I lunghi viaggi attraverso un’atmosfera planetaria erano qualcosa di estraneo alla società delle Colonie. Su una Colonia, le distanze erano abbastanza brevi, e per gli spostamenti bastavano gli ascensori, le gambe, e occasionalmente le vetture elettriche. E per i viaggi interColonie c’erano i razzi.
Molti coloni (almeno, nel Sistema Solare) erano stati nello spazio varie volte, e per loro muoversi nello spazio era una cosa normale, quasi come camminare. Tuttavia, solo pochissimi di loro erano stati sulla Terra, patria esclusiva dei viaggi atmosferici, e avevano sperimentato il volo aereo.
I coloni, capaci di affrontare il vuoto quasi fosse un ambiente amico, provavano un terrore indicibile al pensiero di dover sentire il sibilo dell’aria all’esterno di un veicolo staccato dal suolo.
Eppure gli spostamenti aerei, di tanto in tanto, erano necessari su Eritro. Come la Terra, Eritro era un mondo grande e, come la Terra, aveva un’atmosfera abbastanza densa (e respirabile). C’erano dei libri di consultazione sul volo aereo su Rotor, e perfino parecchi immigranti terrestri con esperienza in campo aeronautico.
Così, la Cupola disponeva di due piccoli velivoli, piuttosto sgraziati, alquanto primitivi, incapaci di grandi accelerazioni e grandi velocità, che non consentivano evoluzioni particolari data la manovrabilità non eccessiva… ma tuttavia pratici.
L’ignoranza di Rotor in fatto di ingegneria aeronautica presentava un lato positivo. I velivoli della Cupola erano molto più computerizzati dei loro equivalenti terrestri. Infatti, Siever Genarr li considerava dei robot complessi dalla forma di aeroplano. I fenomeni atmosferici su Eritro erano molto più lievi rispetto alla Terra, dato che la bassa intensità d’irradiazione di Nemesis non era sufficiente a provocare bufere e temporali di una certa violenza, quindi era meno probabile che un aereorobot dovesse affrontare un’emergenza. Molto meno probabile.
Per cui, chiunque, in pratica, era in grado di pilotare i velivoli rozzi e grossolani della Cupola. Bastava dire all’aereo cosa si voleva che facesse. Se il messaggio non era chiaro, o se sembrava pericoloso, il cervello robotico del velivolo chiedeva un chiarimento.
Mentre Marlene saliva in cabina, Genarr la osservò con una certa preoccupazione naturale, se non con l’aria terrorizzata di Eugenia, che assisteva alla scena tenendosi in disparte. («Non avvicinarti» le aveva ordinato Genarr, severo. «Soprattutto se hai intenzione di salutarci come se stessimo andando incontro a una catastrofe. Trasmetterai il panico alla ragazza.»)
Panico comprensibile, secondo Eugenia Insigna. Marlene era troppo giovane per ricordare un mondo dove il volo aereo era comune. Era rimasta abbastanza calma quando si era imbarcata sul razzo che le aveva portate su Eritro, ma come avrebbe reagito a quel volo senza precedenti attraverso l’aria?
Invece, Marlene salì a bordo con un’espressione perfettamente tranquilla.
Possibile che non afferrasse la situazione? Genarr chiese: «Marlene, cara, sai cosa faremo, vero?».
«Sì, zio Siever. Mi mostrerai Eritro.»
«Dall’aria. Volerai attraverso l’aria.»
«Sì. Me l’hai già detto.»
«E l’idea non ti preoccupa?»
«No, zio Siever. Però tu sei preoccupato, parecchio.»
«Sono solo preoccupato per te, cara.»
«Starò benissimo.» Marlene lo osservò calma, mentre Genarr saliva a sua volta e prendeva posto. «Posso capire la preoccupazione di mia madre, ma tu sei più preoccupato di lei. Riesci a nasconderlo abbastanza, ma se vedessi il modo in cui continui a leccarti le labbra saresti imbarazzato. Stai pensando che se succederà qualcosa di brutto sarà colpa tua, e non sopporti l’idea. Comunque, non succederà nulla.» «Sei sicura, Marlene?»
