni. Se tu volessi far bollire le ossa e quindi ritornarle ai parenti sarebbe un atto di clemenza.»
“Le vedove mi malediranno lo stesso.” «Che sia, quindi.» Dany si rivolse poi a Daario. «In quanti chiedono udienza questa mattina?»
«Si presentano in due a pascersi nella tua luce.»
A Meereen Daario aveva razziato un intero guardaroba nuovo e, giusto per non tralasciare i cromatismi, si era anche tinto la barba a tridente e i capelli ricci in una tonalità viola scuro, che faceva apparire viola anche i suoi occhi, quasi fosse una sorta di antico valyriano. «Sono arrivati durante la notte a bordo della Stella indaco, una galea mercantile di Qarth.»
“Una galea schiavista, vorrai dire.” Dany aggrottò la fronte. «Chi sono?»
«Il capitano della Stella e un uomo che dichiara di parlare a nome di Astapor.»
«Riceverò per primo l’emissario di Astapor.»
L’emissario in questione si rivelò essere un individuo pallido, con la faccia da furetto e troppe collane di perle e oro lavorato appese al collo.
«Vostra magnificenza!» ululò. «Il mio nome è Ghael. Porto alla Madre dei draghi gli ossequi di re Cleon di Astapor, Cleon il Grande.»
Dany s’irrigidì. «Avevo lasciato a governare Astapor un triumvirato, composto da un guaritore, un sapiente e un prete.»
«Vostra magnificenza, quegli infidi rinnegati hanno tradito la tua fiducia. Si è infatti scoperto che stavano complottando per riportare i Buoni Padroni al potere e il popolo in catene. Ma Cleon il Grande ha smascherato i loro piani, procedendo poi a staccare quelle teste di traditori con una mannaia. Per questo suo atto di valore, il grato popolo di Astapor lo ha incoronato sovrano.»
«Nobile Ghael» intervenne Missandei, nel dialetto di Astapor «stai forse parlando dello stesso Cleon che un tempo era proprietà di Grazdan mo Ullhor?»
Non ci fu alcuna tensione nella risposta dell’emissario, ma la domanda lo mise visibilmente a disagio. «Lui stesso» ammise. «Un grande uomo.»
Missandei si protese verso l’orecchio di Daenerys. «Quel Cleon era il macellaio personale di Grazdan» bisbigliò. «Si diceva che fosse in grado di squartare un maiale più rapidamente di chiunque altro ad Astapor.»
“Ho gettato Astapor nelle grinfie di un re macellaio.” Dany soffocò un’ondata di nausea. Ma sapeva di non potere permettere all’emissario di rendersene conto. «Pregherò affinché re Cleon domini con giustizia e saggezza. Per quale motivo ti manda da me?»
Ghael si fregò la bocca. «Non potremmo parlare più in privato, vostra magnificenza?»
«Non ho segreti per i miei capitani e i miei comandanti.»
«Come desideri. Cleon il Grande mi incarica di proclamare la sua devozione alla Madre dei draghi. I tuoi nemici sono anche i suoi nemici, dice Cleon il Grande, i peggiori tra i quali i Saggi Padroni di Yunkai. Propone quindi una pace tra Astapor e Meereen, alleate contro gli yunkai.»
«Ho giurato che nessun attacco sarebbe stato lanciato su Yunkai se i Saggi Padroni avessero liberato i loro schiavi» disse Dany.
«Non c’è da fidarsi di quei cani di Yunkai, vostra magnificenza. In questo preciso momento, stanno per l’appunto complottando ai tuoi danni. Sono stati eretti nuovi sbarramenti, e ci sono scavi in corso tutto attorno alle mura della città, navi da guerra sono in costruzione, emissarii vengono mandati all’Ovest, a Nuova Ghis e a Volantis, per stringere alleanze e assoldare mercenari. Sono addirittura arrivati al punto di inviare staffette a Vaes Dothrak per scatenarti contro un khalasar. Cleon il Grande però m’incarica di dirti di non avere timore. Astapor ricorda. Astapor non ti rinnegherà. Per dare prova della sua fede in te, Cleon il Grande si offre di suggellare siffatta alleanza con un matrimonio.»
«Un matrimonio? Cleon il Grande vorrebbe sposare me?»
Ghael sorrise, mostrando una fila di denti marroni, marci. «Cleon il Grande ti darà molti figli forti.»
Daenerys restò letteralmente senza parole. Fu la piccola Missandei a venirle in aiuto. «Anche la sua prima moglie gli ha dato dei figli?»
L’emissario la guardò con aria afflitta. «Dalla prima moglie, Cleon il Grande ha avuto tre figlie femmine. Due delle sue nuove mogli sono entrambe in attesa di un bambino. È però decisione del sovrano mettere tutte queste mogli da parte nel momento in cui la Madre dei draghi acconsentirà a sposarlo.»
«Molto nobile da parte sua» riprese Dany. «Valuterò quanto mi hai detto, mio signore.» Diede ordine di dare a Ghael un alloggio per la notte, da qualche parte nei piani inferiori della piramide.
