Il tono che esprimeva un misto di perplessità e scontentezza, Eugenia Insigna disse: «Marlene stava cantando questa mattina. Una canzone che diceva: "Casa, casa tra le stelle, dove i mondi ruotano liberi"».
«La conosco» annuì Genarr. «Te la canterei, ma non ho orecchio.»
Avevano appena terminato il pranzo. Pranzavano insieme ogni giorno, adesso… un momento che Genarr attendeva tranquillo e soddisfatto, anche se l’argomento di conversazione immancabilmente era Marlene, e anche se Eugenia forse si rivolgeva a lui solo per disperazione, non potendo parlare liberamente con nessun altro.
A Genarr non importava. Gli bastava stare con lei.
«Non l’avevo mai sentita cantare, prima» disse Eugenia. «Ho sempre pensato che non sapesse cantare. Invece ha una voce gradevole, da contralto.»
«Probabilmente, significa che è felice, adesso… o eccitata… o contenta… è un segno positivo, insomma. Secondo me, Marlene ha trovato il suo posto nell’universo, la sua unica ragione di vita. Non tutti la trovano. La maggior parte di noi, Eugenia, si trascina in avanti, cercando il significato personale della vita, non lo trova, e alla fine sprofonda nella disperazione più cupa o si chiude in una serena rassegnazione. Io appartengo alla categoria dei rassegnati.»
Eugenia abbozzò un sorriso. «Mentre io no, vero?»
«Be’, non sei immersa nella disperazione più cupa, ma in effetti tendi a continuare le battaglie perse.»
Lei abbassò gli occhi. «Ti riferisci a Crile?»
«Se pensi che mi riferisca a Crile, d’accordo. In realtà, però, stavo pensando a Marlene. È uscita una dozzina di volte. Le piace moltissimo. La rende felice, eppure tu te ne stai qui a combattere la paura. Cos’è che ti angustia?»
Eugenia rifletté qualche attimo, giocherellando con la forchetta. «È il senso di perdita. L’ingiustizia di questa situazione. Crile ha faro una scelta e l’ho perso. Marlene ha fatto una scelta e la sto perdendo… Eritro me la sta portando via, se non il Morbo…»
«Lo so.» Genarr le prese la mano, e lei, distrattamente, lasciò che la stringesse.
Eugenia continuò. «Marlene è sempre più smaniosa di stare là fuori, in quella desolazione assoluta, e le interessa sempre meno stare con noi. Alla fine, troverà il modo di vivere all’esterno, si assenterà per periodi sempre più lunghi… e un giorno sparirà.»
«Probabilmente hai ragione, ma la vita è un susseguirsi di perdite. Perdiamo la giovinezza, i genitori, gli amori, gli amici, la salute, e infine la vita. Bisogna accettarlo, altrimenti oltre a perdere tutto ugualmente, si perde anche la tranquillità, la pace interiore.»
«Non è mai stata una bambina felice, Siever.»
«Ti senti responsabile?»
«Avrei potuto essere più comprensiva.»
«Non è mai troppo tardi per cominciare. Marlene voleva un mondo intero, e adesso ce l’ha. Voleva trasformare quella che è sempre stata una dote gravosa in un metodo di comunicazione diretta con un’altra mente, e c’è riuscita. Vorresti costringerla a rinunciare? Per non perderla, per averla sempre accanto, vorresti farle subire una perdita ben più grande, impedendole di usare nel modo giusto il suo cervello eccezionale?»
Eugenia ridacchiò, anche se aveva le lacrime agli occhi. «Con quella parlantina, sapresti convincere anche un sordo, Siever.»
«Davvero? I miei discorsi non sono mai stati efficaci quanto i silenzi di Crile.»
«C’erano altri fattori.» Eugenia corrugò la fronte. «Non importa… Adesso sei qui, Siever, e mi sei di grande conforto.»
Genarr osservò mesto: «Si vede proprio che sono vecchio, se il fatto di esserti di conforto mi consola. La fiamma arde bassa quando non chiediamo chissà cosa, ma ci accontentiamo del conforto».
«Non c’è nulla di male in questo.»
«Oh, no, assolutamente. Secondo me, molte coppie hanno vissuto passioni intense, hanno conosciuto i riti dell’estasi, senza mai trovare il conforto reciproco, e magari alla fine pur di averlo avrebbero rinunciato volentieri a tutto il resto… Non so… Le vittorie intime sono così… intime. Essenziali, ma passano inosservate.»
«Come te, mio povero Siever?»
«Via, Eugenia, è una vita che cerco di evitare la trappola dell’autocommiserazione, non devi tentarmi solo per vedermi soffrire.»
Oh Siever, non voglio vederti soffrire.»
«Ah, proprio quello che mi interessava sentirti dire. Visto come sono in gamba? Sai, se vuoi un sostituto di Marlene, sono pronto a rimanerti vicino, caso mai avessi bisogno di qualcuno che ti consoli. Se tu me lo chiedessi, non mi staccherei da te nemmeno se mi offrissero un intero pianeta.»
Lei gli strinse la mano. «Non ti merito, Siever.»
«Niente scuse, Eugenia. Sono disposto a immolarmi per te, e tu non dovresti impedirmi di compiere il sacrificio supremo.»
«Non hai trovato una persona più degna.»
«Non l’ho cercata. Né ho notato un grande interesse nei miei confronti da parte delle donne di Rotor. E poi, non saprei che farmene di una persona più degna. Sarebbe poco entusiasmante offrirmi come dono meritato. Molto più romantico essere un dono immeritato, piovuto dal cielo.»
«Essere quasi un dio nella tua magnanimità.»
Genarr annuì energicamente. «Mi piace. Sì, sì… Proprio l’idea che mi affascina.»
Eugenia rise di nuovo, con maggiore spontaneità. «Sei pazzo. Sai, non me n’ero mai accorta.»
«Ho dei lati nascosti. Conoscendomi meglio… senza alcuna fretta, naturalmente…»
Genarr fu interrotto dal ronzio acuto del ricevitore di messaggi.
Si accigliò. «Ecco… Riesco a incantarti, non so come… tu stai quasi per abbandonarti tra le mie braccia, e ci interrompono. Ohhh!» Di colpo, il tono di Genarr cambiò completamente. «È di Saltade Leverett.»
«Chi è?»
«Non lo conosci. Quasi nessuno lo conosce. È una specie di eremita. Lavora nella fascia degli asteroidi perché gli piace stare là. Sono anni che non vedo quel vecchio vagabondo… Chissà perché ho detto «vecchio»… ha la mia età… È anche un messaggio riservato. Si apre solo con l’impronta dei pollici. A questo punto, data la segretezza, dovrei chiederti di uscire prima di leggerlo.»
Eugenia si alzò subito, ma Genarr le fece cenno di restare seduta. «Non essere sciocca, Eugenia. La segretezza è la malattia dei burocrati. Io me ne infischio.»
Premette un pollice sul foglio, quindi l’altro pollice, nei punti richiesti, e cominciarono ad apparire delle lettere. «Spesso ho pensato che se a una persona mancassero i pollici…» Poi Genarr tacque.
Sempre in silenzio, porse ilmessaggio a Eugenia.
«Posso leggerlo? Il regolamento lo consente?»
Genarr scosse la testa. «Certo che no, ma a me non importa. Leggilo pure.»
Eugenia diede una rapida scorsa, e alzò lo sguardo. «Una nave straniera? Che sta per atterrare qui?»
Genarr annuì. «È quel che dice il messaggio, almeno.»
«Ma… e Marlene? È là fuori» disse concitata Eugenia.
«Eritro la proteggerà.»
«Come fai a saperlo. Potrebbe essere una nave di alieni. Alieni veri. Extraterrestri. L’organismo di Eritro forse non avrà alcun potere su di loro.»
«Noi siamo alieni per Eritro, eppure ci controlla facilmente.»
«Devo uscire all’esterno.»
«Ma a cosa può…»
«Devo raggiungere Marlene. Vieni con me. Aiutami. La riporteremo nella Cupola.»
