Eugenia era inquieta. Era stato Siever Genarr a insistere perché venisse consultata Marlene.
«Sei sua madre, Eugenia» le aveva detto «ed è inevitabile che tu la consideri una bambina. Ci vuole tempo prima che una madre si renda conto di non essere una sovrana assoluta, di non disporre della figlia come se fosse un oggetto di sua proprietà.»
Eugenia aveva evitato il suo sguardo tenero. «Niente prediche, Siever. Tu non hai figli. È facile essere pomposo quando si tratta dei figli degli altri.»
«Ti sembro pomposo? Mi spiace. Diciamo che, a differenza di te, io non sono legato emotivamente al ricordo di una bambina. Marlene mi piace, e molto, però non ho nessuna immagine mentale di lei, a parte quella di una giovane donna che sta sbocciando e che possiede una mente eccezionale. Marlene è importante, Eugenia. Ho la strana sensazione che sia molto più importante di te o di me. Bisogna consultarla…»
«Bisogna tenerla al sicuro» aveva replicato Eugenia Insigna.
«Sono d’accordo, però bisogna sentire anche lei per decidere quale sia il modo migliore di proteggerla. È giovane, inesperta, ma può darsi che sappia meglio di noi cosa dobbiamo fare. Parliamo tra noi come se fossimo tre adulti. Promettimi che non cercherai di usare la tua autorità materna, Eugenia.»
«Come posso promettere una cosa del genere?» aveva risposto Eugenia, con amarezza. «Comunque, parleremo con lei.»
Così, adesso, erano riuniti tutti e tre nell’ufficio di Genarr. La stanza era schermata. Marlene, lanciando una rapida occhiata ai due adulti, serrò le labbra ed esordì con aria infelice: «Non mi piacerà, quello che sto per sentire».
«Già, cattive notizie, temo» confermò Eugenia. «Senza preamboli… Stiamo prendendo in considerazione l’idea di un ritorno su Rotor.»
Marlene parve stupita. «Ma il tuo lavoro importante, mamma? Non puoi abbandonarlo. Ma vedo che non hai intenzione di abbandonarlo. Non capisco, allora.»
«Marlene» disse Eugenia lentamente, scandendo bene le parole «stiamo pensando di farti tornare su Rotor. Il ritorno su Rotor riguarda solo te.»
Seguirono alcuni attimi di silenzio. Marlene scrutò le loro facce poi, quasi in un sussurro, disse: «Non state scherzando. Non posso crederci. Io non voglio tornare su Rotor. Mai. Eritro è il mio mondo. Io voglio stare qui».
«Marlene» iniziò Eugenia, la voce si era fatta stridula.
Genarr alzò la mano rivolto a Eugenia e scosse leggermente la testa. Eugenia tacque, e Genarr chiese: «Perché desideri tanto rimanere qui, Marlene?»
«Perché lo desidero, e basta» rispose asciutta Marlene. «A volte capita di avere fame di una cosa particolare… di avere voglia di mangiarla, senza sapere spiegare il perché. Si desidera una cosa, e basta. Ecco, io ho fame di Eritro. Non so perché, ma voglio Eritro. E non devo spiegarlo.»
«Lascia che tua madre ti dica quello che sappiamo» fece Genarr.
Eugenia prese la mano fredda e inerte della figlia. «Ricordi, Marlene, prima che partissimo per Eritro, quando mi hai parlato della tua conversazione con il Commissario Pitt…»
«Sì?»
«Stando al tuo racconto, quando ti ha detto che potevamo venire su Eritro, Pitt ha omesso qualcosa. Tu non sapevi cosa fosse, però hai detto che doveva essere qualcosa di spiacevole… di malvagio, in un certo senso.»
«Sì, ricordo.»
Eugenia esitò, e i grandi occhi penetranti di Marlene assunsero un’espressione dura. Quasi stesse parlando tra sé senza rendersi pienamene conto di esprimere a voce i propri pensieri, Marlene mormorò: «Tremolio oculare… Mano accanto alla tempia… Spostamento all’indietro…» Il suono si spense, anche se le sue labbra continuarono a muoversi.
Poi, alzando la voce in tono risentito, Marlene sbottò: «Avete l’impressione che ci sia qualcosa che non va nella mia mente?»
«No» si affrettò a rispondere la madre. «Al contrario, cara. Sappiamo che la tua mente è eccellente, e vogliamo che rimanga tale. Ecco i fatti…»
Marlene ascoltò la storia del Morbo di Eritro con un’aria alquanto sospettosa, infine osservò: «Vedo che sei convinta di quello che dici, che ci credi, mamma… ma può darsi che qualcuno ti abbia mentito».
