Domenica 31 ottobre
Halloween cominciò con un’alba tersa e frizzante, che decorò di incrostazioni di ghiaccio le zucche esposte sui davanzali e sulle verande. Nikki si svegliò sentendosi fisicamente bene e l’atmosfera festiva l’aiutò a sentirsi meglio anche moralmente. Era dall’inizio della settimana che Angela aveva messo da parte dolciumi e frutta per i bambini che sarebbero venuti a suonare alla porta.
Ormai aveva perso interesse ad andare in chiesa, non volendo più inserirsi nella comunità di Bartlet, e rifiutò anche l’idea di David di andare ugualmente a fare la prima colazione all’Iron Horse Inn.
Così rimasero a casa e, dopo colazione, Nikki cominciò a diventare irrequieta, perché avrebbe voluto anche lei andare in giro con gli altri bambini a chiedere dolci nelle case. Con quel freddo, però, sua madre non era per niente d’accordo e arrivarono a un compromesso: David andò in città a comprarle una zucca, mentre loro due preparavano la casa in modo da accogliere degnamente i bambini che sarebbero arrivati.
Riempirono fino all’orlo di cioccolatini una grossa insalatiera di vetro e la misero nell’ingresso, su un tavolino accanto alla porta, poi si misero a preparare decorazioni di carta colorata.
Angela, vedendo che la figlia era tutta presa dal lavoro, la lasciò per telefonare a Robert Scali.
«Sono contento che tu abbia chiamato», le disse lui. «Ho trovato altri dati finanziari, come ti avevo promesso.»
«Grazie, ma avrei un’altra richiesta da farti. Potresti arrivare ai dossier sul servizio militare?»
«Ehi, hai una bella pretesa! È molto più difficile introdursi nelle banche date militari. Penso che potrei ottenere un po’ d’informazioni generali, ma dubito di poter arrivare a dati riservati, a meno che l’ex collega di Peter sia in collegamento con il Pentagono, ma ne dubito.»
«Capisco.»
«Ma non arrediamoci subito. Adesso chiamo Peter e ti ritelefono entro pochi minuti.»
Angela ritornò da Nikki e vide che aveva ritagliato una grande luna arancione e ora stava per ritagliare la silhouette di una strega a cavalcioni di una scopa. Rimase ammirata e si chiese da chi avesse preso, perché né lei né David erano dotati di talento artistico.
David ritornò con una zucca enorme e Nikki ne fu elettrizzata. Coprirono il tavolo di cucina con fogli di giornale e poi padre e figlia la svuotarono all’interno per farla diventare una lanterna. Angela rimase a guardarli finché il telefono squillò. Era Robert.
«Brutte notizie», le comunico. «L’amica di Peter non ci può essere d’aiuto. Io però sono riuscito a ottenere qualche informazione fondamentale, te le manderò insieme a quelle finanziarie che ho avuto ieri sera. Dammi il tuo numero di fax.»
Angela si sentì quasi in colpa nel dirgli che non aveva fax.
«Ma ce l’hai un modem, attaccato al computer?» le chiese Robert.
«Non abbiamo nemmeno un computer, tranne quello che Nikki usa per i videogiochi», ammise Angela. «Ma troveremo un modo per avere quel materiale. Nel frattempo, puoi dirmi come mai Van Slyke è rimasto sotto le armi soltanto ventun mesi?»
Angela sentì un fruscio di fogli dall’altra parte del filo, poi di nuovo la voce di Robert: «Eccolo qui. Congedato per motivi di salute».
«Dice per cosa?»
«Purtroppo no, ma c’è un bel po’ di roba interessante, qui. Van Slyke ha frequentato la scuola per sommergibilisti di New London, nel Connecticut, e poi un corso sulla propulsione nucleare.»
«Che cosa c’è d’interessante?»
«Non è da tutti andare sui sottomarini. Lui ha prestato servizio sul Kamehameha, al largo di Guam.»
«E Devonshire che genere di lavoro svolgeva in marina?»
Dopo un altro sfogliare di pagine, Robert le rispose: «Addetto alla sanità. Ehi, ma guarda che coincidenza!»
«Che cosa?»
«Anche lui è stato congedato per motivi di salute. Considerata la storia dello stupro, avrei pensato che lo avessero buttato fuori per quello.»
«Questo mi suona ancora più interessante del fatto che Van Slyke stesse sui sottomarini», commentò Angela.
Ringraziò nuovamente Robert e ritornò in cucina, dove David e Nikki stavano dando il tocco finale alla faccia grottesca della lanterna.
«Quindi, tutti e due sono stati congedati per motivi medici?» chiese David quando lei gli ebbe riferito la telefonata. Sembrava preoccupato.
«Che cosa ne pensi?» domandò poi a Nikki, mentre facevano un passo indietro per rimirare il loro lavoro.
«Penso che sia splendida», rispose lei. «Ci possiamo mettere dentro una candela?»
«Certo.»
«Vorrei trovare una spiegazione per questi congedi», disse Angela.
«E io scommetto che ci riusciremo», replicò David. «Basta conoscere qualcuno che abbia accesso alle banche dati del servizio sanitario dell’esercito. Dovrebbero averlo registrato.»
«Sì, ma a chi si potrebbe chiedere?»
«Io avevo fatto amicizia con un medico che lavora all’ospedale militare di Boston.»
«Pensi che sarebbe disposto a farci un favore?»
«Disposta. È una donna», precisò David, poi consigliò a Nikki di scavare leggermente il fondo della zucca per poterci incastrare la candela.
«E chi è questa tua amica?» domandò Angela.
«È un’oftalmologa.» David era ancora assorbito dall’operazione di sistemare la candela all’interno della zucca.