“Tutte le mie vittorie non fanno altro che tramutarsi in fango” pensò. “Qualsiasi cosa io faccia, il risultato è solo morte e orrore.” Nel momento in cui la notizia della caduta di Astapor nelle mani di Cleon avesse raggiunto le strade, come per certo sarebbe accaduto, decine di migliaia di schiavi meereenesi liberati si sarebbero accodati a lei nella sua marcia verso occidente, per timore di quanto avrebbe potuto accadere loro se fossero rimasti… Ma la marcia avrebbe potuto rivelarsi molto peggiore del ritorno in schiavitù. Anche se Daenerys avesse svuotato tutti i granai della città riducendo Meereen alla fame, come sarebbe riuscita a nutrire una simile moltitudine? Il futuro davanti a lei si prospettava come un caos di brutalità, bagni di sangue, pericoli. Ser Jorah l’aveva avvertita. L’aveva avvertita anche di molte altre cose… lui… “No, non voglio pensare a Jorah Mormont Che si roda ancora per un po’.”
«Fate ora entrare il capitano della nave» annunciò Daenerys. Chissà che non portasse notizie migliori.
Ma anche questa si rivelò una vana speranza. Il capitano della Stella indaco era di Qarth, e questo lo portò a lamentarsi duramente quando gli venne chiesto di Astapor.
«La città sanguina, mia regina. Cadaveri insepolti giacciono a marcire nelle strade, ogni piramide si è trasformata in un accampamento in armi e i mercati non hanno da vendere cibo né schiavi. E i poveri bambini, poi!… Gli scherani del re Mannaia si sono impossessati di tutti i bambini di lignaggio di Astapor per farne Immacolati da rivendere, anche se ci vorranno anni prima che il loro addestramento sia completato.»
La cosa che Daenerys trovò sorprendente fu di non trovare niente di tutto questo in alcun modo sorprendente. Le torno alla memoria la fine che aveva fatto Eroeh, la ragazzina del popolo lazarheen che lei aveva inutilmente cercato di salvare dopo l’ultimo assalto del khalasar di Drogo, prima che Mirri Maz Duur le portasse via il suo sole-e-stelle. “Nel momento in cui me ne andrò da qui, anche Meereen farà la stessa fine.” Gli schiavi delle fosse da combattimento, nutriti e addestrati per il massacro, stavano già rivelandosi indisciplinati e pronti a provocare disordini. Sembravano pensare di essere diventati i padroni della città. E non solo della città ma anche di tutti gli uomini e le donne che conteneva. C’erano due di loro tra gli otto finiti impiccati “Non c’è nulla di più che io possa fare” Dany ripeté a se stessa.
«Che cosa desideri da me, capitano?»
«Schiavi» fu la risposta. «Ho le stive strapiene di avorio, ambra grigia, pelli di zorza e altre merci pregiate. Sono pronto a scambiarle contro schiavi da rivendere nelle città libere di Lys e Volantis.»
«Non abbiamo schiavi da vendere» rispose Daenerys.
«Mia regina» intervenne Daario facendosi avanti. «Il lungofiume è pieno di meereenesi che implorano tua licenza di poter vendere loro stessi agli uomini di Qarth. Sono più numerosi delle mosche su una carcassa.»
Dany rimase allibita. «Vogliono essere schiavi?»
«Quelli che lo chiedono sono istruiti e di nobili natali, dolce regina. Schiavi come loro vengono venduti a un prezzo elevato. Nelle città libere saranno tutori, scribi, schiavi di piacere, addirittura guaritori e preti. Dormiranno in morbidi letti, mangeranno cibi prelibati e vivranno in belle magioni. Qui hanno perso ogni cosa, e vivono nel terrore di una squallida esistenza.»
«Capisco.» Forse non era poi così sconvolgente, se le storie che giravano su Astapor erano vere. Dany ci pensò su un momento. «Allora, l’uomo che decide di vendere se stesso come schiavo è libero di farlo. Questo vale anche per le donne.» Alzò una mano. «Ma non sarà permesso loro di vendere i figli, né ai mariti di vendere le mogli.»
«Ad Astapor» intervenne nuovamente Missandei «alla città spettava la decima parte del prezzo pagato per ogni schiavo che cambiava proprietario.»
«Noi faremo lo stesso» decise Dany. Per vincere le guerre non bastavano le spade, ci voleva anche l’oro. «La decima parte in oro o conio d’argento, oppure in avorio. Meereen non ha bisogno di zafferano, chiodi di garofano o pelli di zorza.»
«Sarà fatto come tu comandi, gloriosa regina» affermò Daario. «I miei Corvi della Tempesta riscuoteranno le tue decime.»
Se fossero stati i Corvi della Tempesta a procedere alla riscossione, almeno metà di quell’oro sarebbe in qualche modo svanita nel nulla. Ma i Secondi Figli non erano da meno, quanto agli Immacolati erano sì incorruttibili ma anche analfabeti.
«Verranno tenuti libri contabili» risolse Daenerys. «Tra i liberti cercate uomini in grado di leggere, scrivere e fare di conto.»
