Era ora di cena e, come le succedeva a volte, Eugenia Insigna si trovava in uno stato d’animo particolare: provava un lieve timore di sua figlia.
Il fenomeno era diventato più pronunciato ultimamente, e lei non ne conosceva il motivo. Forse perché Marlene era sempre più silenziosa, introversa, e dava l’impressione di isolarsi con pensieri troppo profondi per essere espressi.
E a volte il timore che turbava Eugenia era accompagnato da un senso di colpa: si sentiva in colpa per la sua mancanza di pazienza materna con la ragazza, e perché era fin troppo consapevole delle imperfezioni fisiche di Marlene. Marlene non possedeva certamente la bellezza convenzionale della madre, né la prestanza rude e insolita del padre.
Era bassa e… tozza. Era l’unico aggettivo calzante che Eugenia riuscisse a trovare per descrivere la povera Marlene.
E povera, naturalmente. Un termine di compatimento che Eugenia usava spessissimo dentro di sé e che stentava a non lasciarsi sfuggire.
Bassa. Tozza. Tarchiata senza essere grassa, ecco Marlene. Non c’era nulla di aggraziato in lei. Capelli castano scuro, piuttosto lunghi, lisci. Naso leggermente bulboso, bocca piegata leggermente verso il basso alle estremità, mento piccolo, atteggiamento passivo e chiuso.
C’erano gli occhi, naturalmente: grandi, scuri, lucenti, con sopracciglia scure dalla curva perfetta, e lunghe ciglia che quasi sembravano finte. Eppure, gli occhi, da soli, non potevano compensare tutto il resto, per quanto certe volte potessero risultare affascinanti. Fin da quando Marlene aveva cinque anni, Eugenia Insigna aveva capito che, difficilmente, sua figlia avrebbe attirato un uomo a livello esclusivamente fisico, un fatto che si era evidenziato sempre più col passare degli anni.
Aurinel l’aveva guardata con occhio languido quando lei non aveva ancora raggiunto l’adolescenza, attratto evidentemente dalla sua intelligenza precoce, dalla sua vivida perspicacia. E Marlene aveva accolto la presenza di Aurinel con un misto di timidezza e di compiacimento, quasi si rendesse conto in modo vago che c’era qualcosa di tenero e accattivante in un oggetto chiamato «ragazzo», senza sapere però di che potesse trattarsi.
Negli ultimi due anni, secondo Eugenia Insigna, Marlene aveva finalmente chiarito a se stessa il significato di «ragazzo». L’avidità con cui divorava libri e film che non sembravano adatti a lei, a giudicare dal suo corpo, l’aveva aiutata. Ma anche Aurinel era cresciuto e, ora che gli ormoni avevano incominciato a influenzare il suo comportamento, non era più tempo di giocare e scherzare per lui. Cercava qualcos’altro.
Quella sera, a cena, Eugenia chiese: «Com’è andata la giornata, cara?»
«Tranquilla. Aurinel è venuto a cercarmi, e immagino che poi sia venuto da te a riferire. Mi spiace che tu debba scomodarti a darmi la caccia.»
Eugenia sospirò. «Ma, Marlene… a volte non posso fare a meno di pensare che tu sia infelice, ed è normale che mi preoccupi, no? Stai troppo sola.»
«Mi piace stare sola.»
«Vedendoti, non si direbbe. Non sembri affatto contenta di stare sola. Ci sono molte persone che vorrebbero offrirti la loro amicizia, e tu saresti più felice se glielo permettessi. Aurinel è tuo amico.»
«Era. Adesso è troppo indaffarato con altra gente. L’ho capito subito, oggi, e la cosa mi ha fatto infuriare. Non stava quasi nella pelle, pensava a Dolorette.»
«Non puoi biasimarlo. Dolorette ha la sua età.»
«Fisicamente. È stupida e frivola.»
«Il lato fisico conta parecchio all’età di Aurinel.»
«Si vede. Diventa stupido anche lui. Più fa lo svenevole per Dolorette, più ha la testa vuota. Si capisce subito.»
«Ma Aurinel continuerà a crescere, Marlene, e quando sarà un po’ più vecchio forse scoprirà quali sono le cose veramente importanti. E crescerai anche tu, e…»
Marlene fissò Eugenia Insigna con aria interrogativa. «Dai, mamma» disse poi. «Non credi affatto a quello che stai cercando di insinuare. No, non ci credi proprio.»
Eugenia arrossì. Di colpo si rese conto che Marlene non stava facendo delle supposizioni. Marlene sapeva… ma come? Eugenia aveva detto quelle parole con la massima sincerità possibile, si era sforzata di sentirle davvero. Ma Marlene aveva colto facilmente la verità che si celava dietro quel commento. E non era la prima volta che succedeva. Ormai Eugenia aveva la sensazione che Marlene soppesasse e valutasse le variazioni di tono, le esitazioni, i gesti, e capisse sempre quello che gli altri volevano tenerle nascosto. Doveva essere per questo che lei aveva sempre più paura della figlia. Non era piacevole essere come un libro aperto.
Per esempio, se Marlene credeva che la Terra fosse condannata alla distruzione, cosa aveva detto Eugenia per spingerla a quella conclusione? Era un argomento da affrontare.
Eugenia Insigna si sentì improvvisamente stanca. Se era impossibile ingannare Marlene, perché provare? «Be’, veniamo al sodo, cara. Cos’è che vuoi?»
