CAPITOLO XIV

Teseo giaceva tra lenzuola profumate, di finissimo lino egiziano.

Aprì gli occhi, e si trovò in una grande, ricca camera. Le pareti erano coperte di affreschi, che mostravano delle graziose fanciulle che danzavano nei campi. Le grandi finestre, adorne di preziosi tendaggi ricamati, erano aperte, e mostravano un giardino al cui centro sorgeva un grande albero, uno splendido melograno, sul quale un uccello cantava.

Il lusso e la ricchezza lo circondavano, ma Teseo non riuscì a reprimere un freddo brivido di paura e di apprensione.

Si mosse, tra le lenzuola profumate, e affondò di nuovo il capo nel soffice guanciale, temendo di svegliarsi, da un momento all’altro, nell’umida oscurità del terribile pozzo.

Perché il successo del suo piano disperato gli pareva tuttora un sogno.

Non riusciva ancora a credere, neppure adesso, allo splendore di quella lussuosa villa alla sommità della collina, la villa nella quale gli schiavi spaventati lo avevano portato.

Il banchetto che il ciambellano gli aveva preparato, a mezzanotte, gli sembrava un sogno della sua mente sconvolta dalla fame… e adesso aveva di nuovo una fame terribile.

Ma ricordò la risata del ciambellano, quando aveva parlato in tono beffardo della cattura dei suoi vecchi compagni, e dello stesso Volpemaestra… che era già stato sottoposto al giudizio dell’Oscuro, nelle terribili grotte e negli spaventosi antri segreti del Labirinto. Questo fece scomparire l’illusione del sogno, e lo riportò alla fredda realtà, raffreddò la sua gioia incredula. Era sveglio, certo, e aveva molte cose da fare…

Cirone doveva essere vendicato!

Sedette sul letto. Uno specchio, su un tavolino di marmo, gli mostrò il viso magro e affilato dell’ammiraglio Phaistro. Sogghignò. Quel viso quasi effeminato non gli piaceva, certo… ma ringraziò ugualmente il talento di Snish, con tutto il cuore.

«Hai chiamato, padrone?»

Il ciambellano, il confidente di Phaistro, si stava inchinando a lui, sulla porta.

«Portami la colazione,» ordinò Teseo.

«Un uovo di quaglia?» domandò il servo. «E dell’acqua?»

«Zuppa e latte,» lo corresse Teseo, «due quaglie allo spiedo, delle torte di miele, un pollo e della frutta…» Il volto impassibile del ciambellano fu solcato da un lampo di sbalordimento, e Teseo decise di non aggiungere altro, anche se in cuor suo avrebbe desiderato continuare nella lista. «E mandami il ciabattino,» aggiunse, passando a tutt’altro argomento, «l’uomo è abile, in certi incantesimi minori babilonesi, e mi ha promesso un filtro prodigioso.»

«Il padrone ha certo bisogno di un filtro miracoloso,» rispose il servo, rigidamente, «se aspira ancora al cuore della dea. Chiedo scusa al padrone per questa impertinenza, e vado subito a procurare la colazione! Sono felice di vedere che il padrone si sente così bene.»

Arrivò la colazione, su un grande vassoio d’argento. Snish arrivò subito dopo, tremando, e con aria di grande apprensione. Si guardava intorno, con evidente disagio. Teseo licenziò gli schiavi, e invitò il piccolo stregone a dividere la sua colazione.

Snish, però, non era dell’umore più adatto per mettersi a mangiare.

«Padrone!» gracchiò, quando gli schiavi se ne furono andati. «Tu conosci il pericolo che il tuo folle piano ha attirato su di noi?»

«Vedo un grande pericolo,» ammise Teseo, «se un uomo ce l’ha fatta ad uscire da quel pozzo, anche un altro può riuscirci. E la presenza di due ammiragli potrebbe creare una certa confusione. Perciò, dobbiamo agire in fretta. Assaggia almeno questi datteri egiziani.»

Snish scosse il capo.

«Il pericolo è molto maggiore, padrone!» mormorò. «Se il tuo travestimento cessasse di avere efficacia… e sai che basta poco per spezzarlo! Un contatto sufficientemente intimo potrebbe farti ritornare capitan Fuoco. Ed entrambi finiremmo nel Labirinto! Se questi stregoni cretesi ci prendono, i miei poveri poteri non ci serviranno più!»

La voce del mago si abbassò, fu rotta dai singhiozzi:

«Perché, padrone, hai voluto mettermi alle costole i marinai di Phaistro?» Tremò, e due grosse lacrime gli apparvero negli occhi sporgenti. «Io avevo venduto i gioielli di Tai Leng, e avevo comprato un piccolo negozio in una buona strada, con cuoio, stampo, martello e ago. Gli affari vanno molto meglio qui che in Babilonia, e io ho imparato ad accontentarmi.»