«Sicurissima. Su Eritro, nulla mi danneggerà.»
«L’hai detto a proposito del Morbo, ma adesso non stiamo parlando del Morbo.»
«Non importa. Nulla mi danneggerà, su Eritro.»
Genarr scosse leggermente la testa, incredulo, incerto, e subito dopo si pentì di quel gesto, perché sapeva che Marlene leggeva quei segni con la massima facilità, quasi fossero lettere cubitali sullo schermo di un computer. Del resto, cosa cambiava? Se si fosse trattenuto e avesse assunto la rigidezza e l’impassibilità di una statua, Marlene se ne sarebbe accorta ugualmente.
«Ora entreremo in un compartimento stagno e ci rimarremo per un po’, così potrò controllare la reattività del cervello dell’aereo» spiegò Genarr. «Poi supereremo un’altra porta, e l’aereo si alzerà nell’aria. Ci sarà un effetto di accelerazione, e verrai spinta indietro contro lo schienale, e ci muoveremo nell’aria. Lo capisci, spero…»
«Non ho paura» disse Marlene, tranquilla.
L’aereo manteneva la sua rotta costante sorvolando un paesaggio arido di colline ondulate.
Genarr sapeva che Eritro era geologicamente vivo, e sapeva anche che, stando ai pochi studi geologici compiuti, in alcuni periodi della sua storia quel mondo era stato montuoso. C’erano ancora delle montagne qui e là nell’emisfero cismegano, l’emisfero in cui il cerchio congestionato del pianeta Megas, attorno al quale orbitava Eritro, galleggiava quasi immobile nel cielo.
Lì nell’emisfero transmegano, comunque, pianure e colline erano la principale caratteristica geografica dei due grandi continenti.
Per Marlene, che non aveva mai visto una montagna in vita sua, anche le basse colline erano uno spettacolo eccitante.
Su Rotor c’erano dei rigagnoli, naturalmente, e osservando Eritro da lassù i suoi fiumi sembravano identici ai ruscelletti rotoriani.
"Marlene rimarrà sorpresa quando li vedrà più da vicino" rifletté Genarr.
Marlene guardò incuriosita Nemesis, che aveva oltrepassato il punto meridiano calando verso ovest. «Non si muove, vero, zio Siever?»
«Si muove» rispose Genarr. «O almeno, Eritro gira rispetto a Nemesis, ma gira solo una volta al giorno, mentre Rotor gira una volta ogni due minuti. Facendo un confronto tra Eritro e Rotor, Nemesis, vista da Eritro, si muove a una velocità circa settecento volte minore. Quindi sembra immobile, ma non è completamente immobile.»
Poi, lanciando una rapida occhiata a Nemesis, disse: «Non hai mai visto il Sole della Terra, il Sole del Sistema Solare… o se lo hai visto, non lo ricordi, dal momento che eri una bambina allora. Il Sole era molto più piccolo visto dalla posizione in cui si trovava Rotor nel Sistema Solare…».
«Più piccolo?» fece Marlene, sorpresa. «Secondo il computer, è Nemesis la stella più piccola.»
«In realtà, sì. Però la distanza tra Rotor e Nemesis è molto minore della distanza che un tempo separava Rotor dal Sole, quindi Nemesis sembra più grande.»
«Siamo a quattro milioni di chilometri da Nemesis, vero?»
«Ma eravamo a centocinquanta milioni di chilometri dal Sole. Se fossimo così lontani da Nemesis, riceveremmo meno dell’uno per cento della luce e del calore che riceviamo ora. E se fossimo ad appena quattro milioni di chilometri dal Sole, ci volatilizzeremmo. Il Sole è molto più grande, molto più luminoso e molto più caldo di Nemesis.»
Marlene non stava guardando Genarr, ma a quanto pareva il suo tono di voce era sufficiente. «Da come parli, zio Siever, ho l’impressione che ti piacerebbe essere ancora accanto al Sole.»
