18 Ultraluce


XXXVII

Tre anni sulla Terra avevano invecchiato Tessa. La sua pelle era diventata leggermente ruvida. Era ingrassata un po’. Sotto gli occhi cominciava ad apparire un accenno di borse e di chiazze scure. Il suo seno non era più sodo ed eretto come un tempo, e i suoi fianchi si erano appesantiti.

Crile Fisher sapeva che Tessa stava avvicinandosi ai cinquanta, che aveva cinque anni più di lui. Tuttavia Tessa non dimostrava più dei suoi anni. Era ancora un bell’esemplare di donna matura (come Fisher l’aveva sentita descrivere da qualcuno), ma non sembrava più una donna al di sotto dei quaranta, a differenza di quando Crile l’aveva incontrata per la prima volta su Adelia.

Anche Tessa se ne rendeva conto, e gliene aveva parlato, con amarezza, solo la settimana prima.

«Sei tu, Crile» aveva detto una notte, mentre erano a letto insieme (un momento in cui, apparentemente, avvertiva con particolare intensità il proprio invecchiamento.) «La colpa è tua. Mi hai convinta a venire sulla Terra. «Magnifica», hai detto. "Enorme… Una varietà infinita. Sempre qualcosa di nuovo. Inesauribile."»

«E non è vero?» aveva replicato Crile. Sapeva di cosa si lamentasse soprattutto, ma era disposto a lasciarla sfogare un’altra volta.

«Non per quanto riguarda la gravità. In qualsiasi parte di questo pianeta spropositato e impossibile, avete la stessa attrazione gravitazionale. Su in aria, giù in una miniera, qui, là, dappertutto, gravità uno… un G… un G. Dovreste morire tutti di noia.»

«Non conosciamo nient’altro, Tessa.»

«Tu, sì. Sei stato sulle Colonie, tu. Là, puoi scegliere l’attrazione gravitazionale che preferisci. Puoi fare ginnastica in condizioni di bassa gravità. Puoi alleviare lo sforzo e il logorio dei tessuti, di tanto in tanto. Come potete vivere senza?»

«Facciamo ginnastica anche qui sulla Terra.»

«Oh, per favore! Lo fate con questa attrazione continua che vi tira giù. Passate tutto il vostro tempo lottando contro la gravità invece di lasciare che i vostri muscoli interagiscano. Non potete saltare, non potete volare, non potete librarvi. Non potete lasciarvi cadere, catturare da un’attrazione maggiore, e nemmeno salire verso una gravità più bassa. E questa forza trascina verso il basso ogni parte del vostro corpo, così vi afflosciate, raggrinzite, invecchiate. Guardami! Guardami

«Ti guardo il più spesso possibile» aveva replicato solenne Fisher.

«Non guardarmi, allora. O mi abbandonerai. E se mi abbandonerai, io tornerò su Adelia.»

«No, non tornerai su Adelia. Cosa farai là, dopo la ginnastica in condizioni di bassa gravità? Il tuo lavoro di ricerca, i tuoi laboratori, la tua equipe, sono qui.»

«Ricomincerò da capo e creerò una nuova equipe.»

«E Adelia ti darà il tipo di appoggio a cui ormai ti sei abituata? No, naturalmente. Devi ammettere che la Terra non ti nega nulla, soddisfa ogni tua richiesta. Non avevo ragione?»

«Non avevi ragione? Traditore! Non mi hai detto che la Terra aveva l’iperassistenza. E non mi hai detto nemmeno che avevano scoperto la Stella Vicina. Infatti, hai lasciato che mi esprimessi in termini magniloquenti sull’inutilità della Sonda Remota di Rotor… mai una volta che tu mi abbia detto che la Sonda Remota non aveva rilevato solo qualche parallasse. Sei rimasto lì a ridere di me, da quel perfetto mascalzone senza cuore che sei.»