«Se sono invasori potentissimi e malintenzionati non saremo al sicuro nemmeno nella…»
«Oh, Siever, lascia perdere la logica, non è il momento! Ti prego. Devo stare accanto a mia figlia!»
Avevano scattato delle fotografie e adesso le stavano studiando. Tessa Wendel scosse la testa. «Incredibile. Un mondo completamente desolato. A parte quella cupola.»
«Intelligenza ovunque» disse Merry Blankowitz, corrugando la fronte. «Non ci sono più dubbi ora che ci siamo avvicinati tanto. Desolato o no, l’intelligenza è presente.»
«Ma il punto in cui è più intensa è quella cupola, giusto?»
«Sì, Capitano. Là è più intensa, e decisamente familiare. All’esterno della cupola ci sono delle lievi differenze, e non so di preciso cosa significhi questo.»
Wu disse: «L’unica forma di intelligenza superiore che conosciamo e che abbiamo analizzato è quella umana, quindi è naturale che…»
Tessa lo interruppe. «Secondo te, l’intelligenza all’esterno della cupola non è umana?»
«Dal momento che abbiamo stabilito che degli esseri umani non possono avere creato degli insediamenti sotterranei in tutto il pianeta in tredici anni, mi pare che l’unica conclusione possibile sia questa.»
«E la cupola? È una struttura umana?»
«Questo è un discorso completamente diverso, e i plessoni di Merry non c’entrano» rispose Wu. «Si vedono degli strumenti astronomici. La cupola, o almeno una parte della cupola, è un osservatorio astronomico.»
«Perché, un’intelligenza aliena non potrebbe interessarsi di astronomia?» chiese Jarlow, un po’ sardonico.
«Certo, ma con strumenti suoi. Se vedo un oggetto identico in tutto e per tutto a un analizzatore computerizzato all’infrarosso terrestre… Be’, mettiamola in questi termini… dimentichiamo la natura dell’intelligenza. Si vedono degli strumenti che, o sono stati costruiti nel Sistema Solare, o sono stati costruiti basandosi su dei progetti elaborati nel Sistema Solare. Questo è evidente. È impossibile che un’intelligenza aliena, senza alcun contatto con gli esseri umani, abbia costruito strumenti del genere.»
«Benissimo. Sono d’accordo, Wu» annuì Tessa. «Qualunque cosa ci sia su questo mondo, sotto quella cupola ci sono, o c’erano, degli esseri umani.»
Crile Fisher intervenne in tono aspro. «Non dire solo "esseri umani". Sono rotoriani. Non possono essere che loro.»
«Anche questo è inconfutabile» ammise Wu.
«Ma è una cupola così piccola» osservò Merry Blankowitz. «Su Rotor dovevano esserci migliaia di persone.»
«Sessantamila» mormorò Fisher.
«Non possono stare tutte in quella cupola.»
«In primo luogo, forse ci sono altre cupole» disse Fisher. «Anche se sorvolassimo il pianeta mille volte, chissà quante cose ci sfuggirebbero.»
«Soltanto in questo punto i plessoni erano di tipo diverso, apparentemente. Se ci fossero altre cupole, ne avrei localizzata qualcuna, ne sono certa» replicò Merry.
«Be’, forse quello che vediamo è una piccola parte di una struttura che magari si estende per chilometri sotto la superficie» insisté Fisher.
Wu disse: «I rotoriani sono arrivati su una Colonia. Può darsi che la Colonia esista ancora. Può darsi che ce ne siano molte… e che questa cupola sia solo un avamposto».
«Non abbiamp visto nessuna Colonia» osservò Jarlow.
«Non abbiamo nemmeno cercato» ribatté Wu. «Ci siamo concentrati unicamente su questo mondo.»
«Io ho localizzato l’intelligenza solo su questo mondo» disse Merry.
«Neppure tu hai cercato. Dovremmo esplorare il cielo, lo spazio, per individuare una Colonia, o qualche Colonia… ma dopo avere captato i plessoni provenienti dal pianeta, tu non hai cercato nient’altro, in nessun altro punto.»
«Se credi che sia necessario, lo farò.»
Tessa Wendel alzò la mano. «Se ci sono delle Colonie, perché non ci hanno avvistati? Non abbiamo fatto nulla per schermare la nostra emissione di energia. In fin dei conti, eravamo sicuri di trovare un sistema stellare deserto.»
«Forse anche loro si sentivano sicuri, Capitano… troppo sicuri» rispose Wu. «Non aspettavano l’arrivo di nessuno, così noi siamo penetrati nel sistema inosservati. O se ci hanno avvistati, può darsi che siano incerti, che si chiedano chi siamo… o cosa siamo… e che non sappiano che fare, proprio come noi. Comunque, una cosa è certa… in un punto della superficie di questo grande satellite ci sono senz’altro degli esseri umani, quindi a mio avviso dobbiamo scendere ed entrare in contatto con loro.»
«Non sarà pericoloso?» domandò Merry.
«No, non credo» rispose Wu senza esitare. «Non possono spararci a vista. Come minimo, vorranno sapere qualcosa da noi prima di eliminarci. E poi, se continuiamo a rimanere qui indecisi non concluderemo nulla… e dovremmo tornare a casa a riferire quello che abbiamo scoperto. La Terra invierà una flotta di navi ultraluce, però non ci saranno riconoscenti se torneremo solo con pochissime informazioni. Passeremo alla storia come la spedizione che avrà esitato.» Wu sorrise, affabile. «Vede, Capitano, la lezione di Fisher mi è servita.»
«Quindi, secondo te dovremmo scendere e prendere contatto» disse Tessa Wendel.
«Certo.»
«Blankowitz?»
«Sono curiosa. Non tanto per la cupola… se c’è una foma di vita aliena, mi interessa soprattutto quella.»
«Jarlow?»
«Vorrei che avessimo delle armi adeguate, o le ipercomunicazioni. Se ci distruggeranno, la Terra non avrà scoperto nulla, il nostro viaggio sarà stato inutile. Poi, chissà… forse qualcun altro verrà qui e sarà impreparato e indeciso come noi… Però, se sopravviveremo, torneremo con delle informazioni della massima importanza. Credo che dobbiamo rischiare.»
«La mia opinione, Capitano?» chiese Fisher sottovoce.
«Immagino che tu voglia atterrare per vedere i rotoriani.»
«Appunto, quindi se mi è consentito un suggerimento… Atterriamo con la massima discrezione possibile, senza farci notare, e io lascerò la nave e andrò in ricognizione. Se succederà qualcosa, decollate e tornate sulla Terra, abbandonandomi qui. Io sono sacrificabile, ma la nave deve ritornare.»
«Perché proprio tu?» chiese subito Tessa, mentre sul suo volto affiorava una certa tensione.
«Perché conosco i rotoriani, almeno, e perché… voglio andare.»
«Anch’io» intervenne Wu. «Verrò con te.»
«Perché rischiare in due?» domandò Fisher.
«Perché in due i rischi saranno minori. Perché in caso di pericolo uno potrebbe fuggire mentre l’altro terrà a bada la minaccia. E soprattutto perché, come hai detto tu, conosci i rotoriani. Il tuo giudizio potrebbe mancare di obiettività.»
Tessa disse: «Allora atterreremo. Fisher e Wu lasceranno la nave. Se, in qualsiasi momento, Fisher e Wu non saranno d’accordo sul da farsi, sarà Wu a decidere».
«Perché?» sbottò Fisher, indignato.
«Wu ha detto che conosci i rotoriani e che le tue decisioni potrebbero mancare di obiettività… e io sono d’accordo con lui» rispose Tessa, fissando Fisher con fermezza.
Marlene era felice. Si sentiva avvolta in un abbraccio delicato, protetta, riparata. Vedeva la luce rossiccia di Nemesis e sentiva il vento sulle guance. Osservava le nubi che di tanto in tanto oscuravano in parte o del tutto il grande globo di Nemesis attenuando la luce e facendola diventare grigiastra.