«Vedo che ti interessa davvero saperlo, quindi te lo dirò. Voglio andarmene.»
«Andare via?» ripeté Eugenia, senza riuscire a capire la semplice risposta della figlia. «Andare, dove?»
«Non esiste solo Rotor, mamma.»
«D’accordo. Però non c’è altro nel raggio di due anni luce.»
«No, mamma, non è vero. A meno di duemila chilometri c’è Eritro.»
«Questo non conta. Là non si può vivere.»
«C’è della gente che vive proprio là.»
«Già, ma sotto una cupola. Un gruppo di scienziati e di tecnici, che vivono su Eritro perché stanno svolgendo un compito necessario di carattere scientifico. La Cupola è molto più piccola di Rotor. Se qui ti senti a disagio per lo spazio ristretto, là come ti sentirai?»
«Su Eritro c’è un mondo intero all’esterno della Cupola. Un giorno la gente si espanderà e vivrà su tutto il pianeta.»
«Forse. La cosa non è assolutamente certa.»
«Per me, sì.»
«In ogni caso, ci vorranno secoli.»
«Ma un inizio deve pur esserci. Perché non posso far parte dell’inizio?»
«Marlene, non essere assurda. Qui stai benissimo. A quando risale questa fissazione?»
Marlene serrò un attimo le labbra prima di rispondere. «Non ne sono sicura. A qualche mese fa, ma la voglia di andare via è sempre più forte. Non sopporto più di stare qui su Rotor.»
Eugenia guardò la figlia, corrugando la fronte. "Sente di avere perso Aurinel" rifletté. "Ha il cuore infranto, vuole partire e punire Aurinel in questo modo. Vuole andare in esilio su un mondo desolato, così lui si pentirà…"
Sì, era un ragionamento plausibilissimo. Eugenia ricordava i suoi quindici anni. "I cuori sono così fragili allora, basta un nonnulla perché si spezzino. Gli adolescenti guariscono in fretta, però a quell’età si stenta a crederci, sembra impossibile riprendersi. Quindici anni! È dopo… è dopo che…"
Inutile pensarci!
«Cos’ha di speciale Eritro per attirarti tanto, Marlene?» chiese.
«Non so, di preciso. È un mondo grande. Non è naturale desiderare un mondo grande…» Marlene esitò prima di completare la frase, ma, alla fine, ci riuscì. «Come la Terra?» aggiunse.
«Come la Terra!» sbottò sua madre. «Non sei mai stata sulla Terra. Non sai nulla della Terra!»
«Ho visto parecchie cose, mamma. Le biblioteche sono piene di film sulla Terra.»
(Era vero. Da qualche tempo, Pitt era convinto che quei film andassero sequestrati… o addirittura distrutti. Secondo lui, staccarsi dal Sistema Solare significava staccarsi definitivamente; era sbagliato mantenere vivo un romanticismo artificiale nei confronti della Terra. Eugenia dissentiva in modo netto, ma adesso, di colpo, le sembrava di comprendere le argomentazioni di Pitt.)
«Marlene, non puoi basarti su quei film» disse. «Idealizzano le cose. Perlopiù, parlano del passato remoto, di un periodo in cui la situazione sulla Terra era migliore, e, anche se un tempo le cose andavano meglio, quei film esagerano comunque, dipingono un quadro troppo roseo della realtà.»
«Un tempo la situazione era migliore, però…»
«Macché! Lo sai cos’è la Terra? È una fogna squallida e invivibile. Ecco perché la gente se n’è andata e ha formato le Colonie. Ha lasciato un mondo enorme e orribile come la Terra e si è spostata sulle Colonie, piccole e civili. Nessuno vuole tornare indietro.»
«Miliardi di persone continuano a vivere sulla Terra.»
«Ecco perché è una fogna invivibile. Le persone rimaste là partono non appena possono. Ecco perché sono state costruite tante Colonie, che adesso sono affollatissime. È per questo motivo che abbiamo abbandonato il Sistema Solare e siamo venuti qui, cara.»
Marlene disse sottovoce: «Papà era un terrestre. Lui non ha lasciato la Terra, anche se avrebbe potuto farlo».
«No, non l’ha lasciata. È rimasto.» Eugenia aggrottò le ciglia, cercando di controllare il tono della propria voce.
«Perché, mamma?»
«Via, Marlene. Ne abbiamo già parlato. Molti sono rimasti. Non volevano abbandonare un luogo familiare. In quasi tutte le famiglie di Rotor c’è stato qualcuno che non si è mosso dalla Terra. Lo sai benissimo. Vuoi tornare sulla Terra? È questo il problema?»
«No, mamma. Assolutamente.»
«Anche se volessi tornare, sei a oltre due anni luce di distanza, quindi è impossibile. Lo capisci, no?»
«Certo che capisco. Stavo solo cercando di far notare che abbiamo un’altra Terra proprio qui. È Eritro. È là che voglio andare. Lo desidero moltissimo.»
Eugenia Insigna non riuscì a trattenersi e, provando quasi un senso di orrore nel sentire le sue stesse parole, eruppe: «Dunque vuoi staccarti da me, come tuo padre!»
Marlene sussultò, poi si riprese. «È proprio vero che lui si è staccato da te, mamma? Forse le cose sarebbero andate diversamente se tu ti fossi comportata in modo diverso» disse. Poi, tranquillamente, come se stesse annunciando di avere terminato la cena, soggiunse: «Sei stata tu a respingerlo, vero, mamma?»