Eugenia Insigna accolse le parole della figlia con una risata incerta e incredula. Non era facile decidere se dubitare dell’equilibrio mentale di una figlia o delle proprie facoltà uditive.
«Cos’hai detto, Marlene? Come sarebbe… io andrò su Eritro?»
«L’ho chiesto al Commissario Pitt, e lui ha detto che provvederà.»
Eugenia rimase interdetta. «Ma… perché?»
Tradendo una lieve irritazione, Marlene rispose: «Perché vuoi compiere dei rilevamenti astronomici di precisione, e Rotor non ti consente la precisione necessaria, mentre Eritro sarebbe il posto adatto. Ma mi rendo conto che in realtà la tua domanda era un’altra».
«Appunto. Io volevo sapere… perché il Commissario Pitt dovrebbe aver detto che provvederà? Gliel’ho chiesto parecchie volte in passato, e ha sempre rifiutato. Non vuole che nessuno vada su Eritro… a parte qualche specialista.»
«Gli ho semplicemente esposto la cosa in modo diverso, mamma.» Marlene esitò un attimo. «Gli ho detto che sapevo che era ansioso di liberarsi di te e che questa era l’occasione giusta.»
Eugenia inspirò in modo così brusco che si sentì soffocare e fu costretta a tossire. «Come hai potuto dire una cosa del genere?» chiese poi, gli occhi che lacrimavano.
«Perché è vero, mamma. Non l’avrei detto se non fosse vero. L’ho sentito parlare con te, e ti ho sentita parlare di lui, ed è talmente chiaro che anche tu te ne rendi conto, lo so. Pitt è seccato con te, e vorrebbe che tu la smettessi di importunarlo per… per qualsiasi motivo. Lo sai.»
Eugenia serrò le labbra. «Sai, cara, d’ora in poi dovrò confidarmi con te. È imbarazzante farti scoprire certe cose in questo modo.»
Marlene abbassò gli occhi. «Sì, mamma. Mi dispiace.»
«Ma continuo a non capire. Non era necessario spiegargli che è seccato con me. Pitt lo sapeva benissimo, per forza. Allora, perché non mi ha mandata su Eritro quando gliel’ho chiesto?»
«Perché detesta avere a che fare con Eritro, e, anche se era ansioso di liberarsi di te, la sua avversione per Eritro era sempre troppo forte, non riusciva a superarla perché tu non rappresentavi uno stimolo sufficiente. Solo che adesso non sarai solo tu a partire. Partiremo in due. Tu ed io.»
Eugenia si sporse in avanti, posando le mani sul tavolo tra loro. «No, Molly… Marlene. Eritro non è un posto adatto a te. Non resterò là in eterno. Compirò quei rilevamenti e tornerò, e tu starai qui ad aspettarmi.»
«Temo di no, mamma. È evidente che Pitt ti lascia andare solo perché è l’unico modo per liberarsi di me. Ecco perché ha accettato di mandarti su Eritro quando gli ho chiesto di partire insieme a te, mentre ha rifiutato quando tu gli hai chiesto di partire da sola. Capisci?»
Eugenia corrugò la fronte. «No. Non capisco proprio. Tu che c’entri?»
«Quando stavamo parlando, e io gli ho spiegato che sapevo che gli sarebbe piaciuto liberarsi di tutte e due, ha irrigidito la faccia… sai, per cancellare qualsiasi espressione. Sapeva che sono in grado di interpretare le espressioni e altre piccole manifestazioni del genere, e non voleva che intuissi quel che provava, immagino. Ma, vedi, ci si tradisce anche così, è un atteggiamento molto significativo per me. E poi, non si può reprimere tutto. Gli occhi si muovono, si agitano, senza che uno se ne renda conto, credo.»
«Così, hai capito che voleva liberarsi anche di te.»
«Peggio. Ha paura di me.»
«Perché dovrebbe avere paura di te?»
«Perché detesta che io sappia certe cose che invece vorrebbe nascondere, immagino.» Marlene sospirò. «Parecchia gente si arrabbia con me per lo stesso motivo.»
Eugenia annuì. «Capisco. Di fronte a te la gente si sente nuda… nuda mentalmente… come se un vento gelido le attraversasse la mente.» Fissò la figlia. «A volte, anch’io ho questa sensazione. Guardando indietro nel tempo, penso che tu mi abbia turbata fin da quando eri piccola. Spesso ho ripetuto a me stessa che eri soltanto insolitamente intell…»
«Credo di esserlo» si affrettò a precisare Marlene.
«Sì, certo… ma chiaramente non si trattava solo di intelligenza, c’era qualcos’altro, anche se non capivo bene di cosa si trattava. Dimmi… ti dispiace parlarne?»
«Con te, no, mamma» rispose Marlene, però c’era una sfumatura di circospezione nella sua voce.
«D’accordo, allora. Quando eri più giovane e hai scoperto di possedere questa capacità, a differenza degli altri bambini e perfino degli adulti, perché non sei venuta a dirmelo?»
«Una volta ho provato, se devo essere sincera. Ma tu eri insofferente. No, non hai detto nulla, però ho capito che eri occupata e non volevi essere infastidita con delle stupidaggini infantili.»
Eugenia spalancò gli occhi. «Ho proprio detto che erano stupidaggini infantili?»
«Non l’hai detto, ma la tua espressione e il modo in cui tenevi le mani parlavano chiaro.»
«Avresti dovuto insistere, cercare comunque di dirmelo.»
«Ero solo una bambina. E tu eri quasi sempre infelice… per il Commissario Pitt, e per papà.»