«L’ha saputa da me, questa storia» intervenne Genarr. «E ti garantisco che è tutto vero, te lo dico per esperienza personale. Ora dimmi se sono sincero.»
Quelle parole furono sufficienti per Marlene, che proseguì. «Perché mi trovo in una situazione particolarmente pericolosa, allora? Perché sono in pericolo più di te o di mia madre?»
«Come ha detto tua madre, Marlene… Si pensa che il Morbo colpisca con maggiore facilità le persone più ricche di immaginazione, più fantasiose. Alcuni ritengono, in base alle osservazioni svolte, che le menti insolite siano più esposte al Morbo, e, dato che la tua è la mente più insolita che abbia mai incontrato, è possibile, a mio avviso che tu corra un grave rischio. Secondo le istruzioni del Commissario Pitt, dobbiamo concederti la massima libertà su Eritro, dobbiamo permetterti di vedere e di provare tutto quel che vuoi, dobbiamo permetterti perfino di uscire dalla Cupola a esplorare l’esterno se lo desideri. Molto gentile da parte sua, sembrerebbe… ma può darsi che Pitt voglia esporti all’esterno sperando che ci siano maggiori probabilità che tu contragga il Morbo, no?»
Marlene rifletté, senza scomporsi.
«Non capisci, Marlene?» disse Eugenia. «Il Commissario non vuole ucciderti. Non lo stiamo accusando di questo. Vuole solo neutralizzare la tua mente. Gli da fastidio. Tu puoi scoprire con facilità delle cose sul suo conto, intuire le sue intenzioni, e lui non è disposto a tollerarlo. Pitt ama la segretezza.»
«Se il Commissario Pitt sta cercando di farmi del male» disse infine Marlene «perché state cercando di rimandarmi da lui?»
Genarr aggrottò le ciglia. «Te l’abbiamo spiegato. Qui sei in pericolo.»
«Sarei in pericolo là, con lui. Chissà cosa potrebbe fare… se vuole proprio danneggiarmi? Finché resto su Eritro, invece, il Commissario Pitt si dimenticherà di me, dal momento che è convinto che qui la mia mente sarà danneggiata. Mi lascerà in pace, no? Almeno, finché rimarrò qui…»
«Ma c’è il Morbo, Marlene. Il Morbo.» Eugenia fece per stringere la figlia.
Marlene si sottrasse all’abbraccio. «Il Morbo non mi preoccupa.»
«Ma ti abbiamo spiegato…»
«Quello che mi avete spiegato non ha importanza. Qui non sono in pericolo. Affatto. Conosco la mia mente. La conosco da una vita. La capisco. Be’, non corre nessun rischio.»
«Sii ragionevole, Marlene» intervenne Genarr. «Per quanto possa sembrarti stabile, la tua mente è soggetta alle malattie e al deterioramento. Potresti essere colpita dalla meningite, dall’epilessia, da un tumore al cervello, o dalla senescenza, invecchiando. Non basta avere la certezza che non ti accadrà nulla per tenere a bada queste cose, no?»
«Non sto parlando di queste cose. Sto parlando del Morbo. Non mi colpirà.»
«Non puoi esserne certa, cara. Non sappiamo nemmeno cosa sia il Morbo.»
«Di qualunque cosa si tratti, non mi colpirà.»
«Come fai a esserne certa, Marlene?» chiese Genarr.
«Lo so, e basta.»
Eugenia perse la pazienza e afferrò la figlia per i gomiti. «Marlene, devi fare come ti dicono.»
«No, mamma. Non capisci. Su Rotor, mi sono sentita attratta da Eritro. L’attrazione è ancora più forte adesso che sono qui. Voglio rimanere su Eritro. Qui sarò al sicuro. Non voglio tornare su Rotor. Là, i rischi per me sarebbero maggiori.»
Genarr alzò la mano, impedendo a Eugenia di ribattere. «Io suggerisco un compromesso, Marlene. Tua madre è qui per compiere dei rilevamenti astronomici che richiederanno un certo tempo. Mentre sarà impegnata, prometti che ti accontenterai di restare nella Cupola, che prenderai le precauzioni che io riterrò opportune, e che ti sottoporrai a degli esami periodici. Se non riscontreremo alcuna alterazione delle tue funzioni mentali, potrai aspettare qui nella Cupola finché tua madre non avrà terminato il lavoro, dopo di che potremo tornare a discutere il problema. D’accordo?»
Marlene piegò la testa, meditabonda. «D’accordo» ammise poi. «Ma, mamma, non pensare di far finta di avere terminato. Me ne accorgerò. E non ti venga in mente di fare un lavoro affrettato invece di procedere con l’accuratezza necessaria. Capirò anche questo.»