Terminate le contrattazioni, il capitano della Stella indaco s’inchinò e lasciò la sala. Dany si agitò a disagio sulla panca di legno d’ebano. Temeva visceralmente quello che adesso doveva affrontare, ma sapeva anche di aver tardato fin troppo. Yunkai e Astapor, minacce di guerra, proposte di matrimonio, la marcia verso occidente che incombeva… “Ho bisogno dei miei cavalieri, ho bisogno delle loro spade, ho bisogno del loro consiglio.” Eppure, alla sola idea di rivedere Jorah Mormont le sembrava di avere appena inghiottito un intero mestolo di mosche, quelle mosche feroci, agitate e viscide che calavano formando nere nubi sui corpi in decomposizione. Poteva quasi sentirle ronzare nel proprio ventre. “Io sono sangue di drago. Devo essere forte. E quando li affronterò, nei miei occhi dovranno esserci fiamme, non lacrime.”
«Dite a Belwas di fare entrare i miei cavalieri» comandò Dany prima di cambiare idea. «I miei valorosi cavalieri.»
Belwas il Forte, con il fiato corto a causa delle scale della piramide, li spinse a varcare il portale, tenendoli ognuno per un braccio con le sue grosse mani. Ser Barristan entrò a testa alta, mentre ser Jorah si avvicinò tenendo lo sguardo a terra. “Uno è orgoglioso, l’altro si vergogna.”
L’anziano guerriero un tempo conosciuto come Arstan Barbabianca si era tagliato la fluente barba cui doveva il soprannome. Senza di essa, appariva di dieci anni più giovane. Viceversa, l’orso calvo di Dany sembrava di dieci anni più vecchio. Si fermarono di fronte alla panca. Belwas il Forte arretrò, rimanendo a torreggiare nella sala, con le braccia conserte sul torace cosparso di cicatrici.
Ser Jorah si schiarì la gola. «Khaleesi…»
Quanto le era mancata la sua voce, ma Daenerys doveva essere rigorosa. «Silenzio. Sarò io a dirti quando ti sarà consentito parlare.» Si alzò. «Quando vi inviai nelle fogne di Meereen, una parte di me sperava che non vi avrei mai più visti. Mi sembrava una fine adatta a dei mentitori: annegare nel liquame degli schiavisti. Avevo supposto che sarebbero stati gli dèi a fare i conti con voi. Invece siete tornati. Ecco qua, i miei valorosi cavalieri delle terre d’Occidente: un informatore e un voltagabbana. Mio fratello vi avrebbe impiccati entrambi.» O, quanto meno, suo fratello Viserys lo avrebbe fatto di certo. Dany però non aveva idea di come si sarebbe comportato l’altro fratello che non aveva mai conosciuto, Rhaegar. «Devo però ammettere che mi avete aiutato a conquistare questa città…»
Le labbra di ser Jorah si serrarono. «Abbiamo conquistato noi questa città. Noi topi di fogna.»
«Silenzio» ordinò di nuovo Dany… Ma era la verità.
Mentre il Cazzo di Joso e gli altri arieti di sfondamento percuotevano le porte di Meereen e gli arcieri scatenavano una grandine di frecce incendiarie oltre le mura, Daenerys aveva inviato con il favore delle tenebre duecento uomini lungo il fiume a dare fuoco ai relitti nel porto: solo un diversivo per celare i loro veri intenti. Mentre gli sguardi dei difensori si concentravano sulle navi in fiamme, alcuni temerari avevano raggiunto a nuoto le imboccature delle fogne e avevano divelto le grate di ferro che le chiudevano. Ser Jorah, ser Barristan, Belwas il Forte e una ventina di folli coraggiosi erano scivolati nelle acque fetide e poi su per i tunnel di mattoni. Un gruppo composto da mercenari, Immacolati e liberti. Dany aveva dato ordine di scegliere solo uomini senza famiglia e, preferibilmente, anche senza olfatto.
Oltre che coraggiosi, quegli uomini erano stati anche fortunati. Non pioveva da almeno un ciclo di luna, e nei condotti delle fogne l’acqua arrivava solamente al livello delle cosce. I panni oleati in cui avevano avvolto le torce le avevano tenute all’asciutto, permettendo loro di avere la luce. I liberti erano stati terrorizzati dagli enormi ratti, ma solo fino a quando Belwas il Forte ne aveva preso uno e lo aveva squarciato a morsi. Un uomo era stato ucciso da un grosso rettile albino, che dopo essere schizzato fuori dalle acque torbide lo aveva trascinato via per una gamba. Ma quando altre increspature erano apparse, ser Jorah aveva fatto a pezzi il mostro con la spada. La squadra delle fogne era incappata in alcuni vicoli ciechi, ma una volta raggiunta la superficie, Belwas il Forte li aveva guidati alla più vicina fossa da combattimento. Le poche guardie erano state prese di sorpresa e gli schiavi erano stati liberati dalle catene. Nel giro di un’ora, metà degli schiavi da combattimento di Meereen era in rivolta.
