CAPITOLO VIII

Cnosso, la dimora di Minosse, era già una città. Il più grande, il più antico e il più splendido palazzo del mondo sorgeva su una collinetta, davanti al fiume Kairatos, tre miglia a monte della città marittima. Costruito e ricostruito per mille anni, esso copriva sei acri di terreno, e la sua massa si alzava per cinque piani, sopra la grande corte centrale. Le sue meraviglie erano note in ogni paese, e i magazzini rigidamente sorvegliati dalle guardie, sotto di esso, contenevano, secondo la voce popolare, il più grande tesoro del mondo.

A valle di Cnosso, verso il mare, sorgeva la città di Ekoros, che era la metropoli di Creta. Sulle collinette circostanti erano disseminate le ville dei nobili, dei grandi mercanti, e dei maghi più potenti; erano ville splendide, dalle pareti colorate, circondate da boschi d’olivi e di palme.

La città portuale, sotto Ekoros, copriva la foce del fiume con una serie ininterrotta di moli e di depositi. Là sostavano le navi mercantili che andavano in Egitto, e giungevano a Troia e a Micene e a Tirinto e su cento altre coste, trasportando vino e olio e stoffe purpuree e attrezzi di bronzo e le meravigliose opere d’arte di Creta, per riportare in cambio argento, oro, ambra, stagno e pelli dal nord, rame e porpora dalle isole, papiro, incenso e grano dall’Egitto, e perfino seta, giada e perle dal lontanissimo Oriente.

Teseo e Snish si fermarono per qualche tempo là dove la strada superava la cima di una collina, e guardarono lo splendore abbagliante del palazzo, e le case e le strade della grande Ekoros, e i mercati affollati del porto. Alla periferia della città, sotto il palazzo, videro un grande anfiteatro ovale, che pareva una grande ciotola, con ai lati file e file di sedili.

«Deve essere il luogo in cui si tengono i giochi,» mormorò Teseo. «Io combatterò laggiò. E, quando avrò vinto, tutto questo sarà mio!» Fece un ampio gesto, che comprendeva il palazzo e la città e il porto, e anche il mare. «E il regno degli stregoni e dell’Oscuro avrà finalmente termine.»

«Parole facili,» rispose Snish, in tono cinico. «Ma per realizzarle ci vorrà qualcosa di più.» Sorrise. «Come hai intenzione di partecipare ai giochi?»

«Essi sono aperti a chiunque voglia conquistare il trono di Minosse.»

«Ma nessuno lo fa, mai,» disse Snish. «Ora Minosse sta cercando il famoso capitan Fuoco, perché ha saputo leggendo le tavole del futuro ciò che potrà accadere durante i giochi. Se ti offri volontario per i combattimenti, non ci vorrà certo uno stregone, per scoprire il segreto del tuo travestimento!»

Teseo si accarezzò la barba dorata.

«E allora, non mi offrirò come volontario.»

Un taglialegna passò loro accanto, guidando due asini carichi di fagotti. Parlarono per qualche tempo con lui, facendo le domande che ogni straniero avrebbe fatto, e dopo un po’ di tempo il taglialegna indicò un oliveto che si trovava su di una bassa collina.

«Quello è un bosco sacro,» disse il taglialegna. «Al suo centro sorge un piccolo tempio, che copre il più antico tempio di Creta.» Abbassò la voce, e fece un rapido gesto propiziatorio. «Perché è laggiù che dal grembo della Madre Terra è uscita Cibele, nelle sue sembianze umane, per diventare madre dell’umanità.»

Fece schioccare la frusta nell’aria.

«Io ho visto Arianna,» si vantò. «Con la sua colomba e il suo serpente, ella viene al tempo in un palanchino dalle tende bianche. Arianna è la figlia di Minosse, ed è in lei che alberga Cibele. È un’incantatrice e una dea, e la sua bellezza è accecante come il sole.»

Sogghignò.

«Quando avrò venduto la mia legna,» disse loro, «berrò tre coppe di vino forte, e poi andrò al tempio di Cibele.» Sogghignò, e colpì con la frusta il dorso di un asino. «Tre coppe di vino, e anche la più orrenda sgualdrina diventa bella come Arianna.»


Teseo fece un rapido cenno allo stregone babilonese, e lui e Snish ripresero il cammino.