«Te lo avrei detto, Tessa… ma se tu avessi deciso di non venire sulla Terra? Non stava a me rivelarti quel segreto.»

«Ma dopo, quando sono venuta sulla Terra?»

«Non appena hai cominciato a lavorare, a lavorare sul serio, te lo abbiamo detto.»

«Loro me l’hanno detto, e io sono rimasta frastornata, mi sono sentita una sciocca. Avresti potuto accennarmi almeno qualcosa, un piccolo indizio, così avrei evitato quella figura idiota. Avrei dovuto ucciderti, ma che potevo fare? Dai assuefazione, tu. E lo sapevi quando mi hai sedotta senza alcuna pietà, convincendomi a venire sulla Terra.»

Era un gioco a cui Tessa non sapeva rinunciare, e Fisher conosceva il proprio ruolo. «Ti ho sedotta? Sei stata tu a insistere. Non ho avuto scelta.»

«Bugiardo. Ti sei imposto… me l’hai imposto. È stata violenza carnale… un atto disonesto e subdolo. E lo farai ancora. Lo leggo in quei tuoi occhi tremendi e libidinosi.»

Erano trascorsi alcuni mesi da quando Tessa si era divertita con quel gioco particolare, e Fisher sapeva che lo faceva quando era soddisfatta professionalmente. «Qualche progresso?» le chiese poi.

«Qualche progresso? Direi proprio di sì» rispose Tessa, ansimando. «Domani quel vecchio terrestre cadente di Tanayama assisterà a una dimostrazione che ho allestito per lui. Ha continuato a insistere, a martellarmi spietatamente.»

«È un tipo spietato.»

«È uno stupido. Anche se una società non conosce la scienza, in teoria dovrebbe almeno sapere qualcosa della scienza, di come funziona. Se ti danno un milione di crediti mondiali al mattino, non dovrebbero pretendere dei risultati concreti entro la sera dello stesso giorno. Come minimo, dovrebbero aspettare fino alla mattina dopo, concederti tutta la notte per lavorare. Sai cosa mi ha detto Tanayama l’ultima volta che abbiamo parlato, quando gli ho annunciato che forse avevo qualcosa da mostrargli?»

«No. Sentiamo.»

«A rigor di logica, avrebbe dovuto dire: "È sorprendente che in soli tre anni abbia elaborato una cosa così straordinaria e nuova. I suoi meriti sono enormi, e la nostra gratitudine è smisurata". Ecco cosa mi sarei aspettata da lui.»

«Da Tanayama? Mai! Non direbbe mai una cosa simile. Comunque, che ha detto?»

«Ha detto: "Ah, finalmente ha qualcosa, dopo tre anni. Era ora, lo speravo proprio. Crede che io possa vivere in eterno? Pensa che l’abbia finanziata e abbia mantenuto lei e il suo esercito di assistenti e di operai perché ottenesse dei risultati quando sarò morto e non potrò vedere nulla?". Ecco quel che ha detto, e ti confesso che mi piacerebbe rimandare la dimostrazione fino alla sua morte, per soddisfazione personale. Ma immagino che il lavoro abbia la precedenza.»

«Hai davvero qualcosa di interessante per lui?»

«Solo il volo ultraluce. Il vero volo ultraluce, non quella sciocchezza dell’iperassistenza. Adesso abbiamo qualcosa che ci aprirà la porta dell’universo.»

XXXVIII

Il luogo dove l’equipe di Tessa Wendel era al lavoro, decisa a scuotere l’universo, era stato preparato ancor prima che Tessa fosse reclutata e si trasferisse sulla Terra. Si trovava all’interno di una rocca montuosa inaccessibile alla brulicante popolazione terrestre; lì era stata costruita una vera e propria cittadella scientifica.

Ora era sul posto anche Tanayama, seduto su una carrozzella motorizzata. Solo i suoi occhi, dietro le palpebre socchiuse, sembravano vivi… penetranti, mobilissimi.