«Voi mi avete aiutato a conquistare questa città» ripeté Daenerys con ostinazione «e mi avete servito bene in passato. Ser Barristan mi ha salvato dal Bastardo del Titano e dall’Uomo del Dispiacere di Qarth. Ser Jorah mi ha salvato dall’avvelenatore a Vaes Dothrak e di nuovo dai cavalieri di sangue di Drogo dopo che il mio sole-e-stelle era morto.» Erano così tanti a volerla morta che a volte Dany perdeva il conto. «E pur con tutto questo voi mi avete mentito, mi avete ingannata, mi avete tradita.» Si rivolse a ser Barristan. «Tu hai protetto mio padre per molti anni, hai combattuto a fianco di mio fratello sul Tridente, ma alla fine hai abbandonato Viserys al suo esilio e hai fatto atto di sottomissione all’Usurpatore. Perché? E che sia la verità.»
«Certe verità sono difficili da ascoltare. Robert Baratheon, che tu chiami l’Usurpatore… lui era… un bravo cavaliere… onorevole, coraggioso. Risparmiò la mia vita, e quella di molti altri… Il principe Viserys era solo un ragazzo, e sarebbero passati anni prima che potesse raggiungere l’età per dominare, inoltre… Perdonami, mia regina, ma sei tu a volere la verità… Fin da bambino, molto diversamente da Rhaegar, tuo fratello Viserys dimostrò spesso di essere il degno figlio di suo padre.»
«Il degno figlio di suo padre?» Dany corrugò la fronte. «Che cosa significa?»
Il vecchio cavaliere non abbassò lo sguardo. «Nelle terre d’Occidente, tuo padre è chiamato “il re folle”. Nessuno te lo ha mai detto?»
«Me lo disse Viserys.» “Il re folle.” «Ma era l’Usurpatore a chiamarlo a quel modo. L’Usurpatore e i suoi cani.» “Il re folle.” «Era una menzogna.»
«A quale scopo volere la verità» rispose ser Barristan a voce bassa «per poi essere sordi a essa?» Esitò. Poi riprese. «Ti ho detto di avere usato un nome falso in modo che i Lannister non sapessero che mi ero unito a te. Ma questa è solo una parte della storia. La verità è che volevo osservarti per qualche tempo prima di prestare giuramento al tuo cospetto con la mia spada. In modo da essere certo che tu non fossi…»
«…degna figlia di mio padre?» Ma se non era la figlia di suo padre, chi era?
«…folle» completò Barristan. «Ma non vedo storture in te.»
«Storture?» Dany s’irrigidì.
«Non sono un maestro della Cittadella che sappia citarti la storia, maestà. Ho dedicato la vita alle spade, non ai libri. Ma ogni bambino sa che i Targaryen hanno sempre danzato troppo vicino alla follia. E tuo padre non fu certo il primo. Re Jaehaerys una volta mi disse che follia e grandezza sono le due facce della stessa moneta. Ogni volta che nasce un nuovo Targaryen, disse, gli dèi lanciano in aria quella moneta, e il mondo trattiene il fiato aspettando di vedere su quale faccia cadrà.»
“Jaehaerys. Questo vecchio conosceva mio nonno.” Questo pensiero le impose una battuta d’arresto. La maggior parte di quello che lei sapeva delle terre d’Occidente proveniva da suo fratello Viserys, il resto da ser Jorah. Ser Barristan doveva sapere molto più di loro due messi assieme. “Quest’uomo può rivelarmi quali sono le mie origini.” «Quindi sarei una moneta nelle mani di qualche dio, è questo che stai cercando di dirmi, ser?»
«No» rispose ser Barristan. «Tu sei l’erede di diritto al trono dell’Occidente. Se tu dovessi decretare che sono degno di portare una spada, rimarrò il tuo fedele cavaliere fino alla fine dei miei giorni. In caso contrario, sarò lieto di servire Belwas il Forte quale suo scudiero.»
«E se invece io decretassi che sei degno solamente di essere il mio giullare?» chiese Dany cupamente. «Oppure il mio cuoco?»
«Ne sarei comunque onorato, maestà» replicò Selmy con quieta dignità. «So cuocere mele e bollire manzo bene come chiunque altro, e ho arrostito innumerevoli anatre alla fiamma dei bivacchi. Mi auguro che ti piacciano ben irrorate d’olio, con la pelle abbrustolita e le ossa al sangue.»
La sua risposta la fece sorridere. «Dovrei essere impazzita per mangiare una simile pietanza» commentò Daenerys. «Ben Plumm, dai a ser Barristan la tua spada lunga.»
Ma Barbabianca non l’accettò. «Gettai la mia spada ai piedi di Joffrey in segno di disprezzo, e da quel giorno non ne ho più toccata un’altra. Sarà solo dalle mani della mia regina che riceverò la lama che tornerò a impugnare.»
«Come desideri.» Dany prese la spada di Ben Plumm e la offrì a Barristan dalla parte dell’impugnatura. L’anziano guerriero la prese con deferenza. «Ora inginocchiati» gli disse. «E presta giuramento di servirmi.»
Ser Barristan mise un ginocchio a terra, depose la lama al cospetto di Daenerys e pronunciò le parole di rito. Parole che lei udì a malapena. “Fin qui è stato facile” pensò. “Il difficile viene adesso.” Quando ser Barristan ebbe finito, la Madre dei draghi si rivolse a ser Jorah Mormont.
