JON

Soffiava un vento selvaggio da est, così forte da fare oscillare la grossa gabbia di ferro ogni volta che le sue zanne invisibili arrivavano a mordere. Strisciava contro la Barriera, strappando dal ghiaccio refoli di polvere congelata, gettando i lembi del mantello di Jon Snow a flagellare le sbarre. Il cielo pareva fatto di ardesia grigia, il sole nient’altro che un’indefinita chiazza livida dietro le nubi. Al di là della Barriera, oltre la terra di nessuno disseminata di corpi, si distingueva il chiarore delle centinaia di bivacchi dei bruti. Ma contro l’oscurità del Nord, contro il gelo del Nord, tutte quelle luci apparivano piccole e insignificanti.

“Una giornata tetra.” Jon Snow serrò attorno alle sbarre le mani ricoperte dai guanti, reggendosi forte, mentre il vento tornava a scuotere la gabbia. Abbassò lo sguardo sotto di sé. Il suolo si perdeva nelle ombre, quasi stessero calandolo in una voragine senza fondo. “Be’, anche la morte è una specie di voragine senza fondo” rifletté “e quando il dovere di questa giornata sarà compiuto, anche il mio nome rimarrà eternamente nell’ombra.”

Si diceva che i bastardi erano figli della lussuria e della menzogna, e per loro intrinseca natura erano quindi malvagi e traditori. Un tempo, Jon intendeva dimostrare come tutto questo fosse sbagliato, ingiusto. Intendeva dimostrare al lord suo padre di essere un figlio onorevole quanto Robb. “Invece ho miseramente fallito.” Robb Stark era diventato un re eroico. Mentre se di Jon Snow fosse mai rimasta memoria, sarebbe stata quella di un voltagabbana, un infame, un assassino. Di un’unica cosa era contento: lord Eddard non era là ad assistere a una simile vergogna.

“Avrei dovuto rimanere in quella caverna assieme a Ygritte.” Se esisteva un’altra vita dopo quella terrena, Jon sperava di riuscire a dirglielo. “Mi artiglierà la faccia come ha fatto l’aquila e mi darà del codardo, ma io glielo dirò lo stesso.” Aprì e richiuse le dita della mano della spada come gli aveva insegnato a fare maestro Aemon, un’abitudine diventata parte di lui. Le sue dita dovevano essere elastiche se voleva avere anche solo una piccola possibilità di uccidere Mance Rayder.

Lo avevano tirato fuori quel mattino, dopo cinque giorni interi passati nel ventre del ghiaccio, rinchiuso in una cella di cinque piedi per cinque, troppo bassa per stare eretto, troppo corta per sdraiarsi. Da tempo gli attendenti dei Guardiani della notte avevano scoperto che la carne e il cibo reggevano più a lungo se venivano conservati negli spazi scavati alla base della Barriera… non così i prigionieri.

«Tu morirai qui dentro, lord Snow» aveva annunciato ser Alliser Thorne poco prima che la pesante porta di legno venisse sbarrata. Jon gli aveva creduto. Invece quella mattina le guardie erano venute a tirarlo fuori. Tremante di freddo e semiparalizzato dai crampi, era stato spinto verso la Torre del re, per ritrovarsi di nuovo al cospetto del viso prognato di lord Janos Slynt.


«Quel vecchio maestro dice che non posso impiccarti» dichiarò Slynt. «Ha scritto a Cotter Pyke, al Forte orientale. E ha addirittura avuto l’insolenza di mostrarmi la lettera. Dice che non sei un voltagabbana.»

«Aemon è vissuto troppo a lungo, mio lord» intervenne ser Alliser, rassicurandolo. «La sua mente è diventata buia quanto i suoi occhi.»

«Aye» concordò Slynt. «Un cieco con una catena al collo, chi si crede di essere?»

“Aemon Targaryen” avrebbe voluto sputargli in faccia Jon “era figlio di un re, fratello di un altro re e avrebbe potuto essere re lui stesso.” Invece non disse nulla.

«Comunque» riprese la mandibola prognata «non permetterò che si dica che Janos Slynt ha impiccato ingiustamente qualcuno. Per cui ho deciso di darti un’ultima occasione di provare che sei leale quanto dici, lord Snow. Un’ultima occasione di compiere il tuo dovere!» Si alzò. «Mance Rayder vuole parlamentare con noi. Sa che non ha alcuna possibilità di vincere, adesso che al Castello Nero è arrivato Janos Slynt. Per cui vuole parlare, questo re oltre la Barriera. Ma quell’uomo è un vile, e non verrà da noi. Senza dubbio sa che lo impiccherei. Lo appenderei per i piedi in cima alla Barriera, facendolo penzolare da una fune lunga duecento piedi! Non verrà. Chiede che gli venga inviato un nostro emissario.»

«Per cui mandiamo te, lord Snow.» Ser Alliser Thorne sorrise.

«Me?» La voce di Jon era atona. «E perché?»

«Tu hai cavalcato con questi bruti» continuò Thorne. «Mance Rayder ti conosce. Sarà quindi più incline a fidarsi di te.»

Era un concetto così demente che Jon avrebbe voluto ridergli in faccia. «Voi avete capito male. Mance ha sospettato di me fin dal primo momento. Se mi faccio vedere nel suo accampamento con addosso un mantello nero per parlare a nome dei Guardiani della notte, capirà immediatamente che l’ho tradito.»

«Mance Rayder ha chiesto un nostro emissario, e noi glielo mandiamo» disse Slynt. «Ma se sei troppo codardo per affrontare questo re voltagabbana, possiamo riportarti nella tua cella di ghiaccio. E questa volta senza pellicce addosso. Già, senza pellicce.»