Tanayama non era assolutamente la più alta personalità del governo terrestre, e nemmeno la più alta personalità presente, ma era stato, ed era tuttora, la forza propulsiva alla base del progetto, e tutti automaticamente gli cedevano il passo.

Solo Tessa Wendel non sembrava intimidita.

La voce di Tanayama era un sussurro frusciante. «Cosa vedrò, dottoressa? Una nave?»

Non si vedeva nessuna nave lì intorno, naturalmente.

«Niente navi, Direttore» rispose Tessa. «Per le navi, bisognerà aspettare ancora qualche anno. Ho solo una dimostrazione, ma eccitante. Assisterà alla prima dimostrazione pubblica di vero volo ultraluce, qualcosa che supera di gran lunga l’iperassistenza.»

«E come farò a vederlo?»

«Credevo l’avessero informata, Direttore.»

Tanayama ebbe un accesso violento di tosse e dovette riprendere fiato. «Hanno provato a parlarmi, ma io voglio sentirlo da lei» disse poi, fissandola con un’espressione dura e sinistra. «È lei che comanda qui. Il progetto è suo. Mi spieghi.»

«Non posso spiegarle la teoria. Ci vorrebbe troppo tempo. La stancherei.»

«Non m’interessa la teoria. Cosa vedrò

«Vedrà due contenitori cubici di vetro. All’interno di entrambi c’è il vuoto spinto.»

«Perché il vuoto?»

«Il volo ultraluce può iniziare solo nel vuoto, Direttore. Altrimenti l’oggetto spinto a una velocità superiore a quella della luce trascina con sé della materia, i consumi energetici aumentano e diminuisce la controllabilità. E deve anche finire nel vuoto, altrimenti le conseguenze potrebbero essere catastrofiche perché…»

«Lasci perdere il perché. Se questo suo volo ultraluce deve iniziare e terminare nel vuoto, come lo utilizziamo, noi?»

«Prima è necessario raggiungere lo spazio esterno col volo normale, per poi passare nell’iperspazio e restarci. Si arriva vicino alla destinazione desiderata e si rientra nello spazio normale, quindi col volo normale si percorre l’ultimo tratto.»

«Così ci vuole tempo.»

«Nemmeno il volo ultraluce consente spostamenti istantanei. Ma se si può raggiungere una stella a quaranta anni luce dal Sistema Solare in quaranta giorni anziché in quarant’anni, be’, non mi pare giusto lamentarsi del tempo impiegato.»

«D’accordo, d’accordo… Ci sono questi due contenitori cubici di vetro. E allora?»

«Sono proiezioni olografiche. In realtà, i contenitori sono separati da una distanza di tremila chilometri, tremila chilometri di massa terrestre, si trovano ognuno in un posto sicuro e isolato tra i monti. Se la luce potesse viaggiare da un contenitore all’altro attraverso un vuoto senza ostacoli, impiegherebbe un millesimo di secondo, un millisecondo, per compiere il passaggio. Noi non useremo la luce, naturalmente. Sospesa al centro del cubo di sinistra, trattenuta da un potente campo magnetico, c’è una piccola sfera, che in realtà è un minuscolo motore iperatomico. Vede, Direttore?»

«Vedo qualcosa, là» rispose Tanayama. «Be’, tutto qui?»

«Se osserva attentamente, vedrà scomparire la sfera. Il conto alla rovescia sta procedendo.»

Era un sussurro all’orecchio di tutti i presenti, e allo zero la sfera sparì da un cubo e apparve nell’altro.

«Ricordi» disse la Wendel. «Tra quei cubi in realtà ci sono tremila chilometri di distanza. Il dispositivo di cronometraggio indica che, tra la partenza e l’arrivo, sono trascorsi poco più di dieci microsecondi, il che significa che il passaggio è avvenuto a una velocità quasi cento volte superiore a quella della luce.»