«Forse Arianna è una dea,» disse, piano. «Ma, in ogni modo, sarà mia… perché fa parte del premio che spetta al vincitore dei giochi.»

«O fa parte dell’esca,» gracchiò Snish, «che gli stregoni usano per attirare gli stolti tra le braccia della morte!»

Superarono un ponte di pietra, e giunsero a Ekoros. Quella era la parte povera della città, dove albergavano i piccoli artigiani, i piccoli mercanti, e i lavoratori del porto. Degli edifici miseri, di tre soli piani, davano un’aria triste alle strade squallide.

Le strade erano coperte di fanghiglia, di immondizie e di detriti. Le mosche ronzavano dappertutto. Il loro ronzio era un sottofondo incessante.

Delle donne magre camminavano nel fango, tenendo in testa delle giare d’acqua. Dei mercanti offrivano frutta e verdura, in un nugolo di mosche e di altri insetti. Mendicanti ciechi gridavano, chiedendo la carità. Delle donne affacciate ai balconi conversavano da una casa all’altra, gridando con voci stridule. Dei bambini nudi, nel fango, gridavano senza alcun motivo apparente.

O forse, pensò Teseo, guardando i loro corpi scheletrici, gridavano perché avevano fame.

«Creta è uno splendido impero!» disse. «Cnosso è il palazzo più bello della terra, ricolmo di tesori e di opere d’arte. I nobili e i mercanti e gli stregoni abitano nelle loro splendide ville. Ma questo è il popolo di Creta!»

«E non è in buone condizioni!» disse Snish, annusando. «Perfino le catapecchie di Babilonia sembrano giardini di rose, in confronto. Noi abbiamo del denaro; andiamo in un quartiere migliore.»

Affrettò il passo, ma Teseo lo fermò.

«Dammi il denaro.»

Riluttante, Snish consegnò la borsa che conteneva le monete d’argento. Teseo cominciò a comprare le merci degli sbalorditi mercanti, e passò i frutti e le torte ai mendicanti e ai bambini urlanti. La notizia di questa incredibile generosità si sparse in fretta, e ben presto l’angusta strada fu piena di gente. Snish tirò il braccio di Teseo, e il suo viso era verdastro per la paura.

«Attenzione, Gothung!» gracchiò, debolmente. «Gli uomini che hanno una taglia sulla loro testa non devono radunare delle folle intorno a loro. Andiamo…»

Un corno suonò, e la voce di Snish tacque. Il silenzio cadde sulla folla, rotto solo da ansiti e da rapidi mormorii di paura. La folla silenziosa cominciò a disperdersi, scivolando in vicoli oscuri e in atrii miserabili. Una donna venne accanto a Teseo.

«Vieni con me,» mormorò. «Nasconditi nella mia stanza, finché le guardie etrusche non se ne saranno andate. Io voglio di nuovo un uomo forte e coraggioso. Una volta ero nel tempio di Cibele. Ma la grande sacerdotessa mi ha cacciata, perché gli uomini dicevano che io ero più bella di Arianna!»

Teseo la guardò. Era un po’ curva, e il suo viso rivelava gli anni; era rugoso e magro.

«Ecco il denaro.» Versò le ultime monete d’argento nella mano di lei. «Ma io cerco Arianna.»

«Tu pensi che io sia troppo vecchia.» L’amarezza incrinò la sua voce, e le sue dita si chiusero come artigli sul denaro. «Ma Arianna è dieci volte più vecchia di me, e anche di più! È solo la magia che le da l’aspetto giovane e bello.» Gli tirò il braccio. «Ma vieni,» lo esortò, «prima che la dea ascolti le nostre bestemmie. Perché lei sta arrivando!»

Poi il corno suonò di nuovo. La donna fuggì nel fango. Come per magia, le strade erano diventate deserte. Era rimasto solo un bambino nudo, che la confusione aveva fatto cadere in un canale di scolo. Il bambino cercò di fuggire, cadde, giacque immobile, come se avesse avuto troppa paura, anche solo per gridare.

«Vieni, Gothung!» disse Snish, terrorizzato. «Questa strada non è luogo per noi.»


Teseo si liberò dalla stretta del mago, e si avviò in silenzio verso il bambino che stava singhiozzando, senza emettere alcun suono. Ma il corno suonò di nuovo, e due stalloni neri apparvero da una svolta della strada. Occupavano l’intera strada, e gli elmi di bronzo dei cavalieri sfioravano le pareti delle case, da entrambi i lati della via.

