Erano trascorsi cinque anni dalla Partenza. Crile Fisher stentava a crederci, gli sembrava che fosse passato molto più tempo, un’infinità di tempo. Rotor non apparteneva al passato, ma a un’altra esistenza completamente diversa, a cui lui riusciva a pensare solo con incredulità crescente. Aveva vissuto davvero in quel luogo? Aveva avuto una moglie?
Ricordava soltanto la figlia, bene… e anche quel ricordo conteneva elementi confusi, perché a volte gli sembrava di ricordarla come un’adolescente.
Naturalmente, il problema era aggravato dal fatto che la sua vita negli ultimi tre anni, da quando la Terra aveva scoperto la Stella Vicina, era stata frenetica. Crile Fisher aveva visitato sette Colonie.
Erano tutte abitate da Coloni del suo stesso colore di pelle, che parlavano più o meno la sua lingua e possedevano più o meno il suo retaggio culturale. (Ecco il vantaggio della varietà terrestre. La Terra era in grado di fornire agenti simili, in quanto ad aspetto esteriore e cultura, alla popolazione predominante di qualsiasi Colonia.)
Naturalmente, le sue capacità di inserimento in una Colonia non erano illimitate. Per quanto in superficie somigliasse ai suoi abitanti, Crile conservava sempre un accento caratteristico, non riusciva a muoversi con la grazia di un colono quando la gravità cambiava, non era in grado di galleggiare leggero come loro in condizioni di bassa gravità. Su ogni Colonia che visitava, si tradiva in vari modi, e loro si ritraevano sempre un po’ da lui, lo emarginavano, anche se si era sottoposto alla quarantena e alle terapie mediche prima di ricevere il visto di ingresso.
Naturalmente, Crile rimaneva su ogni Colonia solo alcuni giorni, o qualche settimana al massimo. Non doveva stabilirsi a lungo o crearsi una famiglia come aveva fatto su Rotor. Ma allora Rotor aveva l’iperassistenza, e, dopo la partenza di Rotor, la Terra aveva cercato informazioni di minor importanza, o almeno a Crile erano stati assegnati incarichi meno importanti.
Era rientrato da tre mesi. Non c’era nessun nuovo incarico in vista, e lui non era ansioso di iniziare un’altra missione. Era stanco di quegli sballottamenti continui, di non avere un minimo di stabilità, delle radici… stanco di fingersi un turista.
Adesso era con Garand Wyler, il suo vecchio amico e collega, che era appena tornato da una Colonia e lo stava fissando con occhi stanchi. La pelle scura della sua mano luccicò alla luce quando sollevò la manica un attimo accostandola al naso.
Fisher abbozzò un sorriso. Conosceva quel gesto, anche lui lo aveva fatto. Ogni Colonia aveva un odore caratteristico, a seconda dei prodotti agricoli che coltivava, delle spezie che usava, dei profumi che prediligeva, dei macchinari e dei lubrificanti utilizzati. Ci si abituava presto, ma tornando sulla Terra l’odore della Colonia rimaneva addosso, in modo percettibile. E anche se si faceva il bagno e si lavavano gli indumenti perché gli altri non notassero nulla, addosso a sé si sentiva ancora quell’odore.
«Bentornato» esordì Fisher. «Com’era la tua Colonia questa volta?»
«Come sempre… terribile. Il vecchio Tanayama ha ragione. La cosa che tutte le Colonie temono e odiano maggiormente è la varietà. Non vogliono nessuna diversità in fatto di aspetto fisico, gusti, abitudini, tipo di vita… Si scelgono in maniera tale da creare un complesso uniforme, e disprezzano tutto il resto.»
«È vero. Che peccato…»
«Mi sembra un commento piuttosto cinico e superficiale, il tuo» obiettò Wyler. «"Che peccato… Oops, mi è caduto il piatto. Che peccato… Oh, questo aggeggio non funziona. Che peccato." Stiamo parlando dell’umanità, Crile. Stiamo parlando dei lunghi sforzi che la Terra ha compiuto per trovare il modo di far convivere tutte le culture, tutte le razze. Non è ancora perfetto, ma se pensi alla situazione esistente un secolo fa, be’, siamo in paradiso adesso. Poi, invece, quando abbiamo la possibilità di andare nello spazio, ecco che gettiamo tutto al vento e torniamo ai secoli bui del passato. E tu dici: "Che peccato." Bella reazione, di fronte a una tragedia enorme!»
«D’accordo» replicò Fisher. «Ma a meno che tu non sappia indicarmi qualcosa di concreto che io possa fare per risolvere il problema, che importanza ha la superficialità del mio commento? Sei stato su Akruma, vero?»