«Sono nato là, quindi a volte soffro di nostalgia.»
«Ma il Sole è così caldo e luminoso. Dev’essere pericoloso.»
«Non lo guardavamo. E non dovresti guardare nemmeno Nemesis troppo a lungo. Basta guardare, cara.»
Genarr lanciò un’altra rapida occhiata a Nemesis, comunque. Era sospesa nel cielo occidentale, rossa e immensa, diametro apparente quattro gradi di arco, o otto volte quello del Sole visto dalla vecchia posizione di Rotor. Era un cerchio di luce rossa tranquillo, ma Genarr sapeva che di tanto in tanto, raramente, s’infiammava e per pochi minuti su quella faccia serena appariva una chiazza bianca dolorosa per gli occhi di chi osservava. Le macchie solari di lieve entità, rosso scuro, erano più comuni, ma non così evidenti.
Sottovoce, Genarr diede un ordine all’aereo, che virò in maniera tale da volgere a Nemesis la parte posteriore.
Marlene, pensosa, guardò un’ultima volta la stella, poi si girò, concentrandosi sul panorama di Eritro che scorreva sotto di loro.
«Ci si abitua a questa distesa ininterrotta color rosa» disse. «Dopo un po’, non sembra più così rosa.»
Anche Genarr l’aveva notato. I suoi occhi cominciavano a cogliere tonalità e sfumature diverse, e adesso quel mondo sembrava meno monocromatico. I fiumi e i laghetti erano più rossastri e più scuri del terreno, e il cielo era scuro. L’atmosfera di Eritro diffondeva in minima parte la luce rossa di Nemesis.
L’aspetto più scoraggiante di Eritro, comunque, era la sterilità del suolo. Rotor, per quanto su scala ridotta, aveva campi verdi, grano giallo, frutta multicolore, animali rumorosi… tutti i colori e i suoni caratteristici di un luogo abitato dall’uomo.
Lì, solo silenzio e cose inanimate.
Marlene aggrottò le ciglia. «C’è vita su Eritro, zio Siever…»
Genarr non capì se Marlene stesse facendo un’affermazione, gli stesse rivolgendo una domanda, o stesse rispondendo al pensiero rivelato dal suo linguaggio corporeo. Stava sottolineando qualcosa, o voleva essere rassicurata?
«Certo. Parecchia» spiegò Genarr. «E diffusa ovunque. Non è solo nell’acqua. Ci sono procarioti anche nel sottilissimo strato di acqua attorno ai granelli di terreno.»
Poco dopo, all’orizzonte apparve l’oceano; dapprima era semplicemente una linea scura, che si trasformò in una fascia sempre più ampia via via che il velivolo si avvicinava.
Genarr guardò Marlene con la coda dell’occhio, osservando le sue reazioni. Naturalmente, la ragazza aveva letto degli oceani terrestri, e doveva avere visto delle immagini olovisive, ma non c’era nulla che potesse preparare all’esperienza diretta. Genarr, che una volta (una volta!) era stato sulla Terra come turista, aveva visto la sponda di un oceano. Però non aveva mai sorvolato un oceano, non si era mai allontanato dalla terraferma, e non era sicuro delle proprie reazioni.
L’oceano scorse sotto di loro, e la sponda diventò una linea più chiara alle loro spalle, e rimpicciolì sempre più, fino a scomparire. Genarr guardò giù provando una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Ricordò le parole di un poema arcaico che parlava del "mare scuro come vino". Sotto di loro, l’oceano assomigliava in effetti a una massa ondeggiante di vino rosso, con chiazze di schiuma rosa qui e là.
Non c’erano punti di riferimento in quella distesa d’acqua smisurata, e nemmeno punti dove atterrare. Il concetto stesso di «ubicazione» non significava più nulla. Eppure Genarr sapeva che per ritornare bastava ordinare all’aereo di riportarli a terra. Il computer di bordo controllava sempre la posizione in base alla velocità e alla direzione seguita, e sapeva dov’era la terraferma… conosceva perfino la posizione della Cupola.