«Fate luogo!» abbaiò una voce furiosa. «Fate luogo, per il bianco palanchino di Arianna!»

«Scappa!» gridò Snish. «Gli etruschi…»

«Ma il bambino!»

Teseo corse verso il bambino nudo, che giaceva, pietrificato dal terrore, sul ciglio del canale di scolo. Ma era troppo tardi. Il bambino gridò una volta sola, sotto i grandi zoccoli, e giacque immobile.

Tremando, Teseo si gettò avanti, afferrò le redini e fermò il cavallo. Sollevò lo sguardo, per affrontare il cavaliere. Rosso per l’ira, l’etrusco lasciò ricadere sul fianco il corno d’argento, e portò la mano sull’elsa di una lunga spada di bronzo.

«Aspetta,» disse a voce bassa Teseo. «Lascia che la gente si tolga dalla tua strada.»

«Lascia le briglie, topo di fogna!» ruggì l’etrusco. «Per questo oltraggio, sarai gettato nei giochi!»

«È probabile,» disse Teseo, «ma non c’è fretta.»

L’altro cavaliere, nel frattempo, aveva estratto la sua spada. La calò con forza sul capo biondo di Teseo. Ma Teseo si spostò rapidamente. E la Stella Cadente, coperta di fuliggine com’era, tagliò di netto le dita dell’etrusco, e fece cadere nel canale di scolo la spada di bronzo.

L’etrusco ferito lanciò un grido di rabbia e di dolore. L’altro scattò, e spronò la sua cavalcatura, cercando di travolgere Teseo. Ma Teseo si aggrappò alle briglie, e si scostò dagli zoccoli dell’animale. E la spada d’acciaio, con due rapidi colpi, tagliò di netto le briglie e la sella.

La sella scivolò, e l’etrusco cadde all’indietro, nel fango. Le mosche si levarono in volo, disturbate nelle loro abituali occupazioni dalla caduta del soldato. Ma l’etrusco si rialzò subito, coperto di fango, impugnando la spada e lanciando bestemmie infuocate.

Teseo lasciò libero il cavallo, e si preparò ad affrontare l’etrusco. Ma le due lame non si erano ancora scontrate, quando una voce di donna, chiara e armoniosa, giunse ai due uomini:

«Aspettate! Chi ha fermato le mie guardie?»

Teseo vide che uno stupendo palanchino, portato da quattro schiavi muscolosi e ansimanti, era giunto alle spalle dei due cavalieri disarmati. Le tendine bianche si erano aperte, e l’occupante del palanchino si era alzata sui suoi cuscini, a guardarlo: Arianna!


Arianna dalle bianche colombe, incantatrice di serpenti! La donna del palanchino non poteva essere nessun’altra. Figlia di Minosse, e divino ricettacolo di Cibele, la Madre di Tutti.

«Chi osa fermare Arianna?»

La sua voce fiera era una melodia dorata. Toccò profondamente il cuore di Teseo, ed egli rimase immobile, a occhi spalancati, a suggere ogni stilla della sua incredibile bellezza.

La sua pelle era bianca, bianca come la colomba che riposava sulla sua spalla nuda. Le sue labbra erano rosse come il sangue, gli occhi verdi e freddi come il ghiaccio. E i capelli che le scendevano sulle spalle erano una cascata di fuoco.

Quei capelli erano rossi, più rossi dei capelli di capitan Fuoco. Era una splendida cascata di fiamma, dai riflessi incredibili e bellissimi, che le scendeva sul corpo bianco e slanciato.

Teseo cercò di ritrovare le forze. Aveva giurato di conquistare Arianna, come trofeo di vittoria nei giochi. Ora aveva rinnovato con forza incrollabile questo suo giuramento. Capì che essa valeva tutti gli immensi tesori di Cnosso, che la sua bellezza era un potere grande come la magia di Creta.

Teseo si domandò, per un istante, se Arianna fosse davvero vecchia come aveva detto la donna che aveva trovato prima nella strada, e questo pensiero fu confermato dalla luce di saggezza e di astuzia che brillava nei suoi occhi verdi e freddi. E pensò che soltanto una dea avrebbe potuto essere così bella.