Tanayama alzò lo sguardo. «E chi mi dice che sia così? Potrebbe essere tutto un trucco per imbrogliare quello che lei ritiene un vecchio ingenuo.»

«Direttore» disse la Wendel severa. «Ci sono centinaia di scienziati qui, tutti famosi e stimati, e alcuni di loro sono terrestri. Le mostreranno qualsiasi cosa voglia vedere, le spiegheranno come funzionano gli strumenti. Qui non troverà altro che della scienza onesta e del lavoro scrupoloso.»

«Anche se è come dice lei, che significa? Una pallina… una pallina da pingpong che percorre qualche migliaio di chilometri. È questo il risultato che ha ottenuto dopo tre anni?»

«Forse quello che ha visto è più di quanto fosse lecito aspettarsi, Direttore, con rispetto parlando. Quello che ha visto avrà anche le dimensioni di una pallina da pingpong spostatasi di appena tremila chilometri, però è il vero volo ultraluce, proprio come se avessimo inviato un’astronave da qui ad Arturo a cento volte la velocità della luce. Lei ha assistito alla prima dimostrazione pubblica di volo ultraluce della storia umana.»

«Ma è l’astronave che voglio vedere.»

«Per quella dovrà aspettare.»

«Non ho tempo. Non ho tempo» gracchiò Tanayama in un sussurro rauco, e fu scosso di nuovo da un accesso di tosse.

«Nemmeno la tua volontà può muovere l’universo» disse Tessa Wendel sottovoce, e forse solo Tanayama sentì quelle parole.


XXXIX

A Iper City (nome non ufficiale del centro di ricerca) i tre giorni dedicati ai burocrati erano passati in modo opprimente, e adesso gli intrusi se n’erano andati.

«In ogni caso, ci vorranno ancora due o tre giorni per riprendersi e tornare al lavoro a pieno ritmo» disse Tessa Wendel a Crile Fisher. E, l’aria disfatta e contrariata, aggiunse: «Che vecchio spregevole!»

Fisher capì immediatamente che si riferiva a Tanayama. «È un vecchio ammalato.»

Tessa gli lanciò un’occhiata rabbiosa. «Lo difendi?»

«Sto solo affermando un dato di fatto.»

Lei alzò un dito ammonitore. «Sicuramente quel miserabile relitto umano era irrazionale e irragionevole anche in passato, quando non era ammalato, o quando non era vecchio, se è per questo. Da quanto tempo è Direttore dell’Ufficio?»

«Da oltre trent’anni. Tanayama è un’istituzione. E prima è stato Vicedirettore per un periodo di tempo quasi altrettanto lungo, e probabilmente anche allora era lui il vero capo e i tre o quattro Direttori che l’hanno preceduto avevano solo un potere simbolico. E per quanto possa invecchiare o ammalarsi in modo sempre più grave, rimarrà Direttore fino al giorno della sua morte… e forse ancora per qualche giorno, in seguito, mentre la gente aspetterà, per assicurarsi che non risorga.»

«Mi pare di capire che lo trovi divertente.»

«No, ma non si può far altro che ridere di fronte a uno spettacolo del genere… a un uomo che, senza gestire apertamente il potere, senza essere noto al grande pubblico, da quasi mezzo secolo tiene in soggezione i membri del governo, li fa vivere nella paura, solo perché controlla saldamente i segreti scomodi e compromettenti di ognuno e non esiterebbe a servirsene.»

«E loro lo sopportano?»

«Oh, certo. Nessun membro del governo è mai stato disposto a sacrificare con certezza la propria carriera senza avere alcuna garanzia di rovesciare Tanayama.»

«Nemmeno adesso che la sua autorità sta diventando senza dubbio più debole?»

«Ti sbagli. La sua autorità cesserà con la morte, magari, però fino a quel momento non sarà mai debole. Sarà l’ultima cosa che verrà a mancare, dopo che il suo cuore si sarà fermato.»