«Non ce ne sarà bisogno, mio lord» intervenne ser Alliser. «Lord Snow farà quanto gli chiediamo. Vuole dimostrare di non essere un voltagabbana. Vuole provare di essere un leale uomo dei Guardiani della notte.»

Jon capì che dei due quello furbo era Thorne. C’era tutto il suo odore di carcassa putrida in quell’alzata d’ingegno. Era in trappola.

«Andrò» disse in tono secco, metallico.

«Milord» gli ricordò Slynt. «Tu ti rivolgerai a me chiaman…»

«Ci andrò, milord. Ma state commettendo un errore, milord. State mandando l’uomo sbagliato. Al solo vedermi Mance Rayder andrà su tutte le furie. E milord otterrebbe termini migliori di negoziato se…»

«Negoziato?» Ser Alliser ridacchiò.

«Janos Slynt non negozia un bel niente con un selvaggio senza legge, lord Snow.»

«Sei tu che hai capito male, lord Snow. Noi non ti stiamo affatto mandando a negoziare con Mance Rayder» aggiunse ser Alliser Thorne. «Noi ti stiamo mandando a uccidere Mance Rayder.»


Il vento dell’Est sibilò nuovamente attraverso le sbarre e Jon Snow fu scosso da un tremito. La gamba ferita gli pulsava. Anche la testa gli pulsava. Non sarebbe stato in grado di assassinare nemmeno un cucciolo zoppo, eppure eccolo lì, a scendere sul versante nord della muraglia congelata. “Una trappola fatta e finita.” Dato che maestro Aemon insisteva sull’innocenza di Jon, lord Janos non aveva osato lasciarlo morire nel ghiaccio. Questa alternativa era migliore. “Il nostro onore non ha più significato di quanto ne abbiano le nostre vite, a patto che il reame degli uomini sia al sicuro” aveva detto Qhorin il Monco su negli Artigli del Gelo. E Jon Snow doveva ricordarselo, questo. Che lui riuscisse a sgozzare Mance o che tentasse e fallisse, il popolo libero lo avrebbe comunque ucciso. E se anche Jon avesse voluto cambiare vessillo una volta per tutte, ora perfino la diserzione era impossibile: già una volta aveva dato prova a Mance di essere un mentitore e un traditore.

La gabbia arrivò al suolo con un sussulto. Jon saltò fuori, scuotendo l’impugnatura di Lungo artiglio, in modo da avere la lama lasca all’interno del fodero. La Porta nord si trovava a poche iarde alla sua sinistra, ancora ostruita dalla testuggine devastata e dal mammut in putrefazione tra i suoi resti. C’erano anche altri cadaveri, disseminati tra i barili distrutti, il catrame indurito e l’erba bruciata. Il tutto all’ombra incombente della Barriera. Jon non aveva il minimo desiderio di attardarsi là sotto. Cominciò a camminare in direzione dell’accampamento dei bruti, superando il corpo di un gigante la cui testa era stata sfracellata da una delle pietre catapultate dall’alto. Un corvo stava beccando frustoli di cervella dal cranio aperto in due. Al passaggio di Jon, sollevò la testa.

«Snow!» gracchiò il corvo. «Snow, snow.» All’improvviso, aprì le ali e volò via.

Ben presto un cavaliere solitario proveniente dall’accampamento dei bruti gli venne incontrò. Jon si domandò se non si trattasse proprio di Mance Rayder che veniva a parlamentare lì, nella terra di nessuno. “Questo potrebbe facilitare la cosa, anche se nulla potrà mai renderla facile.” La distanza che li separava diminuì. Jon vide che l’uomo a cavallo era basso di statura e di corporatura tozza. Bracciali d’oro scintillavano sulle sue braccia robuste e una folta barba bianca gli fluiva sul torace massiccio.

«Har!» tuonò Tormund Veleno dei giganti quando furono faccia a faccia. «Jon Snow, il corvo nero. Temevo che non ti vedevo mai più.»

«Non sapevo che tu potessi temere qualcosa, Tormund.»

Quelle parole fecero affiorare un sogghigno sulle labbra del bruto. «Hai detto bene, ragazzo. Vedo che il tuo mantello è nero. A Mance questo non piacerà. Se sei venuto per passare di nuovo dall’altra parte, è meglio che scali subito quel muro di ghiaccio.»

«Mi hanno mandato a trattare con il re oltre la Barriera.»

«Trattare?» Tormund rise. «Che bella parola. Har! Mance vuole parlare, questo è vero. Non so, però, se vuole parlare con te.»

«Sono io quello che loro hanno mandato.»

«Lo vedo. Allora è meglio che vieni con me. Vuoi montare in sella?»

«Posso camminare.»

«Ci avete dato una bella batosta» disse Tormund facendo voltare il proprio destriero verso l’accampamento dei bruti «tu e i tuoi confratelli. Duecento morti, più una dozzina di giganti. Mag il Possente è entrato nel tunnel di ghiaccio e non è più uscito fuori.»

«È morto per spada di un uomo coraggioso di nome Donal Noye.»

«Aye? Ed era un lord, questo Donal Noye? Uno di quei vostri lucidi cavalieri con le mutande di ferro?»

«Era un fabbro. Con un braccio solo.»

«Un fabbro con un braccio solo che fa la festa a Mag il Possente? Har! Ecco uno scontro che avrei voluto vedere. Mance ci farà sopra un canzone, vedrai.» Tormund staccò un otre dal pomo della sella e tolse il tappo. «Questo ci riscalderà. A Donal Noye e Mag il Possente!» Bevve un sorso e tese l’otre a Jon.