Ma Marlene vedeva con la stessa facilità sia con la luce grigia che con quella rossa, e riusciva a cogliere sfumature e tonalità di colore che formavano disegni affascinanti. E sebbene il vento fosse più fresco quando la luce di Nemesis era nascosta, Marlene non aveva mai freddo. Era come se Eritro in qualche modo le acuisse la vista, scaldasse l’aria attorno al suo corpo quand’era necessario, si prendesse cura di lei.
E Marlene poteva parlare con Eritro. Aveva deciso che per lei le cellule che costituivano la forma di vita di Eritro erano Eritro. Le identificava col pianeta. Perché no? Individualmente, le cellule erano solo cellule, primitive come quelle… anzi, ancor più primitive di quelle del suo corpo. Solo tutte le cellule procariotiche insieme formavano un organismo di milioni di miliardi di parti microscopiche collegate tra loro che riempiva il pianeta, che lo pervadeva, che lo stringeva… quindi tanto valeva considerare le due cose equivalenti. L’organismo dunque corrispondeva al pianeta per lei.
Che strano, pensò Marlene. Prima dell’arrivo di Rotor, quella gigantesca forma di vita non doveva mai aver saputo di non essere l’unica cosa viva esistente.
Le domande e le sensazioni di Marlene non erano confinate soltanto nella sua mente. A volte, Eritro si alzava di fronte a lei, come un velo sottile di fumo grigio, assumendo le sembianze di una figura umana spettrale che guizzava ai margini. La manifestazione aveva sempre un che di fluido, di mutevole. Non che Marlene in realtà lo vedesse… però lo avvertiva senza il minimo dubbio… da un istante all’altro, milioni di cellule invisibili scomparivano e venivano immediatamente sostituite da altre cellule.
Le cellule procariotiche non potevano vivere a lungo fuori dal loro strato d’acqua, quindi ogni cellula era solo una componente effimera della figura, ma la figura persisteva finché voleva, e non perdeva mai la propria identità.
Eritro non aveva più assunto la forma di Aurinel. Aveva capito, senza che lei glielo dicesse, che quella forma la turbava. Adesso l’aspetto di Eritro era neutro, cambiava leggermente a seconda delle divagazioni mentali di Marlene. Eritro riusciva a seguire i lievi cambiamenti della struttura mentale della ragazza molto meglio di Marlene stessa, lei ne era convinta… e la figura rifletteva tali variazioni, ispirandosi alle immagini presenti di volta in volta nella mente di Marlene, poi, quando lei cercava di metterla a fuoco e di identificarla, la figura si trasformava dolcemente in qualcos’altro. Di tanto in tanto, Marlene coglieva di sfuggita qualche particolare: la curva della guancia di sua madre, il naso forte di zio Siever, alcuni tratti dei ragazzi e delle ragazze che aveva conosciuto a scuola.
Era una sinfonia interattiva. Non tanto una conversazione tra loro quanto un balletto mentale che lei non era in grado di descrivere. Qualcosa di infinitamente riposante, di infinitamente vario… che in parte cambiava aspetto, in parte la voce, in parte i pensieri.
Era una conversazione in tante dimensioni, e all’idea di tornare a un tipo di comunicazione unicamente verbale Marlene si sentiva spenta, scialba. La sua capacità di interpretare il linguaggio del corpo era sfociata in qualcosa che lei non avrebbe mai potuto immaginare. I pensieri erano molto più rapidi e profondi delle parole… imprecise, approssimative, grossolane…
Eritro le spiegò, o meglio le trasmise, lo shock dell’incontro con altre menti. Menti. Plurale. Di fronte a un’altra mente, a una sola, forse Eritro non avrebbe avuto problemi di comprensione. Un altro mondo. Un’altra mente. Ma incontrare molte menti, che si accavallavano, tutte diverse tra loro, ammassate in uno spazio ristretto… Inconcepibile.
I pensieri che permeavano la mente di Marlene mentre Eritro comunicava con lei non erano esprimibili a parole, se non in modo molto vago e insoddisfacente. Dietro quelle parole, molto più intense, prepotenti, c’erano le emozioni, le sensazioni, le vibrazioni neuroniche che riflettevano l’esperienza traumatica di Eritro.
Aveva tentato il contatto con quelle menti… le aveva «tastate», «toccate», per modo di dire, perché non esisteva un termine umano in grado di esprimere appieno l’azione di Eritro. E alcune di quelle menti si erano disgregate, deteriorate, erano diventate sgradevoli. Eritro aveva cessato di tastare le menti a caso, aveva cercato invece delle menti in grado di sopportare il contatto.
"E hai trovato me?" disse Marlene.
"Sì."
"Ma perché? Perché mi hai cercata?" chiese ansiosa Marlene.
La figura ondeggiò e divenne più densa. "Solo per trovarti."
Non era una risposta. "Perché vuoi che stia con te?"
La figura cominciò a dissolversi… un pensiero fugace… "Solo perché ti voglio con me."
E sparì.
Solo la sua immagine era scomparsa. Marlene sentiva tuttora la sua protezione, il suo caldo abbraccio. Ma perché era sparito? L’aveva seccato con le sue domande?
Marlene sentì un suono.
Su un mondo deserto era possibile catalogare i suoni in breve, perché erano pochi… il rumore dell’acqua che scorreva, quello più delicato dell’aria che soffiava, i rumori prevedibili dei propri passi, il fruscio dei vestiti, il sibilo del respiro…
Marlene udì qualcosa di diverso, e si girò nella direzione del rumore. Sull’affioramento roccioso alla sua sinistra apparve la testa di un uomo.
Qualcuno della Cupola che era venuto a prenderla, pensò subito Marlene, arrabbiandosi. Perché continuavano a cercarla? D’ora in poi, si sarebbe rifiutata di portare una trasmittente, così non avrebbero più potuto localizzarla, se non muovendosi alla cieca.
Però non riconobbe quella faccia, e ormai conosceva tutti gli occupanti della Cupola. Forse non sapeva i loro nomi, chi fossero, cosa facessero, ma era in grado di riconoscerli.
Quella faccia… no, non l’aveva mai vista nella Cupola.
Gli occhi la stavano fissando. La bocca era leggermente aperta, come se la persona stesse ansimando. Poi lo sconosciuto raggiunse la sommità dell’altura e corse verso di lei.
Marlene non si mosse. La protezione che sentiva intorno a sé era forte. Non aveva paura.
L’uomo si fermò a circa tre metri, imbambolato, piegandosi in avanti come se avesse di fronte una barriera impenetrabile che gli impedisse di proseguire.
Infine, con voce strozzata, esclamò: «Roseanne!»
Marlene lo osservò attentamente. I suoi micromovimenti erano smaniosi ed emanavano un senso di proprietà… possesso, intimità… mia, mia, mia.
Marlene arretrò di un passo. Com’era possibile? Perché quello sconosciuto…
Il ricordo vago di un’oloimmagine che aveva visto una volta da piccola…
E alla fine, Marlene non poté più rifiutarsi di riconoscere. Per quanto sembrasse assurdo, inconcepibile…
Rannicchiandosi nella cortina protettiva, disse: «Padre?»
L’uomo si precipitò verso di lei quasi volesse stringerla tra le braccia, e Marlene arretrò ancora. Lui si fermò, vacillando, poi si portò una mano alla fronte come se stesse cercando di vincere un capogiro.
«Marlene» disse. «Intendevo dire Marlene.»
La pronuncia del nome era sbagliata, notò Marlene. Due sillabe. Del resto, come poteva sapere, lui?
Arrivò un altro uomo, che si affiancò al primo. Aveva i capelli lisci, una faccia larga, occhi stretti, una carnagione olivastra. Marlene non aveva mai visto un uomo del genere, e per un attimo rimase a bocca aperta.
Il secondo uomo si rivolse al compagno sottovoce, il tono incredulo. «È tua figlia, Fisher?»
Marlene spalancò gli occhi. Fisher! Era proprio suo padre!