«Sì.»
«Sanno della Stella Vicina?»
«Certo. Ormai la notizia si è sparsa su tutte le Colonie, a quanto mi risulta.»
«Erano preoccupati?»
«Assolutamente. Perché dovrebbero preoccuparsi? Hanno migliaia di anni. Possono andarsene tranquillamente, prima che la stella si avvicini troppo… se ci sarà una situazione di pericolo, cosa di cui non siamo affatto sicuri. Possono andarsene tutti. Ammirano Rotor, e aspettano solo l’occasione giusta per partire anche loro.» Wyler era accigliato, il suo tono era amaro. «Partiranno tutti, e noi rimarremo qui, bloccati» proseguì. «Come faremo a costruire Colonie sufficienti per otto miliardi di esseri umani?»
«Sembri Tanayama. Non servirà a nulla dargli la caccia e punirli, o distruggerli. Saremo ancora qui, bloccati. Se tutti restassero qui, buoni e obbedienti, ad affrontare la Stella Vicina con noi, la nostra situazione migliorerebbe?»
«Vedo che non te la prendi, Crile. Tanayama è furioso, invece, e io sono con lui. È abbastanza furioso da mettere a soqquadro la Galassia, se necessario, per trovare l’iperassistenza. La vuole… così potremo dare la caccia a Rotor e cancellarlo dalla faccia dell’universo… e anche se questo non servirà a nulla, avremo bisogno dell’iperassistenza per allontanare dalla Terra il maggior numero possibile di esseri umani, se scopriremo che il passaggio della Stella Vicina avrà conseguenze catastrofiche. Quindi, quello che sta facendo Tanayama è giusto, anche se i suoi motivi sono sbagliati.»
«Supponi che abbiamo l’iperassistenza e che ci accorgiamo di disporre solo del tempo e dei mezzi necessari per mettere in salvo un miliardo di persone. Quale sarà questo miliardo di persone che partirà? E cosa succederà se i capi, i responsabili, cominceranno a salvare solo quelli come loro?»
«Mi rifiuto di pensarci» borbottò Wyler.
«Già» annuì Fisher. «Per fortuna saremo morti e sepolti, prima che cominci a muoversi qualcosa.»
Wyler abbassò di colpo la voce. «Se è per questo, forse si sta già muovendo qualcosa. Ho il sospetto che abbiamo l’iperassistenza, adesso… o che l’abbiamo quasi.»
L’espressione di Fisher era notevolmente cinica. «Cosa te lo fa pensare? Sogni? Intuito?»
«No. Conosco una donna, e sua sorella conosce un collaboratore del Vecchio. Ti basta?»
«Certo che no. Dovrai essere più esplicito.»
«Non posso. Senti, Crile, sono un amico, no? Ti ho aiutato a rientrare nell’Ufficio con la posizione di prima, lo sai.»
Crile annuì. «Lo so e lo apprezzo. E ho cercato di ricambiare il favore di tanto in tanto.»
«Sì, e lo apprezzo. Bene, ora voglio darti delle informazioni riservate, che dovrebbero essere utili e importanti per te, credo. Sei disposto ad ascoltarle e a dimenticare che sono stato io a dirti queste cose?»
«Dispostissimo.»
«Sai cosa abbiamo fatto negli ultimi tempi, naturalmente…»
«Sì» si limitò a rispondere Fisher, trattandosi di una domanda retorica del tutto inutile.
Da cinque anni gli agenti dell’Ufficio (negli ultimi tre anni anche Fisher) frugavano tra i "rifiuti informativi" delle Colonie. Erano a caccia di scarti.
Ogni Colonia stava lavorando all’iperassistenza, proprio come la Terra, da quando era trapelato che Rotor disponeva di quella tecnica, sicuramente da quando Rotor aveva dato una dimostrazione pratica lasciando il Sistema Solare.
Presumibilmente la maggior parte delle Colonie, forse tutte, aveva ottenuto qualche risultato, ricostruendo in parte la realizzazione di Rotor. Secondo l’Accordo sulla Scienza Aperta, tutti avrebbero dovuto divulgare quei risultati frammentari, e unendoli forse si sarebbe arrivati all’iperassistenza. Ma, chiaramente, era chiedere troppo, in questo caso. La nuova tecnica avrebbe potuto consentire chissà quali applicazioni utili, e nessuna Colonia poteva rinunciare alla speranza di essere la prima in quel campo, di guadagnare così un vantaggio importante sulle altre in qualche modo. Quindi, ognuno teneva per sé quel che aveva (se l’aveva), e nessuno aveva in mano abbastanza.