«Non mi riferivo alla sua specializzazione. Come l’hai conosciuta?»
«Alle superiori. Siamo usciti insieme qualche volta, nell’ultimo anno.»
«E da quanto tempo vive nella zona di Boston? E come si chiama?»
«Nicole Lungstrom. Si è stabilita a Boston alla fine dell’ anno scorso.»
«Non ne hai mai parlato. Come hai fatto a sapere che era venuta in città?»
«Mi ha telefonato in ospedale.» David diede una pacca su una spalla a Nikki, vedendo che era riuscita a fissare la candela, e lei corse a cercare una scatola di fiammiferi.
«Allora l’hai rivista?» insistette Angela.
«Abbiamo pranzato insieme una volta, tutto qui. Io le ho detto che era meglio non continuare a vederci, perché lei aveva qualche mira su di me. Ci siamo salutati da buoni amici.»
«Davvero?»
«Davvero.»
«Pensi che se le telefoni all’improvviso ci aiuterà?»
«A dire la verità, ne dubito. Se vogliamo approfittare della sua posizione all’interno dell’apparato sanitario dell’esercito, credo che dovrò andare da lei di persona. Non posso chiederle per telefono di violare le regole e poi farei meglio a spiegarle tutta la storia.»
«Quando pensi di andarci?»
«Oggi. Prima le telefono per essere sicuro che sia disponibile, poi vado da lei e potrei anche passare dal MIT, per prendere il materiale che ci ha procurato Robert Scali. Che cosa ne pensi?»
Angela si morse il labbro, stupita di provare un fitta di gelosia. Adesso capiva come si era sentito David. Scosse la testa e sospirò. «Chiamala.»
Si mise a raccogliere la polpa della zucca sparsa sul tavolo della cucina, mentre David andò nel salottino a telefonare. Dal tono della voce e da qualche spezzone di frase, le sembrò che fosse molto allegro, troppo.
«Tutto sistemato», le annunciò lui dopo qualche minuto. «Mi aspetta fra un paio d’ore. Per nostra fortuna, è di guardia all’ospedale.»
«È bionda?» chiese Angela.
«Sì.»
«Quello che temevo.»
Nikki aveva acceso la candela e David portò la lanterna sulla veranda, poi salì a prepararsi per il viaggio a Boston. Intanto Angela telefonò a Robert.
«Sarà interessante», replicò lui, sentendo che David sarebbe passato a prendere il materiale. Angela lo ringraziò ancora, poi tentò di nuovo di chiamare Calhoun, ma anche questa volta trovò la segreteria telefonica.
David scese indossando una giacca blu con i pantaloni grigi. Stava proprio bene.
«Era proprio il caso di metterti in ghingheri?» osservò Angela.
«Devo andare all’ospedale militare. Non è il caso di presentarmi là con i jeans e la felpa.»
«Ho riprovato a chiamare Calhoun, ma non risponde. Dev’essere rientrato tardi e uscito presto. È davvero preso da questa indagine.»
«Gli hai lasciato un messaggio?»
«No.»
«Perché?»
«Detesto le segreterie telefoniche e poi dovrebbe saperlo che vogliamo sentirlo.»
«Io penso che dovresti lasciargli un messaggio.»
«Che cosa facciamo se entro questa sera non lo sentiamo? Chiamiamo la polizia?»
«Non so proprio», ammise David. «L’idea di rivolgerci a Robertson non mi eccita.»
Quando il marito se ne fu andato, Angela si dedicò completamente a Nikki. La cosa che desiderava più di ogni altra era che sua figlia si godesse quella giornata di festa.
Spinto dalla curiosità, David passò prima da Robert Scali. Sperava che avesse il classico aspetto dell’accademico insignificante e noioso e rimase a bocca aperta nello scoprire che era un bell’uomo abbronzato e dal fisico atletico. A rendere le cose peggiori, sembrava anche molto simpatico.
Mentre si stringevano la mano, capì che anche Robert lo stava soppesando.
«Ti voglio ringraziare per l’aiuto che ci stai dando», gli disse.
«A che cosa servono gli amici, altrimenti?» Robert replicò porgendogli un’altra scatola piena di stampati.
«Ho scoperto qualcosa di nuovo per quello che riguarda l’aspetto finanziario», disse. «Werner Van Slyke ha aperto diversi conti correnti bancari nell’ultimo anno e, per farlo, si è spostato ad Albany e qui a Boston.»
«Strano. Sono tanti soldi?»
«Meno di diecimila dollari in ogni conto, probabilmente per evitare la regola che le banche devono riferire dei movimenti che superano i diecimila dollari.»
«Sono comunque un bel po’ di soldi per un uomo che dirige l’ufficio tecnico di un ospedale come quello di Bartlet.»
«Di questi tempi, direi che il nostro tipo gestisce un piccolo traffico di droga. Ma se lo fa, non dovrebbe mettere i soldi in banca. Dovrebbe seppellirli dentro a tubi in PVC, è questa la norma.»
«Ho saputo da un paio di miei pazienti adolescenti che alla scuola superiore Di Bartlet circola la marijuana», confermò David.
«Be’, al di là di quello che riuscirete a risolvere tu e Angela, potreste fare la vostra parte nel ripulire l’America dalla droga.»
David rise e ringraziò nuovamente Robert per l’aiuto.
«Fatemi sapere quando venite in città», gli disse lui. «C’è un bellissimo ristorante, l’Anago Bistro. V’invito io.»
«Lo faremo», rispose David, rivolgendogli un ultimo cenno di saluto, ma dubitava che sarebbe stato a suo agio se si fossero trovati tutti e tre insieme.