Passarono sotto a uno spesso banco di nubi, e l’oceano diventò nero. Una parola di Genarr, e l’aereo salì, portandosi al di sopra delle nuvole. Nemesis tornò a brillare, mentre in basso l’oceano non era più visibile. C’era invece un mare di goccioline rosa che fluttuavano e si sollevavano qui e là, e di tanto in tanto all’esterno dei finestrini scorrevano brandelli di nebbia.
Poi le nubi si aprirono e nello squarcio si scorse di nuovo il mare rosso vino.
Marlene osservò la scena a bocca aperta, respirando piano. «È tutta acqua, vero, zio Siever?» mormorò.
«Migliaia di chilometri, in ogni direzione, Marlene… e profonda dieci chilometri in alcuni punti.»
«Se si cade lì dentro, si annega, immagino…»
«Non preoccuparti. Questo aereo non cadrà nell’oceano.»
«Lo so» disse Marlene, sbrigativa.
C’era un altro spettacolo da mostrarle, pensò Genarr.
Marlene interruppe il flusso dei suoi pensieri. «Ti stai agitando di nuovo, zio Siever.»
Stava abituandosi a dare per scontata la capacità di penetrazione di Marlene, rifletté Genarr divertito. «Non hai mai visto Megas, e mi stavo chiedendo se fosse il caso di mostrartelo. Sai, Eritro presenta sempre la stessa faccia a Megas, e la Cupola è stata costruita nell’emisfero opposto, quindi Megas non è mai nel nostro cielo. Continuando a volare in questa direzione, però, entreremo nell’emisfero cismegano, e vedremo sorgere Megas all’orizzonte.»
«Mi piacerebbe vederlo.»
«Allora lo vedrai, ma ti avviso… Megas è grande, molto grande, quasi il doppio di Nemesis, e sembra quasi che stia per caderci addosso. È una vista che certe persone non riescono a sopportare. Non cadrà, però. È impossibile. Cerca di ricordarlo.»
Proseguirono, salendo più in alto e aumentando la velocità. L’oceano sotto di loro era una distesa increspata ininterrotta, oscurata di tanto in tanto dalle nubi.
A un certo punto, Genarr disse: «Se guardi di fronte a te, un po’ a destra, comincerai a scorgere Megas all’orizzonte. Andremo in quella direzione».
All’inizio sembrava solo una piccola chiazza di luce lungo l’orizzonte, ma crebbe lentamente, espandendosi. Poi, d’un tratto, l’arco sempre più ampio di un cerchio rosso cupo si innalzò sopra l’orizzonte. Era nettamente più scuro di Nemesis, ancora visibile sulla destra alle loro spalle, un po’ più bassa nel cielo.
Mentre Megas ingrandiva, ben presto apparve evidente che non si trattava di un cerchio luminoso intero, ma di un semicerchio, piuttosto.
«Ecco… questo è quello che chiamano «fasi», vero?» fece Marlene, con interesse.
«Esatto. Vediamo solo la parte illuminata da Nemesis. Man mano che Eritro gira attorno a Megas, sembra che Nemesis si avvicini sempre più a Megas, e noi vediamo una percentuale sempre più piccola della metà illuminata del pianeta. Poi quando Nemesis si trova appena sopra Megas, o appena sotto, vediamo soltanto una sottile curva luminosa che segna il bordo di Megas, l’unica parte visibile del suo emisfero illuminato. A volte Nemesis si sposta dietro Megas, e abbiamo un eclisse. Allora compaiono tutte le stelle fioche, non solo le più luminose che si vedono anche quando Nemesis è nel cielo. Durante l’eclisse, si vede un grande cerchio di oscurità che non contiene nemmeno una stella, e quel cerchio indica la posizione di Megas. Quando Nemesis riappare sull’altro lato, a poco a poco si scorge di nuovo una sottile curva luminosa.»