Suo padre non si girò. Continuò a fissarla. «Sì.»
L’altro abbassò ancor di più la voce. «Così d’acchito… centro al primo tiro, Fisher? Vieni qui e la prima persona che incontri è tua figlia?»
Apparentemente, Fisher provò a staccare gli occhi dalla figlia, ma senza riuscirci. «Credo di sì, Wu… Marlene, il tuo cognome è Fisher, vero? E tua madre è Eugenia Insigna, giusto? Mi chiamo Crile Fisher, e sono tuo padre.»
Tese le braccia verso di lei.
Marlene sapeva perfettamente che l’espressione di desiderio intenso di suo padre era autentica, ma indietreggiò ancora. «Come mai sei qui?» chiese, gelida.
«Sono venuto dalla Terra, a cercarti… a cercarti… dopo tutti questi anni.»
«Perché volevi trovarmi? Mi hai abbandonata quand’ero piccola.»
«Ho dovuto farlo, allora… ma con l’intenzione di tornare da te prima o poi.»
D’un tratto risuonò un’altra voce, aspra, dura. «Così sei tornato per Marlene? Per nient’altro?»
Eugenia Insigna era sopraggiunta, pallida, le labbra esangui, le mani scosse da un tremito. Alle sue spalle, Siever Genarr, stupefatto, si tenne in disparte. Nessuno dei due indossava la tuta protettiva.
Concitata, quasi isterica, Eugenia disse: «Mi aspettavo di incontrare della gente di qualche Colonia, del Sistema Solare, magari qualche forma di vita aliena. Quando ho saputo che una nave sconosciuta stava atterrando, ho preso in esame tutte le ipotesi immaginabili. Ma non avrei mai sospettato che potesse trattarsi di Crile Fisher, che lui fosse tornato… e per Marlene!»
«Sono venuto con delle altre persone, per una missione importante. Questo è ChaoLi Wu, un compagno di bordo. E… e…»
«Ed eccoci qua, eh? Non hai mai pensato che avresti potuto incontrare me? Avevi in mente solo Marlene? Quale era la tua missione importante? Trovare Marlene?»
«No. Non era quella la missione. Soltanto il mio desiderio.»
«E io?»
Fisher abbassò gli occhi. «Sono venuto per Marlene.»
«Sei venuto per lei? Per portarla via?»
«Pensavo…» iniziò Fisher, ma si bloccò.
Wu lo osservò con aria stupita. Genarr corrugò la fronte, meditabondo, corrucciato.
Eugenia si voltò di scatto verso la figlia. «Marlene, andresti con questo uomo?»
«Io non vado da nessuna parte, con nessuno, mamma» rispose tranquilla la ragazza.
«Ecco la risposta, Crile» disse Eugenia. «Non puoi abbandonarmi con una bambina di un anno, e tornare quindici anni dopo come se nulla fosse… così, dicendo: "Oh, a proposito, la bambina la prendo io, adesso". E senza degnarti di pensare a me. È tua figlia biologicamente, e basta. Per il resto è mia, mi spetta di diritto, per questi quindici anni di amore e di cure.»
Marlene intervenne. «È inutile litigare per me, mamma.»
ChaoLi Wu si fece aventi. «Chiedo scusa. Fisher mi ha presentato, ma le presentazioni non sono finite. Lei è, signora?»
«Eugenia Insigna Fisher.» Eugenia indicò Crile. «Sua moglie… un tempo.»
«E questa è sua figlia, signora?»
«Sì. Marlene Fisher.»
Wu accennò un inchino. «E quest’altro signore?»
Genarr rispose: «Sono Siever Genarr, Comandante della Cupola che vedete dietro di me all’orizzonte».
«Ah, bene. Comandante, vorrei parlarle. Mi spiace per questa discussione famigliare, ma non ha niente a che vedere con la nostra missione.»
«E quale sarebbe la vostra missione?» bofonchiò una nuova voce. Una figura canuta stava avanzando verso di loro, la bocca piegata in un’espressione ostile, impugnando un oggetto che aveva tutta l’aria di essere un’arma.
«Ciao, Siever» disse il nuovo venuto, superando Genarr.
«Saltade? Come mai sei qui?» chiese Genarr, sorpreso.
«Rappresento il Commissario Janus Pitt di Rotor… Le ripeto la domanda, signore. Quale è la vostra missione? E lei chi è?»
«Non ho difficoltà a dirle almeno il mio nome» rispose Wu. «Sono il dottor ChaoLi Wu. E lei, signore?»
«Saltade Leverett.»
«Salve. Veniamo in pace» disse Wu, fissando l’arma.
«Lo spero» replicò Leverett, truce. «Ho sei navi con me, e la vostra è sotto tiro.»
«Davvero? Quella piccola cupola ha una flotta?» fece Wu.
«Quella piccola cupola è solo un avamposto» ribatté Leverett. «La flotta c’è. Non è un bluff.»
«Le credo. Ma la nostra unica nave viene dalla Terra. È arrivata qui grazie al volo ultraluce. Capisce a cosa mi riferisco? Alla capacità di viaggiare a una velocità superiore…»
«Ho capito benissimo.»
Genarr intervenne all’improvviso. «Marlene, il dottor Wu sta dicendo la verità?»
«Sì, zio Siever» rispose la ragazza.
«Interessante» mormorò Genarr.
Wu disse calmo: «Sono lieto che questa signorina confermi quanto ho affermato. Per caso è l’esperta rotoriana di volo ultraluce? È questo che devo presumere?».
«Non deve presumere un bel niente» sbottò Leverett spazientito. «Perché siete qui? Non siete stati invitati.»
«No. Credevamo che qui non ci fosse nessuno, non pensavamo di disturbare. Comunque, la esorto a non perdere la calma. Una mossa falsa, e la nostra nave sparirà nell’iperspazio.»
«Non è sicuro di questo» disse subito Marlene.
Wu aggrottò le ciglia. «Sono abbastanza sicuro, invece. E anche se riusciste a distruggere la nave, la nostra base terrestre sa dove siamo ed è costantemente in contatto con noi. Se ci accadrà qualcosa, la prossima spedizione sarà composta di cinquanta incrociatori ultraluce. Non rischiate, signore.»
«Non è vero» fu il responso di Marlene.
«Cosa, Marlene?» chiese Genarr.
«Che la base terrestre sa dove sono… e lui lo sapeva benissimo quando l’ha detto.»
«Mi basta» annuì Genarr. «Saltade, questa gente non ha le ipercomunicazioni.»
L’espressione di Wu non mutò. «Vi fidate delle supposizioni di una adolescente?»
«Non sono supposizioni. Sono certezze… Saltade, ti spiegherò dopo. Credimi.»
Marlene esclamò tutt’a un tratto: «Lo chieda a mio padre, glielo dirà!» Non capiva come facesse, suo padre, a sapere della sua dote particolare… lei non l’aveva, o almeno non l’aveva manifestata, a un anno d’età. Eppure Crile Fisher era al corrente di tutto. Per lei era lampante, anche se gli altri non vedevano.
«Inutile, Wu» annuì Fisher. «Marlene ci legge dentro.»
Per la prima volta, Wu parve scomporsi. Corrugando la fronte, disse aspro: «Che ne sai di questa ragazza, anche se è tua figlia? Quando l’hai la sciata era ancora in fasce!»
«Avevo una sorella minore, una volta» fece Fisher sottovoce.
Genarr ebbe un’illuminazione improvvisa. «È una caratteristica di famiglia, allora. Interessante… Be’, dottor Wu, come vede abbiamo qui uno strumento che non consente di bluffare. Quindi, siamo sinceri. Perché siete venuti su questo mondo?»
«Per salvare il Sistema Solare. Lo chieda alla signorina, dal momento che è la vostra autorità assoluta… le chieda se dico la verità questa volta.»
«Certo che sta dicendo la verità, dottor Wu» fece Marlene. «Sappiamo del pericolo. L’ha scoperto mia madre.»