«Lasciamo perdere questo. Non puoi dirmi nient’altro, adesso?»
«Solo una cosa» rispose Marlene. «Quando il Commissario Pitt ha detto che potevamo partire, be’, l’ha detto in un certo modo, e io ho avuto l’impressione che avesse tralasciato qualcosa… che non avesse detto tutto.»
«E cosa avrebbe tralasciato, Marlene?»
«Ecco il problema, mamma. Non sono capace di leggere il pensiero, quindi non lo so. Posso solo giudicare in base a certi segni esteriori, per cui a volte le cose rimangono vaghe, confuse. Però…»
«Sì?»
«Ho la sensazione che il Commissario Pitt abbia taciuto qualcosa di molto spiacevole… o addirittura qualcosa di malvagio.»
Naturalmente, trascorse parecchio tempo prima che Eugenia fosse pronta a trasferirsi su Eritro. Su Rotor c’erano delle questioni che non si potevano lasciare in sospeso. Eugenia dovette sistemare le cose nella sezione astronomica, dare disposizioni ad altri, assegnare a un sostituto provvisorio la carica di Primo Astronomo, e consultarsi con Pitt, che, stranamente, non era molto loquace per quanto riguardava l’argomento partenza.
Eugenia lo affrontò quando si presentò a rapporto da lui per l’ultima volta.
«Domani vado su Eritro» disse.
«Come, scusa?» Pitt alzò lo sguardo dalla relazione finale che lei gli aveva consegnato, e che aveva fissato fino a un attimo prima… senza leggerla, però, Eugenia ne era convinta. (Stava imparando qualche trucco di Marlene in modo incontrollato? No, non doveva illudersi subito di riuscire a vedere sotto la superficie.)
«Domani vado su Eritro» ripeté con pazienza Eugenia.
«Ah, è domani? Be’, tornerai prima o poi, quindi questo non è un addio. Abbi cura di te. Considerala una vacanza.»
«Intendo studiare il moto di Nemesis nello spazio.»
«Ah, intendi studiare il moto di Nemesis? Be’…» Pitt fece un gesto con entrambe le mani, quasi stesse accantonando un particolare privo di importanza. «Come vuoi. Un cambiamento di ambiente è una vacanza anche se si continua a lavorare.»
«Voglio ringraziarti, dal momento che hai acconsentito, Janus.»
«Me l’ha chiesto tua figlia. Lo sapevi?»
«Sì. Me l’ha detto quello stesso giorno. Le ho detto che non aveva il diritto di disturbarti. Sei stato molto paziente con lei.»
Pitt sbuffò. «È una ragazza davvero insolita. Per me non è stato un problema accontentarla. La cosa è solo temporanea. Finisci i tuoi calcoli e ritorna.»
"È la seconda volta che parla del mio ritorno" rifletté Eugenia. "Se Marlene fosse qui, cosa dedurrebbe da questo fatto? Qualcosa di malvagio, come dice lei? Ma cosa?"
«Torneremo» disse, calma.
«Con la notizia che Nemesis, tra cinquemila anni, sarà inoffensiva, mi auguro.»
«Questo lo stabiliranno i fatti» rispose ruvidamente Eugenia.
Strano, pensò Eugenia. Era a oltre due anni luce dal punto dello spazio in cui era nata, eppure era salita su un’astronave appena due volte, e per viaggi brevissimi… da Rotor alla Terra e viceversa.
I viaggi spaziali continuavano a non attirarla granché. Era Marlene la forza propulsiva alla base del trasferimento su Eritro. Era stata lei, di propria iniziativa, a incontrare Pitt e a convincerlo a cedere alla sua strana forma di ricatto. Era lei ad essere veramente eccitata, in preda a quella smania bizzarra di visitare Eritro. Eugenia non capiva una simile ossessione, e la considerava un altro aspetto della complessità mentale ed emotiva della figlia. Eppure, ogni volta che Eugenia tremava al pensiero di lasciare Rotor, piccolo, comodo e sicuro, per un mondo smisurato e deserto come Eritro, così strano e minaccioso, e distante seicentocinquantamila chilometri (quasi il doppio della distanza che aveva separato Rotor dalla Terra), era l’eccitazione di Marlene a infonderle coraggio.
La nave che le avrebbe condotte su Eritro non era bella né aggraziata. Era pratica. Faceva parte della piccola flotta di razzi che fungevano da traghetti, che si svincolavano dalla massiccia attrazione gravitazionale di Eritro, o che scendevano sul pianeta attenti a non cedere minimamente a tale attrazione, affrontando in ogni caso un’atmosfera non addomesticata, ventosa, imprevedibile, densa.
Non sarebbe stato un viaggio piacevole, secondo Eugenia. Perlopiù, si sarebbero trovate in assenza di peso, e due giorni interi di imponderabilità sarebbero stati senza dubbio noiosi.
La voce di Marlene interruppe le sue riflessioni. «Andiamo, mamma, ci stanno aspettando. Il bagaglio è sistemato… e anche tutto il resto.»
Eugenia Insigna avanzò. Mentre attraversava il compartimento stagno, il suo ultimo pensiero inquieto, prevedibilmente, fu: "Ma perché Janus Pitt ha accettato di lasciarci andare così di buon grado?".