Sistemata la scatola nel bagagliaio, si diresse verso l’ospedale militare, dove arrivò in soli venti minuti, dato il poco traffico della domenica. Fece chiamare Nicole e attese nell’atrio.
Si salutarono, un po’ a disagio, ma poi David apprese che Nicole, che al tempo del loro ultimo incontro aveva divorziato da poco, aveva un nuovo amore. Questo gli fece piacere e gli permise di rilassarsi.
Si sedettero nella stanza di riposo dei medici e David raccontò subito a Nicole tutta la storia del disastroso soggiorno a Bartlet, poi le spiegò che cosa voleva da lei. «Che cosa ne dici? Secondo te è possibile ottenere quel tipo di informazioni?»
«La cosa rimarrà fra noi?» chiese lei.
«Parola d’onore. Tranne per Angela, naturalmente.»
«Questo lo supponevo», osservò Nicole, che poi rimase un po’ a pensare. Dopo qualche istante disse: «D’accordo. Se qualcuno ammazza i pazienti, allora penso che il fine giustifichi i mezzi».
David le porse il breve elenco: Devonshire, Van Slyke, Forbs, Ullhof, Maurice.
«Pensavo che te ne interessassero solo due», disse Nicole.
«Sappiamo che sono stati militari tutti e cinque e tutti e cinque hanno i tatuaggi. È meglio essere scrupolosi.»
Utilizzando le date di nascita e i numeri della sicurezza sociale, Nicole scoprì i numeri di matricola e grazie a quelli cominciò a visionare i dossier. Ci fu una sorpresa immediata: anche Forbs e Ullhof erano stati congedati per motivi di salute. Solo Claudette Maurice era arrivata normalmente alla fine della ferma.
Le diagnosi di Forbs e Ullhof erano banali: il primo aveva un problema cronico alla schiena e il secondo alla prostata.
I casi di Van Slyke e di Devonshire, invece, non erano così semplici, soprattutto il primo. Van Slyke era stato congedato con una diagnosi psichiatrica di «disordine schizo-affettivo con episodi maniacali e fantasie paranoiche nei momenti di stress».
«Buon Dio, non sono sicuro di capire», commentò David.
«Io sono un’oftalmologa», disse Nicole, «ma credo voglia dire che il tipo era schizofrenico con una forte componente maniacale.»
David la guardò ostentando ammirazione. «Ehi, si direbbe che ne sai parecchio più di me, di questa roba!»
«Un tempo mi sono interessata di psichiatria. Questo tipo mi sembra il genere di persona da cui starei alla larga. Ma, nonostante i suoi disordini mentali, guarda che addestramento ha ricevuto. Persino un corso sulla propulsione nucleare.»
Nicole continuò a far scorrere il dossier sul monitor.
«Aspetta», le disse David, indicando un punto in cui veniva descritto un incidente occorso a Van Slyke: mentre era di servizio su un sottomarino nucleare, aveva avuto un grave crollo nervoso. All’epoca lavorava come aiutante motorista e aveva già frequentato il corso sulla propulsione nucleare.
David lesse ad alta voce: «Durante la prima parte del servizio, le tendenze maniacali del paziente erano apparse evidenti e in aumento. Esibiva un umore euforico che lo portava a esprimere giudizi negativi, sentimenti ostili e timori paranoici di essere messo in ridicolo dal resto dell’equipaggio e di poter essere danneggiato dai computer e dalle radiazioni. La sua paranoia ha raggiunto il culmine quando ha assalito il comandante e ha dovuto essere rinchiuso».
«Accidenti», commentò Nicole, «non mi piacerebbe trovarmelo davanti.»
«Non è così strano come sembrerebbe a leggere qui», le disse David. «Io gli ho parlato in diverse occasioni. Non è socievole o cordiale, ma fa il suo lavoro.»
«Io direi che era una bomba a orologeria.»
«Avere delle paranoie per le radiazioni quando si è su un sottomarino atomico non è poi così pazzesco. Se dovessi esserci io al suo posto, impazzirei, sapendo di trovarmi a pochi metri da un reattore nucleare.»
«C’è dell’altro. Senti: ‘Van Slyke è sempre stato un tipo solitario. È stato allevato da un padre aggressivo e alcolizzato e da una madre timorosa e sottomessa. Il nome da ragazza della madre era Traynor’.»
«Conosco già questa parte della storia. Harold Traynor, suo zio, è il presidente del consiglio di amministrazione dell’ospedale, a Bartlet.»
«Ecco altre cose interessanti», disse Nicole e continuò a leggere ad alta voce. «’Il paziente ha mostrato la tendenza a idealizzare alcune figure dell’autorità, ma poi a rivoltarsi contro di loro alla minima provocazione, reale o immaginaria. Questo modello di comportamento è comparso prima del suo arruolamento ed è continuato mentre era in marina.’» Nicole alzò lo sguardo su David. «Non vorrei certo essere il suo capo.»
Su Devonshire trovarono meno materiale, ma ugualmente interessante. Era stato curato più volte per malattie veneree a San Diego, aveva avuto l’epatite B e alla fine era risultato positivo al test per l’HIV.
«Questo sì che potrebbe essere importante», osservò David. «Il fatto che potrebbe ammalarsi di Aids, una malattia mortale, può spiegare tante cose.»
«Spero di essere stata d’aiuto», disse Nicole.
«Potrei avere delle copie di questi dossier?»
«Ci vorrà un po’ di tempo. La domenica l’archivio è chiuso e devo procurarmi una chiave per avere accesso a una stampante.»
«Aspetterò. Ma prima vorrei fare una telefonata.»