«A Donal Noye e Mag il Possente» ripeté Jon.

L’otre era pieno di birra al malto, un malto così forte che a Jon vennero le lacrime agli occhi, mentre tentacoli di fuoco gli dilagavano nel petto. Dopo i giorni nella cella di ghiaccio e la gelida calata nella gabbia di ferro, quel calore era più che benvenuto.

Tormund riprese l’otre, mandò giù un’altra sorsata e si ripulì la bocca con il dorso della mano. «Il maknar dei Thenn ci ha giurato che spalancava quella porta nel ghiaccio, quello che noi dovevamo fare era una passeggiata nel tunnel cantando. Ci ha giurato che tirava giù tutta la Barriera.»

«Una parte della Barriera in effetti l’ha tirata giù» disse Jon. «Sul proprio cranio.»

«Har!» eruppe Tormund. «Be’, a me Styr il maknar non è mai servito a niente. Quando un uomo non ha né barba, né capelli, né orecchie non hai niente cui attaccarti quando combatti.» Fece avanzare il cavallo a passo lento, in modo che Jon potesse stargli accanto con la sua andatura zoppicante. «Che cosa hai fatto a quella gamba?»

«Una freccia. È stata Ygritte a lanciarla, credo.»

«Ecco la donna giusta per te. Un giorno ti riempie di baci e il giorno dopo di frecce.»

«È morta.»

«Aye?» Tormund scosse tristemente la testa. «Che spreco. Se avevo dieci anni di meno me la rubavo io. Quei capelli che aveva… Be’, i fuochi più caldi sono quelli che bruciano prima.» Sollevò di nuovo l’otre di birra. «A Ygritte, baciata dal fuoco!» Ingollò una robusta sorsata.

«A Ygritte, baciata dal fuoco» ripeté Jon quando Tormund gli passò l’otre. Mandò giù una sorsata ancora più robusta.

«Sei tu che l’hai ammazzata?»

«Uno dei miei confratelli.» Jon non sapeva chi, e sperava di non saperlo mai.

«Corvi neri del cazzo.» Il tono di Tormund era burbero, eppure stranamente gentile. «Quel Lungapicca mi ha rubato la figlia. Munda, la mia piccola mela d’autunno. Se l’è presa proprio fuori della mia tenda, con tutti e quattro i fratelli lì vicino. Toregg intanto dormiva, quel caprone, e Torwynd… be’, Torwynd il Mansueto dice tutto quello che c’è da dire, vero? I fratelli più giovani però gli sono saltati addosso.»

«E Munda?» chiese Jon.

«Buon sangue non mente» dichiarò Tormund con orgoglio. «Ha spaccato un labbro a Lungapicca e gli ha staccato mezzo orecchio con un morso. Mi dicono che lui adesso ha così tanti graffi sulla schiena che non riesce nemmeno a mettersi il mantello. Lungapicca però a lei piace. E perché no? Non combatte mica con la picca, sai? Mai combattuto così. Allora da dove pensi che gli viene quel nome? Har!»

Jon non poté fare a meno di ridere. Perfino allora, perfino là. Ygritte aveva nutrito dell’affetto per Ryk Lungapicca. Jon si augurò che con Munda figlia di Tormund quel ragazzo potesse provare un po’ di gioia. Era giusto che qualcuno, da qualche parte, potesse provare della gioia.

“Tu non sai niente, Jon Snow” gli avrebbe detto Ygritte. “So che sto per morire” disse a se stesso. “Questo almeno lo so.” “Tutti gli uomini muoiono” poté quasi sentirla rispondere “e anche tutte le donne, e ogni bestia che vola, che nuota o che corre. Non è quando uno muore che importa, Jon Snow, è come.” “Per te è facile dirlo” lui continuò il loro dialogo silenzioso. “Tu sei morta eroicamente in battaglia, dando l’assalto al castello del nemico. Io sto per morire da traditore, da assassino.” E la sua morte non sarebbe stata rapida, a meno che non arrivasse sulla punta della spada di Mance.

In breve, Jon e Tormund si ritrovarono in mezzo alle tende. Era il solito accampamento dei bruti: un immane caos di bivacchi e fosse usate come latrina, bambini e capre che scorrazzavano liberamente, pecore belanti tra gli alberi, pelli di cavallo appese ad asciugare. Non c’era nessuna logica, nessun ordine, nessuna difesa. Solo uomini, donne e animali da tutte le parti.

Molti ignorarono Jon, ma per ognuno che pensava ai fatti propri, ce n’erano altri dieci che si fermavano a guardare: bimbi accucciati vicino ai fuochi, donne anziane accanto ai loro carretti, cavernicoli con le facce dipinte, predoni con artigli e serpenti e teste mozzate dipinte sugli scudi. Tutti costoro si voltarono a dare un’occhiata. Jon vide anche le mogli di lancia, con i loro lunghi capelli agitati dal vento saturo di pino che attraversava la foresta Stregata.

Nella zona non c’erano vere e proprie colline, ma la tenda di pellicce bianche di Mance Rayder era stata eretta in posizione elevata sul terreno pietroso al limitare del bosco. Il re oltre la Barriera stava aspettando all’esterno, cappa nera a pezze porpora gonfiata dal vento. Vicino a lui c’era Harma Testa di cane, rilevò Jon, rientrata dalle sue incursioni lungo la Barriera. E c’era anche Varamyr Seipelli, il metamorfo, assieme alla sua pantera-ombra e due slanciati lupi grigi.