Siever Genarr governava un mondo grande quanto la Terra. O, volendo essere più precisi, governava direttamente una cupola che copriva circa tre chilometri quadri e stava espandendosi lentamente. Sul resto del mondo, quasi cinquecento milioni di chilometri quadri di terre emerse e di mare, non c’era traccia di esseri umani, né di altre forme di vita che non fossero di dimensioni microscopiche. Quindi, se a governare un mondo erano le forme di vita pluricellulari che lo occupavano, le centinaia di persone che vivevano e lavoravano nella zona coperta dalla cupola erano i signori di Eritro, e Siever Genarr era il loro capo.
Genarr non era un uomo imponente, erano piuttosto i suoi lineamenti forti che gli conferivano un aspetto imponente. Per questo motivo, da giovane Genarr dimostrava più dei suoi anni… però ora che aveva quasi raggiunto i cinquanta la situazione si era riequilibrata. Aveva un naso lungo, un po’ di borse sotto gli occhi, i capelli che cominciavano a tingersi di grigio. La sua voce però era melodiosa e sonora, dal tono baritonale. (Genarr una volta aveva pensato di calcare le scene professionalmente, ma, dato il suo aspetto, era destinato a ruoli occasionali come caratterista, e le sue capacità amministrative avevano avuto la precedenza.)
Era per quelle capacità, in parte, che si trovava da dieci anni nella Cupola di Eritro, a osservare la sua progressiva crescita. L’incerta struttura iniziale di tre stanze si era trasformata nell’ampia stazione mineraria e di ricerca attuale.
La Cupola aveva degli svantaggi. Poche persone rimanevano a lungo. C’erano dei turni, dal momento che quasi tutti quelli che venivano si consideravano in esilio e provavano il desiderio, più o meno costante, di tornare su Rotor. E la maggior parte di loro trovava la luce rosata di Nemesis minacciosa o malinconica, anche se la luce all’interno della Cupola era vivida e familiare come quella di Rotor.
La Cupola presentava anche dei vantaggi. Genarr era lontano dalla baraonda della politica rotoriana, che sembrava sempre più chiusa, involuta e senza senso. E soprattutto, era lontano da Janus Pitt, di cui in generale (e inutilmente) non condivideva le opinioni.
Pitt si era opposto con accanimento alla creazione di qualsiasi insediamento su Eritro, fin dall’inizio… non voleva nemmeno che Rotor orbitasse attorno a Eritro. Su questo punto, almeno, era stato sconfitto dalla forza schiacciante dell’opinione pubblica, ma aveva fatto in modo che la Cupola ricevesse pochissimi fondi e che il suo sviluppo procedesse lentamente. Se, grazie a Genarr, la Cupola non fosse diventata una fonte idrica preziosa per Rotor (molto più economica degli asteroidi), Pitt avrebbe potuto annientarla.
In genere, però, ignorando il più possibile l’esistenza della Cupola per principio, Pitt tentava raramente di intromettersi nelle procedure amministrative di Genarr… il che a Genarr andava benissimo.
Dunque, Genarr era rimasto sorpreso quando Pitt si era scomodato a informarlo personalmente dell’arrivo di un paio di persone, invece di lasciare che l’informazione figurasse tra le normali comunicazioni di servizio. Pitt aveva anzi discusso dell’argomento in modo dettagliato, parlando svelto e secco, col suo solito atteggiamento arbitrario che non ammetteva discussioni né commenti, e la conversazione era stata anche schermata.
Fatto ancor più sorprendente, una delle persone in arrivo era Eugenia Insigna.
Un tempo, diversi anni prima della Partenza, Genarr ed Eugenia erano stati amici, in seguito, dopo i giorni felici dell’università (Genarr li ricordava con nostalgia come un periodo molto romantico), Eugenia era andata sulla Terra per la specializzazione ed era tornata su Rotor con un terrestre. Genarr non l’aveva più vista, tranne un paio di volte, da lontano, dopo che lei aveva sposato Crile Fisher. E quando lei e Fisher si erano separati, appena prima della Partenza, Genarr era stato impegnato col lavoro, ed Eugenia pure… e a nessuno dei due era venuto in mente di riallacciare i vecchi legami.
Forse Genarr ci aveva pensato di tanto in tanto, ma non voleva sembrare importuno, dato il dolore evidente di Eugenia rimasta sola con una bambina da allevare. Poi Genarr era stato inviato su Eritro, e addio possibilità di riprendere i contatti con Eugenia. Anche se aveva dei periodi di ferie su Rotor, non si sentiva più a proprio agio in quel luogo. Qualche vecchia amicizia rotoriana gli era rimasta, ma erano rapporti piuttosto tiepidi ormai.
È adesso stava arrivando Eugenia con la figlia. Genarr non ricordava il nome della ragazza… forse non aveva mai saputo quale fosse. Sicuramente, non l’aveva mai vista. La ragazza avrebbe dovuto avere quindici anni… chissà se cominciava a mostrare la stessa avvenenza giovanile di Eugenia? si chiese Genarr, provando uno strano turbamento interiore.
Guardò dalla finestra dell’ufficio, con un’aria quasi furtiva. Si era talmente abituato alla Cupola da non vederla più con occhio critico. Ospitava lavoratori di ambo i sessi… adulti, nessun bambino… turnisti assunti per qualche settimana o per qualche mese, che a volte tornavano per un altro turno, e a volte non tornavano. Tranne Genarr e altre quattro persone, che, per un motivo o per l’altro, avevano imparato a preferire la Cupola, non c’erano membri permanenti del personale.