E la Terra, col suo complesso e articolato Dipartimento Informazioni Terrestre, s’insinuava in tutte le Colonie, annusando. La Terra era a caccia di informazioni, e Fisher era uno dei cacciatori.
«Abbiamo messo assieme quel che abbiamo, e pare che sìa sufficiente» disse lentamente Wyler. «I viaggi spaziali iperassistiti sono alla nostra portata. E penso che raggiungeremo la Stella Vicina. Non ti interesserebbe partecipare al viaggio, quando si farà?»
«Perché dovrebbe interessarmi, Garand? Ammesso che si faccia quel viaggio… io ne dubito.»
«Sono certo che si farà. Non posso rivelarti la mia fonte d’informazione, ma fidati, è attendibile. Ed è naturale che tu voglia partecipare al viaggio. Potresti rivedere tua moglie. O, se non tua moglie… tua figlia.»
Fisher si agitò. Gli sembrava di trascorrere gran parte del suo tempo cercando di non pensare a quegli occhi. Marlene… una bambina di sei anni, ormai… che probabilmente parlava calma e ponderata… come Roseanne.
Che leggeva nell’animo della gente, come Roseanne.
«Stai dicendo delle sciocchezze, Garand. Anche se si facesse questo viaggio, perché dovrebbero lasciarmi partecipare? Manderanno degli specialisti, degli esperti. E poi, se c’è una persona che il Vecchio non lascerà mai partire, quella persona sono io. D’accordo, mi ha ripreso nell’Ufficio e mi ha assegnato degli incarichi, però sai perfettamente che atteggiamento ha nei confronti di chi fallisce. E per lui, io su Rotor ho fallito, l’ho deluso.»
«Già, ma è proprio questo il punto. Ecco perché puoi considerarti uno specialista. Se ha intenzione di dare la caccia a Rotor, il Vecchio non può lasciare a casa l’unico terrestre che sia stato su Rotor per quattro anni! Tu capisci i rotoriani meglio di chiunque altro, sapresti affrontarli nel modo migliore. Chiedi di vedere il Vecchio. Faglielo notare, però ricorda, tu non sai che abbiamo l’iperassistenza, intesi? Limitati al campo delle ipotesi. E non coinvolgermi in nessun modo. Io sono all’oscuro di tutto, come te.»
Fisher aggrottò le ciglia, pensieroso. Possibile? Non osava sperarlo.
Il giorno dopo, mentre stava ancora domandandosi se fosse il caso di rischiare e chiedere un colloquio con Tanayama, Fisher perse la possibilità di decidere. Fu convocato.
Era raro che un semplice agente fosse convocato dal Direttore. Degli agenti si occupavano i numerosi assistenti del capo, di solito. E quando un agente veniva convocato dal Vecchio, erano cattive notizie in vista, quasi sempre. Così, Crile Fisher si preparò rassegnato a un incarico di ispettore delle fabbriche di fertilizzanti.
Tanayama alzò lo sguardo e lo fissò da dietro la scrivania. Fisher lo aveva visto di rado e solo per pochi attimi nei tre anni successivi alla scoperta della Stella Vicina, e Tanayama non sembrava cambiato. Era piccolo e avvizzito da tanto tempo che evidentemente non c’era più spazio per ulteriori cambiamenti fisici. Anche l’acutezza penetrante dei suoi occhi era sempre la stessa, e pure la piega decisa e arcigna delle sue labbra. Forse indossava addirittura gli stessi indumenti di tre anni prima. Fisher non era in grado di dirlo.
Ma, malgrado anche la voce fosse aspra come al solito, il tono era sorprendente. A quanto pareva, si era verificato un fatto quasi impossibile: il Vecchio lo aveva chiamato per lodarlo.
Nel suo strano Inglese Planetario, non del tutto sgradevole, Tanayama esordì: «Fisher, ti sei comportato bene. Ci tengo a dirtelo personalmente».
Fisher, in piedi (non era stato invitato a sedersi), riuscì a reprimere il suo lieve sussulto di sorpresa.
«Non ci saranno festeggiamenti pubblici» continuò il Direttore «né parate con raggi laser, né sfilate olovisive. Tutto questo non è possibile. Comunque, ho voluto dirtelo.»
«È più che sufficiente, Direttore. Grazie.»
Tanayama lo fissò in silenzio per alcuni istanti. «E non hai nient’altro da aggiungere? Nessuna domanda?»
«Immagino che mi dirà quello che devo sapere, Direttore.»
«Sei un agente, un uomo abile. Cos’hai scoperto da solo?»
«Nulla, Direttore. Io cerco di scoprire solo quello che mi ordinano di scoprire.»