Quando videro chi era l’emissario mandato dai Guardiani della notte, Harma girò la faccia e sputò con disprezzo, e uno dei lupi di Varamyr snudò le zanne, con un ringhio feroce.

«Tu devi essere o molto coraggioso o molto stupido, Jon Snow» esordì Mance Rayder «a tornare da noi con addosso un mantello nero.»

«Che cos’altro può indossare un uomo dei Guardiani della notte?»

«Uccidilo» sibilò Harma. «Rimandagli su il cadavere nella gabbia e digli che scelgono qualcun altro. La sua testa me la tengo io come vessillo. Un voltagabbana è peggio di un cane.»

«Io ti avevo avvertito che era uno falso.» Il tono di Varamyr era pacato, ma la sua pantera-ombra stava fissando Jon con occhi grigi torvi e famelici. «Il suo odore non mi è mai piaciuto.»

«Ritira le unghie, specie di animale.» Tormund Veleno dei giganti volteggiò a terra dalla sella. «Il ragazzo è qua per ascoltare. Prova a mettergli addosso una zampa, che io mi prendo quella pelle di pantera che hai sul groppone.»

«Tormund amante dei corvi» ringhiò Harma. «Sei solo un sacco pieno d’aria, vecchio.»

Varamyr il metamorfo assomigliava a un topo, con la sua faccia grigiastra, le spalle spioventi, i piccoli occhi predatori. «Una volta che un cavallo ha fatto l’abitudine alla sella, chiunque può montargli in groppa» continuò con voce pacata. «Una volta che un animale si è fuso dentro a un uomo, qualsiasi metamorfo può scivolargli dentro e montargli in groppa. Orell si stava seccando dentro quelle piume, così io mi sono preso l’aquila. Ma ciò che è fuso rimane, corvo nero. Adesso Orell vive dentro di me. E mi sussurra il suo odio per te. E io posso sollevarmi al di sopra della vostra Barriera, e vedere tutto con gli occhi dell’aquila.»

«Quindi noi sappiamo» riprese Mance Rayder. «Sappiamo come eravate in pochi quando avete fermato la testuggine. Sappiamo quanti altri corvi sono arrivati dal Forte orientale. Sappiamo di quanto sono diminuite le vostre scorte. Catrame, olio, frecce, lance. La vostra scala sul fianco del ghiaccio è distrutta, e quella gabbia può portare su solo pochi uomini alla volta. Sappiamo, certo. E adesso tu sai che noi sappiamo.» Scostò il lembo dell’ingresso alla tenda. «Vieni dentro, Snow. Voialtri, restate fuori.»

«Come, anch’io?» esclamò Tormund.

«Soprattutto tu. Sempre.»


Faceva caldo nella tenda del re oltre la Barriera. Un piccolo fuoco ardeva sotto il foro per lo scarico dei fumi, carboni ardenti scintillavano in un braciere vicino a una pila di pellicce su cui giaceva Dalla, la donna di Mance, pallida e sudata. Sua sorella le teneva la mano. “Val” ricordò Jon.

«Sono stato addolorato quando Jarl è caduto» le disse.

Val lo fissò con pallidi occhi grigi. «Scalava sempre troppo in fretta.» Era attraente come Jon la ricordava, snella, con i seni pieni, aggraziata anche da sdraiata, gli zigomi alti, affilati. Una lunga treccia di capelli color miele le scendeva lungo il fianco.

«Il tempo di Dalla è vicino» spiegò Mance. «Lei e Val rimangono. Sanno quello che ho da dire.»

Jon mantenne la propria espressione immobile come il ghiaccio. “Infame al punto di assassinare un uomo nella sua tenda, durante una tregua? Infame al punto di sgozzarlo sotto gli occhi della moglie che sta per partorire?” Chiuse e riaprì le dita della mano della spada. Mance non indossava armatura, ma anche lui portava la spada, appesa al cinturone all’anca sinistra. E c’erano anche altre armi nella tenda, daghe, un arco e una faretra piena di frecce, una lancia dalla punta di bronzo accanto a quel grosso…

… corno nero.

Jon trattenne il fiato.

“Un corno da guerra, un corno gigantesco.”

«Esatto, Snow» disse Mance Rayder. «Il Corno dell’Inverno. Il corno in cui Joramun soffiò per risvegliare i giganti dalla terra.»

Era enorme. Lungo otto piedi alla sezione ricurva, con una bocca così larga che un uomo avrebbe potuto infilarci dentro il braccio fino al gomito. “Se proviene da un uri, dev’essere stato l’uri più grande mai esistito.” All’inizio, Jon pensò che le bande laterali del Corno di Joramun fossero di bronzo. Avvicinandosi si rese conto che erano d’oro. “Oro antico, più marrone che giallo, istoriato di rune.”

«Ygritte mi aveva detto che non lo avevi trovato, il corno.»

«Pensavi che solo i corvi neri sapessero mentire? Tu mi piacevi abbastanza, Jon Snow, per essere un bastardo… ma non mi sono mai fidato di te. Un uomo deve guadagnarsi la mia fiducia.»

Jon lo guardò dritto in faccia. «Se hai sempre avuto il Corno di Joramun, perché non l’hai usato? Perché spezzarsi la schiena a costruire testuggini? Perché mandare i Thenn a ucciderci nel sonno? Se questo corno è davvero come dicono le canzoni, perché non suonarlo e farla finita?»