Snish si soffiò il naso.

«Ero felice, padrone,» sospirò. «Lavoravo per tutta la giornata… fino a quando gli uomini dell’ammiraglio sono venuti, con le tenebre, e hanno abbattuto le porte della mia bottega, e mi hanno soffocato con grandi bavagli, e mi hanno trascinato senza una parola di spiegazione nelle segrete, sotto Cnosso.»

Gli occhi gialli ammiccarono.

«Ricorda, padrone, io non sono un audace soldato di ventura. Sono soltanto un ciabattino senza fortuna, che non può sopportare avventure così tremende. E non ho ripagato il mio debito verso di te, padrone, il giorno in cui si sono svolti i giochi?»

«Assaggia una di queste torte,» suggerì Teseo. «Così mi hai aiutato? Me l’ero domandato più volte. Tu affermi di essere soltanto un mago minore, eppure mi dici di avere sconfitto gli stregoni di Creta?»

Snish scosse il capo, terrorizzato.

«Io sono il più piccolo degli stregoni, padrone,» protestò, ansiosamente. «I miei insignificanti poteri non possono neppure essere notati dai grandi maghi di Cnosso. Altrimenti mi avrebbero scoperto e distrutto già da tempo… e lo faranno senz’altro, se tu mi costringerai a sfidarli ancora!» Rabbrividì, e il suo viso diventò verdastro.

«La freccia, il boomerang e la palla di rame dello stregone mi hanno mancato,» disse Teseo. «Come è possibile?»

Il viso giallastro fu illuminato per un fuggevole istante da un sorriso.

«È stato grazie all’infima arte che tu già conosci, padrone,» pigolò Snish. «Dopo che ciascun dio aveva scagliato il colpo della sua arma, ti ho cambiato… per un attimo troppo breve, perché l’occhio potesse notarlo… trasformandoti in me stesso.»

«Tu?» brontolò Teseo.

«I proiettili erano tutti diretti alla tua testa,» gli disse Snish. «Ma Gothung era un uomo molto alto, e io sono molto piccolo. Perciò, gli dei hanno mirato alto. Ma io tremavo, tremavo molto, nel timore che essi scoprissero il mio trucco!»

Teseo guardò per un istante il viso giallastro del mago, e cercò di nascondere i propri dubbi. Lui aveva pensato che fosse stato un suo sforzo, una sfida sprezzante alla magia, a sviare quei colpi. Ma Snish era serio.

«Queste olive sono superbe,» disse, «assaggiale. Il trucco è stato molto astuto, Snish, e io ti ringrazio per avermi salvato la vita. Se Arianna non mi avesse baciato…»

«Ma l’ha fatto!» mormorò Snish. «E tu sei finito a testa bassa nello stesso pericolo… e ci vuoi tornare, trascinandomi con te!» Il mormorio si abbassò. «Dimmi, padrone… quali sono i tuoi piani? Dato che ora tu sei l’ammiraglio, dobbiamo prendere la più veloce nave dei mari, e salpare finché siamo in tempo per qualche remota terra?»

«No,» disse Teseo, «sono venuto qui per distruggere la magia di Cnosso… e porre fine al regno di Minosse e al dominio dell’Oscuro. E stai sicuro che lo farò!»

«Cautela, padrone!» Lo supplicò la voce apprensiva di Snish. «E non gridare! Gli stregoni hanno orecchie molto acute, per tutti i discorsi del genere. Non hai già patito abbastanza per la follia del tuo proposito?»

«Ma non capisci?» protestò Teseo. «La meta è già quasi raggiunta. Come ammiraglio, sono padrone del muro di legno di Cnosso. Posso camminare tranquillamente accanto a Talos, il muro di bronzo. Rimane solo il terzo… il muro della magia. È tutto quello che si trova tra noi e la mèta, ormai.»

«Tu sei ancora capitan Fuoco!» disse Snish, battendo i denti. «Gli stregoni faranno bene a prendere le loro armi… come sicuramente faranno!» Cercò di sorridere, senza riuscirci del tutto. «Ma forse Arianna potrebbe dirti qualcosa sul muro della magia!»

«Senza dubbio,» disse Teseo, meditabondo, «se un uomo potesse parlare da solo con Cibele.»

Snish sorrise più allegramente.

«Evidentemente, non sei a conoscenza dei pettegolezzi che corrono nei quartieri dei servi.» Ansiosamente, il piccolo mago afferrò il braccio di Teseo. «Padrone,» disse, «guardati dai suoi baci! O finiremo entrambi nel Labirinto.»

Teseo raccolse lo specchio, e studiò con aria critica i lineamenti aristocratici ed effeminati dell’ammiraglio Phaistro.