Non c’era nessuno che fosse orgoglioso della Cupola come semplice dimora. Era pulita e ordinata, necessariamente, però aveva un’aria artificiale. C’era una prevalenza eccessiva di archi e di linee, di piani e di cerchi. Alla Cupola mancava l’irregolarità, il caos della vita permanente che permetteva a una stanza o perfino a una scrivania di adattarsi agli anfratti e alle oscillazioni di una personalità particolare.
C’era Genarr, naturalmente. La sua scrivania e la sua stanza riflettevano i contorni e le caratteristiche della sua personalità. Forse, anche per questo si sentiva a proprio agio lì. Il suo animo era in sintonia con la geometria spoglia ed essenziale della Cupola.
Ma cosa avrebbe pensato Eugenia della Cupola? (Genarr era contento che avesse ripreso il nome da nubile.) La donna che lui ricordava amava l’irregolarità, i fronzoli superflui e appariscenti, malgrado fosse un’astronoma.
O era cambiata? La gente cambiava mai, essenzialmente? L’abbandono di Fisher l’aveva inasprita, l’aveva alterata…?
Erano riflessioni inutili, pensò Genarr, grattandosi i capelli grigi sulla tempia. Tra poco avrebbe visto Eugenia, perché aveva ordinato che la accompagnassero da lui non appena fosse arrivata.
O doveva andare ad accoglierla personalmente?
No! Aveva già esaminato il problema una decina di volte. Non poteva mostrarsi troppo ansioso; sarebbe stato un comportamento sconveniente per la dignità della sua posizione.
Ma… no, non era questo il motivo, non lo era affatto, pensò Genarr un attimo dopo. Non voleva che Eugenia si sentisse a disagio, che vedesse in lui lo stesso ammiratore imbarazzato e maldestro che si era ritirato mogio mogio di fronte alla cupa prestanza del terrestre. Eugenia non lo aveva più guardato dopo avere incontrato Crile Fisher… non lo aveva più guardato seriamente.
Genarr ripensò alle parole del messaggio di Janus Pitt… aride, concise, come tutte le sue comunicazioni, e capace di trasmettere una sensazione indefinibile di autorità, come se la possibilità di dissentire fosse non solo qualcosa di inaudito… ma addirittura di impensabile.
E a un tratto Genarr notò che Pitt aveva dato maggior rilievo alla figlia di Eugenia che non a Eugenia stessa. La ragazza aveva manifestato un vivo interesse per Eritro, affermava Pitt, e se desiderava esplorare la superficie del pianeta Genarr doveva permetterle di farlo.
Come mai?
Eccola. Erano trascorsi quattordici anni dalla Partenza… venti dalla giovinezza di Eugenia, dal giorno in cui erano andati nell’Area Agricola C salendo ai livelli a bassa gravità, e lei aveva riso quando Genarr aveva tentato una capriola lenta e aveva calcolato male la spinta, atterrando poi sulla pancia. (In effetti, avrebbe potuto farsi male facilmente, perché anche se la sensazione di peso diminuiva, la massa e l’inerzia non facevano altrettanto, e le conseguenze avrebbero potuto essere dolorose. Per fortuna, Genarr non aveva patito quella umiliazione.)
Sì, Eugenia era invecchiata. Però non si era appesantita molto, e i suoi capelli, più corti e lisci, adesso, avevano un’aria più pratica, e lo stesso colore intenso, castano scuro.
E quando avanzò verso di lui sorridendo, Genarr sentì che il suo cuore traditore accelerava leggermente i battiti. Lei gli tese le mani, e Genarr le strinse.
«Siever!» esordì Eugenia. «Ti ho tradito, e mi vergogno tantissimo.»
«Mi hai tradito, Eugenia? Di che stai parlando?» Di cosa stava parlando? Non del suo matrimonio con Crile, sicuramente.
«Avrei dovuto pensare a te ogni giorno. Avrei dovuto mandarti dei messaggi, tenerti informato, insistere per venire a farti visita» spiegò lei.
«Invece, non hai mai pensato a me!»
«Oh, non sono così spregevole. Di tanto in tanto, ho pensato a te. Non ti ho mai dimenticato del tutto, credimi. Solo che i miei pensieri alla fine non mi hanno mai spinta a fare qualcosa.»
Genarr annuì. Che poteva dire? «So che sei stata occupata. E io ero qui… lontano dagli occhi… lontano dal cuore, quindi.»
«No, non lontano dal cuore. Praticamente, non sei cambiato, Siever.»
«È il vantaggio di sembrare già vecchi e rugosi a vent’anni. Dopo, non si cambia più, Eugenia. Il tempo passa, e si diventa un po’ più vecchi e rugosi, ma sono differenze che non si notano quasi.»
«Via, come al solito sei crudele con te stesso, perché le donne dal cuore tenero accorrano in tua difesa. In questo non sei cambiato affatto.»
«Dov’è tua figlia, Eugenia? Non doveva venire con te?»
«È venuta, puoi starne certo. Non so perché, considera Eritro una specie di paradiso. È nel nostro alloggio a sistemare le cose e a disfare i bagagli. Già, è proprio quel tipo di ragazza, lei. Seria. Responsabile. Pratica. Obbediente. Possiede tutte le virtù più sgradevoli, per usare la definizione che ho sentito una volta da qualcuno.»
Genarr scoppiò a ridere. «Mi sento perfettamente a mio agio con queste virtù. Se sapessi che sforzi ho fatto un tempo per coltivare almeno un vizio affascinante. Ho sempre fallito.»
«Oh, be’, invecchiando, è meglio possedere più virtù sgradevoli e meno vizi affascinanti, credo. Ma come mai ti sei ritirato per sempre su Eritro, Siever? D’accordo, la Cupola ha bisogno di qualcuno che diriga le cose, ma sicuramente non sei l’unico su Rotor in grado di svolgere questo compito.»
