Da quanto lo sapeva? Da quando aveva chiamato la stella Nemesis? Aveva percepito cosa fosse e cosa significasse, e le aveva dato un nome appropriato inconsciamente?
Quando aveva individuato la stella, l’unica cosa importante per lei era stata la scoperta in sé. Aveva pensato soltanto all’immortalità. Era la sua stella, la Stella di Insigna. Era stata tentata di chiamarla così. Un nome fantastico, anche se nel prenderlo in considerazione lo aveva accantonato, riluttante, con una smorfia interiore di falsa modestia. Sarebbe stato davvero insopportabile adesso se lei fosse caduta in quella trappola.
Dopo la scoperta, c’era stato lo shock della richiesta di segretezza da parte di Pitt, poi i preparativi frenetici per la Partenza. (Sarebbe stata chiamata così nei libri di storia un giorno? La Partenza? Maiuscolo?)
Poi, dopo la Partenza, c’erano stati due anni in cui la nave aveva continuato a guizzare dentro e fuori l’iperspazio… e i calcoli interminabili necessari per l’iperassistenza, che richiedevano una marea di dati astronomici che Eugenia doveva controllare e coordinare. Solo la densità e la composizione della materia interstellare…
In quei quattro anni Eugenia non aveva mai potuto pensare a Nemesis in modo approfondito; nemmeno una volta aveva potuto concentrarsi e cogliere qualcosa di ovvio.
Possibile? O aveva semplicemente distolto lo sguardo da quello che non voleva vedere? Si era rifugiata deliberatamente in quel bailamme di segretezza, fretta, eccitazione?
Poi però l’ultimo periodo iperspaziale era terminato; a questo punto, per un mese, avrebbero decelerato attraverso una grandinata iniziale di atomi d’idrogeno, colpendoli a una velocità tale da trasformarli in particelle di raggi cosmici.
Nessun veicolo spaziale normale avrebbe potuto resistere, ma Rotor aveva attorno a sé uno spesso strato di terreno che era stato rinforzato per il viaggio e che assorbiva le particelle.
Un giorno, aveva assicurato a Eugenia uno degli esperti iperspaziali, sarebbe stato possibile entrare nell’iperspazio e uscirne a velocità normali. «Ora che abbiamo l’iperspazio non sarà più necessaria alcuna innovazione concettuale clamorosa» aveva detto. «È solo una questione di tecnologia.»
Forse! Per gli altri specialisti, comunque, quell’idea era soltanto spazzatura cosmica.
Quando aveva intuito la terribile verità, Eugenia era corsa subito da Pitt. Nell’ultimo anno Pitt non aveva avuto molto tempo per lei, ed Eugenia lo aveva capito. Stava affiorando una certa tensione, sempre più evidente, ora che l’eccitazione del viaggio stava diminuendo, ora che la gente si rendeva conto che, nel giro di qualche mese, si sarebbe trovata in prossimità di un’altra stella.
Allora ci sarebbe stato il problema assillante di riuscire a sopravvivere per un lungo periodo di tempo nei pressi di una nana rossa sconosciuta, senza sapere se avrebbero trovato del materiale planetario adeguato da sfruttare come fonte energetica e mineraria, e come spazio abitabile soprattutto.
Janus Pitt non aveva più un’aria giovanile, anche se i capelli erano ancora scuri e la faccia priva di rughe. Erano passati appena quattro anni da quando Eugenia era andata ad annunciargli l’esistenza di Nemesis. Nei suoi occhi, però, c’era un’espressione tormentata, la consapevolezza che la gioia ormai non gli apparteneva più mentre gli rimanevano solo affanni e preoccupazioni, ben visibili.
Era Commissario eletto, adesso. Forse questo spiegava in gran parte le sue preoccupazioni, ma chi poteva dirlo? Eugenia non aveva mai conosciuto il vero potere, né le responsabilità che lo accompagnavano, però aveva l’impressione che potesse esacerbare chi lo conosceva in prima persona…
Pitt le sorrise distrattamente. Tra loro si era creata un’intimità forzata quando avevano avuto in comune un segreto di cui all’inizio nessuno (e poi quasi nessuno) era al corrente. Soltanto quando erano soli potevano parlare liberamente, allora. Dopo la Partenza, comunque, il segreto aveva cessato di essere tale, e i loro rapporti si erano raffreddati.
«Janus, c’è qualcosa che mi rode» esordì Eugenia. «Dovevo vederti subito. Si tratta di Nemesis.»
«Qualche novità? Non dirmi che hai scoperto che non è dove pensavi tu, perché è proprio là fuori, a meno di sedici miliardi di chilometri. Si vede.»