Fu Dalla a rispondergli, Dalla con il ventre rigonfio per il piccolo dentro di sé, Dalla che giaceva sulla pila di pellicce vicino al braciere. «Noi del popolo libero sappiamo cose che voi sottomessi avete dimenticato. Non sempre la strada più breve è anche la più sicura, Jon Snow. Il lord Cornuto una volta ha detto che la magia è una spada senza impugnatura. Non esiste un modo sicuro per afferrarla.»

«Nessun uomo va a caccia con una sola freccia nella faretra.» Mance Rayder fece scivolare una mano lungo la curvatura del grande corno. «Avevo sperato che Styr e Jarl riuscissero a cogliere i tuoi confratelli di sorpresa, in modo da aprirci la porta del tunnel sotto il ghiaccio. Con diversivi e assalti secondari lungo la Barriera, ho allontanato la guarnigione dal Castello Nero. Bowen Marsh ha abboccato all’amo, come sapevo che avrebbe fatto… ma la tua banda di storpi e orfani ha dato prova di essere più ostinata di quello che pensavo. Ma non credere di averci fermato, corvo. La verità è che voi siete troppo pochi e noi siamo troppi. Potrei continuare ad attaccarvi e al tempo stesso mandare diecimila uomini su zattere attraverso la baia delle Foche, per prendere d’assalto il Forte orientale da dietro. Potrei anche lanciare un attacco alla Torre delle Ombre: conosco le vie di avvicinamento meglio di chiunque altro. Potrei mandare uomini e mammut a scardinare le porte dei tunnel sotto i forti che avete abbandonato, tutte in una volta sola.»

«E allora che cosa aspetti, Mance? Fallo.» A quel punto Jon avrebbe potuto estrarre Lungo artiglio, ma volle ascoltare quello che il sovrano dei bruti aveva da dire.

«Sangue» rispose Mance Rayder. «Alla fine, sarei il vincitore, sì… ma al prezzo di un fiume di sangue. E la mia gente ne ha già versato anche troppo.»

«Le vostre perdite non sono poi state così pesanti.»

«Non parlo delle perdite che voi ci avete inflitto.» Mance studiò l’espressione di Jon. «Tu hai visto il Pugno dei Primi Uomini. Sai quello che è accaduto lassù. Sai contro chi ci stiamo scontrando.»

«Gli Estranei.»

«Gli Estranei» confermò Mance. «I giorni si fanno più brevi, le notti più gelide e loro diventano sempre più forti. Prima ti uccidono, poi mandano i tuoi stessi morti contro di te. I giganti non sono stati in grado di fermarli, né i Thenn, né i clan del fiume congelato, né i Piedi di corno.»

«Nemmeno tu?»

«No, nemmeno io.» C’era rabbia in quell’ammissione. E un’amarezza troppo profonda perché le parole bastassero a descriverla. «Raymun Barbarossa, Bael il Bardo, Gendel e Gorne, il lord Cornuto, tutti loro sono venuti verso sud per conquistare il reame degli uomini… mentre io vengo con la coda tra le gambe a ripararmi dietro la vostra Barriera.» Mance Rayder sfiorò di nuovo il grande corno nero. «Se io suono il Corno di Joramun, la Barriera cadrà. O almeno è questo che vogliono farmi credere i cantastorie. E tra la mia gente c’è chi non chiede altro…»

«Ma una volta che sarà caduta la Barriera» intervenne Dalla «che cosa resterà a fermare gli Estranei?»

Mance le rivolse un sorriso affettuoso. «Ho trovato una donna saggia, una vera regina.» Si voltò di nuovo verso Jon. «Va’ a dire loro di aprire il tunnel e di lasciarci passare. Se lo fanno, io vi darò il Corno di Joramun e la Barriera continuerà a ergersi fino alla fine dei tempi.»

“Aprire il tunnel e lasciarvi passare.” Facile a dirsi, ma dopo? Che cosa sarebbe accaduto dopo? Giganti che bivaccano tra le rovine di Grande Inverno? Cannibali nella foresta del Lupo, carri falcati che solcano la terra delle tombe, incursori del popolo libero che rubano le figlie dei carpentieri e dei fabbri di Porto Bianco e le donne dei pescatori della Costa Pietrosa?

«E tu sei un vero re, Mance Rayder?» chiese Jon all’improvviso.

«Non ho mai avuto una corona in testa e non ho mai piazzato il culo su un fottuto trono, se è questo che vuoi sapere» rispose il re oltre la Barriera. «La mia nascita è quanto di più basso un uomo possa immaginare, nessun septon mi ha mai unto il cranio con l’unguento, non possiedo castelli e la mia regina indossa pellicce e ambra, non seta e zaffiri. Sono il campione di me stesso, il giullare di me stesso, l’arpista di me stesso. Non diventi re oltre la Barriera perché lo era tuo padre. Quelli del popolo libero non seguono un nome, e non gl’importa quale fratello è nato prima. Seguono un guerriero. Quando ho lasciato la Torre delle Ombre, almeno cinque uomini proclamavano di avere la stoffa di re. Tormund Veleno dei giganti era uno, il maialar dei Thenn un altro. Gli altri tre, quando hanno detto chiaramente che preferivano combattermi piuttosto che seguirmi, li ho uccisi.»

«Sai uccidere i tuoi nemici, certo» disse Jon senza mezzi termini «ma sai governare i tuoi amici? Se noi lasciassimo davvero passare la tua gente, sei forte abbastanza per imporre loro di mantenere la pace del re e obbedire alle leggi?»