«Meraviglioso!» esclamò Marlene. «È come uno spettacolo in cielo. E guarda Megas… tutte quelle strisce che si muovono…»
Attraversavano la parte illuminata del globo, spesse, rossobruno, venate di arancione, e si contorcevano lentamente.
«Sono fasce di perturbazione, con venti terribili che soffiano in tutte le direzioni» spiegò Genarr. «Se guardi attentamente, vedrai delle macchie che si formano, si espandono, si spostano un po’ e poi spariscono.»
«È proprio come uno spettacolo olovisivo» commentò Marlene, estasiata. «Perché la gente non lo guarda in continuazione?»
«Gli astronomi lo fanno. Lo osservano tramite degli strumenti computerizzati situati in questo emisfero. Anch’io l’ho visto nel nostro Osservatorio. Sai, avevamo un pianeta come questo nel Sistema Solare. Si chiama Giove, ed è ancor più grande di Megas.»
Ormai, il pianeta si stagliava completamente sopra l’orizzonte, simile a un pallone parzialmente sgonfio, afflosciato lungo la parte sinistra.
«È bellissimo» disse Marlene. «Se la Cupola fosse in questo emisfero di Eritro, tutti potrebbero guardarlo.»
«Be’, no, Marlene. C’è un problema. Alla maggior parte della gente Megas non piace. Te l’ho detto… certi hanno l’impressione che Megas stia per cadergli addosso, e questo li spaventa.»
Marlene sbottò spazientita: «Solo poche persone avranno in testa un’idea così sciocca».
«Solo poche persone, all’inizio… ma le idee sciocche possono essere contagiose. La paura si diffonde, e le persone che di per sé non avrebbero paura alla fine si lasciano condizionare dai vicini che invece hanno paura. Non hai mai notato questo fenomeno?»
«Oh, sì, certo» rispose Marlene, con una punta di amarezza. «Se un ragazzo pensa che una ragazza sia carina, lo pensano tutti. Cominciano a competere…» S’interruppe, come imbarazzata.
«Bene, questa paura contagiosa è uno dei motivi per cui abbiamo costruito la Cupola nell’altro emisfero. Inoltre, dato che Megas è sempre presente nel cielo, in questo emisfero le osservazioni astronomiche sono più difficili. Ma… penso sia ora di rientrare. La conosci, tua madre. Sarà in preda al panico.»
«Chiamala e dille che stiamo bene.»
«Non è necessario. Questo aereo invia dei segnali in continuazione. Eugenia sa che stiamo bene… fisicamente. Ma non è di questo che si preoccupa» soggiunse Genarr, e si batté sulla tempia in modo eloquente.
Marlene si afflosciò sul sedile assumendo un’espressione contrariata. «Che seccatura! Lo so che tutti diranno: "Fa così solo perché ti vuole bene", però è una bella seccatura. Perché non si fida di me quando le dico che non mi accadrà nulla?»
«Perché ti vuole bene, proprio come tu vuoi bene a Eritro» rispose Genarr, dando istruzioni all’aereo per il ritorno.
Il viso di Marlene si illuminò subito. «Oh, certo che voglio bene a Eritro.»
«Già. Si vede benissimo dalle tue reazioni.»
E Genarr si chiese come avrebbe reagito Eugenia Insigna a quella notizia.
Eugenia ebbe una reazione furiosa. «Come sarebbe a dire… Marlene ama Eritro? Come può amare un mondo morto? Le hai fatto il lavaggio del cervello, per caso? L’hai convinta ad amare Eritro per qualche motivo?»
«Eugenia, ragiona. Credi davvero che sia possibile fare il lavaggio del cervello a Marlene? Sei mai riuscita a condizionarla, tu?»
«Allora, cos’è successo?»