«Ora a te, ser. La verità.»
Quell’uomo grande e grosso aveva il collo arrossato. Dany non capiva se per l’ira o per la vergogna. «Ho già cercato di dirti la verità, cento e cento volte. Ti dissi che Arstan era più di quanto non sembrasse. Ti ho avvertita che di Xaro e Pyat Pree non c’era da fidarsi. Ti ho messo in guardia…»
«Mi hai messo in guardia da chiunque, eccetto che da te stesso.» La sua insolenza la faceva infuriare. “Dovrebbe essere più umile, e implorare il mio perdono.” «Non fidarti di nessuno, mi dicevi, tranne che di Jorah Mormont… invece per tutto il tempo sei stato una creatura del Ragno tessitore!»
«Io non sono la creatura di nessuno. Ho preso l’oro dell’eunuco, è vero. Ho imparato certi codici e scritto alcuni messaggi, ma questo è tutto…»
«Questo è tutto? Tu mi hai spiata, mi hai venduta ai miei nemici!»
«Per qualche tempo l’ho fatto» ammise Jorah a denti stretti. «Ma poi mi sono fermato.»
«Quando? Quando ti saresti fermato?»
«Ho inviato un messaggio da Qarth, ma…»
«Da Qarth?» Dany aveva sperato che la cosa si fosse interrotta molto prima. «E che cosa hai scritto da Qarth? Che eri diventato un mio uomo? Che non volevi più fare parte dei loro complotti?» Ser Jorah non riuscì a incontrare i suoi occhi. «Quando khal Drogo morì, tu mi chiedesti di venire con te a Yi Ti e al mare di Giada. Si trattava di un tuo desiderio, o di Robert l’Usurpatore?»
«Lo dissi per proteggerti» insistette il cavaliere. «Per tenerti lontana da loro. Sapevo con quali serpenti avevamo a che fare…»
«Serpenti? E tu invece che cosa saresti, ser?» Di colpo, un’intuizione terribile affiorò nella memoria di Daenerys. «Tu gli hai detto che avevo nel ventre il figlio di Drogo…»
«Khaleesi…»
«Non pensare di negarlo, ser» intervenne ser Barristan in tono sferzante. «Ero presente quando l’eunuco lo comunicò al Concilio ristretto e Robert Baratheon decretò che sua maestà e il bimbo dovevano morire. La fonte dell’informazione eri tu, ser. Venne addirittura discussa la possibilità che fossi tu a perpetrare il crimine, in cambio del perdono reale.»
«Menzogna.» Un’ombra scivolò sul volto di ser Jorah. «Io non avrei mai… Daenerys, fui io a impedirti di bere quel vino, a Vaes Dothrak.»
«È vero. Ma come facevi a sapere che quel vino era avvelenato?»
«Io… lo sospettavo, ecco. La carovana portava un messaggio di Varys, in cui mi avvertiva che ci sarebbero stati attentati alla tua vita. L’eunuco voleva che tu venissi sorvegliata, questo sì, ma non che ti venisse fatto del male.» Jorah si mise in ginocchio di fronte a lei. «Se non fossi stato io a dirglielo, lo avrebbe fatto qualcun altro, lo sai.»
«Io so che tu mi hai tradito.» Dany si sfiorò il ventre, dove suo figlio Rhaego aveva cessato di vivere. «So che un assassino ha cercato di avvelenare mio figlio, a causa tua. Ecco quello che so!»
«No… no…» Mormont scosse la testa. «Io non ho mai voluto… perdonami. Tu devi perdonarmi.»
«Io devo?»
Ormai era troppo tardi. “Avrebbe dovuto cominciare supplicando il mio perdono.” Adesso, Dany non poteva più perdonarlo come era stato suo intendimento all’inizio. Aveva legato dietro al suo cavallo l’assassino che aveva cercato di avvelenarla, e lo aveva trascinato a marciare nudo nel mare dothraki fino a quando di lui non era rimasto più niente. L’uomo che aveva indirizzato quell’assassino fino a Vaes Dothrak non meritava forse di fare la stessa fine? “Questo è Jorah, il mio fiero orso, il mio braccio destro che mai ha esitato. Senza di lui, sarei morta, eppure…”
«Non posso perdonarti» disse Daenerys. «Non posso.»
«Hai perdonato il vecchio Barristan…»
«L’unica cosa su cui il vecchio Barristan ha mentito è stata il suo nome. Mentre tu… tu hai venduto i miei segreti agli uomini che hanno ucciso mio padre e usurpato il trono di mio fratello.»
«Io ti ho protetta. Ho combattuto per te. Ho ucciso per te.»
“Mi hai baciata” pensò Dany “e mi hai tradita.”
«Sono sceso in quelle fogne come un topo, per te.»
“Avresti dovuto morire, in quelle fogne. Sarebbe stato un destino più tollerabile.” Ma Dany non lo disse. Non disse nulla. Non c’era più nulla da dire.
«Daenerys» non cedette Jorah Mormont «io ti ho amata.»