«Le leggi di chi? Quelle di Grande Inverno e di Approdo del Re?» Mance scoppiò a ridere. «Quando vogliamo delle leggi, ci facciamo le nostre. E puoi anche tenerti la tua giustizia del re e le tue tasse del re. Ti sto offrendo il Corno dell’Inverno, non la nostra libertà. Noi non faremo atto di sottomissione.»

«E se rifiutassimo l’offerta?» Cosa sulla quale Jon nutriva ben pochi dubbi. Il Vecchio Orso avrebbe quanto meno ascoltato, forse. Ma non senza avanzare pesanti obiezioni all’idea di trenta, quarantamila bruti dilaganti nei Sette Regni. Viceversa, individui come Alliser Thorne e Janos Slynt avrebbero giudicato la proposta semplicemente insensata.

«Se rifiutate» disse Mance Rayder «all’alba del terzo giorno da ora, Tormund Veleno dei giganti suonerà il Corno dell’Inverno.»

Jon Snow poteva tornare al Castello Nero, a riferire quel messaggio e dare l’allarme riguardo al corno. Ma se avesse lasciato Mance Rayder in vita, lord Janos e ser Alliser avrebbero avuto la prova definitiva che lui era un traditore. Mille pensieri affollavano la sua mente. “Distruggere il Corno di Joramun. Certo è una strada. Farlo a pezzi qui e ora, di modo che…”

… Un altro corno lanciò il proprio alto lamento prima che lui potesse chiarirsi le idee.

Jon lo udì attraverso gli strati di pellicce che coprivano la tenda. Anche Mance lo udì. Con la fronte aggrottata, uscì dal padiglione. Jon lo seguì.

Fuori, il richiamo del corno riecheggiava più forte. Un suono che pervadeva tutto l’accampamento dei bruti. Tre Piedi di corno passarono di corsa davanti alla tenda, lunghe lance in pugno. Cavalli nitrivano e scalpitavano, i giganti ruggivano nell’antico linguaggio, perfino i mammut erano inquieti.

«Il corno di un esploratore» Tormund disse a Mance.

«Sta arrivando qualcuno.» Varamyr sedeva a gambe incrociate sul terreno semicongelato, i suoi lupi che gli giravano attorno senza sosta. Un’ombra scivolò sul metamorfo. Jon alzò lo sguardo, individuando le ali grigioazzurre dell’aquila. «Da est, arriva da est» aggiunse Varamyr.

“Quando i morti camminano, mura e rostri e spade non servono più. Non si può combattere contro i morti, Jon Snow. E questo, nessun uomo lo sa meglio di me.”

«Da est?» ringhiò Harma. «I morti che camminano dovrebbero essere alle nostre spalle.»

«Da est» ripeté il metamorfo. «Qualcosa sta arrivando da est.»

«Gli Estranei?» ipotizzò Jon.

Mance scosse la testa. «Gli Estranei non vengono mai quando il sole è alto.» Carri falcati stracarichi di guerrieri che impugnavano lance con puntali d’osso passarono sferragliando nella terra di nessuno. «E questi dove credono di andare? Quenn, riporta indietro quegli idioti: è qui che devono stare. Qualcuno mi porti il mio cavallo. Il corsiero, non lo stallone. Voglio anche la mia armatura.» Mance lanciò uno sguardo sospettoso alla sommità della Barriera. Oltre i parapetti di ghiaccio, le sentinelle spaventacorvi continuavano a ergersi immobili, irte di frecce. Nessun altro movimento. «Harma, fa’ montare i tuoi incursori. Tormund, trova i tuoi figli e dammi una tripla fila di picche.»

«Aye!» Tormund si allontanò in fretta.

«Li vedo…» E piccolo metamorfo con la faccia da topo aveva gli occhi chiusi. «Arrivano seguendo i torrenti e le impronte degli animali…»

«Ma chi

«Uomini. Uomini a cavallo. Uomini di ferro e uomini in nero.»

«Corvi.» Mance pronunciò quella parola come una bestemmia. Si voltò verso Jon. «I miei vecchi confratelli pensavano forse di sorprendermi con le brache calate lanciando un attacco mentre parlo con te?»

«Se hanno deciso un attacco, nessuno mi ha detto niente.» Jon si rifiutava di crederlo. Janos Slynt non aveva abbastanza uomini per assaltare l’accampamento dei bruti. Inoltre, Slynt si trovava sull’altro lato della Barriera, e il tunnel sotto il ghiaccio era ingombro di macerie. “Era un’altra l’infamia che aveva in mente, questa non può essere opera sua.”

«Se mi hai mentito di nuovo, Jon Snow, non uscirai vivo da qui» lo avvertì Mance, mentre le sue guardie gli portavano il cavallo e l’armatura.

In altre zone dell’accampamento, Jon vide gente che si muoveva in modo contraddittorio. Guerrieri si ammassavano come se stessero per lanciare un attacco alla Barriera mentre gli altri uomini si disperdevano nella foresta. Donne a bordo di carri trainati da cani si dirigevano a est, i mammut fuggivano a ovest. Jon sollevò un braccio dietro la schiena e snudò Lungo artiglio nel momento stesso in cui, a trecento iarde di distanza, una lunga fila di ranger dei Guardiani della notte emergeva dai margini del bosco. Indossavano maglie di ferro nere, mezzi elmi neri, mantelli neri.

Mance Rayder, che aveva indossato solo metà dell’armatura, sguainò la spada. «E di tutto questo tu non sai niente, o sbaglio?» chiese freddamente a Jon.

