CAPITOLO XIX

Teseo ritornò all’interno del tempio. Andò dietro l’altare, penetrò nella fenditura a lui ben nota, frugò in una cavità, e trovò l’oggetto che vi aveva lasciato… il piccolo cilindro istoriato del muro della magia, appeso alla sua catena d’argento. Si mise la catena intorno al collo, dove aveva tenuto il prezioso papiro.

Cirone, nel frattempo, aveva avvolto quello che rimaneva del cibo nella tovaglia che copriva l’altare. Lasciarono il tempio, e l’alba li trovò in una vigna abbandonata, invasa dagli arbusti, sulla cima di una piccola collina rocciosa.

Aprirono la tovaglia, posarono a terra il loro bottino, e strapparono la stoffa, per farsi dei perizomi. La fresca aria aperta era incredibilmente dolce e deliziosa, dopo il fetore delle caverne, e il sole nascente riscaldò ben presto i loro corpi intirizziti.

Giacquero al sole per tutta la mattinata, l’uno mangiando e restando di guardia, l’altro dormendo, a turno. Nel pomeriggio, riposarono sotto l’ombra di un grande melo abbandonato, e Teseo parlò dei suoi piani, rispondendo a tutte le obiezioni di Cirone.

«I cretesi non ci crederanno,» si ostinava a dire Volpemaestra, «Perché chiunque lo faccia, sarà condannato automaticamente a scendere nel Labirinto.»

«Può darsi,» disse Teseo. «Ma ci sono degli uomini che ci crederanno… i nostri pirati! Essi sono schiavi, ora… quelli che sono rimasti in vita… nei recinti di Amur l’Ittita… così mi è stato detto, quando io ero ammiraglio. Loro ci crederanno, puoi esserne certo.»

Cirone scosse il capo.

«Può darsi,» brontolò, «ma anche se ci credono? Sono un semplice manipolo di uomini smunti, stanchi, torturati e carichi di catene, già percossi e vinti dalla potenza di Creta.»

«Perciò hanno motivi sufficienti per ribellarsi,» disse Teseo. «Come tutti i cretesi! E la verità che noi portiamo taglierà le loro catene e sarà la loro spada. Non esiste l’Oscuro… queste stesse parole vinceranno Minosse!»

«Sono parole che suonano bene,» ammise Cirone, «ma cosa sono le parole, contro le galere e i marinai di Phaistro, e contro i mercenari etruschi, e la potenza di bronzo di Talos, e tutti i poteri degli dei di Creta?»

Teseo accarezzò l’elsa della Stella Cadente.

«L’Oscuro era il più grande dio di Cnosso,» disse, «E noi l’abbiamo sconfitto.» Un sorriso gli sEorò le labbra. «Il ricettacolo di Cibele ha ceduto.» Il suo viso tornò di nuovo duro. «Restano solo Minosse, e il mago Dedalo, e l’Uomo di Bronzo… e, come l’Oscuro, anch’essi moriranno!»

Lasciarono la vigna al tramonto, e percorsero la strada per Ekoros. Teseo si avvicinò a un lavoratore bagnato di sudore, che tornava a casa dalla sua bottega, e gli domandò dove poteva trovare i recinti degli schiavi di Amur l’Ittita.

«Questa è una strana domanda!» Il lavoratore li guardò, con curiosità. «Molti uomini sono più ansiosi di lasciare i recinti, piuttosto che di trovarli. Ma, se i balzelli e le tasse vi costringono a vendervi ad Amur, prendete la strada a sinistra, dopo il bosco degli olivi, e passate la seconda collina… e state attenti, che le sue guardie non vi rapiscano per incassare la ricompensa e spenderla nelle peggiori taverne!»

Il crepuscolo s’incupì, e fu la notte, e la luna piena spuntò dietro le colline purpuree, a oriente; e allora Teseo e Cirone giunsero nelle vicinanze del recinto degli schiavi. Un’alta palizzata lo circondava, e agli ingressi c’erano delle guardie, appoggiate indolentemente alle aste delle loro poderose lance.

Teseo e Cirone si gettarono a terra, e strisciarono silenziosamente nella sterpaglia, verso la barriera. Attraverso i pali, videro che gli schiavi incatenati tornavano dalla lunga giornata di lavoro, sorvegliati da cupi guardiani.

Tutti i campi che si stendevano intorno, i giardini, i vigneti, appartenevano ad Amur, così aveva detto loro il lavoratore che avevano incontrato. Sue erano le fucine, le botteghe, i cantieri. E tutti i suoi schiavi venivano tenuti nel recinto, come bestie, durante la notte.

Il vento cambiò, e portò un odore rancido, nauseante.

In uno spazio aperto, tra le sudice baracche di legno e di pietra, e i trogoli nei quali gli schiavi potevano bere, in fila come animali, era acceso un fuoco. Sui tizzoni si trovava un enorme paiolo, più alto di un uomo, annerito dal fumo. Il paiolo vibrava, a intervalli, per un grido attutito di dolore.

Le mani di Volpemaestra si strinsero a pugno.