«E l’abbiamo scoperto anche noi, signorina, senza l’aiuto di tua madre.»
Saltade Leverett li guardò perplesso. «Se è una domanda lecita… di che state parlando?»
«Credimi, Saltade, Janus Pitt sa tutto» disse Genarr. «Mi spiace che non ti abbia informato, ma se adesso ti metterai in contatto con lui, ti spiegherà. Digli che questa gente ha il volo ultraluce, e che potremmo concludere un accordo.»
I quattro uomini si trovavano nell’alloggio privato di Siever Genarr, all’interno della Cupola. E Genarr cercava di non lasciarsi sopraffare dal proprio senso della storia. Era il primo esempio di negoziato interstellare. Solo per quello, i nomi di loro quattro sarebbero echeggiati nei corridoi della storia galattica.
Due e due.
Da una parte, in rappresentanza del Sistema Solare (o meglio, della Terra… incredibile, quel pianeta decadente rappresentava il Sistema Solare, aveva messo a punto il volo ultraluce battendo le Colonie così aggiornate e dinamiche!) sedevano ChaoLi Wu e Crile Fisher.
Wu era loquace e insinuante; era un matematico, ma possedeva chiaramente un acume pratico. Fisher (e Genarr stentava ancora a credere che fosse davvero lì) se ne stava in silenzio, meditabondo, partecipava poco alla discussione.
Con Genarr c’era Saltade Leverett, sospettoso, a disagio per la presenza contemporanea di tre persone, ma deciso; gli mancava l’eloquio verboso di Wu, però sapeva esprimersi con la massima chiarezza.
Quanto a Genarr, era silenzioso come Fisher, ma aspettava che loro risolvessero la questione… dal momento che sapeva qualcosa che gli altri tre non sapevano.
Ormai era notte, erano trascorse molte ore. Il pranzo e la cena erano stati serviti. C’erano state delle pause per attenuare la tensione, e approfittando di una pausa Genarr uscì per vedere Eugenia e Marlene…
«Non sta andando male» annunciò Genarr. «Entrambe le parti hanno molto da guadagnare.»
«E Crile?» chiese Eugenia, nervosa. «Ha parlato di Marlene?»
«Francamente, Eugenia, non è questo l’argomento della discussione, e lui non ne ha parlato. Però credo che sia molto infelice.»
«È giusto che lo sia» fu il commento amaro di Eugenia.
Genarr esitò. «Tu cosa pensi, Marlene?»
La ragazza lo guardò coi suoi occhi scuri imperscrutabili. «Non m’interessa, zio Siever. La cosa non mi riguarda più.»
«Un po’ crudele» borbottò Genarr.
Eugenia scattò rabbiosa. «Perché non dovrebbe esserlo? Abbandonata nell’infanzia…»
«Non sono crudele» disse Marlene, pensosa. «Se sarà possibile, farò in modo che la sua mente riacquisti la tranquillità, torni serena. Ma il mio posto non è accanto a lui… e nemmeno accanto a te, mamma. Mi spiace, ma io appartengo a Eritro. Zio Siever, mi dirai cosa decideranno, vero?»
«Te l’ho promesso.»
«È importante.»
«Lo so.»
«Dovrei essere là a rappresentare Eritro.»
«Immagino che Eritro sia presente, comunque interverrai anche tu prima della conclusione. Te lo assicuro, e in ogni caso ci penserà Eritro a farti intervenire.»
Dopo di che, Genarr rientrò per continuare la discussione…
ChaoLi Wu si rilassò, appoggiandosi allo schienale della sedia. Sulla sua faccia astuta non c’era segno di stanchezza.
«Vediamo di ricapitolare» disse. «Senza il volo ultraluce, questa stella, che chiamerò Nemesis, come voi, è la stella più vicina al Sistema Solare, quindi qualsiasi nave in viaggio verso le stelle dovrebbe per forza fermarsi qui, prima. Quando l’umanità avrà il vero volo ultraluce, comunque, la distanza non rappresenterà più un fattore determinante, e gli esseri umani non cercheranno la stella più vicina, bensì quella più adatta. Cercheranno stelle di tipo G, come il Sole, che abbiano almeno un pianeta di tipo terrestre. Nemesis verrà accantonata.
"Rotor, che a quanto pare finora ha fatto della segretezza un feticcio, per tenere lontani gli altri e avere questo sistema stellare tutto per sé, non deve più preoccuparsi. Non solo le altre Colonie non vorranno questo sistema, può anche darsi che non interessi più nemmeno a Rotor. Volendo, Rotor avrà la possibilità di scegliere, di cercare una stella di tipo G, o delle stelle di tipo G… ce ne sono milioni nei bracci a spirale della Galassia.
"Per avere il volo ultraluce, potreste pensare di ricorrere a un certo sistema: puntarmi un’arma e costringermi a rivelare tutto quello che so. Be’, sono un matematico, un teorico, e le mie informazioni sono limitate. Anche se doveste catturare la nostra nave, scoprireste pochissimo. Dunque, non vi resta che inviare una delegazione di scienziati e di tecnici sulla Terra, dove potremmo addestrarvi in modo adeguato.
"In cambio, chiediamo questo mondo, che chiamate Eritro. Se ho ben capito, voi non lo occupate… c’è solo questa Cupola, che viene usata per osservazioni astronomiche e altri tipi di ricerca. Voi vivete su delle Colonie.
"Mentre le Colonie del Sistema Solare possono allontanarsi in cerca di pianeti adatti, gli abitanti della Terra non possono farlo. Ci sono otto miliardi di persone che devono abbandonare la Terra in alcune migliaia di anni, e via via che Nemesis si avvicinerà al Sistema Solare, Eritro sarà utilissimo come scalo, servirà da stazione intermedia dove depositare i terrestri in attesa di trovare dei pianeti abitabili su cui trasferirli.
"Noi torneremo sulla Terra con un rotoriano scelto da voi, per dimostrare di essere stati qui davvero. Saranno costruite altre navi, e torneranno… potete star certi che torneremo, perché abbiamo bisogno di Eritro. Quindi porteremo con noi i vostri scienziati, che apprenderanno la tecnica del volo ultraluce, tecnica che metteremo a disposizione anche delle altre Colonie. Bene, ho ricapitolato esaurientemente quanto abbiamo deciso?» Leverett disse: «La cosa non è così semplice. Eritro dovrà essere terraformato se dovrà accogliere un numero considerevole di terrestri».
«Sì, ho tralasciato i particolari» annuì Wu. «Bisognerà occuparsi anche di quelli, ma non saremo noi a occuparcene.»
«Vero… il Commissario Pitt e il Consiglio dovranno decidere per Rotor.»
«E il Congresso Mondiale per la Terra. Ma vista la posta in gioco, non prevedo un fallimento delle trattative.»
«Ci vorranno delle garanzie. Quanto possiamo fidarci della Terra?»
«Quanto la Terra può fidarsi di Rotor, suppongo. Forse ci vorrà un anno per mettere a punto queste garanzie. O cinque anni. O dieci. In ogni caso, ci vorranno anni per costruire un numero sufficiente di navi con cui iniziare, ma abbiamo un programma che dovrebbe durare parecchie migliaia di anni, un programma, che si concluderà con l’abbandono della Terra e l’inizio della colonizzazione della Galassia.»
«Sempre che non ci siano altre intelligenze in concorrenza con noi» borbottò Leverett.
«Fino a prova contraria, non ci sono. Sarà il futuro a stabilirlo. Bene, adesso dovreste consultare il vostro Commissario, e scegliere il rotoriano che verrà con noi, così potremo ripartire al più presto per la Terra.»
A questo punto, Fisher si sporse in avanti. «Se mi è consentito, io suggerirei di scegliere mia figlia Marlene come…»
Genarr lo interruppe. «Mi spiace, Crile. Le ho parlato. Non vuole lasciare questo mondo.»