Tanayama annuì, muovendo leggermente la testa minuscola. «Una risposta appropriata, però io non voglio questo tipo di risposta. Sei arrivato a qualche conclusione, hai qualche ipotesi?»
«Sembra soddisfatto di me, Direttore, quindi può darsi che io abbia raccolto qualche informazione che si è rivelata utile.»
«Utile, come?»
«Per mettere a punto definitivamente la tecnica dell’iperassistenza. Sì, secondo me questa sarebbe la cosa più utile per lei.»
Le labbra di Tanayama si schiusero in un’esclamazione silenziosa. «E poi? Supponiamo che sia così… Quale dovrà essere la nostra mossa successiva?»
«Raggiungere la Stella Vicina. Localizzare Rotor.»
«Nient’altro? Tutto qui? Non ti viene in mente altro?»
A questo punto, Fisher decise che sarebbe stato sciocco non rischiare. Era un’occasione imperdibile. «Sì, c’è un’altra cosa… Quando la prima nave terrestre lascerà il Sistema Solare sfruttando l’iperassistenza, io dovrò essere a bordo.»
Non appena ebbe finito di parlare, Fisher si rese conto di avere perso… o almeno di non avere vinto. Tanayama si incupì. «Siediti!» ordinò, perentorio.
Fisher sentì dietro di sé il movimento lieve della sedia che si avvicinava alle parole di Tanayama, parole che il suo motore computerizzato primitivo era in grado di capire.
Si sedette, senza guardarsi alle spalle per assicurarsi che la sedia fosse nel punto giusto. Sarebbe stato un gesto offensivo, e non era il momento di offendere Tanayama.
«Perché vuoi essere a bordo della nave?» chiese Tanayama.
Fisher controllò la propria voce con uno sforzo. «Direttore, ho una moglie su Rotor.»
«Una moglie che hai abbandonato cinque anni fa. Pensi che ti accoglierebbe volentieri?»
«Direttore, ho una figlia.»
«Aveva un anno quando te ne sei andato. Credi che sappia di avere un padre? O che le importi?»
Fisher rimase in silenzio. Anche lui aveva ragionato su quelle cose, ripetutamente.
Tanayama attese qualche istante prima di proseguire. «Ma non ci sarà nessun viaggio verso la Stella Vicina, nessuna nave su cui imbarcarsi.»
Fisher dovette reprimere di nuovo un moto di sorpresa. «Mi perdoni, Direttore. Lei non ha detto che abbiamo l’iperassistenza. Ha detto: "Supponiamo che sia così…" Avrei dovuto fare attenzione alle sue parole.»
«Già, avresti dovuto. Dovresti sempre fare attenzione alle mie parole… Comunque, abbiamo davvero l’iperassistenza. Adesso possiamo viaggiare nello spazio proprio come ha fatto Rotor… o almeno, potremo viaggiare nello spazio quando avremo costruito un veicolo adatto e saremo sicuri della perfetta efficienza di tutte le sue parti… cosa che forse richiederà un paio d’anni di lavoro. Ma poi? Dovremmo metterci in viaggio per quella stella? Sei proprio convinto?»
«Sicuramente, è una scelta possibile, Direttore» rispose cauto Fisher.
«E inutile. Rifletti. La Stella Vicina è a oltre due anni luce. Per quanto possiamo sfruttare al meglio l’iperassistenza, impiegheremo più di due anni per arrivare là. Stando ai nostri teorici, anche se l’iperassistenza consente a una nave di superare la velocità della luce per brevi periodi, e maggiore è la velocità minore è la durata di questi periodi, il risultato finale non cambia: la nave non può raggiungere nessun punto dello spazio più velocemente di un raggio di luce partito dallo stesso punto di origine.»
«Ma allora…»
«Allora saresti costretto a rimanere a bordo di un’astronave in un ambiente angusto con parecchie altre persone per oltre due anni. Pensi di poter resistere? Sai benissimo che una nave di dimensioni ridotte non ha mai affrontato un viaggio lungo. A noi serve una Colonia, una struttura abbastanza grande che offra condizioni ambientali decenti… come Rotor. Quanto tempo ci vorrà per costruirla?»
«Non saprei, Direttore.»