Dopo qualche lacrimuccia, Nikki si convinse che non era il caso, per lei, di uscire insieme agli altri bambini: la giornata, iniziata con il cielo sereno, era diventata grigia e minacciava pioggia. Comunque, indossò ugualmente il costume che suo padre le aveva fatto preparare e si divertì un mondo a spaventare i bambini, tutte le volte che andava ad aprire loro la porta.
Angela detestava quel costume, ma non disse niente per non rovinare il divertimento alla figlia.
Provò ancora una volta a telefonare a Calhoun, ma trovò la segreteria telefonica. Già nel primo pomeriggio aveva fatto un altro tentativo e aveva lasciato un messaggio, ma lui non aveva richiamato. Cominciò a preoccuparsi. Osservando il cielo, che si stava oscurando, si preoccupò anche per David. Anche se aveva telefonato alcune ore prima per dirle che avrebbe fatto più tardi del previsto, adesso si diceva che ormai avrebbe dovuto essere tornato.
Una mezz’oretta dopo, Nikki dichiarò conclusa la giornata: era stanca e poi già da un pezzo nessun bambino era venuto a suonare alla porta e probabilmente ormai non sarebbe venuto più nessuno. Andò di sopra a togliersi il costume e a fare il bagno, mentre sua madre cominciò a pensare a che cosa preparare per la cena.
Poco dopo suonò il campanello. Sapendo che Nikki si stava lavando, Angela andò ad aprire e, nel passare davanti al tavolino dell’ingresso, prese in mano l’insalatiera con i cioccolatini. Attraverso il vetro laterale della porta scorse un uomo con la testa di rettile.
Aprì e stava già per dire qualcosa su com’era bello quel costume, quando si rese conto che insieme all’uomo non c’era nemmeno un bambino. Prima che avesse il tempo di reagire, però, lui entrò e l’afferrò al collo con una mano, mentre con l’altra le tappava la bocca, soffocando il grido che lei stava per emettere.
Angela lasciò cadere l’insalatiera di vetro sul pavimento, dove andò in mille pezzi, e cercò di divincolarsi, ma il suo assalitore era troppo forte e la teneva in una morsa strettissima. Tutto quello che lei riuscì a fare fu emettere qualche gemito soffocato.
«Chiudi il becco o ti ammazzo», le intimò l’uomo con un sussurro rauco e le diede uno strattone alla testa che le causò una tremenda fitta di dolore lungo la schiena, convincendola a smettere di lottare.
L’uomo si guardò intorno, allungando la testa verso il corridoio che portava in cucina, poi le domandò: «Dov’è tuo marito?»
Angela non riuscì a rispondere. Le girava la testa, come se stesse per svenire.
«Ora ti lascio libera», ringhiò l’uomo. «Se gridi, ti ammazzo. Capito?» e le diede un altro strattone che le causò lacrime di dolore.
Come promesso, la lasciò. Lei barcollò all’indietro, ma riuscì a rimanere in piedi. Il cuore le batteva all’impazzata. Sapeva che Nikki era nella vasca da bagno. Rusty, purtroppo, era stato chiuso nella rimessa, perché avrebbe dato troppa noia ai bambini.
Angela guardò il suo assalitore. La maschera da rettile era grottesca e le scaglie sembravano vere. Dalla bocca contornata da denti affilati penzolava una lingua rosso vivo. Angela cercò di pensare. Che cosa doveva fare? Che cosa poteva fare? Notò che l’uomo aveva in mano una pistola.
«Mio marito non è in casa», riuscì a dire alla fine. Aveva la voce rauca perché la stretta al collo le aveva compresso la gola.
«E la tua figlia malata?»
«È in giro con gli altri bambini a farsi dare i dolci.»
«Quando torna tuo marito?»
Angela esitò un attimo, non sapendo che cosa fosse meglio dire. L’uomo le afferrò il braccio, scuotendola, e le conficcò l’unghia del pollice nella carne. «Ti ho fatto una domanda», ringhiò.
«Fra poco.»
«Bene, lo aspetteremo. Intanto, diamo un’occhiata alla casa e assicuriamoci che non mi stai mentendo.»
«Non lo farei», replicò Angela, mentre lui la spingeva in malo modo nel salottino.
Nikki non era nella vasca da bagno, ne era uscita già da un po’. Quando aveva sentito suonare il campanello, era corsa a finire di vestirsi e a rimettersi la maschera. Sperava di riuscire ad arrivare di sotto prima che i bambini se ne fossero andati, perché voleva vedere i loro costumi e sorprenderli con il proprio. Era appena arrivata in cima alle scale, quando l’insalatiera andò in frantumi, facendola fermare di botto. Rimase a guardare impotente sua madre che lottava contro un uomo con una maschera da serpente.
Dopo lo choc iniziale, Nikki corse lungo il corridoio fino alla camera da letto dei suoi genitori e staccò il ricevitore, ma si accorse che il telefono era isolato. Allora ritornò di corsa nel corridoio e sbirciò dall’alto delle scale, facendo in tempo a vedere sua madre e l’uomo sparire nel salottino della televisione.
Si sporse e notò il fucile appoggiato all’ultimo pilastro dell’ingresso.
Fu costretta a ritrarsi precipitosamente, quando sua madre e l’uomo-rettile riapparvero sulla porta del salottino. Sentì i loro passi calpestare i vetri, poi fermarsi. Le loro voci le giungevano molto attutite.
Si costrinse a sporgersi di nuovo e li vide ricomparire dal soggiorno, per poi sparire lungo il corridoio centrale, verso la cucina.