«Se devo essere sincero, mi piace pensare di essere l’unica persona all’altezza. Comunque, in un certo senso, mi trovo bene qui, e, a volte, vado anche su Rotor per una breve vacanza.»
«E non vieni mai a trovarmi?»
«Be’, non è detto che le nostre ferie coincidano, no? Ho l’impressione che tu sia molto più occupata di me, soprattutto dopo la scoperta di Nemesis. Ma sono deluso. Volevo conoscere tua figlia.»
«La conoscerai. Si chiama Marlene. Io la chiamo Molly, in cuor mio, ma lei non vuole. A quindici anni è già intransigente, e pretende di essere chiamata Marlene. Ma la conoscerai, non temere. Sai, non volevo che ci fosse anche lei la prima volta. Non potremmo abbandonarci liberamente ai ricordi se fosse presente, no?»
«Vuoi rievocare il passato, Eugenia?»
«Alcune cose.»
Genarr esitò. «Mi dispiace che Crile non sia partito con Rotor.»
Il sorriso di Eugenia divenne forzato. «Alcune cose, Siever.» Voltandosi, Eugenia si avvicinò alla finestra e guardò fuori. «Niente male questo posto, tra parentesi. Quel poco che ho visto mi ha colpito. Luci scintillanti. Vere strade. Grandi edifici. Eppure su Rotor non si parla quasi mai della Cupola. Quante persone vivono e lavorano qui?»
«Dipende. Ci sono periodi di grande attività e periodi in cui le cose vanno un po’ a rilento. Siamo arrivati ad ospitare quasi novecento persone. Adesso, ce ne sono cinquecentosedici. Le conosciamo tutte. Non è facile. Ogni giorno, qualcuno arriva e qualcuno parte.»
«Tranne te.»
«E pochi altri.»
«Ma… perché la Cupola, Siever? In fin dei conti, l’atmosfera di Eritro è respirabile.»
Genarr sporse il labbro inferiore e, per la prima volta, evitò di guardarla negli occhi. «Respirabile, ma non proprio ideale. Il livello luminoso è sbagliato. Quando esci dalla Cupola, sei immerso in una luce rosata, che tende all’arancione quando Nemesis è alta nel cielo. C’è abbastanza luce. Puoi leggere. Però, non sembra naturale. E poi, Nemesis stessa ha un che di innaturale. Sembra troppo grande, e la maggior parte della gente pensa che abbia un aspetto minaccioso, che la sua luce rossastra la faccia sembrare ostile… e si deprime. In effetti, Nemesis è anche pericolosa, almeno in un certo senso. Dato che non ha una luminosità accecante, si tende a guardarla e a cercare le macchie solari. Gli infrarossi possono ledere facilmente la retina. Quelli che devono uscire all’aperto portano un casco speciale per questo motivo… tra l’altro.»
«Quindi, la Cupola, per così dire, serve più a trattenere all’interno la luce normale che a escludere qualcosa.»
«Non impediamo nemmeno all’aria di entrare. L’aria e l’acqua della Cupola provengono da Eritro. Naturalmente, stiamo attenti a tenere fuori qualcosa» disse Genarr. «I procarioti. Sai, le piccole cellule verdazzurre.»
Eugenia annuì pensierosa. Avevano scoperto che la presenza di ossigeno nell’aria era dovuta appunto ai procarioti. C’era vita su Eritro, diffusa ovunque, ma di natura microscopica, equivalente solo alle forme di vita cellulare più semplici del Sistema Solare.
«Sono proprio procarioti?» chiese. «Lo so che li chiamano così, ma si chiamano così anche i nostri batteri. Sono batteri?»
«Se equivalgono a qualcosa presente nel Sistema Solare, equivalgono ai cianobatteri, quelli della fotosintesi. La tua è una domanda giusta, comunque. No, non sono i nostri cianobatteri. Possiedono le nucleoproteine, ma con una struttura fondamentalmente diversa da quella prevalente nelle nostre forme di vita. Hanno anche una specie di clorofilla priva di magnesio e attiva nella gamma infrarossa, per cui le cellule tendono ad essere incolori. Hanno enzimi diversi, percentuali diverse di oligoelementi. Ma esteriormente assomigliano abbastanza alle cellule terrestri, abbastanza da essere chiamati procarioti. Pare che i biologi stiano insistendo perché si usi invece il termine «eritrioti», ma per i non addetti ai lavori come noi «procarioti» va benissimo.»
«E sono abbastanza efficienti nella loro attività da spiegare la presenza di ossigeno nell’atmosfera di Eritro?»
«Certo. La presenza dell’ossigeno si spiega solo così. A proposito, Eugenia, sei tu l’astronoma, quali sono le ultime novità a proposito dell’età probabile di Nemesis?»
Eugenia si strinse nelle spalle. «Le nane rosse sono quasi immortali. Nemesis può essere vecchia come l’universo e continuare ugualmente a esistere per altri cento miliardi di anni senza cambiamenti visibili. Al massimo, noi possiamo giudica
re in base al contenuto di elementi minori che compongono la sua struttura. Se è una stella di prima generazione e i suoi componenti iniziali erano idrogeno ed elio, dovrebbe avere poco più di dieci miliardi di anni… circa il doppio dell’età del Sole.»
«Dunque, anche Eritro ha dieci miliardi di anni.»
«Certo. Un sistema stellare si forma tutto contemporaneamente, non un po’ alla volta. Perché me lo chiedi?»