«C’è un uomo nel paiolo!» mormorò. «Ma che cosa possiamo fare?» Tremò. «Due uomini, con una spada… contro quella parete, e due dozzine di soldati di guardia! Arrostiremo anche noi, nel paiolo di Amur!»

«Noi abbiamo la Stella Cadente!» mormorò Teseo. «E, là dentro, abbiamo almeno un alleato… il guercio, legato a quel palo, è il nostro cuoco tirintiano, Vorkos. E abbiamo anche un grido di battaglia… Non esiste l’Oscuro!» Fece per alzarsi. «Andiamo, al cancello!»

Ma il pirata gli afferrò il braccio, e lo fermò.

«Aspetta, capitan Fuoco!» mormorò, raucamente. «Stanno arrivando dei guerrieri!»

Puntò il dito, e Teseo vide fiammeggiare delle torce, sulla strada di Ekoros. La luce veniva riflessa dalla punta di molte lance. Un corno d’argento squillò. Teseo e il dorico si nascosero di nuovo tra gli arbusti, per sorvegliare la strada.

La fiaccolata si arrestò davanti al cancello del recinto. Un plotone di guerrieri, che portavano le insegne gialle di Amur, era in testa al gruppo. Dietro di loro, quattro schiavi portavano il palanchino dalle tende dorate dell’ittita. Dietro il palanchino marciava un gruppo di neri sacerdoti minoici, che impugnavano delle lance.

La voce di Amur apostrofò le guardie del cancello:

«Ho promesso un dono agli dei. Tre giovani forti e tre belle fanciulle. Saranno allenati per i prossimi salti del toro, e se qualcuno di loro sopravviverà, andrà a nutrire l’Oscuro. Perché gli dei mi hanno favorito. Il mio nemico, Phaistro, è andato nel Labirinto, per alto tradimento. E io sono il nuovo ammiraglio di Creta!»

La sua voce era un rauco mormorio di trionfo:

«Presto, ufficiale! Accendi le torce, e prendi i giovani più forti e le fanciulle più belle… quelli che sono giunti con l’ultima nave del nord… affinché i sacerdoti di Minosse possano compiere la loro scelta!»

Nell’ombra, Teseo toccò il braccio del pirata Cirone.

«Aspetta,» mormorò, «che siano portati gli schiavi.»

«Aspetterò,» rabbrividì il dorico, «anche più a lungo!»

Delle torce si mossero, dietro i pali appuntiti del recinto. Le guardie spinsero dei gruppi di schiavi fuori delle baracche, li fecero fermare in lunghe file. E ancora, a intervalli, un lungo grido di agonia usciva dal nero paiolo.

Teseo udì la voce sprezzante di Amur.

«Il Normanno vive ancora, dopo un giorno e una notte nel paiolo? Questi pirati sono dei rami duri da spezzare. Ma il destino di Gothung sarà una lezione per coloro che non saltano, quando schiocca la frusta!»

Cirone tremò di collera.

«Gothung!» alitò, selvaggiamente. «Il mio fido timoniere, il mio amico! Vieni, capitan Fuoco… abbiamo atteso abbastanza!»

«Ma piano,» mormorò Teseo. «Finché non avremo raggiunto il cancello.»


Con il barbuto pirata dorico al suo fianco, Teseo raggiunse il cancello del recinto. L’alto cancello di legno non era stato chiuso, dopo l’arrivo di Amur. Sei guardie erano intorno al loro fuoco di guardia, appena oltre la soglia. C’erano cento passi per raggiungere l’apertura centrale, dove il paiolo bolliva con il suo macabro contenuto, producendo gorgoglii sinistri, e i sacerdoti neri stavano scegliendo le loro vittime.

Quando furono all’interno del recinto, dove le fiamme livide del fuoco di guardia li illuminavano, Teseo si fermò, e fece fermare Girone. Impugnò la Stella Cadente, in modo che i bagliori corruschi del fuoco facessero risplendere di luce sanguigna la sua lama d’acciaio, e gridò:

«Ferma! Non c’è bisogno di mandare altri giovani e altre fanciulle a morire nei giochi dell’Oscuro… non c’è bisogno di mandarli nel Labirinto, per nutrirlo. Perché l’Oscuro è morto!»

Un silenzio incredulo, sgomento, di totale, infinito sbalordimento, cadde sul recinto. Schiavi e guardie si fermarono insieme a guardare, increduli. Teseo si fece avanti, con Cirone al suo fianco, in modo da essere illuminato dalle fiamme tremanti dei fuochi.

«Io sono capitan Fuoco!»

La spada si levò di nuovo, e la voce di Teseo vibrò nell’aria:

«Qui, con me, c’è Cirone, la Volpemaestra. Voi tutti sapete che siamo stati gettati entrambi nel Labirinto, ad affrontare ciò che i vostri preti menzogneri chiamano la giustizia dell’Oscuro. Ebbene, invece, è stato l’Oscuro a incontrare la giustizia ateniese!»

La spada splendeva di luce rossa.