«Cos’è che spinge la gente a certi estremi?» chiese Tessa disgustata. «Non sentono il desiderio di lasciar perdere tutto prima della fine, per avere la possibilità di morire in pace?»

«Non Tanayama. Mai. Non dico di essere un suo intimo, però in una quindicina d’anni di tanto in tanto ho avuto dei contatti con lui, che immancabilmente si sono risolti in modo molto sgradevole e doloroso per il sottoscritto. L’ho conosciuto quand’era ancora pieno di vigore, e ho sempre saputo che non si sarebbe mai tirato indietro. Per rispondere alla tua domanda precedente, la gente è spinta da stimoli diversi, ma la molla di Tanayama è l’odio.»

«Già, prevedibile» osservò Tessa Wendel. «Si vede. Una persona così odiosa non può non odiare. Ma chi odia, Tanayama?»

«Le Colonie.»

«Ah, davvero?» Evidentemente, Tessa stava ricordandosi di essere una colona di Adelia. «Neanch’io ho mai sentito una parola buona per la Terra da un colono. E sai cosa penso dei posti privi di gravità variabile.»

«Non sto parlando di antipatia, o di disprezzo, o di disgusto, Tessa. Parlo di odio cieco, assoluto. Quasi tutti i terrestri detestano le Colonie. Hanno tutte le ultime novità. Sono tranquille, poco affollate, comode, borghesi. Hanno cibo e svaghi in abbondanza, non sanno cosa sia il maltempo, la povertà. Hanno i robot, che operano con discrezione, nascosti. È naturale che quelli che si sentono privati di tutto questo detestino chi invece ha tutto a disposizione. Ma nel caso di Tanayama, si tratta di un odio concreto, travolgente. Secondo me, gli piacerebbe vedere le Colonie distrutte, dalla prima all’ultima.»

«Perché, Crile?»

«Le cose che ho elencato prima non c’entrano, a mio avviso. Quello che Tanayama non sopporta è l’omogeneità culturale delle Colonie. Capisci?»

«No.»

«Gli abitanti delle Colonie si scelgono. Scelgono persone come loro. Su ogni Colonia c’è una cultura comune, perfino un aspetto fisico comune, in parte. Invece la Terra è sempre stata un miscuglio caotico di culture, che si integrano a vicenda, che competono tra loro, che diffidano l’una dell’altra. Tanayama e molti altri terrestri, me compreso, pensano che questa mescolanza sia una fonte di forza, e che la omogeneità culturale delle Colonie le indebolisca e, a lungo andare, riduca il loro arco di vita potenziale.»

«Allora, perché odiare le Colonie per questo fatto? Lo considerate uno svantaggio, no? Tanayama ci odia perché stiamo meglio e perché stiamo peggio? Non ha senso.»

«Non è necessario che abbia senso. Nessuno si prenderebbe la briga di odiare se prima si dovesse fare un ragionamento logico per giustificare l’odio. Forse, e dico forse, Tanayama ha paura che le Colonie riescano troppo bene e dimostrino che l’omogeneità culturale è un fattore positivo in fin dei conti. O forse pensa che le Colonie siano ansiose di distruggere la Terra, come lui è ansioso di distruggere le Colonie. La faccenda della Stella Vicina lo ha reso furioso.»

«Il fatto che Rotor abbia scoperto la stella e non abbia informato nessuno?»

«I rotoriani non si sono limitati a questo. Non si sono scomodati ad avvertirci che la stella stava dirigendosi verso il Sistema Solare, soprattutto.»

«Può darsi che non lo sapessero.»

«Tanayama non ci crederà mai. Secondo me, lui è convinto che lo sapessero e che non ci abbiano avvisati apposta, perché speravano che così saremmo stati colti alla sprovvista, e la Terra, o almeno la civiltà terrestre, sarebbe stata distrutta.»