«Be’, mi sembra strano che in dieci miliardi di anni la vita non abbia superato lo stadio procariotico.»
«Non ci trovo nulla di strano, Siever. Sulla Terra, dopo la sua comparsa, la vita è rimasta allo stadio procariotico per un periodo compreso tra i due e i tre miliardi di anni, e qui su Eritro la concentrazione di energia solare è molto minore rispetto alla Terra. Occorre energia perché si sviluppino forme di vita più complesse. Su Rotor si è discusso a fondo di questo argomento.»
«Non ne dubito» disse Genarr. «Ma a quanto pare, qui nella Cupola, siamo un po’ tagliati fuori. Ci concentriamo troppo sui problemi e sulle attività locali, immagino… anche se, in teoria, qualsiasi cosa collegata ai procarioti dovrebbe interessarci… se non sono un fenomeno locale i procarioti, non so…»
«Se è per questo, su Rotor non è che si senta parlare molto della Cupola» ammise Eugenia.
«Già, si tende a isolarsi in compartimenti stagni. Del resto, la Cupola non ha nulla di speciale, nulla di affascinante, Eugenia. È solo un laboratorio, quindi non mi sorprende che non faccia notizia su Rotor. L’attenzione del pubblico è rivolta interamente alle nuove Colonie in costruzione. Ti trasferirai là, Eugenia?»
«Mai. Sono rotoriana, e intendo rimanere tale. Non sarei nemmeno qui, scusa se lo dico, se non fosse indispensabile per motivi di lavoro. Devo compiere una serie di rilevamenti astronomici da una base più stabile di Rotor.»
«Lo so. Mi ha informato Pitt. Devo offrirti tutta la mia collaborazione.»
«Bene. Sono certa che lo farai. A proposito, prima hai detto che la Cupola cerca di tenere fuori i procarioti. Ci riuscite? L’acqua si può bere tranquillamente? E sicura?»
«Certo, dal momento che la beviamo» rispose Genarr. «Non ci sono procarioti nella Cupola. L’acqua che entra, come qualsiasi altra cosa, viene trattata con dei raggi bluvioletti che distruggono i procarioti in pochi secondi. I fotoni a onde corte della luce hanno un’intensità energetica troppo forte per i procarioti, e disgregano dei componenti chiave delle cellule. E anche se qualche procariota entrasse, non ci risulta che siano velenosi o nocivi. Abbiamo fatto dei test sugli animali.»
«È un sollievo saperlo.»
«La stessa regola vale anche in senso inverso. I nostri microorganismi non possono competere con i procarioti di Eritro in condizioni ambientali locali. Almeno, quando vengono seminati nel suolo di Eritro, i nostri batteri non riescono a crescere e a riprodursi.»
«E le piante pluricellulari?»
«Abbiamo provato, ma il risultato è stato pessimo. Deve dipendere dal tipo di luce di Nemesis, perché all’interno della Cupola, con l’acqua e il terreno di Eritro, le piante crescono perfettamente. Naturalmente, riferiamo tutte queste cose a Rotor, ma dubito che queste informazioni abbiano un’ampia diffusione. Come ho detto, a Rotor non interessa la Cupola. Sicuramente, non interessiamo al terribile Pitt, e su Rotor è lui che conta, no?»
Genarr lo disse sorridendo, ma il suo sorriso sembrava forzato. (Marlene come avrebbe interpretato quel particolare? si chiese Eugenia.)
«Pitt non è terribile» fece. «A volte è fastidioso, noioso, ma questo è un altro discorso. Sai, Siever, quando eravamo giovani ho sempre pensato che un giorno tu avresti potuto diventare Commissario. Eri così acuto, così brillante…»
«Ero?»
«Lo sei ancora, ne sono sicura. Ma allora avevi un orientamento politico preciso, avevi certe idee. Sai, io ti ascoltavo, incantata. Per certi versi, saresti stato un Commissario migliore di Janus Pitt. Tu avresti ascoltato la gente. Non avresti cercato di imporre così spesso le tue opinioni.»
«E proprio per questo sarei stato un pessimo Commissario. Vedi, io non ho nessun obiettivo particolare nella vita. Desidero solo fare quello che mi sembra giusto al momento, sperando che porti poi a qualcosa di decente. Pitt invece sa quel che vuole e intende ottenerlo con qualsiasi mezzo.»
«Lo stai giudicando male, Siever. È volitivo, ha delle idee radicate a fondo, però è un uomo molto ragionevole.»
«Certo, Eugenia. Ecco la sua grande dote… la ragionevolezza. Qualunque fine persegua, Pitt ha sempre una ragione perfettamente valida, perfettamente logica, perfettamente umana, a cui appoggiarsi. Può inventarne una in qualsiasi momento, ed è così sincero che riesce a convincere perfino se stesso. Sicuramente, se hai avuto a che fare con lui, ti sarai lasciata convincere a fare qualcosa che all’inizio non volevi fare, e scommetto che Pitt ti avrà persuasa non con degli ordini e delle minacce, ma con ragionamenti pazienti e razionali.»
«Be’…» fece debolmente Eugenia.
Al che, Genarr osservò sardonico: «Vedo che anche tu sei una vittima della ragionevolezza di Pitt. Quindi hai constatato di persona che è un bravo Commissario, no? Non una brava persona, ma un bravo Commissario».
«Dire che non è una brava persona forse è esagerato, Siever» fece Eugenia, scuotendo leggermente la testa.