«Ma… se sua madre la seguisse, allora…»
«No, Crile. Sua madre non c’entra. Anche se tu rivolessi Eugenia, ed Eugenia decidesse di venire con te, Marlene rimarrebbe ugualmente su Eritro. E se decidessi di fermarti qui per stare con lei, sarebbe inutile lo stesso. L’hai persa, come l’ha persa sua madre.»
Fisher sbottò rabbioso: «È soltanto una bambina. Non può prendere queste decisioni!»
«Sfortunatamente per te, e per Eugenia, e per tutti noi, e forse per tutta l’umanità, Marlene può prendere queste decisioni. Infatti, le ho promesso che al termine della discussione le avremmo comunicato le nostre decisioni… E mi pare che adesso la discussione sia finita.»
«Non credo proprio che questo sia necessario» osservò Wu.
«Via, Siever» disse Leverett. «Non dobbiamo rivolgerci a una ragazzina e chiedere il suo permesso…»
«Per favore, ascoltatemi» li esortò Genarr. «È necessario. Dobbiamo rivolgerci a lei. Lasciatemi fare un esperimento. Propongo di chiamare Marlene per metterla al corrente delle nostre decisioni. Se qualcuno è contrario, esca. Si alzi ed esca.»
Leverett disse: «Ho l’impressione che tu sia uscito di senno, Siever. Non intendo giocare con una ragazzina. Parlerò con Pitt, adesso. Dov’è la tua trasmittente?»
Si alzò e, quasi subito, barcollò e cadde.
Wu scattò sulla sedia, allarmato. «Signor Leverett…»
Leverett si drizzò e tese il braccio. «Qualcuno mi aiuti.»
Genarr lo aiutò a rialzarsi e a tornare a sedersi. «Che è successo?» gli chiese.
«Non so di preciso» rispose Leverett. «Una fitta lancinante alla testa, che è durata solo un attimo…»
«Quindi non sei riuscito a lasciare la stanza.» Genarr si rivolse a Wu. «Dal momento che per lei è superfluo vedere Marlene, le spiace lasciare la stanza?»
Circospetto, gli occhi fissi su Genarr, Wu si alzò lentamente dalla sedia, sussultò, e si sedette di nuovo.
Disse garbato: «Forse sarà meglio vedere la signorina».
«Dobbiamo» annuì Genarr. «Su questo mondo, almeno, la volontà di quella signorina è legge.»
«No!» disse secca Marlene, urlando quasi. «Non potete farlo!»
«Non possiamo fare, cosa?» chiese Leverett, aggrottando le ciglia candide.
«Usare Eritro come scalo… o per qualsiasi altra cosa.»
Leverett la fissò rabbioso, e contrasse le labbra quasi si accingesse a ribattere, ma Wu intervenne. «Perché no, signorina. È un mondo deserto, inutilizzato.»
«Non è deserto. Non è inutilizzato. Zio Siever, diglielo tu.»
«Marlene intende dire che Eritro è occupato da innumerevoli cellule procariotiche capaci di fotosintesi» spiegò Genarr. «Ecco perché nell’atmosfera di Eritro c’è ossigeno.»
«Benissimo» fece Wu. «E con ciò? Cosa cambia?»
Genarr si schiarì la voce. «Individualmente, le cellule sono forme di vita molto primitive, appena superiori ai virus, ma a quanto pare non si possono considerare individualmente. Prese nel loro insieme, formano un organismo estremamente complesso, che abbraccia l’intero pianeta.»
«Un organismo?» Il tono di Wu rimase garbato. «Un unico organismo, e Marlene lo chiama col nome del pianeta, dal momento che tra le due cose esiste un rapporto così stretto.»
«Parla seriamente?» chiese Wu. «Come fate a sapere dell’esistenza di questo organismo?»
«Soprattutto tramite Marlene.»
«Tramite la signorina, che potrebbe essere… un’isterica?» osservò Wu.
Genarr alzò un dito. «Non dica nulla di offensivo nei confronti di Marlene. Non so se Eritro, l’organismo, abbia il senso dell’umorismo… Principalmente, tramite Marlene, dicevo… ma non è tutto. Quando Saltade Leverett si è alzato per andarsene, è stato atterrato. Quando lei ha provato ad alzarsi poco fa, probabilmente per uscire, è parso chiaramente in difficoltà. Queste sono le reazioni di Eritro. Protegge Marlene agendo direttamente sulle nostre menti. Poco dopo il nostro arrivo su questo mondo, ha provocato senza volerlo una piccola epidemia di disturbi mentali, che noi abbiamo chiamato Morbo di Eritro. Volendo, temo che possa causare dei danni mentali irreparabili… e che possa anche uccidere. Vi prego, non mettiamolo alla prova.»
Fisher disse: «Cioè, non è Marlene a…»
«No, Crile. Marlene possiede delle capacità particolari, ma non arrivano al punto di nuocere. È Eritro che è pericoloso.»
«E come possiamo neutralizzare la sua pericolosità?» chiese Fisher.
«Ascoltando cortesemente Marlene, tanto per cominciare. E poi, lasciate che sia io a parlare con lei. Eritro, almeno, mi conosce. E credetemi, quando dico che voglio salvare la Terra. Non desidero affatto provocare la morte di miliardi di persone.»
Si rivolse alla ragazza. «Marlene, capisci che la Terra è in pericolo, vero? Tua madre ti ha spiegato che il passaggio ravvicinato di Nemesis potrebbe distruggere la Terra.»
«Lo so, zio Siever» disse Marlene, il tono angosciato. «Ma Eritro appartiene a se stesso.»
«Può darsi che voglia essere più disponibile, allargare i contatti. In fondo, permette a noi della Cupola di restare sul pianeta. Sembra che non lo disturbiamo.»
«Ma nella Cupola ci sono meno di mille persone, che rimangono nella Cupola. A Eritro la Cupola non dà fastidio, perché gli consente di studiare le menti umane.»
«Potrà studiarle ancor meglio quando arriveranno i terrestri.»
«Otto miliardi di terrestri?»
«No, non saranno tanti. Verranno qui per sistemarsi temporaneamente prima di partire per qualche altra destinazione. Di volta in volta, su Eritro ci sarà soltanto una piccola parte della popolazione terrestre.»
«Saranno sempre milioni di persone, questo è certo. Non potrete pigiarle tutte in una cupola e rifornirle di cibo, acqua e via dicendo. Dovrete spargerle su Eritro e terraformare il pianeta. Eritro non potrebbe sopravvivere, però. Dovrebbe difendersi.»
«Sei sicura?»
«Sì, dovrebbe difendersi. Non faresti così anche tu?»
«Significherebbe la morte, per miliardi di persone.»
«Non posso farci nulla.» Marlene serrò le labbra, poi soggiunse: «C’è un altro sistema…»
«Di che sta parlando la ragazza?» sbottò Leverett, burbero. «Quale altro sistema?»
Marlene gli lanciò un’occhiata, quindi si rivolse a Genarr. «Non lo so. Lo sa Eritro. Almeno… dice che questa conoscenza esiste, è presente… ma non riesce a spiegare.»
Genarr alzò le braccia per evitare una raffica di domande. «Marlene, stai calma. Se sei preoccupata per Eritro, non serve. Sai benissimo che è in grado di proteggersi da qualsiasi cosa. Sentiamo… in che senso, Eritro non riesce a spiegare?»
Marlene stava ansimando. «Eritro sa che questa conoscenza c’è, è presente, però gli manca l’esperienza umana, la scienza umana, il modo di pensare umano. Non capisce.»
«Questa conoscenza è nelle menti presenti qui?»
«Sì, zio Siever.»
«Non può sondarle?»
«Le danneggerebbe. Può sondare la mia mente senza danneggiarla.»
«Voglio sperarlo» annuì Genarr. «Ma tu non sai di che si tratta, quale sia questo dato importante?»
«Certo che no. Però Eritro può usare la mia mente per sondare le altre. La tua. Quella di mio padre. Tutte.»
«Non è pericoloso?»
«Eritro pensa di no, ma… oh, zio Siever, ho paura.»