Si sporse ancora di più e cercò con lo sguardo il fucile, che era ancora al suo posto. Cominciò a scendere le scale, ma, per quanto lentamente si muovesse, ogni gradino scricchiolava sotto il suo peso.
Era giunta a metà delle scale, quando udì i passi riavvicinarsi lungo il corridoio; presa dal panico, ritornò su di corsa e si allontanò dalla ringhiera. Pensava di scendere di nuovo nell’ingresso quando non ci fosse stato più nessuno ma si accorse con raccapriccio che sua madre e l’uomo avevano cominciato a salire.
Allora corse nella camera da letto principale ed entrò nello stanzino che fungeva da guardaroba. Sulla parete di fondo si apriva una porta che conduceva a un breve corridoio, da cui si arrivava alla rimessa e in fondo al quale una stretta scala a chiocciola scendeva alla stanza utilizzata come ingresso posteriore.
Nikki vi arrivò di corsa e da lì passò in cucina, poi in corridoio e nell’ingresso principale, dove afferrò il fucile. Controllò se era carico, proprio come le aveva insegnato sua madre. Lo era. Tolse la sicura.
L’eccitazione della bimba si trasformò ben presto in confusione. Adesso che aveva in mano il fucile, non sapeva che cosa fare. Sua madre le aveva spiegato che sparava una rosa di pallini e che quindi non era importante prendere bene la mira. Il problema era la mamma non voleva colpirla.
Nikki ebbe poco tempo per riflettere sul suo dilemma. Quasi subito sentì che l’uomo faceva avanzare Angela lungo il corridoio superiore e poi giù per la scala principale. Dovette ritornare verso la cucina e non sapeva se fosse meglio nascondersi o correre fuori dai vicini.
Prima di poter decidere, nell’ingresso apparve sua madre, che stava barcollando giù per gli ultimi scalini, come se avesse ricevuto una spinta. Proprio alle sue spalle c’era l’uomo-rettile che, sotto gli occhi di Nikki, le diede un’altra violenta spinta, mandandola a finire nel soggiorno. Nella mano destra stringeva una pistola.
L’uomo fece per seguire Angela, passando a circa cinque metri da Nikki, che impugnava il fucile tenendolo all’altezza della vita. Aveva la mano sinistra sulla canna e la destra intorno al calcio, con l’indice sul grilletto.
L’uomo si voltò e la vide. Per un attimo sembrò sconcertato, poi sollevò la pistola, puntandogliela contro. Lei chiuse gli occhi e premette il grilletto.
Il suono dello sparo risuonò come una deflagrazione immane, nello stretto corridoio. Nikki venne spinta all’indietro dal rinculo, finendo a terra, ma non abbandonò la presa sul fucile. Riacquistando l’equilibrio, si tirò su a sedere e, con tutte le sue forze alzò il cane del fucile per espellere la cartuccia usata e far mettere in posizione un nuovo proiettile. Le orecchie le rintronavano talmente che non udì nemmeno lo scatto.
Dal fumo che aleggiava nel corridoio emerse Angela, proveniente dalla cucina. Subito dopo lo sparo era corsa dal soggiorno in cucina, aggirando l’ingresso. Prese il fucile di mano a Nikki, che fu sin troppo contenta di liberarsene.
Dal salottino udirono il rumore di una porta che sbatteva, poi più nulla.
«Stai bene?» sussurrò Angela.
«Penso di sì.»
Angela aiutò la bimba a rialzarsi in piedi, poi le fece cenno di seguirla. Avanzarono lentamente verso l’ingresso, superarono l’arco che introduceva in soggiorno e videro il danno causato dallo sparo: una parte di pallini si era conficcata nel montante dell’arco e il resto aveva mandato in frantumi altri quattro vetri della finestra a bovindo, la stessa danneggiata dal mattone.
Girarono intorno alla base delle scale, cercando di evitare i frammenti di vetro e, quando si avvicinarono all’arco che portava nel salottino, sentirono una corrente di aria gelida. Angela tenne il fucile puntato davanti a sé. Avanzando lentamente, madre e figlia individuarono la causa della corrente: una delle portefinestre che davano sulla terrazza era spalancata e andava lentamente avanti e indietro alla brezza serale.
Si avvicinarono e scrutarono la linea di alberi che delimitava la loro proprietà. Rimasero per qualche istante assolutamente immobili, cercando di sentire eventuali rumori. Tutto ciò che udirono fu l’abbaiare lontano di un cane, seguito dalla risposta di Rusty, dalla rimessa. Non si scorgeva nessuno. Rientrarono. Angela chiuse la porta a chiave e, sempre stringendo il fucile con una mano, si chinò ad abbracciare Nikki.
«Sei un’eroina», le mormorò. «Aspetta che lo racconti a tuo padre.»
«Non sapevo che cosa fare», disse lei. «Non avevo intenzione di colpire la finestra.»
«La finestra non è importante», la tranquillizzò Angela. «Ti sei comportata splendidamente.» Angela andò al telefono e si sorprese di non udire alcun suono.
«Non funziona nemmeno quello in camera tua», le annunciò Nikki.
Angela rabbrividì. L’aggressore si era preoccupato di tagliare i fili del telefono. Se non fosse stato per Nikki, non sapeva che cosa sarebbe potuto accadere.
«Dobbiamo assicurarci che quell’uomo non sia più qui», mormorò. «Vieni, guardiamo dappertutto.»
Insieme attraversarono la sala da pranzo e arrivarono in cucina. Controllarono l’ingresso posteriore e i due stanzini usati come dispense, poi tornarono in cucina e da lì nel corridoio centrale e poi nell’ingresso.