«Be’, non stiamo a discutere. Voglio conoscere tua figlia.» Genarr si alzò. «Che ne diresti se venissi a trovarvi nel vostro alloggio dopo pranzo?»
«Sarebbe bellissimo» rispose Eugenia.
Genarr la seguì con lo sguardo mentre usciva, e il suo sorriso si spense a poco a poco. Eugenia voleva rievocare il passato, e lui aveva subito accennato a suo marito… ed Eugenia si era bloccata.
Genarr sospirò dentro di sé. Come sempre, era imbattibile quando si trattava di sprecare un’occasione favorevole.
«Il suo nome è Siever Genarr, e bisogna rivolgersi a lui chiamandolo «Comandante», perché è il capo della Cupola di Eritro» spiegò Eugenia alla figlia.
«Certo, mamma. Se quello è il suo titolo, lo chiamerò così.»
«E non voglio che tu lo metta in imbarazzo…»
«Non lo farei mai.»
«Oh, lo faresti, eccome, Marlene. Lo sai. Accetta quello che dice senza correggerlo, non dar retta ai linguaggio corporeo. Ti prego! Era un mio caro amico ai tempi dell’università… e in seguito, per un certo periodo. E anche se è qui nella Cupola da dieci anni e io non l’ho più visto, è ancora un vecchio amico.»
«Deve essere stato una specie di fidanzato, credo.»
«Ascoltami bene, Marlene. Non devi osservarlo e non devi dirgli quel che pensa o quel che prova in realtà. Chiaro? E se ci tieni proprio a saperlo, non era il mio fidanzato, e non eravamo certamente amanti. Eravamo amici, c’era una simpatia reciproca tra noi… da amici. Ma dopo che tuo padre…» Eugenia scosse la testa e fece un gesto vago. «E attenta a quello che dici a proposito del Commissario Pitt… se dovessimo toccare l’argomento. Ho la sensazione che il Comandante Genarr diffidi del Commissario Pitt…»
Marlene concesse uno dei suoi rari sorrisi alla madre. «Hai studiato il comportamento subliminale del Comandante Siever? Perché la tua non è una semplice sensazione.»
Eugenia scosse la testa. «Vedi? Non riesci a smettere nemmeno un istante. Benissimo, non è una sensazione. Il Comandante in pratica ha detto che non si fida del Commissario. E, sai… può darsi che abbia dei motivi validi per…» aggiunse, quasi tra sé. Poi si rivolse a Marlene e disse all’improvviso: «Te lo ripeto, Marlene. Sei libera di osservare il Comandante e di scoprire tutto quel che puoi scoprire, ma a lui non dire nulla. Dillo a me! Capito?»
«Pensi che ci sia pericolo, mamma?»
«Non lo so.»
«Io lo so» fece Marlene sbrigativa. «Non appena il Commissario Pitt ha detto che potevamo venire su Eritro, ho capito che c’era qualche pericolo nascosto. Solo, non so quale sia questo pericolo.»
Vedere Marlene per la prima volta fu uno shock per Siever Genarr, non solo… Genarr rimase ancor più scosso quando notò che la ragazza lo guardava con un’espressione arcigna e cupa, come se sapesse perfettamente che per lui era stato un incontro scioccante e conoscesse il motivo di tale shock.
Il fatto era che Marlene non sembrava assolutamente la figlia di Eugenia, non possedeva neppure l’ombra della bellezza o della grazia o del fascino della madre. Aveva soltanto quei due grandi occhi luminosi che ora lo stavano fissando penetranti, occhi diversi da quelli di Eugenia. Erano l’unico particolare in cui fosse superiore alla madre, il resto invece…
A poco a poco, però, Genarr modificò l’impressione iniziale. Prese il tè con loro, e Marlene si comportò benissimo. Era una ragazza a modo, e molto intelligente. Cosa aveva detto Eugenia? Che possedeva tutte le virtù più sgradevoli? Be’, aveva esagerato un po’. Genarr aveva la sensazione che Marlene avesse un desiderio intensissimo di amore, come capitava a volte alle persone… non belle. Come capitava anche a lui. Di colpo, fu pervaso da un senso di simpatia, di solidarietà.
Dopo un po’, chiese: «Eugenia, potrei parlare con Marlene da solo?».
Eugenia si sforzò di mostrarsi disinvolta. «Qualche motivo particolare, Siever?»
«Be’, è stata Marlene a parlare al Commissario Pitt, a convincerlo a lasciarvi venire su Eritro. Come Comandante della Cupola, dipendo moltissimo dal Commissario Pitt, da quel che fa e da quel che dice, e se Marlene potesse riferirmi qualcosa del loro colloquio, lo apprezzerei, mi sarebbe utile. Credo che parlerà più liberamente se saremo soli.»
Genarr attese che Eugenia fosse uscita, quindi si rivolse a Marlene, che ora occupava una grande poltrona morbida in un angolo della stanza. La ragazza teneva le mani intrecciate sulle ginocchia, e i suoi splendidi occhi scuri fissarono il Comandante estremamente seri.
Con una sfumatura divertita nella voce, Genarr osservò: «Tua madre sembrava un po’ agitata all’idea di lasciarti qui con me. Sei agitata anche tu?».
«Per niente» rispose Marlene. «E in ogni caso, mia madre era agitata per lei, Commissario, non per me.»
«Oh, per me? Perché?»
«Ha paura che io possa dirle qualcosa di offensivo.»
«E tu lo faresti, Marlene?»
«Non intenzionalmente, Commissario. Cercherò di non offenderla.»
