CAPITOLO XI

Teseo si rialzò, mentre il mondo girava vorticosamente intorno a lui, e guardò gli occhi ilari del sovrano. La sabbia abbagliante ondeggiò di nuovo, e il volto allegro di Minosse rimase sospeso sullo sfondo bianco, come una maschera di allegria, circondata da nere ondate di fatica e di dolore. Gli parve che Minosse gli avesse strizzato l’occhio, ancora una volta, e poi il sovrano tornò a sedersi.

Malgrado i morsi del sole, Teseo aveva freddo. Quello che era accaduto bastava a dimostrare, al di là di ogni dubbio, che Minosse, era davvero un dio, che era in grado di comandare veramente ai fulmini.

Come avrebbe potuto un vincitore dei giochi, dunque, far valere i suoi diritti? Che cosa significava quel gesto d’intesa?

Teseo aveva sperato, confusamente, che i sacerdoti e il popolo avessero potuto esercitare delle pressioni, costringendo in qualche modo il sovrano a comportarsi equamente con il vincitore. Ma il mormorio di rispetto e di paura che corse per l’arena bastava a dimostrargli l’assoluto potere di Minosse. Così, Teseo non doveva aspettarsi alcun aiuto.

Pochi contendenti, sospettava Teseo, erano riusciti a salire così vicino al trono di Minosse. Perché nell’arena era calata un’atmosfera ansiosa ed eccitata, e il popolo assisteva a quello che stava accadendo, trattenendo il respiro, con interesse morboso. Anche la voce dell’araldo era più rauca, pareva scossa e insicura:

«Gothung il Normanno è stato favorito, nella sua scalata al trono di Minosse, dall’Oscuro nei suoi aspetti di toro e di uomo. Perciò che il Normanno ora provi la volontà dell’Oscuro, nel suo sublime aspetto di dio.»

I corni suonarono di nuovo.

«Gothung aspetterà in piedi al centro dell’arena. Prima di tutto, che si stabilisca la volontà dell’Oscuro grazie a Cibele, figlia dell’Oscuro e madre degli uomini, che alberga nella bella Arianna.»

Barcollando, sbalordito, Teseo avanzò verso il centro dell’arena. Trovò le due sacre asce di Minosse, tracciate sulla sabbia con della terra nera versata sulla sabbia bianca, e si fermò sopra di esse. Semiaccecato dal riverbero del sole sulla sabbia, rimase immobile, guardando Arianna, e si chiese quale sarebbe stata la prossima prova.

I corni d’argento squillarono di nuovo.

Arianna si alzò languidamente, all’interno del suo palco dalle tende bianche. I capelli color fiamma le scesero sulle spalle, in una splendida cascata, e la dea avanzò con andatura morbida e insolente su una grande piattaforma che sorgeva davanti ai palchi. Il sole giocava coi suoi capelli, e tramutava il suo corpo in una enigmatica statua di marmo, e traeva bagliori dalla sua audace veste verde.

La bianca colomba era posata sulla sua spalla nuda, e apri le ali per mantenere l’equilibrio, quando Arianna si mosse. La cintura che le stringeva la vita, notò Teseo, aveva l’aspetto di un serpente d’argento. E pareva muoversi, stranamente, come se fosse viva… forse, pensò Teseo, la sua testa scoperta era rimasta per troppo tempo esposta ai raggi del sole.

Una corpulenta sacerdotessa, dalla lunga veste scarlatta, portò ad Arianna un grande arco bianco, e un’altra le offrì una faretra piena di frecce. Mostrando una forza e un’abilità che Teseo non sospettava, Arianna piegò l’arco, provò la corda, e la lasciò vibrare per qualche istante.

Con grande cura, scelse una lunga freccia dalle piume verdi, la incoccò, poi si arrestò per un momento, a guardare Teseo. La sua voce risuonò, limpida come la voce di un corno dorato:

«Normanno, sono felice che tu sia sopravvissuto per affrontare il giudizio degli dei. Perché Cibele ha un conto aperto con te.»

Teseo avvertì una stanchezza infinita, tutto gli danzava confusamente, intorno. Riuscì però a gridare, con voce rauca:

«E io ho una lezione per Cibele. La Madre di Tutti non dovrebbe uccidere, ma amare.»

Vide una rossa vampata, allora, sul candido volto della dea. Arianna mosse il capo, con un gesto imperioso. Lentamente, con perizia e forza, tese l’arco, sollevò la freccia all’altezza della guancia, e disse, sprezzante:

«Anche Cibele può uccidere!»


Qualcosa, anche in quel terribile istante, distolse l’attenzione di Teseo da quell’incredibile bellezza, da quella stupenda minaccia. Qualcosa gli fece guardare in alto, molto al di sopra dei palchi variopinti. Lassù, nella più alta fila dell’arena, scorse il viso di Snish.

I lineamenti avvizziti del piccolo babilonese erano pallidi e rigidi. E le sue mani si sollevarono, in uno strano gesto rapido, come se Snish avesse voluto fermare la freccia. Il piccolo mago poteva e voleva aiutarlo?