Mentre Angela si stava chiedendo se fosse il caso di controllare anche al piano superiore, il campanello suonò. Lei e Nikki sobbalzarono. Guardando attraverso il vetro laterale della porta, videro un gruppo di ragazzini vestiti da streghe e da fantasmi.
David imboccò il vialetto, sorpreso nel vedere che tutte le luci di casa erano spente. Poi scorse un gruppo di ragazzini balzare giù dalla veranda, correre attraverso il prato e sparire oltre gli alberi che delimitavano la proprietà.
Fermò la macchina e vide che la porta d’ingresso era stata imbrattata con le uova, le finestre insaponate e la zucca fracassata. Ebbe una mezza idea di mettersi a inseguire quei teppistelli, ma pensò che le probabilità di trovarli al buio sarebbero state ridottissime. «Dannati ragazzi!» esclamò ad alta voce, poi si accorse che la finestra del soggiorno era stata rotta ancora di più.
«Accidenti, qui si esagera!» Scese dall’auto e si avvicinò alla porta d’ingresso, notando che la parte anteriore della casa era stata presa di mira con uova e pomodori.
Quando, entrando, scoprì i vetri e i cioccolatini sparsi per terra, cominciò a preoccuparsi davvero. Si sentì attanagliare dalla paura al pensiero che fosse accaduto qualcosa alla sua famiglia e gridò, chiamando Angela e Nikki.
Quasi subito tutte e due comparvero in cima alle scale. Angela teneva in mano il fucile!
Nikki si mise a piangere e corse giù, buttandosi fra le braccia del padre. «Aveva una pistola», riuscì a dire fra i singhiozzi.
«Chi aveva una pistola?» domandò David, sempre più inquieto. «Che cosa è successo?»
Angela scese fin quasi in fondo alle scale, dove si sedette. «Abbiamo avuto una visita», annunciò.
«Chi?»
«Non lo so. Indossava una maschera di Halloween e aveva una pistola.»
«Mio Dio!» esclamò David, sconvolto. «Non avrei mai dovuto lasciarvi sole. Mi dispiace.»
«Non è colpa tua, ma hai fatto più tardi del previsto.»
«Ci è voluto più di quanto pensassi a fare le copie di quei dossier. Ho cercato di chiamarvi mentre ero per strada, ma il telefono era sempre occupato. Quando ho chiamato l’operatore, mi ha detto che era guasto.»
«Penso che quell’uomo abbia tagliato i fili.»
«Hai chiamato la polizia?» domandò David.
«Come facevo a chiamarla, se il telefono non funzionava?» sbottò Angela.
«Scusa, non ci avevo pensato.»
«Tutto quello che abbiamo fatto da quando quell’uomo se n’è andato è stato rimanere rannicchiate di sopra. Avevamo il terrore che ritornasse.»
«Dov’è Rusty?»
«L’ho chiuso nella rimessa perché si agitava troppo quando arrivavano i bambini a chiedere i dolci.»
«Adesso prendo dalla macchina il mio telefono portatile e intanto libero Rusty», affermò David. Una volta fuori, vide il gruppo di ragazzi di prima sparpagliarsi nel vederlo uscire.
«Toglietevi dai piedi», gridò loro nella notte.
Quando rientrò in casa con Rusty e il telefono, Angela e Nikki lo stavano aspettando in cucina.
«C’è un branco di ragazzini là fuori», disse loro. «Hanno conciato la veranda per le feste.»
«Sarà perché non abbiamo aperto e sono rimasti a mani vuote. Ci toccherà la nostra parte di dispetti, ma non sarà niente, al confronto di quello che abbiamo passato prima.»
«Non proprio: hanno rotto altri vetri della finestra.»
«È stata Nikki a romperli», gli spiegò Angela, abbracciando la figlia. «È la nostra eroina.» Poi raccontò esattamente come si erano svolte le cose.
David riusciva a malapena a credere al pericolo che aveva corso la sua famiglia. Se pensava a ciò che sarebbe potuto accadere… Non riusciva a sopportarne nemmeno il pensiero. Quando un’altra scarica di uova si abbatté contro la facciata, la sua collera divenne incontenibile. Corse all’ingresso e aprì la porta, deciso ad acchiappare qualcuno dei ragazzini, ma Angela lo trattenne, mentre Nikki teneva a bada il cane.
«Non è importante!» esclamò Angela piangendo.
Vedendo la moglie prossima a un crollo nervoso, David richiuse la porta e la consolò come meglio poté. In fondo, sapeva che correre dietro a quei bambini non sarebbe servito a niente, se non a sfogarsi per cercare di lenire i sensi di colpa.
Strinse a sé anche Nikki e si sedette con tutte e due sul divano del salottino. Quando vide che Angela si era un po’ calmata, usò il telefonino per chiamare la polizia.
Visto che David non la smetteva d’imprecare per avere lasciato sole lei e Nikki, Angela cercò di convincerlo che anche lei aveva una parte di colpa.
«Avrei dovuto aspettarmelo», gli disse e gli rivelò i propri sospetti che il tentativo di stupro fosse stato invece un tentativo di omicidio. «Anche Calhoun è d’accordo.»
«Perché non me l’hai detto?» chiese David.
«Avrei dovuto farlo. Mi dispiace.»
«Se non altro, stiamo imparando che non dovrebbero esserci segreti fra di noi. E Calhoun? Lo hai sentito?»
«No, gli ho anche lasciato un messaggio, come avevi consigliato tu. Che cosa facciamo adesso?»
«Non lo so.» David si alzò. «Intanto diamo un’occhiata alla finestra.»