Lenti, inesorabili come resina che cola in un gelido mattino, i guerrieri in nero avanzavano verso l’accampamento dei bruti, superando grovigli di rovi e macchie di alberi, con gli zoccoli dei loro cavalli che calpestavano radici e rocce. I bruti si avventarono contro di loro, lanciando grida di battaglia, sventolando mazze, spade di bronzo e asce di silice, galoppando verso i loro antichi nemici.

«Pensa pure quello che vuoi, Mance» rispose Jon Snow. «Io non so niente di un attacco.»

Alla testa di trenta dei suoi, Harma partì con un boato prima che Mance potesse rispondere. Davanti a lei svettava il suo vessillo: una testa di cane infilzata su una picca, spruzzi di sangue fresco che si disperdevano a ogni falcata. Mance rimase a guardare mentre il gruppo di Harma arrivava a contatto con gli uomini in nero.

«Forse stai dicendo la verità, corvo» concesse. «Quelli sembrano uomini del Forte orientale. Marinai a cavallo. Cotter Pyke è uno che ha sempre avuto più fegato che buonsenso. Ha catturato il Lord delle Ossa a Lungo Tumulo, e magari pensava di fare lo stesso con me. Se è così, è uno stolto. Non ha abbastanza uomini. Lui…»

«Mance!» fu qualcun altro a gridare. Un esploratore, che sbucò dal bosco in sella a un cavallo coperto di schiuma di sudore. «Mance, ce ne sono altri. Di più, molti di più. Sono tutt’attorno a noi. Uomini di ferro. Di ferro. Un intero esercito di uomini di ferro!»

Mance Rayder saltò in sella imprecando. «Varamyr, tu rimani qui e vedi che non venga fatto alcun male a Dalla.» Il re oltre la Barriera puntò la spada contro Jon. «E tieni bene d’occhio il corvo. Se cerca di scappare, squarciagli la gola.»

«Aye, lo farò.» Il metamorfo era più basso di Jon di tutta la testa, flaccido e senza vigore, ma la sua pantera-ombra poteva sventrarlo con una sola zampata. «Stanno arrivando anche da nord…» Varamyr disse a Mance. «È meglio che vai.»

Mance mise l’elmo con le ali di corvo. Anche i suoi uomini stavano montando in sella. «Punta di freccia!» ordinò il re oltre la Barriera. «Con me, formazione a cuneo!» Piantò gli speroni nei fianchi del corsiero, partendo al galoppo attraverso la terra di nessuno, caricando i ranger. Ma gli uomini che si lanciarono dietro di lui cercando di raggiungerlo persero qualsiasi parvenza di formazione.

Jon fece un passo verso la tenda, pensando al Corno dell’Inverno. La pantera-ombra si mosse per bloccarlo, con la coda che si agitava, le narici dilatate e la bava che le colava dai due lunghi canini. “Sente l’odore della mia paura.” In quel momento, Spettro gli mancò come non mai. Alle sue spalle, i due lupi del metamorfo bramivano minacciosi.

«Vessilli» mormorò Varamyr Seipelli «vedo vessilli dorati, aaccckkk…» Un mammut caricò con un barrito selvaggio, con una mezza dozzina di arcieri nella torretta di legno sopra la schiena. «Il re… no…»

Di colpo, il metamorfo gettò indietro la testa e urlò.

Fu un urlo terribile, straziante, di agonia. Varamyr crollò a terra contorcendosi. Anche la pantera-ombra si stava lamentando… E in alto, molto in alto nel cielo a est, contro la cupola di nubi, Jon vide l’aquila che bruciava. Per un breve attimo brillò più vivida di qualsiasi stella, una croce fiammeggiante rossa, gialla e arancione, con le ali che battevano selvaggiamente l’aria gelida, quasi cercando di allontanarsi dal dolore. Volò più in alto, sempre più in alto, più in alto ancora.

Le urla richiamarono Val fuori dalla tenda, pallida in viso. «Che cosa c’è, che cosa succede?» I lupi di Varamyr si erano avventati l’uno contro l’altro, la pantera-ombra era svanita nella foresta, il metamorfo continuava a contorcersi a terra. «Che cosa gli ha preso?» Val era inorridita. «Dov’è andato Mance?»

«Laggiù» indicò Jon. «A combattere.» Il re guidò il suo sfaldato cuneo contro la falange dei ranger, con la sua spada che mandava lampi.

«Non può. Non può farlo adesso. Sta cominciando!»

«La battaglia?»

Jon guardò i ranger disperdersi davanti alla testa sanguinolenta del cane di Harma. I bruti urlavano e calavano le loro asce, ricacciando gli uomini in nero tra gli alberi. Ma c’erano altri uomini in avanzata dalla foresta, molti altri uomini. Un’intera colonna di cavalleria. “Cavalieri in corazza su stalloni da guerra” vide Jon. Harma fu costretta a serrare i ranghi per andare ad affrontarli, ma almeno metà dei suoi uomini si era spinta troppo in avanti.

«Il parto!» gli urlò in faccia Val.

Ovunque si levavano squilli di tromba, alti e arroganti. “I bruti non hanno trombe, solo corni da guerra.” Lo sapevano anche loro. Gli squilli provocarono il caos tra il popolo libero, molti avanzavano per combattere, altri fuggivano chissà dove. Un mammut investì un gregge di pecore che tre uomini cercavano di spingere verso ovest. I tamburi battevano mentre i bruti cercavano di formare linee e quadrati di resistenza. Troppo pochi, troppo tardi, troppo lenti, troppo disorganizzati. Il nemico stava calando loro addosso dalla foresta, avanzando simultaneamente da est, da nordest e da nord. Tre grandi colonne di cavalleria pesante, guerrieri ricoperti di acciaio scintillante, magnifici nelle loro tuniche di lana dai colori vividi. Non erano uomini del Forte orientale, loro non erano stati altro che la linea iniziale dei ranger.