«A dire il vero, io ho cercato di mostrarle gli aspetti sgradevoli o spaventosi. Se mai, ho provato a condizionarla negativamente perché detestasse Eritro. So per esperienza che i rotoriani, cresciuti nello spazio limitato di una Colonia, detestano le dimensioni smisurate di Eritro… detestano la sua luce rossa, l’oceano enorme, le nubi cupe, Nemesis, e soprattutto Megas. Tutte queste cose tendono a deprimerli e a spaventarli. E io ho mostrato tutte queste cose a Marlene. L’ho portata sull’oceano, poi ci siamo spinti abbastanza in là da vedere bene Megas sopra l’orizzonte.»
«E…?»
«E Marlene è rimasta imperterrita. Ha detto che si era abituata alla luce rossa, che a un certo punto non le sembrava più così orribile. L’oceano non l’ha spaventata affatto, e soprattutto ha trovato Megas interessante, divertente.»
«Non posso crederci.»
«Devi crederci. È la verità.»
Eugenia rifletté alcuni istanti poi, riluttante, disse: «Forse è un sintomo… forse significa che Marlene è già stata contagiata dal… dal…».
«Dal Morbo. Non appena siamo rientrati l’ho fatta sottoporre a un’altra analisi cerebrale. Non abbiamo ancora i risultati completi, ma stando all’esame preliminare non c’è nessun cambiamento. La struttura mentale cambia in modo netto anche in presenza di un caso leggero. No, Marlene non ha proprio nulla. Comunque, mi è appena venuta in mente una cosa interessante. Sappiamo che Marlene è perspicace, che riesce a cogliere tutti i piccoli particolari. Capta i sentimenti degli altri. Ma non hai mai notato il contrario, o qualcosa che possa far pensare al fenomeno opposto? Trasmette anche i suoi sentimenti agli altri?»
«Dove vuoi arrivare? Non capisco.»
«Marlene sa quando sono incerto e un po’ apprensivo, per quanto io cerchi di nasconderlo… o sa che sono calmo e tranquillo. Ma se fosse lei a costringermi o a condizionarmi trasmettendomi l’incertezza e l’apprensione… o la calma e la tranquillità? È possibile? Se capta, può anche imporre?»
Eugenia lo fissò incredula. «Questa è un’assurdità bella e buona!» sbottò con voce strozzata.
«Può darsi. Ma non hai mai notato un comportamento di questo tipo, un’influenza di questo tipo, da parte di Marlene? Pensaci.»
«Non c’è bisogno che ci pensi. Non ho mai notato niente del genere.»
«No…» borbottò Genarr. «Immagino di no. Sicuramente, le piacerebbe fare in modo che tu ti preoccupassi meno per lei, e mi pare proprio che non ci riesca. Be’… Però, se ci limitiamo a considerare la sua capacità percettiva, senza dubbio questa capacità si è acuita da quando Marlene è arrivata su Eritro. Sei d’accordo?»
«Sì.»
«E non è solo questo. Adesso Marlene è particolarmente intuitiva. Sa di essere immune al Morbo. È sicura che su Eritro non le accadrà nulla di spiacevole. Ha fissato l’oceano con la massima tranquillità, sicurissima che l’aereo non sarebbe precipitato e lei non sarebbe annegata. Aveva questo atteggiamento su Rotor? In certe circostanze è normale che un giovane si senta incerto e insicuro… L’hai mai vista incerta, insicura, su Rotor?»
«Sì! Naturalmente!»
«Però qui è cambiata, è un’altra. È completamente sicura di sé. Perché?»
«Non lo so.»
«Eritro la sta influenzando? No, no, non mi riferisco al Morbo. Ci sarà qualche altro effetto? Qualcosa di completamente diverso? Se me lo domando, è perché l’ho provato di persona.»
«Provato, cosa?»
«Un certo ottimismo riguardo Eritro. La desolazione non mi ha disturbato, e nemmeno tutto il resto. Certo, Eritro non ha mai suscitato in me un senso di ripugnanza o di disagio particolarmente intenso, però non mi è mai piaciuto. Ma durante questo viaggio con Marlene, per la prima volta in dieci anni, mi è quasi piaciuto, ecco. Forse il piacere di Marlene era contagioso, ho pensato… o forse era lei che riusciva a trasmettermelo in qualche modo. O può darsi che l’influenza che Eritro esercita su di lei, quale che sia, influenzi anche me… in presenza di Marlene.»