«Lo so. Ma quando l’ho scoperta, a poco più di due anni luce, ho dato per scontato che fosse una stella compagna, che Nemesis e il Sole ruotassero attorno a un centro di gravità comune. Data la vicinanza, doveva essere quasi sicuramente così. Sarebbe stato sensazionale.»
«D’accordo. Perché le cose non dovrebbero essere sensazionali di tanto in tanto?»
«Perché per quanto sia vicina, è chiaramente troppo lontana per essere una stella compagna. L’attrazione gravitazionale tra Nemesis e il Sole è debolissima, talmente debole che le perturbazioni gravitazionali delle stelle vicine renderebbero instabile l’orbita.»
«Ma Nemesis è là.»
«Sì, e più o meno tra noi e Alfa Centauri.»
«Che c’entra Alfa Centauri?»
«Il fatto è che la distanza di Nemesis da Alfa Centauri non è molto più grande della sua distanza dal Sole. È altrettanto probabile che sia una stella compagna di Alfa Centauri. O, più probabilmente, a qualunque sistema appartenga, la presenza dell’altra stella adesso la sta disturbando, o l’ha già disturbata.»
Pitt guardò Eugenia pensieroso e batté adagio le dita sul bracciolo della sedia. «Quanto impiega Nemesis a girare attorno al Sole… ammettendo che sia la compagna del Sole?»
«Non so. Dovrei calcolare l’orbita. Avrei dovuto farlo prima della Partenza, ma ero sempre talmente occupata allora… e anche adesso… ma non è una scusa valida.»
«Be’, fai un’ipotesi.»
«Se l’orbita fosse circolare, Nemesis impiegherebbe circa cinquanta milioni di anni per compiere una rivoluzione attorno al Sole, o, per essere più precisi, attorno al centro di gravità del sistema, col Sole che si sposterebbe in modo analogo. La linea tra i due corpi celesti in movimento passerebbe sempre in quel centro. D’altra parte, se Nemesis sta seguendo un’orbita ellittica e si trova ora nel punto estremo… e dev’essere così, perché se si spingesse ancora più in là non sarebbe certamente una stella compagna… in tal caso, dicevo, dovrebbe impiegare molto meno, venticinque milioni di anni.»
«Dunque, l’ultima volta che Nemesis si è trovata in questa posizione, più o meno tra Alfa Centauri e il Sole, Alfa Centauri doveva trovarsi in una posizione molto diversa rispetto a ora. In un arco di tempo compreso tra i venticinque e i cinquanta milioni di anni Alfa Centauri si sarà mossa, no? Di quanto?»
«Di una parte consistente di anno luce.»
«Quindi, questa sarebbe la prima volta che Nemesis è contesa dalle due stelle? Finora avrebbe ruotato tranquillamente?»
«No, assolutamente, Janus. Anche escludendo Alfa Centauri, ci sono altre stelle. Può darsi che una stella sia arrivata adesso, però in passato in qualche punto della sua orbita deve esserci stata un’altra stella abbastanza vicina da influenzarla. L’orbita non è proprio stabile.»
«Allora cosa ci fa in questo settore, se non orbita attorno al Sole?»
«Appunto.»
«Appunto, cosa?»
«Se orbitasse attorno al Sole si muoverebbe, rispetto al Sole, a una velocità compresa tra gli ottanta e i cento metri al secondo, a seconda della massa di Nemesis. È un moto molto lento per una stella, e la stella apparentemente resterebbe nella stessa posizione a lungo. Perciò rimarrebbe dietro la nube a lungo, soprattutto se la nube si muovesse nella stessa direzione rispetto al Sole. Con uno spostamento così lento e la luce della stella attenuata, sarebbe normale notarla solo adesso. Però…»
Pitt, che non fece alcuno sforzo per mostrarsi vivamente interessato, sospirò. «Be’? Non puoi venire al sodo?»
«Be’, se non è in orbita attorno al Sole, allora ha un moto indipendente, e dovrebbe muoversi rispetto al Sole a una velocità di circa cento chilometri al secondo, mille volte più veloce che se fosse in orbita. Adesso la stella si trova per caso nel nostro settore, ma sta proseguendo, supererà il Sole e non tornerà più. Però, rimane ugualmente dietro la nube, senza cambiare in pratica posizione.»
«Come mai?»
«Se si muove a grande velocità e nel medesimo tempo sembra sempre nello stesso punto in cielo, una spiegazione c’è.»
«Non dirmi che vibra avanti e indietro.»
Eugenia arricciò le labbra. «Per favore, non scherziamo, Janus. Non c’è nulla di divertente. Può darsi che Nemesis stia avanzando grosso modo in linea retta verso il Sole. In questo caso, non avrebbe alcuno spostamento laterale, apparentemente non cambierebbe posizione, però verrebbe dritta verso di noi… cioè, verso il Sistema Solare.»
Pitt la fissò sorpreso. «Ci sono delle prove?»