«Sono sicuri che la stella si avvicinerà abbastanza da danneggiarci? Io non ho sentito niente del genere. A quanto mi risulta, la maggior parte degli astronomi ritengono che passerà abbastanza lontano e che a noi in pratica non accadrà nulla. Tu hai sentito qualche altra ipotesi?»

«No. Ma penso che a Tanayama faccia comodo credere che esista una situazione di pericolo… serve ad alimentare il suo odio. E a questo punto, si passa logicamente all’idea del volo ultraluce come mezzo indispensabile per individuare in qualche altro angolo dello spazio un pianeta di tipo terrestre. Una volta trovato il nuovo mondo, potremo trasferire là il maggior numero possibile di abitanti della Terra… nel peggiore dei casi. Devi ammettere che in questo non c’è nulla di insensato.»

«D’accordo. Però non c’è bisogno di immaginare un’eventuale catastrofe. È del tutto naturale pensare all’espansione dell’umanità, anche se la Terra non correrà alcun rischio. Ci siamo staccati dalla Terra creando le Colonie, e le stelle rappresentano la tappa successiva, l’obiettivo logico, e per raggiungerlo ci occorre il volo ultraluce.»

«Già, ma in questi termini la cosa sarebbe poco entusiasmante per Tanayama. La colonizzazione della Galassia non gli interessa, ne sono sicuro… la lascia volentieri alle generazioni future. Lui vuole trovare Rotor e punirlo per avere abbandonato il Sistema Solare infischiandosene del resto del genere umano. E vuole essere ancora in vita quando arriverà il giorno fatidico, ed è per questo che ti tiene continuamente sotto pressione.»

«Può tenermi sotto pressione finché gli pare, tanto non gli servirà a nulla. Sta morendo.»

«Mah… La medicina moderna può fare miracoli, e sono certo che i dottori si impegneranno al massimo per Tanayama.»

«Anche la medicina moderna ha dei limiti. Ho chiesto ai dottori…»

«E ti hanno risposto? Credevo che le condizioni di salute di Tanayama fossero un segreto di stato.»

«Non per me, date le circostanze, Crile. Sono andata dall’equipe medica che ha curato il Vecchio quand’era qui, e ho detto che ero ansiosa di costruire una nave che permettesse agli esseri umani di raggiungere le stelle, e che volevo farlo prima della morte di Tanayama. Ho chiesto quanto tempo mi rimanesse.»

«E cos’hanno risposto?»

«Un anno. Un anno, al massimo. Hanno detto di sbrigarmi.»

«Puoi riuscirci in un anno?»

«In un anno? No, assolutamente, Crile, e sono contenta. Mi fa piacere che quel perfido individuo non vivrà abbastanza da vedere realizzato il suo sogno. Perché quella smorfia, Crile? Ti da fastidio che io faccia un’osservazione così crudele?»

«Un’osservazione meschina, ad ogni modo, Tessa. Quel Vecchio, per quanto perfido, è l’artefice di tutto questo. Ha reso possibile Iper City.»

«Sì, ma l’ha fatto per i suoi scopi, non per i miei, e nemmeno per la Terra o per l’umanità. E poi ho diritto anch’io alla mia meschinità. Sicuramente Tanayama non ha mai avuto pietà di quelli che considerava suoi nemici, né ha mai ridotto di un grammo la pressione del piede che teneva sulla gola del nemico. E immagino che non si aspetti pietà o compassione da nessun altro. Probabilmente, se qualcuno lo compatisse o avesse pietà, Tanayama lo disprezzerebbe, considerandolo un debole.»

Fisher aveva ancora un’aria infelice. «Quanto ci vorrà, Tessa?»

«E chi può dirlo? Un’eternità, forse. Anche se tutto procederà discretamente, credo proprio che ci vorranno almeno cinque anni.»

«Ma perché? Hai già il volo ultraluce.»