«Siever, credo che faresti meglio a sottoporti a un’analisi cerebrale come Marlene» disse Eugenia, sarcastica.
Genarr aggrottò le ciglia. «Pensi che non l’abbia fatto? Da quando mi trovo su Eritro, mi sottopongo a dei controlli periodici. Non c’è stata nessuna alterazione, a parte quelle inevitabili provocate dal processo di invecchiamento.»
«Ma hai controllato la tua struttura mentale dopo essere rientrato dal viaggio in aereo?»
«Certo. Subito. Non sono stupido. L’analisi completa non è ancora pronta, però dall’esame preliminare non risulta nessun cambiamento.»
«Allora, cos’hai intenzione di fare a questo punto?»
«La cosa logica. Marlene ed io lasceremo la Cupola, usciremo sulla superficie di Eritro.»
«No!»
«Prenderemo delle precauzioni. Sono già stato all’esterno.»
«Tu, forse» disse Eugenia, ostinata. «Marlene, mai.»
Genarr sospirò. Girandosi, fissò la finestra finta nella parete dell’ufficio, quasi stesse cercando di penetrare con lo sguardo quella barriera e di vedere il paesaggio rossastro che si nascondeva là dietro. Poi tornò a voltarsi verso Eugenia.
«Là fuori c’è un mondo nuovo e immenso, che appartiene solo a noi» disse. «Possiamo prenderlo e trasformarlo tenendo conto della lezione del passato, evitando di commettere gli errori sciocchi commessi col nostro mondo originario. Questa volta possiamo costruire un mondo valido, pulito, decente. Possiamo abituarci alla sua luce rossa. Possiamo renderlo vivo con le nostre piante e i nostri animali. Possiamo far prosperare la terra e il mare e imprimere al pianeta una spinta evolutiva.»
«E il Morbo?»
«Potremmo eliminarlo, e fare di Eritro un luogo ideale per noi.»
«Se eliminiamo il calore e la gravità e modifichiamo la composizione chimica, anche Megas può trasformarsi in un luogo ideale.»
«Sì, Eugenia, però devi ammettere che il Morbo rientra in una categoria diversa rispetto al calore, alla gravità, e alla chimica planetaria.»
«Ma è altrettanto letale.»
«Eugenia, mi pare di averti detto che Marlene è la persona più importante che abbiamo.»
«Per me, certamente.»
«Per te, è importante solo perché è tua figlia. Per noi altri, è importante per quello che può fare.»
«E cosa può fare? Interpretare il nostro linguaggio corporeo? Giocarci qualche scherzetto?»
«È convinta di essere immune al Morbo. Se è immune, potremmo scoprire…»
«Se è immune. No, è una fantasia infantile, e lo sai. Non aggrapparti a qualcosa di così inconsistente.»
«C’è un mondo là fuori, e io lo voglio.»
«Mi sembra di sentire parlare Pitt. Per avere quel mondo, vuoi mettere a repentaglio mia figlia?»
«Nella storia umana, si è messo in gioco molto di più per molto meno.»
«Ah, bell’esempio la storia umana, allora. In ogni caso, sta a me decidere. È mia figlia.»
E Genarr, la voce bassa e colma di rammarico, disse: «Ti amo, Eugenia, ma ti ho persa una volta. Ho sognato di provare a cancellare questa perdita, magari… ma adesso temo che dovrò perderti di nuovo, e per sempre. Perché, vedi, sono costretto a dirti che non sta a te decidere. E non sta nemmeno a me. Sta a Marlene decidere. E qualsiasi decisione prenda, la metterà in pratica, in qualche modo. E dato che può darsi benissimo che Marlene abbia la capacità di conquistare un mondo e di offrirlo al genere umano, io l’aiuterò fino in fondo, anche se tu sei contraria. Devi accettarlo, Eugenia… ti prego».