«Le donne,» commentò, senza entusiasmo, «sono delle creature molto strane. E il fatto di essere dee, a quanto pare, non le cambia molto. Quando dovrò vederla?»

«Tu stai aspettando un messaggio, oggi,» gli disse Snish.

«Cos’altro hai saputo, nei quartieri dei servi?»

«Lo stato delle tue finanze,» lo informò Snish, «è molto serio. Tu giochi incessantemente, e spendi delle somme enormi per dare feste e corrompere personaggi altolocati, allo scopo di mantenere la tua posizione. Sei gravemente indebitato con Amur l’Ittita. È per questo che eri così ansioso di ottenere il tesoro sepolto di capitan Fuoco. Amur, tra l’altro, verrà a trovarti proprio questa mattina.»

«Lo scorpione,» brontolò Teseo, «ti ringraziò, Snish.» Sorrise. «Tieni le orecchie e gli occhi aperti, e le tue piccole arti pronte a servirmi… e forse potrai sopravvivere, fino a ritornare un onesto ciabattino, come desideri.»


Aspettando la visita di Amur, nel grande salone immerso nella penombra, Teseo non riuscì a reprimere un brivido d’apprensione. L’Ittita, con il potere del suo oro, era temibile quasi quanto gli stregoni. Amur, magro e con il naso aquilino, e con la solita espressione avida, lasciò il palanchino nel cortile della villa, e si inchinò, quando entrò nella sala.

«Il tuo più umile schiavo, grande ammiraglio.»

La sua voce, malgrado l’untuosità dei suoi modi, conservava una traccia di arroganza. Troppo piccoli, troppo ravvicinati, i suoi occhi neri brillavano, vigili e spietati.

«Il tuo schiavo invoca su di te il favore degli dei.» La voce rauca era melliflua. «E si addolora molto che la sua triste indigenza lo costringa a menzionare una certa piccola faccenda… e cioè, che oggi scadono di nuovo i tuoi conti, gli impegni che tu hai firmato per la misera somma che non vale neppure la pena di menzionare… e cioè, per cinquecento talenti d’argento. Si compiace il grande ammiraglio di pagare al suo schiavo questo debito insignificante?»

Teseo sostenne lo sguardo di quegli occhi da rettile.

«Il denaro non è pronto, oggi,» disse, «dovrai aspettare. Come sai, le spese che mi impone la mia posizione sono gravi e pesanti.»

«Se lo so bene!» Amur abbandonò la maschera servile e la sua voce diventò un sibilo velenoso. «Le ho pagate io, le tue spese, per questi ultimi dieci anni.» Agitò il pugno. «Ma ho finito di pagarle, Phaistro. Se non pagherai questi conti, Minosse avrà un nuovo ammiraglio… e l’Oscuro un nuovo ospite!»

«Aspetta,» Teseo sollevò la mano, in segno di protesta. «Avrai il denaro.» Cercò di pensare. «Ho saputo dove il pirata Fuoco ha nascosto il suo tesoro. Uno squadrone della flotta salpa oggi, per andare a prenderlo. Ci sarà abbastanza…»

Amur strinse di nuovo il pugno.

«Non riuscirai a giocarmi con queste favole!» I suoi occhi sfavillanti, pensò Teseo, erano simili a quelli di un topo famelico. «Ho già saputo come hai speso i cinque talenti che ti ho prestato… per corrompere la guardia della segreta… e come il pirata ti abbia ingannato con le sue menzogne. Se una sola parola sulla tua follia raggiunge Minosse, non ci vorrà altro per distruggerti, Phaistro!»

«Sono stato uno stupido, questa notte,» ammise Teseo. «Ma ci sono altri modi per ottenere del denaro.»

«Sei sempre stato uno stupido, Phaistro,» sbuffò l’ittita. «Ma hai un solo modo per ottenre il denaro… e, se non ci riuscirai, Minosse saprà tutto quello che deve sapere.»

«Un solo modo?» ripeté Teseo, in tono interrogativo.

«Così la dea esita ancora?» l’ittita rise. «Ti ho avvertito che non sarebbe stata una preda facile, Phaistro… neppure per un amatore della tua fama… aprire le porte del tesoro di Cibele!»

«Ebbene…» disse Teseo, incerto.

«Ti concederò un’altra notte per tentare,» Amur si voltò, deciso ad andarsene. «Se lei ti ride di nuovo in faccia… bene, l’Oscuro è sempre affamato.» Tornò a indossare la sua maschera servile, e si inchinò. «Addio, padrone. Possa la dea favorirti stanotte con molti baci… e con le chiavi del suo tesoro.»