Tessa Wendel si sedette bene, la schiena eretta. «No, Crile. Non essere ingenuo. Ho soltanto una dimostrazione di laboratorio. Posso prendere un oggetto leggero, come una pallina da pingpong, la cui massa è costituita al novanta per cento da un minuscolo motore iperatomico, e farlo muovere a velocità ultraluce. Ma una nave con degli esseri umani a bordo è un discorso completamente diverso. Dovremo essere sicuri di quel che facciamo, e per avere delle basi solide cinque anni sono un’ipotesi ottimistica. Se non avessimo questi computer moderni che consentono simulazioni di altissimo livello, cinque anni sarebbero un sogno irrealizzabile. Magari, anche cinquanta.»

Crile Fisher scosse la testa e non disse nulla.

Tessa Wendel lo osservò pensosa poi, in tono quasi stizzito, chiese: «Che ti prende? Hai tanta fretta anche tu?»

Fisher rispose pacato: «Sicuramente sei ansiosa quanto gli altri di portare a termine il progetto, ma io non vedo l’ora che venga costruita una nave iperspaziale in grado di funzionare».

«Tu, in modo particolare?»

«Sì.»

«Perché?»

«Mi piacerebbe raggiungere la Stella Vicina.»

Tessa lo fissò in cagnesco. «Perché? Sogni di riunirti alla moglie che hai abbandonato?»

Fisher non aveva mai parlato di Eugenia con Tessa Wendel, a parte qualche accenno superficiale, e non aveva intenzione di lasciarsi attirare proprio adesso in una discussione del genere.

«Ho una figlia, là» disse. «Penso che tu possa capire la situazione, Tessa. Hai un figlio.»

Era vero. La Wendel aveva un figlio di poco più di vent’anni, che frequentava l’università su Adelia e di tanto in tanto scriveva alla madre.

L’espressione di Tessa si addolcì. «Crile, non farti illusioni pericolose. D’accordo, i rotoriani sapevano della Stella Vicina, quindi è là che sono andati, te lo concedo. Però, solo con l’iperassistenza, il viaggio dev’essere durato oltre due anni. Non possiamo essere sicuri che siano sopravvissuti a un viaggio del genere. E anche se fossero sopravvissuti, le probabilità di trovare un pianeta adatto all’uomo attorno a una nana rossa sono praticamente nulle. Arrivati alla Stella Vicina, quindi, può darsi che abbiano continuato il viaggio, in cerca di un pianeta abitabile. Andando dove? E come faremmo a trovarli?»

«Immagino che sapessero che non avrebbero trovato un pianeta adatto attorno alla Stella Vicina. Per cui, è probabile che intendessero semplicemente restare in orbita con Rotor attorno alla stella, no?»

«Anche se fossero sopravvissuti al viaggio e fossero entrati in orbita attorno alla stella, sarebbe una vita sterile la loro, forse incompatibile con i modelli civili a lungo andare. Crile, devi prepararti al peggio. E se riuscissimo a organizzare la spedizione e una volta raggiunta la stella non trovassimo nulla, o trovassimo al massimo il relitto vuoto di Rotor?»

«In tal caso, amen. Ma è senz’altro possibile che siano sopravvissuti.»

«E che tu trovi tua figlia? Crile, caro, è prudente basare le tue speranze su così poco? Ammettiamo che Rotor sia sopravvissuto, che tua figlia sia sopravvissuta… lei aveva appena un anno quando l’hai lasciata, nel ‘22. Se apparisse di fronte a te adesso, avrebbe dieci anni, e se raggiungessimo la Stella Vicina al più presto, mettendo a punto la nave in cinque anni, tua figlia avrebbe quindici anni. Non ti riconoscerebbe. E tu non la riconosceresti.»

«Dieci anni, o quindici, o cinquanta… non ha importanza. Se la vedessi, Tessa, la riconoscerei» disse Fisher.

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