Lo sguardo di Teseo tornò a posarsi su Arianna. Il sole faceva brillare le scaglie d’argento della cintura serpentina, e a Teseo parve che le spire del serpente si stringessero intorno al corpo della donna. La colomba agitò le sue bianche ali. E il colpo partì.

Teseo aveva imparato a evitare le frecce. Cercò di buttarsi a terra, quando la corda sibilò, sperando che la freccia gli fosse passata sul capo. Ma non riuscì a muoversi!

Il suo corpo stanco rimaneva rigido, sopra l’insegna della doppia ascia, come se fosse stato legato ad un palo invisibile. Ora lui aveva incontrato gli dei… e la loro magia!

Ma fu un rabbioso senso di sfida, e non la paura, che invase le sue vene. Sollevò lo sguardo, per fissare con fermezza la freccia che gli veniva incontro, sibilando. Gli stregoni potevano avere incatenato il suo corpo, ma la sua mente combatteva ancora!

La freccia gli sibilò vicinissima all’orecchio!

Libero dalle corde invisibili, Teseo si mosse. Un terribile tremito gli scosse le ginocchia, e provò il desiderio di gettarsi sulla sabbia rovente. Ma si coprì gli occhi, guardò in alto, dove c’erano i palchi, là da dove veniva un mormorio carico di disagio.

Era incredulo. Avrebbe giurato che la freccia si sarebbe infilata proprio nel suo occhio destro. La perizia di Arianna doveva essere fuori discussione, almeno a giudicare dal suo atteggiamento. E neppure poteva sospettare che, per qualche motivo, lei lo avesse deliberatamente risparmiato.

Perché il bel viso di lei era adesso completamente esangue. L’ira le faceva fiammeggiare gli occhi. La sua espressione era furiosa, mortale. Si voltò rapidamente, cercando un’altra freccia.

La dolce voce femminea di Minosse la fermò.

«Aspetta, figlia! L’Oscuro ha guidato la tua freccia, ed essa ha mancato il colpo. Il Normanno ha scalato il settimo gradino che porta al mio trono.» Gli occhi azzurri brillarono d’allegria. «Che tenti l’ottavo.»

Minosse sorrise, e il suo viso si raggrinzì ancora di più; fece un segno all’araldo e ai sacerdoti. Completamente sconcertato… e con un timore sempre crescente di quell’uomo dall’aria gioviale, e dei suoi sinistri poteri… Teseo guardò in alto, nell’ultima fila, e vide il viso da rospo di Snish.

Gli occhi gialli del piccolo mago erano fissi su di lui. E, deliberatamente, il mago gli strizzò l’occhio! Era stata l’arte di Snish a sviare la freccia? Con il timore improvviso di denunciare, con lo sguardo, la presenza del babilonese, Teseo guardò subito da un’altra parte.

I corni squillarono di nuovo, e l’araldo disse, con voce stentorea:

«Che ora il Normanno provi la volontà dell’Oscuro attraverso il grande Minosse, che è suo figlio, e il suo reggente in terra.»

Le corde invisibili strinsero di nuovo il corpo di Teseo, e l’acheo si trovò incapace di muoversi, sopra il segno della doppia ascia. Rimase immobile, sotto i raggi del sole, impotente.

Minosse si alzò, e uscì dal palco dalle tende nere, avanzando sulla piattaforma dove Arianna aveva vibrato il suo inutile colpo. Benché fosse così grasso, si muoveva con sorprendente scioltezza, e con grande vigore. Era una cosa veramente incredibile.

Si tolse la veste bianca, e la gettò a uno schiavo. Rimasto nudo, all’infuori del perizoma e della cintura, il suo corpo roseo appariva solido e vigoroso. Aveva lo stomaco prominente, ma non c’era alcuna traccia della decadenza fisica di mille anni di vita. Sorrise, allegramente, e strizzò di nuovo l’occhio a Teseo. Avrebbe potuto essere il sacerdote di qualche dio minore del vino e della campagna, intento a benedire i suoi fedeli in una notte di festa e di allegria.

«Così, Normanno, tu vorresti il mio trono?» ridacchiò il sovrano. «Che l’Oscuro faccia la sua scelta!»

Un prete dalla veste nera si inginocchiò davanti a lui, sulla piattaforma, e tenendo il capo chino gli offrì un oggetto lungo, nero e ricurvo da un lato e piatto dall’altro, che era più lungo del braccio roseo di Minosse.

Minosse prese il boomerang, con una stretta ferma e sicura. Piegò il braccio, armoniosamente, e provò il tiro. Il suo viso sorrideva, come quello di un bambino felice, e i suoi occhi azzurri splendevano di gioia. Eppure il gesto poderoso del suo braccio convinse Teseo che l’ottava prova sarebbe stata molto dura.

«O grande Oscuro,» disse, a bassa voce. «Scegli!»

Con un gesto poderoso, lanciò il boomerang. Incapace di muoversi, Teseo rimase sul terreno, dove spiccava il segno della doppia ascia, e guardò Minosse con occhi freddi e sicuri.

Per un attimo, capì che il boomerang si dirigeva, poderoso e sicuro, verso la sua testa. Direttamente. Lo avrebbe colpito. Poi, bruscamente, producendo un suono lamentoso, il boomerang gli passò accanto. Un altro incredibile errore!