«Non ancora. Non c’era motivo di rilevare lo spettro di Nemesis quando è stata individuata. Solo dopo avere osservato la parallasse sarebbe stato logico procedere a un’analisi spettrale… ma poi non sono più riuscita a compierla. Se ben ricordi, mi hai messa a capo del progetto Sonda Remota e mi hai detto di fare in modo che nessuno si accorgesse di Nemesis. Un’analisi spettrale accurata allora era da escludere, e dopo la Partenza… be’, non ci ho più pensato. Però adesso svolgerò un esame approfondito, te lo assicuro.»
«Lascia che ti faccia una domanda. Se Nemesis stesse allontanandosi dal Sole, non avremmo lo stesso effetto di immobilità? Non è detto che si stia avvicinando al Sole, ci sono pari probabilità che si stia allontanando, vero?»
«Sarà l’analisi spettrale a dircelo. Uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali indicherà una recessione; uno spostamento verso il violetto, un avvicinamento.»
«Ma adesso è troppo tardi. Rilevando lo spettro della stella scoprirai che si sta avvicinando a noi, perché noi ci stiamo avvicinando a Nemesis.»
«A questo punto non analizzerò lo spettro di Nemesis, bensì quello del Sole. Se Nemesis si sta avvicinando al Sole, il Sole a sua volta si avvicinerà a Nemesis, e terremo conto del nostro movimento. E poi, stiamo rallentando, e nel giro di un mese avanzeremo così lentamente che il nostro movimento non influirà in modo sensibile sui risultati spettroscopici.»
Per mezzo minuto, Pitt sembrò immergersi nei propri pensieri, fissando la scrivania sgombra, accarezzando lentamente con la mano il terminale del computer. Poi, senza alzare lo sguardo, disse: «No. Non sono osservazioni necessarie. Non voglio che tu ti preoccupi più di questo, Eugenia. È un problema inesistente, quindi dimentica tutto».
E il cenno della sua mano fu un chiaro invito a uscire.
Eugenia contrasse le narici emettendo un sibilo rabbioso. «Come osi, Janus? Come osi?» disse, la voce bassa e roca.
«Come oso, cosa?» Pitt corrugò la fronte.
«Come osi ordinarmi di uscire in questo modo, come se fossi un’inserviente qualsiasi? Se non avessi scoperto Nemesis, non saremmo qui. Tu non saresti Commissario. Nemesis è mia. Anch’io ho voce in capitolo.»
«Nemesis non è tua. È di Rotor. Quindi per favore esci e lasciami riprendere il mio lavoro.»
Eugenia alzò la voce. «Janus… te lo ripeto. Molto probabilmente, Nemesis sta avanzando verso il nostro Sistema Solare.»
«E io ti ripeto che è altrettanto probabile che si stia allontanando. E anche se stesse dirigendosi verso il Sistema Solare… il loro Sistema Solare, tra parentesi, non più il nostro… non dirmi che colpirà il Sole, perché non ci crederò. In tutti i suoi cinque miliardi di anni di vita, il Sole non è mai stato colpito da una stella, e nemmeno sfiorato. Anche in una parte della Galassia relativamente affollata, è difficilissimo che si verifichi una collisione stellare. Le probabilità sono scarsissime. Non sarò un astronomo, però almeno questo lo so.»
«Le probabilità non sono certezze, Janus. Per quanto improbabile, è concepibile che Nemesis e il Sole possano scontrarsi, ma riconosco che è molto improbabile che accada. Il guaio è che un passaggio ravvicinato, anche senza collisione, potrebbe essere fatale alla Terra.»
«Ravvicinato, quanto?»
«Non so. Bisognerà fare parecchi calcoli per stabilirlo.»
«D’accordo, allora… Secondo te, dovremmo scomodarci a compiere le osservazioni e i calcoli necessari, e se poi scoprissimo che la situazione è davvero pericolosa per il Sistema Solare cosa dovremmo fare, sentiamo? Avvertire il Sistema Solare?»
«Be’, sì. Non avremmo scelta.»
«E come li avvertiremmo? Non disponiamo di alcun mezzo di ipercomunicazione, e in ogni caso loro non sarebbero in grado di ricevere degli ipermessaggi. Se inviassimo un messaggio di tipo infraluce… luce, microonde, neutrini modulati… impiegherebbe oltre due anni per raggiungere la Terra, sempre che avessimo un raggio abbastanza potente o sufficientemente coerente. E loro lo riceverebbero? Come faremmo a saperlo? Ammettiamo che lo ricevano e che rispondano… la risposta impiegherà sempre altri due anni per giungere a destinazione. E quale sarà in definitiva il risultato del nostro avvertimento? Noi dovremo rivelare la posizione di Nemesis, e loro vedranno che l’informazione proviene da questa direzione. Tutti i nostri progetti segreti per la creazione di una civiltà omogenea, senza interferenze, attorno a Nemesis, andranno in fumo.»