La polizia non aveva nessuna fretta. Ci mise quasi tre quarti d’ora ad arrivare e, con grande disappunto di Angela e David, c’era Robertson in persona, con tanto di uniforme. Angela fu tentata di domandargli se quello fosse il suo costume di Halloween. Lo accompagnava un assistente, Carl Hobson.
Arrivato alla porta d’ingresso, Robertson notò la sporcizia sulla veranda e la finestra rotta.
«Avete qualche problemino?» domandò.
«Non tanto ‘ino’», replicò Angela e descrisse ciò che era accaduto dal momento in cui era comparso l’uomo fino all’arrivo di David.
Apparve subito evidente che Robertson non dava molta importanza alla storia. Si muoveva di qua e di là, alzando con impazienza gli occhi al cielo rivolto al suo assistente.
«Sentiamo, è sicura che fosse una pistola vera?» domandò quando Angela ebbe finito di raccontare.
«Certo che era vera», rispose lei, esasperata.
«Magari era solo un giocattolo, parte di un costume», insistette lui. «È sicura che quel tipo non fosse solo in cerca di dolcini?» e strizzò un occhio a Hobson.
«Aspetti un minuto», intervenne David. «Non mi piace proprio per niente quello che sto sentendo. Ho la netta impressione che lei non stia affatto prendendo sul serio ciò che è accaduto. Quell’uomo aveva una pistola e c’è stata della violenza, qua dentro. Diavolo, persino parte della finestra è saltata via.»
«Non gridi, quando parla con me», lo redarguì il capo della polizia. «La sua deliziosa mogliettina ha già ammesso che è stata la vostra cara figliola a fare saltare i vetri, non il presunto assalitore, e lasci che le dica un’altra cosa: c’è un’ordinanza che proibisce di sparare con un fucile a pallini entro i limiti cittadini.»
«Se ne vada da casa mia!» gli intimò David, furibondo.
«Ben volentieri.» Robertson fece cenno a Hobson di precederlo e, arrivato sulla porta, si fermò. «Lasciate che vi dia un consiglio. Non siete una famiglia molto popolare in questa città e potrebbe diventare ancora peggio, se sparate a qualche bambino innocente che viene a chiedere un dolcetto. Il Signore vi aiuti, se avete davvero colpito un ragazzino.»
David corse alla porta e gliela sbatté dietro.
«Bastardo!» esclamò. «Be’, adesso non abbiamo più illusioni sulla polizia locale. Non possiamo più aspettarci nessun aiuto da parte loro.»
Angela si strinse le ginocchia e dovette lottare contro un nuovo accesso di lacrime. «Che casino!» mormorò, scuotendo la testa.
David le si avvicinò e cercò di consolarla. Dovette calmare anche Nikki, che si era impressionata per la discussione fra suo padre e il capo della polizia.
«Pensi che dovremmo rimanere qui stanotte?» domandò Angela.
«E dove potremmo andare a quest’ora? Basta assicurarci di non avere altri visitatori.»
«Suppongo che tu abbia ragione», ammise lei con un sospiro. «Lo so che non ragiono, ma non sono mai stata così sconvolta.»
«Hai fame?»
«No, ma avevo cominciato a preparare la cena, prima che succedesse tutto questo.»
«Bene, io sto morendo di fame, ho saltato il pranzo.»
«Nikki e io metteremo insieme qualcosa.»
Poi David chiamò la società dei telefoni per avvisare che c’era un guasto e, quando disse che era un medico, si mostrarono disposti a mandare un tecnico il più presto possibile. Poi andò nella rimessa e trovò altre lampadine per l’esterno della casa, così riuscì a illuminare quasi a giorno lo spazio tutt’attorno alla casa.
Il tecnico arrivò mentre stavano cenando e scoprì subito che il guasto era all’ esterno: la linea era stata tagliata nel punto in cui entrava in casa. Eseguì la riparazione e ripartì, accompagnato dai ringraziamenti di David per essersi scomodato la domenica sera.
Dopo cena, David rafforzò le misure di sicurezza. Coprì con un’asse la parte di finestra rotta, poi controllò che tutte le porte e le finestre fossero chiuse dall’interno.
Anche se la visita della polizia era stata esasperante, aveva avuto un effetto positivo: i pestiferi ragazzini si erano dileguati. Fu dunque nella calma più completa che, verso le nove, i Wilson si ritrovarono nella camera di Nikki per la terapia respiratoria.
Dopo avere messo a letto la figlia, David e Angela scesero nel salottino per esaminare il materiale che lui aveva portato da Boston. Avevano convinto Rusty ad abbandonare la camera della padroncina per stare con loro, confidando nel suo udito molto fine. Il fucile era vicino a loro, a portata di mano.
«Sai che cosa penso?» disse Angela, mentre David apriva la busta con i referti medici. «Credo proprio che l’uomo che è stato qui stasera sia la stessa persona che è dietro l’eutanasia, nonché l’assassino di Hodges. Ne sono convinta. È l’unica spiegazione possibile.»
«Sono d’accordo con te e credo che il nostro candidato numero uno sia Clyde Devonshire. Leggi qua.»
Angela scorse il suo referto e, arrivata alla fine, esclamò: «Oh, è sieropositivo!»
David annuì. «Vuol dire che è lui stesso un potenziale malato terminale e a questo unisci le altre cose, come il fatto di essere stato arrestato davanti alla casa del dottor Kevorkian. È evidente che gl’interessano molto i suicidi assistiti. Chi lo sa? Questo interesse potrebbe estendersi all’eutanasia. È un infermiere e quindi ha basilari conoscenze mediche. Lavora in ospedale e quindi ha accesso ai pazienti. E, come se ciò non bastasse, ha alle spalle quella storia dello stupro. Potrebbe essere lui lo stupratore con gli occhiali da sci.»