Ecco la verità conclusiva. “Tre tradimenti tu dovrai conoscere.” Così l’avevano avvertita gli Eterni di Qarth. “Uno per il sangue, uno per l’oro, uno per l’amore.”
«Gli dèi non fanno nulla senza uno scopo, dicono i preti e i septon. Tu non sei caduto in battaglia, ser, per cui gli dèi devono avere ancora qualche proposito per te. Io invece non ne ho più alcuno. E non intendo averti più vicino a me. Tu sei bandito, ser. Torna dai tuoi padroni ad Approdo del Re, a riscuotere il perdono reale. Oppure torna ad Astapor. Non dubito che il re macellaio avrà bisogno di cavalieri.»
«No.» Jorah allungò una mano verso di lei. «Daenerys, ti prego, ascoltami…»
Lei allontanò la sua mano con un colpo secco. «Mai più, ser. Non considerare di toccarmi mai più, né di pronunciare il mio nome. Ti è concesso fino all’alba di domani per raccogliere le tue cose e lasciare questa città. Se la luce del nuovo giorno ti troverà ancora a Meereen, darò ordine a Belwas il Forte di staccarti la testa. E stai certo che lo farò.» Dany girò su se stessa, voltandogli le spalle, con le sete che le svolazzavano attorno. “Non posso tollerare di guardarlo in faccia.” «Togliete questo mentitore dalla mia vista» ordinò.
“Non devo piangere, no. Se accadesse, finirei con il perdonarlo.” Belwas il Forte afferrò ser Jorah per un braccio e lo trascinò fuori dalla sala. Quando Dany si voltò di nuovo, il cavaliere barcollava come un ubriaco, arrancando, incespicando. Distolse lo sguardo fino a quando non udì le porte che si aprivano e quindi si richiudevano. Si lasciò cadere di nuovo sulla panca d’ebano. “Anche lui è andato, quindi. Mio padre, mia madre, i miei fratelli, ser Willem Darry, che mi salvò la vita, Drogo, che era il mio sole-e-stelle, suo figlio, che morì dentro di me, e ora ser Jorah…” Tutti andati, svaniti.
«La magnifica regina è di buon cuore.» Tra i baffi e la barba viola scuro, la voce di Daario Naharis era un sussurro. «Ma adesso quell’uomo è più pericoloso di tutti gli Oznak e i Mero messi assieme.» Le forti mani del guerriero mercenario accarezzarono le impugnature dei suoi due arakh identici, a forma di laide donne dorate. «Non è neppure necessario che tu dica qualcosa, mio splendore. Concedi solo un cenno impercettibile, e il tuo Daario ti porterà il suo brutto cranio pelato.»
«Lascia che vada. La bilancia è tornata in equilibrio, adesso. Lascia che faccia ritorno a casa» rispose la regina. E nella sua mente, Dany vide l’immagine di Jorah che camminava tra vecchie querce contorte e alti pini, superando cespugli di rovi in fiore, grigie pietre ammantate di muschio e piccoli torrenti che scendevano da ripide colline. Lo vide entrare in una sala costruita con enormi tronchi, dove i cani dormivano vicino al focolare, l’aria era satura dell’odore penetrante della carne e della birra al malto.
Daenerys Targaryen congedò i suoi capitani: «Per ora abbiamo finito».
Dovette fare appello a tutte le proprie forze per non precipitarsi di corsa su per le grandi scalinate di marmo della piramide. Irri l’aiutò a uscire dagli abiti che aveva indossato all’udienza, porgendole qualcosa di più confortevole: larghe brache di lana, ampia tunica felpata, gilè dothraki dipinto.
«Khaleesi, stai tremando» rilevò l’ancella mentre si chinava ad allacciarle i sandali.
«Ho freddo» mentì Dany. «Portami il libro che stavo leggendo la notte scorsa.»
Voleva perdersi nelle parole, voleva svanire in altri tempi, in altri luoghi. Lo spesso volume rilegato in cuoio era pieno di canti e di racconti dei Sette Regni. Favole per bambini, a dire il vero, troppo semplici e gloriose per essere storia reale. Tutti gli eroi erano alti e avvenenti, tutti i traditori erano riconoscibili dallo sguardo infido. Eppure Dany amava molto quei testi. La notte precedente aveva letto delle tre principesse nella torre rossa, imprigionate dal re perché colpevoli di essere belle.
Dopo che Irri le ebbe portato il libro, Dany non ebbe difficoltà a ritrovare il punto in cui aveva interrotto la lettura, ma nemmeno questo le fu di aiuto. Si ritrovò a rileggere sempre lo stesso passaggio dieci volte. “Fu ser Jorah a darmi questo libro come dono di nozze, il giorno in cui andai in sposa a khal Drogo. Daario però ha ragione, non avrei dovuto limitarmi a bandirlo. Avrei dovuto tenerlo con me. Oppure ucciderlo.” Giocava a fare la regina, ma a volte si sentiva ancora la ragazzina spaventata nella magione di Pentos. “Viserys ripeteva sempre che ero una stupida. Era davvero pazzo?” Richiuse il libro. Era ancora in tempo per richiamare ser Jorah, se desiderava farlo. Oppure per mandare Daario Naharis ad assassinarlo.