Eugenia corrugò la fronte. «Non imbroglierò, Marlene. E sappi che non trascurerei mai volutamente la precisione del mio lavoro scientifico… nemmeno per amor tuo.»
«Mi dispiace, mamma» disse Marlene. «Lo so che mi trovi irritante.»
Eugenia sospirò. «Non lo nego. Comunque, irritante o no, tu sei mia figlia, Marlene. Ti voglio bene e voglio che tu sia al sicuro. Mento, su questo?»
«No, mamma, non menti. Ma, per favore, credimi, se ti dico che sono al sicuro. Da quando mi trovo su Eritro, sono felice. Non sono mai stata felice su Rotor.»
«E perché sei felice?» chiese Genarr.
«Non lo so, zio Siever. Ma quando una persona è felice, le basta questo, anche se non sa perché è felice, no?»
«Sembri stanca, Eugenia» disse Genarr.
«Non fisicamente, Siever. Sono solo stanca dentro, dopo due mesi di calcoli. Non so come facessero gli astronomi del periodo prespaziale a ottenere certi risultati servendosi soltanto di computer primitivi. E pensa che, Keplero ha elaborato le leggi del moto planetario servendosi soltanto dei logaritmi, che, per sua fortuna, erano appena stati inventati.»
«Scusa la mia ignoranza in materia, ma io pensavo che oggigiorno gli astronomi si limitassero a dare delle istruzioni ai loro strumenti, si coricassero tranquillamente, e, dopo qualche ora, si svegliassero e trovassero i risultati stampati in modo chiaro e ordinato sulla scrivania.»
«Magari. Ma questo lavoro era diverso. Ho dovuto calcolare con la massima precisione la velocità effettiva di Nemesis rispetto al Sole, e viceversa, per sapere esattamente quale sarà la distanza minima che li separerà e quando avverrà questo passaggio ravvicinato. Il minimo errore, e il passaggio di Nemesis sarebbe sembrato innocuo per la Terra anziché devastante… e viceversa. E la situazione si complica ulteriormente perché Nemesis e il Sole non sono gli unici due corpi celesti dell’universo. Ci sono delle stelle vicine, tutte in movimento. Almeno una dozzina di queste stelle sono abbastanza grandi da esercitare una piccola influenza su Nemesis o sul Sole o su entrambi. Una piccola influenza, ma sufficiente a produrre un errore di milioni di chilometri in un senso o nell’altro, se ignorata. E per fare un lavoro accurato, bisogna conoscere con notevole precisione la massa di ogni stella, la sua posizione, la sua velocità.
"È un problema complicatissimo, Siever. Nemesis attraverserà il Sistema Solare e avrà un effetto percettibile su parecchi pianeti. Molto dipende dalla posizione effettiva di ogni pianeta al passaggio di Nemesis, naturalmente, e dall’entità dello spostamento provocato dall’influsso gravitazionale di Nemesis, e da come questo spostamento inciderà sull’attrazione esercitata dal pianeta sugli altri pianeti. E, tra parentesi, bisogna calcolare anche l’effetto di Megas.»
Genarr ascoltò serissimo. «E, in sostanza, quale sarà il risultato finale, Eugenia?»
«Io credo che l’orbita della Terra diventerà leggermente più eccentrica e che il semiasse maggiore diventerà un po’ più piccolo.»
«Il che significa?»
«Il che significa che la Terra diventerà troppo calda per essere abitabile.»
«E cosa accadrà a Megas e a Eritro?»
«Nulla di apprezzabile. Il Sistema Nemetico è molto più piccolo del Sistema Solare e quindi è tenuto assieme da una forza coesiva maggiore. Qui non ci saranno mutamenti degni di nota, ma per la Terra sarà diverso.»
«Questo, quando accadrà?»
«Tra 5024 anni, con un margine di errore di quindici, Nemesis toccherà il punto di massimo avvicinamento. L’effetto si distribuirà lungo un arco di tempo di venti o trent’anni, via via che Nemesis e il Sole si avvicineranno e si allontaneranno.»
«Ci saranno collisioni o qualcosa del genere?»
«Le probabilità di un incidente di questo tipo sono quasi zero. No, nessuna collisione tra corpi celesti di grandi dimensioni. Naturalmente, un asteroide solare potrebbe colpire Eritro, o un asteroide nemetico potrebbe colpire la Terra. È difficilissimo che succeda, ma se dovesse accadere sarebbe un evento catastrofico per la Terra. Comunque, è impossibile calcolarlo adesso. Bisogna aspettare che le due stelle siano molto vicine.»