Angela annuì, ma era perplessa. «L’unico problema è che è tutto basato su semplici indizi.» Rimase a pensare qualche istante, poi chiese al marito: «Senti, ma se tu vedessi Clyde Devonshire, lo riconosceresti?»
«No.»
«Mi chiedo se sarei capace di identificarlo dall’altezza o dal suono della voce, ne dubito. Non ne sarei mai assolutamente sicura.»
«Be’, proseguiamo», disse David. «Il secondo sospetto è Werner Van Slyke. Dai un’occhiata alla sua storia.» David porse ad Angela il dossier su di lui, decisamente più voluminoso dell’altro.
«Buon Dio», esclamò lei, quando lo ebbe letto. «Che cosa non si scopre sulle persone!»
«Che ne pensi di lui, come sospetto?»
«È un’interessante storia psichiatrica, ma non credo che sia lui. Essere affetti da un disordine schizo-affettivo con accessi di mania e paranoia non è la stessa cosa che essere degli psicotici antisociali.»
«Ma non occorre affatto essere antisociali per farsi venire idee sbagliate sull’eutanasia», obiettò David.
«È vero, ma solo perché una persona ha disturbi mentali non vuol dire che sia un criminale. Se Van Slyke avesse una storia di comportamenti violenti o decisamente criminali, allora sarebbe diverso. Ma non è così e non credo che sia molto probabile come sospetto. Inoltre, può conoscere i sottomarini a propulsione nucleare, ma non ha una conoscenza abbastanza sofisticata della medicina. Come potrebbe avere ammazzato tutti quei pazienti usando un metodo che nemmeno tu sai scoprire?»
«Sono d’accordo, ma guarda questo materiale che mi ha dato Robert.» David porse alla moglie l’elenco dei vari conti correnti che Van Slyke aveva in diverse banche di Albany e di Boston.
«Dove diavolo si è procurato tutti quei soldi?» chiese Angela. «Credi che abbia a che fare con il caso Hodges e le morti inaspettate?»
«È un’ottima domanda», replicò David. «Robert pensa di no, suppone che Werner Van Slyke traffichi in droga. Sappiamo che in città circola la marijuana, per cui è possibile.»
Angela annuì.
«Se non fosse una questione di droga, però, potrebbe essere ancora più pericoloso», aggiunse David, pensieroso.
«Perché?»
«Supponiamo che sia stato Van Slyke a uccidere tutte quelle persone. Se non vende droga, potrebbe essere stato pagato per ogni singolo omicidio.»
«Che idea spaventosa!» Angela rabbrividì. «Ma, se fosse così, saremmo daccapo. Continueremmo a non sapere chi c’è dietro. Chi lo pagherebbe e perché?»
«Continuo a credere che sia un assassino con uno strano concetto della misericordia. Tutte le vittime avevano malattie potenzialmente mortali.»
«Secondo me, stiamo diventando troppo teorici», obiettò Angela. «Abbiamo ricevuto troppe informazioni e ci sforziamo di farle collimare tutte nella stessa teoria. Per la maggior parte, forse, non sono collegate.»
«Probabilmente hai ragione», ammise David, «ma mi è appena venuta un’idea. Se dovessimo determinare che il colpevole è Van Slyke, allora i suoi problemi psichiatrici potrebbero lavorare a nostro favore.»
«Che cosa intendi?»
«Nel periodo in cui prestava servizio su un sottomarino nucleare, Van Slyke ha avuto un episodio psicotico in un momento di stress. Non la trovo una cosa tanto sorprendente, sarebbe potuto capitare anche a me. Comunque, durante quella crisi psicotica, ha avuto sintomi paranoidi e si è rivoltato contro le figure che impersonavano l’autorità, in quel caso i suoi superiori. Una cosa simile gli era già accaduta in precedenza. Se noi lo affrontiamo, potremmo evocare la sua paranoia contro la persona che lo paga. Tutto quello che dovremmo dire sarebbe che questa ‘figura autoritaria’, tanto per citare il suo dossier, ha intenzione di scaricare su di lui la colpa di tutto, se venisse scoperto qualcosa e, dato che noi stiamo parlando con lui, è evidente che qualcosa è stato scoperto.»
Angela fulminò David con lo sguardo. «Talvolta mi stupisci», commentò, «soprattutto perché ti credi tanto razionale. Questa è l’idea più ridicola e arzigogolata che abbia mai sentito. La storia di Van Slyke documenta episodi maniacali accompagnati da aggressività. Stai suggerendo che potresti evocare la paranoia schizofrenica in un individuo simile? È assurdo. Esploderebbe in violenza e potrebbe essere diretta verso chiunque, in particolare verso di te.»
«Era solo un’idea», si giustificò David.
«Be’, io non ho nessuna intenzione di svilupparla. È troppo teorica.»
«Va bene», disse David, accomodante. «Il prossimo sospetto è Peter Ullhof. Ha conoscenze mediche, ovviamente, e il fatto che sia stato arrestato per reati connessi a questioni di aborto suggerisce che nutra sentimenti ben radicati sull’etica medica. Ma, a parte questo, non c’è altro su di lui.»
«E Joe Forbs?»
«L’unica cosa che può renderlo sospetto è la sua incapacità di gestire le proprie finanze.»
«E l’ultima persona, Claudette Maurice?»
«Lei è a posto», rispose David. «L’unica curiosità che ho su di lei è in quale parte del corpo ha il suo tatuaggio.»
«Sono esausta», si lamentò Angela. Gettò i fogli che aveva in mano sul tavolino. «Forse, dopo una notte di sonno profondo, ci verrà in mente qualcosa.»