Un dilemma cui Daenerys sfuggì uscendo sulla terrazza. Trovò Rhaegal addormentato vicino alla fontana, un viluppo di verde e di bronzo intento a crogiolarsi al sole. Drogon era appollaiato sulla sommità della piramide, dove un tempo sorgeva l’arpia di bronzo degli schiavisti prima che Dany desse l’ordine di abbatterla. Nel vederla apparire, il drago nero allargò le ali e ruggì. Di Viserion non c’era traccia, ma avvicinandosi alla balaustra e scrutando l’orizzonte, Dany vide pallide ali agitarsi molto lontano, in planata sul fiume. “Sta andando a caccia. Ogni giorno che passa, i miei draghi si fanno sempre più temerari.” Ma lei continuava a sentirsi in ansia quando si allontanavano troppo. “Un giorno, uno di loro potrebbe non tornare…”
«Maestà?»
Si voltò. Alle sue spalle c’era ser Barristan. «Che altro vuoi da me, ser? Ti ho risparmiato, ti ho accolto al mio servizio, ora concedimi un po’ di riposo.»
«Perdonami, maestà. È solo che… ora che hai appreso chi sono…» L’anziano guerriero esitò. «Un cavaliere della Guardia reale resta vicino al sovrano giorno e notte. Per questa ragione, il nostro giuramento ci impone di proteggere i suoi segreti così come proteggiamo la sua vita. Ma adesso, per diritto di nascita, i segreti di tuo padre appartengono a te, assieme al suo trono, e… ecco, speravo che tu avessi domande da farmi.»
“Domande?” Aveva centinaia, migliaia, decine di migliaia di domande. Perché non gliene veniva in mente nemmeno una? «Mio padre…» iniziò Dany balbettando «…era veramente folle?» “Perché glielo chiedo?” «Secondo Viserys, la storia della follia era un complotto ordito dall’Usurpatore…»
«Viserys era un ragazzo, e la regina lo teneva al riparo di molte cose come meglio poteva. C’era sempre stato un seme di follia in tuo padre, così ora ritengo. Ma a volte re Aerys sapeva anche essere affascinante e generoso, per cui le sue intemperanze venivano perdonate. Il suo regno cominciò in modo molto promettente. … Ma poi gli anni passarono, e quelle intemperanze si fecero sempre più frequenti, fino a che…»
Dany lo interruppe. «Devo veramente sapere, qui e ora?»
Ser Barristan rifletté per qualche momento. «Forse no. Forse non ora.»
«Non ora» concordò Dany. «Un giorno a venire. Quel giorno, tu mi dirai tutto. Il bene e il male. Ci deve essere stato anche del bene in mio padre, vero?»
«C’era, maestà. In lui, e anche in coloro che vennero prima di lui. Tuo nonno Jaehaerys e suo fratello, il loro padre Aegon, tua madre e… tuo fratello Rhaegar. In Rhaegar soprattutto.»
«Vorrei averlo conosciuto.» C’era rimpianto nella voce di Dany.
«Vorrei che lui avesse potuto conoscere te» replicò l’anziano cavaliere. «Quando sarai pronta, ti dirò ogni cosa.»
Dany si protese a dargli un bacio sulla guancia e lo congedò.
Quella sera, le sue ancelle le portarono agnello con insalata di uva passa e carote annegata nel vino, e pane caldo morbido imbevuto di miele. Cena di cui Dany non riuscì a mandare giù nulla. “Anche Rhaegar era diventato così guardingo?” si domandò. “Anche Aegon il Drago, quando completò la grande conquista?”
Più tardi, quando arrivò il momento di dormire, Dany accolse Irri nel proprio letto. Era la prima volta che accadeva dal loro incontro a bordo della nave. Ma perfino al culmine del piacere, mentre le sue dita affondavano nei folti capelli neri dell’ancella, Dany continuò a immaginare che fosse Drogo ad abbracciarla. Solo che… il volto di Drogo non cessava di mutare in quello di Daario Naharis. “Se è Daario che desidero, non ho che da dirlo.” Rimase sdraiata, con le gambe di Irri intrecciate alle sue. “Oggi i suoi occhi sembravano quasi viola…”
Dany fece sogni oscuri, quella notte. Per tre volte si svegliò in preda a incubi solo vagamente distinguibili. Dopo il terzo brusco risveglio, si sentì troppo agitata per rimettersi a dormire. La luce della luna penetrava dalle finestre oblique, dipingendo d’argento i pavimenti di marmo. Una fresca brezza soffiava dalle grandi finestre della terrazza rimaste aperte. Irri dormiva profondamente, con le labbra appena dischiuse, uno dei suoi scuri capezzoli marrone spuntava dalla tunica di seta. Per un momento, Dany fu nuovamente tentata. Ma era Drogo che desiderava, o Daario. Non Irri. L’ancella dothraki era delicata e abile, ma i suoi baci avevano il gusto del dovere.