Una imprecazione soffocata lo riscosse da questa contemplazione, e scoprì che l’etrusco disarcionato era giunto alle sue spalle. La Stella Cadente lampeggiò, per parare il colpo della spada di bronzo.

«Ferma!» disse la voce dorata di Arianna, per la seconda volta. «Lasciatelo parlare.» I freddi occhi verdi fissarono Teseo. «Il selvaggio è abile con la sua spada. Domandategli il suo nome, e quello che cerca qui a Creta.»

«Anch’io possiedo le orecchie.» Teseo sollevò la sua lama, in segno di sfida. «Ditele che io sono Gothung, un viaggiatore che viene dal nord. Ditele che ero venuto a Creta per offrire la mia spada a Minosse. Ma ditele anche che, dopo avere visto il popolo di Creta, preferisco combattere per esso.»

La dea sollevò il capo, furiosa, e gridò:

«Chiamate un altro distaccamento, e prendete il nordico insolente!»

Stringendosi la mano sanguinante, l’uomo a cavallo spronò l’animale, e sparì in fondo alla strada. L’etrusco disarcionato affrontò Teseo, facendo roteare la sua spada. Ma la Stella Cadente parò il colpo, e colpì a sua volta, tagliando di netto il braccio del disgraziato etrusco.

Teseo balzò avanti, e minacciò i portatori del palanchino.

«Posate il palanchino!» ordinò.

Minacciati dalla punta della spada, rossa di sangue, gli schiavi obbedirono. Teseo strappò le tende bianche, e guardò Arianna. Lei indossava una veste verde, e il suo corpo alto e slanciato era disteso sui cuscini. I suoi occhi verdi sostennero lo sguardo di Teseo, senza tradire alcuna paura.

«Quando il mio cavaliere tornerà con gli aiuti, nordico,» disse lei, piano, «tu rimpiangerai l’insulto fatto a una dea.»

«Nel frattempo, sono io il padrone.» La voce di Teseo era ugualmente bassa. «E la Madre di Tutti dovrebbe almeno mostrare pietà. Scendi.» La sua spada arrossata di sangue si mosse nell’aria. «Raccogli il bambino morto, nel canale di scolo.»

Lei rimase immobile, e i suoi occhi si velarono.

«Nessun uomo oserebbe!» mormorò.

Gli schiavi del palanchino ansimarono per l’orrore, quando Teseo mosse la spada, facendo penetrare la sua punta bagnata di sangue nel palanchino. Poi Teseo allungò la mano, e afferrò il braccio della dea, lasciando su di esso tracce di sangue.

Riuscì a trascinarla nella strada fangosa.

«Nordico!» La sua voce tremante era quasi inaudibile. «Per questo, sarai dato in pasto all’Oscuro!»

«Forse,» disse Teseo, «ma prendi il bambino.»

Alta, sprezzante, con la rossa impronta di sangue sul braccio, lei non si mosse. Teseo la spinse. Lei cadde nel canale, mise le mani avanti, per attutire la caduta, e si coprì di fango.

Ansante, in silenzio, lei si rimise lentamente in piedi. Le mosche volarono intorno a lei, il fango le colò dalle mani e sul vestito. Cercò di uscire dal canale di scolo. Teseo la fermò, con la punta rossa della sua spada.

«Il bambino,» ordinò, «Madre di Tutti!»

Per un istante, i suoi occhi verdi lo fissarono, enormi per lo stupore. Poi si oscurarono, e qualcosa brillò nella loro nebulosa profondità. Le sue mani infangate si strinsero, e poi, lentamente, si schiusero. Senza parlare, allora, lei si chinò, e prese il piccolo corpo inerte tra le braccia.

Teseo le strinse il gomito, l’aiutò a risalire sul palanchino.

«Così, Cibele,» mormorò, «cominci adesso a provare di essere davvero madre. Ma la prova non è compiuta, e ci incontreremo di nuovo, dopo i giochi.»

Le rosse labbra si schiusero, ma non ne uscì alcun suono.

Un altro corno suonò, e dal fondo della strada venne un rumore di zoccoli e un clangore di armi. Stringendo la Stella Cadente, Teseo si allontanò dal palanchino bianco. Scorse il viso esangue di Snish, che guardava furtivamente dalla porta di una taverna.

«Bene, ciabattino,» gridò, «non c’era alcun bisogno di offrirsi volontario!»

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