Ma un boomerang torna indietro.

Teseo non riuscì a voltare la testa. Ma, osservando i volti degli spettatori, davanti a lui, vide che essi seguivano il volo dell’oggetto, avanti… una curva… e poi indietro, di nuovo verso di lui!

Sentì il boomerang fischiare.

E udì, per la seconda volta, che gli passava accanto senza colpire!

L’oggetto sollevò una nuvoletta di polvere, davanti a lui, si allontanò saltellando come una creatura viva, poi ricadde e restò immobile. Teseo sollevò lo sguardo. Minosse conservava la sua espressione allegra. Aspettò che uno schiavo lo avvolgesse di nuovo nella sua veste bianca, e tornò nel palco dalle tendine nere.

I corni squillarono ancora, e l’araldo gracchiò, singhiozzando per l’emozione:

«Il Normanno ha salito otto gradini verso il trono. Per mano dello stesso Minosse, l’Oscuro indica il suo favore. Rimane soltanto la nona prova. Il Normanno conoscerà la definitiva volontà dell’Oscuro, per mano di Dedalo il mago, che è il suo sacerdote, la sua mano, e la sua voce.»


Il cuore di Teseo stava battendo all’impazzata. La sabbia bianca si muoveva intorno a lui, e gli parve di galleggiare in un mare di fuoco bianco. La sua stanchezza era scomparsa. Il suo corpo era una cosa morta e remota; i morsi delle mosche e della polvere, sulle ferite, ormai non avevano più importanza.

Vagamente, cercò di ricordare cosa stava accadendo. Aveva una speranza vaga e remota di riuscire a sfuggire anche a quest’ultimo pericolo, ma non riusciva a ricordare quello che avrebbe dovuto fare, adesso. Guardò Dedalo, e lo vide immerso in uno schermo di irrealtà.

Lo stregone uscì dal palco, e si tolse la lunga veste nera. Se Minosse era apparso sorprendentemente giovane, Dedalo era molto vecchio… eppure anche incredibilmente forte. Il suo corpo era scuro, peloso, contorto come il tronco di una quercia antica.

Il suo volto era grinzoso, e le rughe gli davano un’espressione cupa. Gli occhi erano fondi, neri, e splendevano di una luce sinistra.

Mentre i corni squillavano di nuovo, dei sacerdoti dalle vesti nere portarono allo stregone una fionda di cuoio, e una lucente palla di rame, piccola e pesante. Guardando la palla con i suoi occhi cupi, Dedalo mormorò qualcosa, e poi sollevò la fionda.

Lo strumento tremò e sibilò. I muscoli tesero la corda, e l’allentarono bruscamente. La palla di rame parti, a velocità fantastica, divenne un bagliore confuso che attraversava l’aria sibilando e gemendo.

Teseo cercò di nuovo di liberarsi dalle corde invisibili che lo tenevano avvinto. Non ci riuscì. Ma ormai era inutile, pensò. Perché nessun uomo avrebbe mai potuto sfuggire a quella terribile palla di rame sibilante.

Arrivò… e gli passò accanto, innocua!

I legami invisibili si ruppero istantaneamente.

Teseo cadde, in ginocchio, sulla sabbia bianca e rovente, e l’intera arena sì rovesciò, cominciò a roteare intorno a lui. Vide la smorfia terribile che apparve sul viso cadaverico di Dedalo, e lo vide ritornare al suo posto, furibondo.

I corni squillarono, e l’araldo si fece avanti di nuovo. Era pallido, e sudava copiosamente. Cercò per tre volte di parlare, per tre volte gli mancò la voce, e alla fine riuscì a gracchiare, debolmente:

«Gothung il Normanno ha scalato i nove gradini che portano al trono di Minosse. Nei suoi tre aspetti, di toro e di uomo e di dio, l’Oscuro ha indicato il suo favore. Le prove sono compiute, e Gothung il Normanno è scelto per salire al trono!»

Benché la voce dell’araldo fosse debole e tremante, ogni sillaba parve esplodere con la furia del tuono, nel silenzio glaciale che era caduto sull’arena. Ci fu un lungo, intollerabile momento in cui la vita parve sospesa. In ginocchio, Teseo guardò il volto di Minosse, che non mostrava alcun sentimento, e aspettò con terrore un altro lampo, e il tuono che sarebbe caduto su di lui, a incenerirlo.

Ma il viso roseo di Minosse si raggrinzì di nuovo in un largo sorriso, i suoi occhi azzurri brillarono d’allegria, e, ridendo amabilmente, il sovrano decaduto disse, con la sua voce femminea:

«Alzati, Normanno, e occupa il tuo trono!»

Il braccio roseo fece un gesto veloce, e Teseo guardò nella direzione indicata da quel gesto, all’estremità opposta dell’arena.

Ciò che vide lo fece tremare. Un sudore gelido gli imperlò la fronte.

Il grande cancello si era aperto di nuovo.

Talos, il gigante di bronzo, stava avanzando verso di lui, sulla sabbia.

Загрузка...