Rimasto solo, Teseo sedette su un divano, e si passò una mano, meditabondo, sul mento, che era quello debole dell’ammiraglio Phaistro. Abbandonò tutti i rimorsi che ancora gli restavano, per avere lasciato quell’idiota nel pozzo dei condannati. Un uomo che faceva all’amore per denaro… Il ciambellano entrò, portando un piccolo rotolo di pergamena, sigillato.

«Padrone, un messaggio per te.» Il suo viso era rigido. «Porta il sigillo di Cibele.»

Teseo ruppe il sigillo, srotolò il papiro. L’ansia gli mozzò il respiro, quando lesse la delicata scrittura minoica:


Mortale… se tu davvero ti senti degno dei favori di una dea… vieni all’antico tempio nel mio bosco d’olivi, dopo che la stella della sera sarà calata, stanotte.


Con un misto d’impazienza e di trepidazione, Teseo aspettò la caduta della notte. Nel pomeriggio, degli ufficiali vennero a fargli visita, per parlare di alcuni problemi navali. Dapprima cercò di licenziarli, temendo di rivelare la sua ignoranza. Ma apparve ben presto evidente che Phaistro si preoccupava ben poco dei problemi della flotta. Gli ufficiali volevano soltanto che lui imprimesse il suo sigillo su certi ordini di sbarco e di requisizione. Il ciambellano portò il piccolo cilindro istoriato, e lui appose il sigillo sui documenti, gli ufficiali lo ringraziarono, si inchinarono e partirono.

Quando se ne furono andati, il ciambellano gli ricordò che avrebbe dovuto recarsi a palazzo al tramonto, per presenziare al ricevimento dell’ambasciata egiziana, venuta in visita di tributo e di ossequio. Teseo disse di sentirsi male. Il ciambellano gli promise con aria cupa una medicina, e obiettò che la sua assenza non sarebbe stata certo gradita né a Minosse né al Faraone.

Teseo si sottopose a un lungo bagno, fu coperto di oli preziosi e di profumi esotici. Gli schiavi acconciarono i suoi lunghi capelli neri, cospargendoli di pomate dal profumo delicato, e gli fecero indossare una stupenda veste di seta purpurea.

E il ciambellano gli portò la medicina… un robusto flacone di potente liquore. Teseo bevve quel poco necessario a profumargli l’alito, e versò il rimanente in un tubo di scarico… meravigliosi davvero questi impianti idrici moderni! Avrebbe potuto essere utile fingersi ubriaco, ma quella non era la notte più adatta… tra tutte le notti!… per ubriacarsi davvero.

Il palanchino lo trasportò davanti alla mole imponente del palazzo di Cnosso. Tremò, come se le pareti di quella costruzione immane avessero potuto, da sole, rivelare il suo travestimento. Quando entrò nel meraviglioso splendore della sala del trono… camminando con passo malfermo, sostenuto dal ciambellano… fu di nuovo terrorizzato dalla vista del volto livido e cadaverico di Dedalo, della maschera gialla e vorace del viso di Amur, del sorriso allegro e del volto roseo di Minosse.

Il ricevimento proseguì, comunque, e nessuno parve trovare strano o insolito che il ciambellano sostenesse sempre il braccio dell’ammiraglio, mormorandogli all’orecchio tutte le parole necessarie.

Gli egiziani, piccoli e bruni, entrarono; erano uomini fieri e superbi. Parlarono amabilmente della grandezza di Minosse, pomposamente dello splendore del Faraone, fervidamente dell’amicizia che esisteva tra i due monarchi.

Teseo disse soltanto quello che il ciambellano gli sussurrava all’orecchio. Mano a mano che la serata proseguiva, però, si concesse qualche osservazione non troppo diplomatica… che certamente l’alcol avrebbe potuto ampiamente giustificare. Cominciava però a divertirsi, della mascherata.

La stella della sera era bassa, quando ritornò alla villa dell’ammiraglio.

Lasciò il ciambellano, andò a svegliare lo spaventatissimo Snish, e gli ordinò di venire con lui al bosco di olivi. Poi chiamò gli schiavi, ordinò loro di portarlo all’antico tempio del sacro bosco di Cibele, la Madre di Tutti.

All’ombra di un olivo, ai margini del bosco, lasciò il palanchino, dicendo ai portatori di aspettare. Snish lo seguì verso la sagoma indistinta del tempio, che pareva un gigantesco alveare, e il piccolo mago protestò:

«Cautela, padrone! Ricorda che un solo bacio può cambiarti!»

Teseo ridacchiò.

«Ma saremo al buio,» disse, «e tu mi aspetterai qui, al ritorno, e mi ridarai le sembianze dell’ammiraglio!»

Camminò con decisione nell’ombra, verso il luogo in cui avrebbe trovato Arianna.

Загрузка...