«Ma, in ogni caso, la Terra dovrà essere evacuata, vero?»
«Oh, certo.»
«Ma hanno cinquemila anni di tempo per farlo.»
«Cinquemila anni non sono poi tanti per organizzare l’evacuazione di otto miliardi di persone. Bisognerebbe avvertirli.»
«Anche se nessuno li avverte, non lo scopriranno da soli?»
«Già, ma quando? E anche se dovessero scoprirlo presto, noi dovremmo fornirgli la tecnica dell’iperassistenza. Ne avranno bisogno.»
«Sono certo che ci arriveranno da soli, e tra non molto, forse.»
«E se non ci arriveranno?»
«Entro un secolo o meno, sicuramente, Rotor riuscirà a comunicare con la Terra. In fin dei conti, se abbiamo l’iperassistenza per il trasporto, l’avremo anche per le comunicazioni, prima o poi. Oppure manderemo una Colonia nel Sistema Solare, e la Terra avrà ancora tutto il tempo necessario per salvarsi.»
«Parli come Pitt.»
Genarr ridacchiò. «Be’, sai, non può avere sempre torto.»
«Non vorrà comunicare. Lo so.»
«E non può nemmeno fare sempre a modo suo. C’è una Cupola qui su Eritro, nonostante lui fosse contrario. E anche se in questo caso riuscirà a spuntarla, non vivrà in eterno. Dammi retta, Eugenia, non darti troppo pensiero per la Terra in questo momento. Abbiamo problemi più immediati. Marlene sa che hai quasi finito?»
«Vuoi che non lo sappia? A quanto pare, capisce a che punto sono da come mi pettino o da come mi aggiusto la manica.»
«Sta diventando sempre più perspicace, vero?»
«Sì. L’hai notato anche tu?»
«Certo. Anche se la conosco da poco.»
«Immagino che in parte sia dovuto alla crescita. Forse, le doti percettive si stanno sviluppando in lei, proprio come le si sta sviluppando il seno. E poi, per moltissimo tempo Marlene ha cercato di nascondere questa sua capacità perché non sapeva che farsene, la confondeva, le causava solo dei guai. Adesso che Marlene non ha più paura, questa capacità è affiorata completamente e si sta espandendo, per così dire.»
«O forse c’entra Eritro. Come dice Marlene, le piace stare qui, per qualche motivo. Forse il piacere che prova acuisce le sue percezioni.»
«Ci ho pensato, Siever» disse Eugenia. «Non voglio tormentarti con le mie idee folli. In effetti, tendo a preoccuparmi troppo, per Marlene, per la Terra, per tutto… Ma… Credi che Eritro la stia influenzando? Voglio dire, negativamente? Credi che questo aumento della percettività sìa una manifestazione del Morbo?»
«Non so se sia possibile rispondere a questa domanda, Eugenia, ma se l’aumento della percettività di Marlene è un effetto del Morbo, pare che l’equilibro mentale della ragazza non ne risenta affatto. E posso dirti questo… da quando siamo su Eritro, nessuna delle persone colpite dal Morbo ha mai mostrato dei sintomi che ricordassero anche lontanamente il dono di Marlene.»
Eugenia Insigna sospirò. «Grazie. Le tue parole mi confortano. E grazie per essere così buono e gentile con Marlene, anche.»
Genarr piegò un angolo delle labbra, abbozzando un sorrisetto. «Non mi costa nulla. Marlene mi piace moltissimo.»
«Detto da te, sembra una cosa perfettamente naturale. Marlene non è una ragazza simpatica. Lo so, anche se sono sua madre.»
«Io la trovo simpatica. Ho sempre preferito il cervello alla bellezza nelle donne… a meno di non potere avere entrambe le cose, come nel tuo caso, Eugenia…»
«Vent’anni fa, forse» disse lei, sospirando di nuovo.
«I miei occhi sono invecchiati col tuo corpo, Eugenia. Non vedono nessun cambiamento. Ma a me non importa se Marlene non è bella. È intelligentissima, indipendentemente dalla sua dote.»
«Già, è vero. E la cosa mi consola, anche quando Marlene è particolarmente fastidiosa.»
«Be’, quanto a questo, temo che Marlene continuerà a essere un bel fastidio, Eugenia.»
Lei alzò lo sguardo di scatto. «In che senso?»
«Mi ha spiegato senza mezzi termini che non le basta stare nella Cupola. Vuole uscire, vuole camminare sul suolo di Eritro non appena avrai terminato il tuo lavoro. Insiste!»
Eugenia lo fissò inorridita.