«Questa è una pazzia, sicuramente» mormorò Wu, e Genarr si affrettò ad accostare un dito alle labbra.
Fisher si alzò in piedi. «Marlene, non devi…»
Genarr lo bloccò con un gesto furioso. «Non puoi fare nulla, Crile. C’è in gioco la vita di miliardi di esseri umani, continuiamo a ripeterlo, no? Lasciamo che l’organismo ci aiuti come può… Marlene…»
Marlene aveva strabuzzato gli occhi. Sembrava in trance. «Zio Siever» mormorò. «Stringimi.»
Barcollando, incespicando, si avvicinò a Genarr, che l’afferrò e la tenne stretta. «Marlene… Rilassati… Andrà tutto bene…» Genarr si sedette adagio, reggendo il corpo rigido della ragazza.
Fu come un’esplosione silenziosa di luce che cancellò il mondo. Non esisteva altro.
Genarr non era nemmeno consapevole di essere Genarr. La coscienza e l’identità non esistevano più… Solo una nebbia luminosa interconnettiva di grande complessità, che si stava espandendo e dividendo in fili che assumevano la stessa grande complessità nell’istante stesso della separazione.
Un vortice, un dissolversi, poi di nuovo un’espansione graduale. Continuamente, ipnoticamente… come qualcosa sempre esistita, e che sarebbe sempre esistita, in eterno.
Una caduta interminabile in un’apertura che avvicinandosi si allargava pur restando sempre uguale. Cambiamento continuo senza alterazione. Piccoli sbuffi che si spiegavano in nuova complessità.
Incessantemente. Nessun suono. Nessuna sensazione. Nessuna immagine… La consapevolezza di qualcosa che aveva le proprietà della luce senza essere luce. Era la mente che diventava cosciente di sé.
Poi, con dolore (se fosse esistito il dolore nell’universo) e con un singhiozzo (se fosse esistito il suono nell’universo), tutto cominciò ad affievolirsi e a ruotare e a vorticare, sempre più rapidamente, trasformandosi in un punto di luce che scintillò e sparì.
La realtà era fastidiosa, invadente. Wu si stiracchiò. «È successo anche a voi?» Fisher annuì.
Leverett disse. «Be’, io ci credo. Se questa è pazzia, siamo pazzi tutti.»
Genarr stava ancora sorreggendo Marlene, era chino su di lei. La ragazza aveva il respiro irregolare.
Fisher intanto si era alzato a fatica. «Sta bene?»
«Non lo so» borbottò Genarr. «È viva… ma non basta.»
Marlene aprì gli occhi. Il suo sguardo era vacuo, fisso.
«Marlene» mormorò Genarr, disperato.
«Zio Siever…» disse lei con un filo di voce.
Genarr sospirò, risollevato. Almeno, lo aveva riconosciuto.
«Non muoverti, cara. Aspetta che sia tutto finito.»
«È finito. Ah, finalmente, sapessi come sono contenta…»
«Ma stai bene?»
Marlene indugiò un attimo. «Sì, mi sento bene. Eritro dice che sto bene.»
Wu prese la parola. «Hai trovato questa conoscenza nascosta che dovremmo avere?»
«Sì, dottor Wu.» Marlene si passò una mano sulla fronte umida. «Era proprio nella sua mente.»
«Davvero? E cos’era?»
«È una cosa che io non capisco» rispose Marlene. «Forse lei capirà se gliela descrivo.»
«Se me la descrivi? Sentiamo.»
«Ecco, sarebbe la gravità che respinge le cose invece di attirarle.»
«Ah, la repulsione gravitazionale, sì» annuì Wu. «È un elemento del volo ultraluce.» Respirò a fondo, e il suo corpo si drizzò. «È una mia scoperta.»
«Be’, se si passa vicino a Nemesis a velocità ultraluce, c’è questa repulsione gravitazionale. Maggiore è la velocità, maggiore è la repulsione.»
«Sì, la nave verrebbe respinta.»
«E Nemesis non verrebbe spinta nella direzione opposta?»
«Sì, da una repulsione inversamente proporzionale alla massa, ma lo spostamento di Nemesis sarebbe infinitesimale.»
«Ma ripetendo l’operazione per centinaia di anni?»
«Lo spostamento di Nemesis sarebbe comunque piccolissimo.»
«Ma la sua traiettoria verrebbe deviata leggermente e su una distanza di anni luce la deviazione aumenterebbe a poco a poco e alla fine Nemesis potrebbe passare abbastanza lontano dalla Terra e non avere più un effetto distruttivo.»
«Be’…» disse Wu.
Leverett chiese: «È fattibile una cosa del genere?»
«Potremmo tentare… Se un asteroide passasse vicino alla stella a velocità normale, entrando nell’iperspazio per un trilionesimo di secondo e tornando nello spazio normale a un milione di chilometri di distanza… Oppure, degli asteroidi in orbita attorno a Nemesis… se continuassero a entrare nell’iperspazio sullo stesso lato…» Per un attimo, Wu si immerse nei propri pensieri. Poi, in atteggiamento difensivo: «Sicuramente ci sarei arrivato da solo, con un po’ di tempo a disposizione…»
Genarr disse: «Nessuno le toglierà il merito, credo. In fin dei conti, Marlene ha preso l’idea dalla sua mente».
Guardando gli altri, proseguì: «Bene, signori, a meno di terribili imprevisti, lasciamo perdere l’idea di usare Eritro come scalo… tanto, Eritro non ce lo permetterebbe comunque. Non dobbiamo più preoccuparci dell’evacuazione della Terra… basta che impariamo a sfruttare nel modo giusto la repulsione gravitazionale. Mi pare che la situazione sia migliorata parecchio grazie all’intervento di Marlene».
«Zio Siever» disse la ragazza.
«Sì, cara?»
«Ho sonno.»
Tessa Wendel guardò Crile Fisher, seria. «Continuo a ripetermi: "È tornato". Sai, pensavo che non saresti tornato, quando ho capito che avevate trovato i rotoriani.»
«Marlene è stata la prima persona… la prima persona che ho trovato.»
Crile aveva lo sguardo fisso nel vuoto, e Tessa non lo disturbò. Meglio che si capacitasse subito. Avevano tante altre cose a cui pensare.
A bordo con loro c’era una rotoriana: Ranay D’Aubisson, un neurofisico. Vent’anni prima, aveva lavorato in un ospedale terrestre. Qualcuno certamente si sarebbe ricordato di lei e l’avrebbe riconosciuta. Ci sarebbero stati dei documenti che avrebbero permesso di identificarla. E Ranay D’Aubisson sarebbe stata la prova vivente della loro impresa.
Wu era cambiato. Era pieno di idee, continuava a pensare a come sfruttare la repulsione gravitazionale per deviare la traiettoria della Stella Vicina. (Adesso la chiamava Nemesis, ma se fosse riuscito a elaborare un piano per spostarla anche pochissimo, forse non sarebbe stata affatto la nemesis della Terra.)
E Wu era diventato modesto. Non voleva il merito della scoperta, il che a Tessa sembrava incredibile. Diceva che era un progetto d’equipe, e si rifiutava di aggiungere altro.
E soprattutto, intendeva tornare nel Sistema Nemesiano… non soltanto per dirigere il progetto. Voleva stare lì. «Tornerò anche a costo di fare il percorso a piedi» erano state le sue parole.
Tessa si accorse che Crile la stava guardando, leggermente accigliato.
«Perché pensavi che non sarei tornato, Tessa?»
Tessa decise di essere schietta. «Tua moglie è più giovane di me, Crile, ed ero sicura che non ti avrebbe consegnato tua figlia. E, dal momento che tu volevi tua figlia a tutti i costi, ho pensato…»
«Che sarei rimasto con Eugenia pur di non perdere mia figlia?»
«Più o meno.»
Fisher scosse la testa. «No, sarebbe stato inutile, in ogni caso. Pensavo che fosse Roseanne all’inizio… mia sorella. Gli occhi, soprattutto… ma assomigliava a Roseanne anche in altre cose. Ma era molto di più di Roseanne, Tessa, Non era umana, non è umana. Ti spiegherò, poi. Io…» Scosse di nuovo la testa.