«Dieci anni, forse, se tutto procederà nel migliore dei modi… se non ci saranno intoppi o incidenti. Ricorda… è quasi un secolo che non costruiamo una sola Colonia. Tutte le Colonie recenti sono state costruite da altre Colonie. Se all’improvviso cominceremo a costruirne una, attireremo l’attenzione di tutte le Colonie esistenti, e dobbiamo evitarlo. E anche se riusciremo a costruire questa Colonia, a dotarla dell’iperassistenza facendole raggiungere la Stella Vicina in più di due anni luce, arrivata a destinazione cosa farà? Essendo una Colonia sarà vulnerabile… se Rotor avrà delle navi da guerra potrà distruggerla facilmente… e Rotor le avrà senz’altro. Certo, potremmo trasportare anche noi delle navi da guerra con la nostra Colonia mobile, però Rotor ne avrà sempre più di noi. Sono là da tre anni, loro, e forse passeranno altri dodici anni prima del nostro arrivo. Non appena avvisteranno la nostra Colonia, la distruggeranno.»
«In tal caso, Direttore…»
«Basta congetture, agente Fisher. A noi serve l’iperpropulsione, quella vera, il vero volo iperspaziale, per percorrere qualsiasi distanza in brevissimo tempo.»
«Mi scusi, Direttore, ma è possibile? Almeno in teoria?»
«Non sta a noi dirlo. Ci occorrono degli scienziati che si concentrino sul problema, e non li abbiamo. Per oltre un secolo, si è verificata una fuga di cervelli dalla Terra alle Colonie. Quindi adesso dobbiamo rovesciare la situazione. Dobbiamo depredare le Colonie, più o meno, convincere i fisici e i tecnici migliori a venire sulla Terra. Possiamo offrirgli parecchio, però bisognerà procedere con cautela. Non possiamo scoprirci troppo, o le Colonie sventeranno sicuramente il nostro piano. Ora…»
Tanayama si interruppe e studiò Fisher meditabondo.
Fisher si agitò sulla sedia, inquieto. «Sì, Direttore?»
«Il fisico che ho in mente si chiama T.A.Wendel… a quanto mi dicono, è il massimo esperto iperspaziale del Sistema Solare.»
«Sono stati gli esperti iperspaziali di Rotor a scoprire l’iperassistenza» osservò Fisher, senza riuscire a evitare che una punta di sarcasmo gli alterasse la voce.
Tanayama ignorò la cosa. «A volte le scoperte sono dovute al caso, e una mente inferiore può avanzare incespicando e trovarsi in testa, mentre una mente superiore procede adagio per gettare prima delle basi solide. È successo spesso nella storia. E poi, Rotor ha dimostrato di possedere soltanto l’iperassistenza, una propulsione alla velocità della luce. Io voglio un tipo di propulsione ultraluce, molto più veloce della luce. E voglio Wendel.»
«E vuole che io vada a prenderlo?»
«A prenderla. È una donna. Tessa Anita Wendel, di Adelia.»
«Oh?»
«Ecco perché ci servi tu per questo incarico. A quanto pare…» e a questo punto Tanayama sembrò vagamente divertito, anche se la sua espressione non mutò «sei irresistibile con le donne.»
Fisher si irrigidì, imbarazzato. «Mi dispiace contraddirla, Direttore, ma non mi pare che sia così. Non mi sono mai accorto di essere irresistibile.»
«I rapporti parlano chiaro, comunque. La Wendel è una donna di mezz’età, ha superato i quaranta, ha due divorzi alle spalle. Non dovrebbe essere difficile persuaderla.»
«Se devo essere sincero, signore, trovo che questo incarico sia molto sgradevole e, date le circostanze, forse un altro agente sarebbe più adatto.»
«Ma io voglio ugualmente che sia tu a occupartene. Se hai paura di non riuscire a sprigionare tutto il tuo fascino accostandoti a lei con la faccia girata e arricciando il naso, ti indorerò la pillola, agente Fisher. Su Rotor hai fallito, ma quello che hai fatto in seguito ha compensato in parte il tuo fallimento. Ora puoi cancellarlo completamente. Ma se non porterai sulla Terra la Wendel, sarà un insuccesso molto più grande rispetto a quanto è successo su Rotor, e non avrai più la possibilità di riparare. Comunque, non voglio che tu sia influenzato soltanto dall’apprensione. Ti lascerò pregustare anche qualcosa di piacevole, un premio. Portaci la Wendel, e quando una nave ultraluce sarà pronta per raggiungere la Stella Vicina, tu sarai a bordo di quella nave, se vorrai.»
«Mi impegnerò al massimo» disse Fisher. «Mi sarei impegnato al massimo anche senza incentivi piacevoli o prospettive allettanti.»
«Un’ottima risposta» commentò Tanayama, concedendosi un accenno di sorriso. «E studiata con cura, indubbiamente.»
E Fisher uscì, rendendosi conto che lo aspettava la spedizione di caccia più importante che gli fosse toccata finora.