Daenerys si alzò, lasciando Irri addormentata nel chiarore della luna. Jhiqui e Missandei dormivano nei loro letti. Dany indossò una vestaglia, scivolò a piedi nudi sul marmo e uscì sulla terrazza. L’aria era fredda, ma le piaceva sentire l’erba contro la pelle, e ascoltare le foglie che sussurravano le une con le altre. Il vento faceva increspare in un susseguirsi di onde l’acqua nella vasca della fontana, dove era anche possibile bagnarsi. In essa, i raggi della luna si spezzavano, si frantumavano, tornavano ad aggregarsi.
Dany si appoggiò al basso parapetto di mattoni, osservando la città sotto di lei. Anche Meereen dormiva. “Forse perduta in sogni di giorni migliori.” La notte avvolgeva le strade come un nero sudario, celando i cadaveri insepolti e i grossi ratti grigi emersi dalle fogne per divorarli, celando gli sciami di mosche ronzanti. Torce lontane scintillavano rosse e arancione, dove montavano la guardia le sentinelle. Qua e là, nei vicoli, si distingueva il chiarore ondeggiante di lanterne in movimento. Forse ser Jorah Mormont reggeva una di quelle lanterne, conducendo lentamente il suo cavallo verso una delle porte della città. “Addio, Vecchio Orso. Addio, traditore.”
Lei era Daenerys Targaryen, nata dalla tempesta, la Non-bruciata, khaleesi e regina, Madre dei draghi, sterminatrice di stregoni, distruttrice di catene. Ma, a dispetto di tutto questo, non esisteva nessuno al mondo di cui lei potesse fidarsi.
«Maestà?» Missandei era al suo fianco, avvolta in una tunica, sandali di legno ai piedi. «Mi sono svegliata, e ho visto che non c’eri. Non riesci a dormire? Che cosa stai guardando?»
«La mia città» rispose Dany. «Cercavo una casa con una porta rossa. Ma di notte tutte le porte sono nere.»
«Una porta rossa?» Missandei era perplessa. «Che casa è mai questa?»
«Nessuna. Non ha importanza.» Dany prese la ragazzina per mano. «Non mentirmi mai, Missandei. Non tradirmi mai.»
Dalla linea dell’orizzonte fino allo zenit, il cielo aveva assunto una tonalità blu cobalto. Oltre il profilo delle basse colline a oriente cominciava ad apparire un debole chiarore, oro pallido e rosa ostrica. Dany continuò a tenere Missandei per mano mentre tutte e due osservavano il sorgere del sole. Davanti ai loro occhi, le sabbie scarlatte delle fosse da combattimento si tramutarono in piaghe sanguinanti. Altrove, la cupola dorata del Tempio delle Grazie scintillava vivida. Stelle di bronzo baluginavano lungo le mura, là dove i raggi del sole nascente intercettavano i rostri di bronzo sugli elmi degli Immacolati. Sulla terrazza, poche mosche si agitarono pigramente. Sull’albero di cachi, un uccello si mise a cinguettare, imitato da altri due. Dany inclinò la testa di lato, cercando di distinguere le note del loro canto. Ma non ci volle molto perché i rumori della città che si risvegliava inghiottissero ogni altro suono. “I rumori della mia città.”
Quel mattino, invece di scendere nella sala delle udienze di marmo viola, Daenerys riunì i suoi capitani e i comandanti nel giardino pensile della piramide
«Sulle terre d’Occidente» esordì la Madre dei draghi «tramutando le parole di Targaryen in dura realtà, Aegon il Conquistatore scatenò fuoco e sangue. Ma in seguito portò pace, prosperità, giustizia. Tutto quello che io ho portato alla baia degli Schiavisti è morte e rovina. Più che una regina, sono stata un khal dothraki, intento a distruggere e a depredare, pronto a passare oltre alla fine della devastazione.»
«Qui non c’è nulla per cui valga la pena di restare» disse Ben Plumm il Marrone.
«Maestà» aggiunse Daario Naharis «sono stati gli schiavisti a fare sì che la devastazione si abbattesse su di loro.»
«E tu hai anche portato la libertà» intervenne Missandei.
«La libertà di agonizzare per la fame?» ribatté Dany in tono secco. «La libertà di morire? Che cosa sono io, un drago o un’arpia?» “Sono forse anch’io pazza come lo era mio padre? Ho anch’io qualche stortura?”
«Un drago» affermò ser Barristan senza alcuna esitazione. «Meereen però non è le terre d’Occidente, maestà.»
«Ma come potrò dominare sui Sette Regni se non riesco neppure a governare una singola città?» Dilemma cui Barristan non seppe trovare risposta. Dany voltò loro le spalle, tornando a spaziare con lo sguardo sulla città. «I miei figli hanno bisogno di tempo per guarire e per imparare. I miei draghi hanno bisogno di tempo per crescere e per sviluppare le loro ali. E anch’io ho bisogno di tempo. Non permetterò che questa città segua lo stesso destino di Astapor. E non permetterò all’arpia di Yunkai di rimettere nuovamente in catene quelli che ho liberato.» Si girò di nuovo verso di loro. «Io non marcerò verso occidente.»
«E allora, Jkhaleesi, che cosa farai?» chiese Rakharo.
«Mi fermerò» rispose Daenerys. «Dominerò e sarò una vera regina.»