«Ci riuscirai, ne sono certo. Lo sai perché ho voluto vederti da sola?»
«Ha detto a mia madre che voleva sapere qualcosa del mio colloquio con il Commissario Pitt. È vero, però lei vuole anche vedere che tipo sono.»
Genarr corrugò leggermente la fronte. «Be’, certo… mi piacerebbe conoscerti meglio.»
«Non è questo» replicò subito Marlene.
«Di che si tratta, allora?»
Marlene distolse lo sguardo. «Mi spiace, Comandante.»
«Ti dispiace, perché?»
Marlene fece una smorfia di disappunto, e rimase in silenzio.
«Su, Marlene, che c’è che non va?» chiese Genarr sottovoce. «Devi dirmelo. È importante che parliamo con franchezza. Se tua madre ti ha detto di stare attenta a quel che dici, dimenticalo, per favore. Se mi ha presentato come una persona sensibile che si offende facilmente, dimentica anche questo, per favore… Anzi, ti ordino di parlare liberamente, non avere paura di offendermi… e devi obbedire al mio ordine, perché sono il Comandante della Cupola di Eritro.»
Tutt’a un tratto, Marlene rise. «È proprio ansioso di conoscermi meglio, vero?»
«Certo.»
«Perché è sorpreso, stenta a credere che io sia figlia di mia madre, con l’aspetto che mi ritrovo.»
Genarr spalancò gli occhi. «Mai detto niente del genere.»
«Non era necessario. È un vecchio amico di mia madre. Me l’ha detto lei stessa. Ma era innamorato di lei, e non ha ancora superato del tutto la cosa, e si aspettava che io assomigliassi a mia madre, alla Eugenia di tanti anni fa… così, quando mi ha vista, ha avuto un sussulto, è rimasto di sasso.»
«Davvero? È stato tanto evidente?»
«È stato un gesto piccolissimo, perché lei è una persona educata e ha cercato di controllarsi, ma io me ne sono accorta, facilmente. E dopo ha lanciato un’occhiata a mia madre, poi ha guardato di nuovo me. E le prime parole che mi ha rivolto, be’, avevano un tono particolare. Stava pensando che non assomigliavo affatto a mia madre, ed era deluso.»
Genarr si appoggiò allo schienale. «Ma è meraviglioso, questo!»
E una grande contentezza illuminò il viso di Marlene. «È sincero, Comandante. Parla sul serio. Non si è offeso. Non è a disagio. Le fa piacere. È il primo, il primo. Nemmeno a mia madre piace, questa cosa.»
«Che piaccia o no, non ha importanza. Bisognerebbe mettere da parte certe considerazioni personali irrilevanti quando ci si imbatte in qualcosa di straordinario. Da quanto tempo sei capace di leggere il linguaggio corporeo in questo modo, Marlene?»
«Da sempre, ma adesso riesco a leggerlo meglio. Secondo me, può farlo chiunque… basta osservare, e riflettere.»
«No, Marlene. Non crederlo. È impossibile… Così, dici che sono innamorato di tua madre.»
«Senza dubbio, Comandante. Quando è accanto a lei, sì tradisce a ogni sguardo, a ogni parola, al minimo gesto.»
«Credi che se ne accorga?»
«Lo sospetta… ma non vuole che lei l’ami.»
Genarr distolse lo sguardo. «Non ha mai voluto.»
«È per via di mio padre.»
«Lo so.»
Marlene esitò. «Ma penso che mia madre si sbagli. Se potesse vederla come la vedo io adesso, Comandante…»
«Ma non può, purtroppo. Però, sono davvero contento che tu ci riesca. Sei bella.»
Marlene arrossì. «E sincero!»
«Certo che sono sincero.»
«Ma…»
«Con te non posso mentire, no? Quindi non ci proverò nemmeno. La tua faccia non è bella. Il tuo corpo non è bello. Però tu sei bella, ed è questo che conta. E tu sai che lo penso davvero.»
«Sì, lo so.» Marlene sorrise, ed era talmente felice che per un attimo perfino sul suo volto apparve un vago accenno di bellezza.
Anche Genarr sorrise. «Parliamo del Commissario Pitt, adesso? Ora che so che sei una signorina incredibilmente perspicace, per me è ancora più importante parlarne. Ti va?»
Marlene serrò leggermente le mani, sorridendo timida. «Sì, zio Siever. Posso chiamarti così, non ti spiace, vero?»
«Assolutamente. Anzi, mi sento onorato. Bene… raccontami un po’ del Commissario Pitt. Ho ricevuto sue istruzioni, vuole che offra tutta la collaborazione possibile a tua madre, e che metta a sua disposizione tutte le nostre apparecchiature astronomiche. Perché, secondo te?»
«Mia madre vuole analizzare con precisione il moto stellare di Nemesis, e Rotor è un posto troppo instabile per i rilevamenti. Eritro andrà molto meglio.»
«E questo suo progetto è recente?»
«No, zio Siever. È da parecchio tempo che cerca di ottenere i dati necessari. Me lo ha detto lei.»
«Allora perché non ha chiesto di venire qui tempo fa?»
«L’ha fatto, ma il Commissario Pitt non le ha permesso di venire.»
«E perché glielo ha permesso, adesso?»
«Perché voleva liberarsi di lei.»
«Già, certo… se continuava a seccarlo coi suoi problemi astronomici. Ma doveva essere stanco di lei da un pezzo. Perché l’ha mandata su Eritro soltanto adesso?»
«Voleva liberarsi di me» rispose Marlene a bassa voce.