«Non importa, Crile. Mi spiegherai con comodo.»
«Non è stata una perdita completa. L’ho vista. È viva. Sta bene. E in fondo a me interessava questo, immagino. Non so, dopo… dopo la mia esperienza, Marlene è diventata… semplicemente Marlene. Per il resto della mia vita, Tessa, voglio solo te.»
«Ti accontenti, Crile? Fai buon viso a cattiva sorte?»
«Cattiva sorte? Tutt’altro. Divorzierò ufficialmente, Tessa. Ci sposeremo. Lascerò Rotor e Nemesis a Wu, e noi due potremo sistemarci sulla Terra, o su qualsiasi Colonia tu desideri. Avremo una buona pensione, e potremo lasciare agli altri la Galassia e i suoi problemi. Abbiamo fatto abbastanza, Tessa. Certo, sempre che tu sia d’accordo…»
«D’accordissimo, Crile.»
Un’ora dopo, erano ancora abbracciati.
Eugenia Insigna disse: «Meno male che non ero presente. Continuo a pensarci. Povera Marlene. Chissà che paura aveva!»
«Sì. Però non si è tirata indietro, e grazie a lei la Terra è salva. Nemmeno Pitt può fare più nulla, adesso. In un certo senso, tutto il suo lavoro, il lavoro di una vita, è stato vanificato. Il suo progetto di costruire segretamente una nuova civiltà non ha più senso, non solo… ora Pitt deve collaborare al progetto per salvare la Terra. Deve. Rotor non è più nascosto. Possono raggiungerlo in qualsiasi momento, e il resto dell’umanità si schiererà contro di noi se non ci riuniremo ai nostri simili. E tutto questo non sarebbe successo senza Marlene.»
Eugenia stava pensando a cose più modeste, non alla portata storica dell’avvenimento. «Ma quando aveva paura, Marlene si è rivolta a te, non a Crile.»
«Sì.»
«E sei stato tu a stringerla, non Crile.»
«Sì, ma è stata una cosa normalissima, Eugenia, non interpretarla come un evento portentoso. Marlene mi conosceva, mentre non conosceva Crile.»
«Sempre una spiegazione chiara e semplice, eh, Siever? Tu sei fatto così. Ma sono contenta che si sia rivolta a te. Lui non la meritava.»
«Più che giusto. Non la meritava. Ma adesso, Eugenia… per favore, lascia perdere. Crile sta partendo. Non tornerà più. Ha visto sua figlia. L’ha vista trovare il modo di salvare la Terra. Non mi dispiace, questo… e non dovrebbe dispiacere nemmeno a te. Quindi cambiamo argomento. Lo sai che Ranay D’Aubisson parte con loro?»
«Sì. Ne parlano tutti. Credo che non sentirò la sua mancanza. Mi è sempre sembrata poco comprensiva nei confronti di Marlene.»
«Anche tu sei stata poco comprensiva con Marlene, a volte. Comunque, è una vera fortuna per Ranay. Quando si è resa conto che il cosiddetto Morbo di Eritro non era un campo di studio proficuo, il suo lavoro qui è andato in fumo, ma sulla Terra potrà introdurre la tecnica avanzata di analisi cerebrale, e avrà grandi soddisfazioni professionali.»
«Bene. Buon per lei.»
«Ma Wu tornerà. Un tipo molto acuto. È stato il suo cervello a partorire l’idea giusta. Sai, sono sicuro che quando tornerà per lavorare all’Effetto Repulsivo, il suo vero desiderio sarà di rimanere su Eritro. L’organismo di Eritro lo ha scelto, come ha scelto Marlene. E sai qual è la cosa ancor più strana? Credo che abbia scelto anche Leverett.»
«Secondo te, che sistema usa?»
«Intendi dire, perché ha scelto Wu e non Crile? Perché ha scelto Leverett e non me?»
«Be’, mi rendo conto che Wu dev’essere un uomo molto più brillante di Crile… ma, Siever, tu sei decisamente migliore di Leverett. Sia chiaro, meglio così… non voglio perderti.»
«Grazie. Suppongo che l’organismo di Eritro segua un criterio proprio, e penso addirittura di avere una vaga idea in proposito.»
«Davvero?»
«Sì. Quando la mia mente è stata sondata, tramite Marlene l’organismo di Eritro è entrato in noi. Ho intravisto di sfuggita i suoi pensieri, immagino. Non consapevolmente, certo, però quando il contatto è finito mi sembrava di sapere delle cose che prima non sapevo. Grazie alla sua strana capacità Marlene è in grado di comunicare con l’organismo e inoltre consente all’organismo di usare il suo cervello per sondare gli altri cervelli, ma penso che questo sia solo un vantaggio pratico. Secondo me, l’ha scelta per qualcosa di molto più insolito.»
«Sarebbe?»
«Immagina di essere un pezzo di spago, Eugenia. Cosa proveresti se all’improvviso, inaspettatamente, vedessi un pizzo? Immagina di essere un cerchio. Cosa proveresti se incontrassi una sfera arabescata? Eritro conosceva soltanto un tipo di mente… la propria. È una mente immensa, enorme, ma molto, molto pedestre. È quello che è solo perché è composta di trilioni di trilioni di unità cellulari, tutte collegate in modo irregolare, vago.
"Poi Eritro si è imbattuto nelle menti umane, in cui le unità cellulari erano relativamente poco numerose, ma in cui c’era una quantità incredibile di interconnessioni… una complessità incredibile. Un pizzo, invece di uno spago. Eritro deve essere rimasto confuso, stordito, di fronte a tanta bellezza. E probabilmente, per Eritro, la mente di Marlene era la più bella di tutte. Ecco perché ha scelto lei, l’ha presa subito. Non ti comporteresti così anche tu, se avessi la possibilità di entrare in possesso di un Rembrandt o di un Van Gogh? Ecco perché l’ha protetta con tanta avidità. Non proteggeresti anche tu una grande opera d’arte? Eppure Eritro ha messo a repentaglio Marlene per il bene della Terra. È stata un’esperienza dura per Marlene, ma è stato un gesto molto nobile da parte dell’organismo… Comunque, ecco cos’è per me l’organismo di Eritro… Lo considero un intenditore d’arte, un collezionista di belle menti.»
Eugenia rise. «Dunque, Wu e Leverett devono avere delle menti molto belle.»
«Probabilmente sì, per Eritro. E continuerà la collezione quando arriveranno degli scienziati dalla Terra. Alla fine raccoglierà un gruppo di esseri umani completamente diversi dalla media, gente fuori del comune. Il gruppo di Eritro. Forse li aiuterà a trovare una nuova casa nello spazio, e alla fine forse la Galassia avrà due tipi di mondi… i mondi dei terrestri, e i mondi di pionieri più efficienti, i veri Spaziali. Chissà che situazione si creerebbe. Sicuramente il futuro sarebbe in mano loro. Un po’ mi dispiace.»
«Non pensarci» si affrettò a dire Eugenia. «Lascia che sia la gente del futuro a occuparsi del futuro. Adesso, tu ed io siamo esseri umani che si giudicano in base a modelli umani.»
Genarr sorrise felice, e il suo viso non propriamente bello ma simpatico si illuminò. «Sono contento che sia così, perché trovo che la tua mente sia bellissima, e forse tu trovi che la mia sia altrettanto bella.»
«Oh, Siever, l’ho sempre trovata bellissima. Sempre.»
Il sorriso di Genarr si spense un po’. «Ma ci sono altri tipi di bellezza, lo so.»
«Per me, no, non più. Hai tutti i tipi di bellezza… Siever, abbiamo perso la mattinata, ma c’è ancora il pomeriggio…»
«In tal caso, che altro posso desiderare, Eugenia? Se abbiamo perso la mattinata, poco male… l’importante è avere il pomeriggio tutto per noi.»
Le loro mani si toccarono.