Questo era un vero e proprio esercito.

“Il re?” Jon era confuso quanto i bruti. Che Robb fosse tornato al Nord? Che il ragazzino sul Trono di Spade avesse finalmente deciso di muoversi?

«È meglio che tu rientri nella tenda» disse a Val.

Sul campo di battaglia, una delle colonne di cavalieri aveva travolto Harma Testa di cane. Un’altra aveva sfondato i ranghi dei picchieri di Tormund, mentre lui e i suoi figli cercavano disperatamente di riorganizzare la difesa. I giganti però stavano salendo in groppa ai loro mammut, cosa che ai cavalieri corazzati non piacque affatto. Alla vista di quei colossali avversari simili a montagne, i loro destrieri si imbizzarrivano e fuggivano. Ma la paura ribolliva anche tra i bruti: centinaia di donne e bambini fuggivano dal centro dello scontro, molti venivano schiacciati dagli zoccoli dei cavalli. Jon vide il carretto di una vecchia finire dritto sulla traiettoria di tre carri falcati, mandandoli a cozzare l’uno contro l’altro.

«Dèi» balbettò Val «dèi, perché tutto questo?»

«Va’ nella tenda e resta vicino a Dalla. Non è sicuro stare qua fuori.» Non che dentro la tenda lo fosse molto di più, ma non era necessario che Val se lo sentisse dire.

«Devo trovare una levatrice» disse la ragazza.

«Sei tu, la levatrice» ribatté Jon. «Io resterò qui fino a quando Mance non ritorna.»

Aveva perso di vista il re oltre la Barriera, ma adesso lo scorse di nuovo. Lo vide che si apriva la strada combattendo in mezzo a un groviglio di nemici a cavallo. I mammut avevano sfondato la colonna centrale, ma le altre due si stavano serrando come tenaglie. Sul lato orientale dell’accampamento, arcieri scoccavano frecce incendiarie contro le tende dei bruti. Jon vide uno dei mammut strappare un cavaliere dalla sella e lanciarlo a quaranta piedi di distanza con un colpo di proboscide. I bruti sciamarono attorno alla tenda di Mance, donne e bambini fuggivano dalla battaglia, con qualche uomo in mezzo a loro. Alcuni di loro lanciarono a Jon occhiate torve, ma aveva Lungo artiglio stretta in pugno, e nessuno osò affrontarlo. Perfino Varamyr fuggì, caracollando via a carponi.

Sempre più uomini si riversavano fuori dagli alberi, e non soltanto cavalieri con la corazza, ma anche soldati di ventura, arcieri a cavallo, armigeri con gli elmi a calotta. Dozzine di guerrieri, centinaia di guerrieri. Grappoli di vessilli sventolavano sopra di loro. Il vento era troppo forte perché Jon potesse distinguere gli emblemi. Riuscì ad avere la fugace visione di un cavalluccio marino, di un campo punteggiato di uccelli, di un cerchio di fiori. Ma su tutto, ovunque, dominava il giallo, un simbolo rosso violento in campo giallo. A chi appartenevano così tante spade?

A est, a nord, a nordest, bande di bruti cercavano di resistere all’assalto. Inutile: gli attaccanti passarono loro sopra, letteralmente. Il popolo libero aveva la supremazia numerica, ma l’esercito dei vessilli dominava per le armature d’acciaio e i cavalli da guerra. Nell’infuriare della battaglia, Jon vide Mance ergersi sulle staffe. Era facile riconoscerlo dalla cappa nera e porpora, dall’elmo con ali di corvo. Aveva la spada levata, e i suoi uomini si ammassarono attorno a lui. Un gruppo di cavalieri arrivò loro addosso caricando con spade, lance, asce lunghe. Il corsiero di Mance si rizzò sulle zampe posteriori, scalciando e nitrendo. Una lancia lo trafisse al pettorale destro. Poi l’ondata di acciaio sommerse tutto. E tutti.

“È finita.” Jon Snow non aveva più dubbi. “Stanno crollando.”

Era finita davvero. I bruti correvano via gettando le armi, Piedi di corno, cavernicoli, Thenn nelle loro armature a scaglie di bronzo erano tutti in fuga. Mance era stato inghiottito. Qualcuno sventolava la testa mozzata di Harma Testa di cane conficcata su una picca. Le linee di Tormund si erano dissolte. Solamente i giganti sui loro mammut continuavano a combattere, pelose scogliere circondate da un furioso oceano di acciaio rosso. Il fuoco ruggiva da una tenda all’altra, anche alcuni degli alti pini stavano bruciando. Dal fumo, dalle fiamme, emerse un’altra colonna di cavalleria pesante. Davanti a loro svettavano i vessilli più grandi apparsi fino a quel momento, stendardi reali grandi come vele. Uno recava un emblema giallo con al centro un cuore fiammeggiante. Su un altro, simile a una bandiera d’oro, un cervo nero incoronato scalciava nel vento.

“Robert… Robert Baratheon!” pensò Jon Snow per un breve, folle momento, ricordando il sogno fatto dal povero Owen. Solo che non era possibile: Robert Baratheon era morto. Da molto tempo. E quando le trombe squillarono di nuovo, era un altro nome quello che urlarono i cavalieri lanciati nell’assalto terminale.

«Stannis! Stannis! stannis!»

Jon Snow voltò le spalle alla fine del re oltre la Barriera e rientrò nella tenda.

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