«Qualunque sia il prezzo, Janus, non puoi pensare di non avvertirli!»
«Perché ti preoccupi tanto? Anche se Nemesis sta avanzando verso il Sole, quanto impiegherà per raggiungere il Sistema Solare?»
«Potrebbe arrivare nei pressi del Sole tra circa cinquemila anni.»
Pitt si appoggiò allo schienale della sedia e studiò Eugenia con un’espressione ironica e divertita. «Cinquemila anni. Solo cinquemila anni? Ascolta, Eugenia, duecentocinquant’anni fa il primo terrestre ha messo piede sulla Luna. Sono passati due secoli e mezzo, ed eccoci qui, in prossimità della stella più vicina. Dove saremo tra altri due secoli e mezzo, a questo ritmo? Raggiungeremo tutte le stelle che vorremo. E tra cinquemila anni, cinquanta secoli, occuperemo tutta la Galassia, a meno che non esistano altre forme di vita intelligenti. Ci spingeremo verso altre galassie. Tra cinquemila anni, la tecnologia sarà talmente progredita che, se il Sistema Solare sarà davvero in pericolo, tutte le sue Colonie e l’intera popolazione planetaria potranno partire per lo spazio.»
Eugenia scosse il capo. «Non credere che progresso tecnologico sia sinonimo di onnipotenza, che si possa vuotare il Sistema Solare con un semplice gesto della mano, Janus. Per trasferire miliardi di persone senza caos e senza perdite tremende di vite umane; saranno necessari lunghi preparativi. Se, tra cinquemila anni, correranno un pericolo mortale, devono saperlo subito, per cominciare a prepararsi il più presto possibile.»
«Sei di buon cuore, Eugenia» disse Pitt. «Ti propongo un compromesso, quindi. Aspettiamo cent’anni, e in questi cent’anni insediamoci qui, moltiplichiamoci, costruiamo un gruppo di Colonie abbastanza forte e stabile. Poi sì, potremo studiare la destinazione di Nemesis e, se necessario, avvertire il Sistema Solare. Avranno ancora quasi cinquemila anni per prepararsi. Un piccolo ritardo di un secolo non sarà di certo fatale.»
Eugenia sospirò. «È questa la tua visione del futuro? L’umanità che continua a litigare, contendendosi le stelle? Piccoli gruppi che cercano di imporre la propria supremazia su questa o su quella stella? Odio e sospetti e conflitti, come abbiamo avuto sulla Terra per migliaia di anni, estesi a tutta la Galassia per altre migliaia di anni?»
«Eugenia, non ho nessuna visione del futuro. L’umanità farà quel che vorrà. Litigherà come dici tu, o forse formerà un Impero Galattico… o farà qualcos’altro. Non sta a me decidere, non posso influenzare il comportamento futuro dell’umanità, e non intendo provarci. Io devo pensare soltanto a quest’unica Colonia, a quest’unico secolo necessario per insediarci stabilmente attorno a Nemesis. Quando sarà trascorso, noi due saremo morti tranquillamente da un pezzo, e saranno i nostri successori a occuparsi del problema di avvertire il Sistema Solare… se sarà necessario. Sto cercando di essere ragionevole, non emotivo, Eugenia. Anche tu sei una persona ragionevole. Rifletti.»
Eugenia rifletté.
Rimase seduta, guardando Pitt con aria cupa, mentre lui aspettava con una pazienza quasi esagerata.
«Benissimo» disse infine Eugenia. «Ho capito. Continuerò ad analizzare lo spostamento di Nemesis rispetto al Sole, così forse potremo dimenticare questa storia.»
«No.» Pitt alzò un dito ammonitore. «Ricorda quel che ti ho detto prima. Niente osservazioni del genere. Se risultasse che il Sistema Solare non è in pericolo, non avremmo ottenuto nulla. Faremmo semplicemente quello che secondo me dovremmo fare in ogni caso… dedicare un secolo al rafforzamento della civiltà di Rotor. Però, se tu dovessi scoprire che il pericolo esiste, ti rimorderebbe la coscienza, saresti divorata dall’apprensione, da chissà quali timori, dai sensi di colpa. La notizia in un modo o nell’altro trapelerebbe e indebolirebbe la determinazione dei rotoriani, dato che molti di loro forse sono sentimentali come te. E quello sarebbe un duro colpo per noi. Capisci?»
Eugenia rimase in silenzio.
«Bene. Vedo che capisci.» E col solito cenno, Pitt la invitò di nuovo ad andarsene.
Questa volta, Eugenia uscì. E Pitt, seguendola con lo sguardo, pensò: "Sta proprio diventando insopportabile".