«Non esiste l’Oscuro… e non è mai esistito! Tutto il potere e la magia dei vostri padroni sono basati su una menzogna. Sollevatevi, schiavi! Unitevi a noi, soldati!» La sua voce era poderosa come un corno di guerra. «Compagni pirati, vendicate Gothung! A morte Minosse! Liberiamo gli uomini dalla tirannide menzognera della magia!»

Questa sfida riscosse Amur e i sacerdoti neri dalla paralisi che li aveva presi. Delle voci furibonde gracchiarono. Gli otto sacerdoti, con le lance puntate, si buttarono contro il cancello. E Amur gridò alle guardie di prendere gli intrusi.

Le guardie esitarono, però, evidentemente colpite dalla sfida di Teseo. Solo il loro capitano, quando gli uomini non obbedirono al suo comando, si gettò contro Teseo, levando in alto la sua spada. L’acciaio incontrò il bronzo, e l’antica gioia della battaglia trasformò l’acciaio in una folgore. Il capitano cadde, e Teseo gridò di nuovo:

«Non esiste l’Oscuro!»

«Questo è un sacrilegio!» gridò il capo dei sacerdoti. «L’Oscuro lo incenerirà… adesso!»

Ma Teseo non cadde. Andò avanti, invece, per affrontare i sacerdoti neri. E Cirone, strappando la spada e lo scudo al capitano caduto, lo seguì.

«Sollevatevi, compagni!» gridò il pirata. «Ricordate la sorte di Gothung! Non esiste l’Oscuro!»

Raucamente, in qualche punto delle baracche, il grido fu ripetuto. Corse tra le linee di schiavi in attesa. Echeggiò ovunque. Crebbe, diventò un urlo di furiosa rivolta. Gli schiavi si avventarono sulle guardie, usando come armi le stesse catene che li stringevano.

Teseo e Cirone affrontarono i neri lancieri. Due contro otto. Ma il primo colpo della Stella Cadente spezzò di netto l’asta di legno di una lancia, lasciò un inutile bastone nelle mani del prete. Cirone tagliò la gola a un altro sacerdote. Poi, alle spalle dei preti, le guardie arrivarono di corsa, gridando con una nuova luce negli occhi:

«Non esiste l’Oscuro!»

Il grido di guerra percorse la folle confusione che regnava nel recinto. Si levò al di sopra delle grida, e dei lamenti, e dei secchi comandi, e del cozzo furioso delle armi. Solo la metà delle guardie, solo la metà degli schiavi, si unirono alla rivolta e spezzarono le loro catene, e per un periodo interminabile le sorti della battaglia furono in dubbio. Teseo combatteva in un mondo di fuoco e di sangue zampillante e di calore e di fumo e di buio e di stanchezza e di grida di dolore… e l’esaltazione selvaggia della lotta trasformò la Stella Cadente in una creatura viva e terribile, tra le sue mani rosse di sangue.

«Date fuoco alle baracche!» gridò Amur, quando le sorti della battaglia si mostrarono sfavorevoli ai suoi fedeli. «Che arrostiscano… per la gloria dell’Oscuro!»


Le guardie di Amur corsero, impugnando le torce, tra le baracche misere degli schiavi, nelle quali una buona metà degli infelici era ancora avvinta in catene, e le trasformarono in ruggenti colonne di morte gialla. L’ira più selvaggia splendeva negli occhi di Amur, ed egli gridò, dal suo palanchino giallo:

«Gettateli tutti nel fuoco… l’Oscuro li troverà là!»

Ma i ribelli avevano trovato una nuova fiammata di forza e di valore, in quel rogo che avrebbe dovuto distruggerli! Anche gli schiavi nelle baracche brucianti ruppero le loro catene, oppure sollevarono i pali ai quali erano attaccate le loro catene, e uscirono a combattere, urlando.

La Stella Cadente tagliò la gola di un lanciere nero. E Teseo scoprì che la battaglia era finita. I sacerdoti minoici erano morti, e così pure tutte le guardie che non si erano unite ai ribelli.

Cirone gli afferrò il braccio.

«Riposati, capitan Fuoco!» ansimò il pirata, rosso di sangue nemico. «Te lo sei guadagnato!»

Teseo pulì la sua lama, e si guardò intorno. I vittoriosi superstiti della rivolta… circa duecento tra uomini e donne, schiavi e guardie ribelli… stavano indietreggiando dalle fiamme ruggenti delle baracche.

Delle grida di agonia e un tremendo, disperato gorgoglio, giunsero dall’enorme paiolo nero.

«Gothung!» gridò Teseo. «È ancora… vivo!»

Si diresse verso il paiolo. Ma Vorkos, il guercio cuoco tirintiano, stava rinfocolando i tizzoni del fuoco, sotto il paiolo. Indicò una cosa bruna e informe, vicino al fuoco.

«Quello è il nostro compagno,» disse «Ora c’è Amur nel paiolo… e non ho mai attizzato il mio fuoco con maggior piacere!»

Teseo camminò tra i sopravvissuti, salutando coloro che erano stati con lui sulla galera pirata. Poi montò su una catasta di stracci, vicino al fuoco dove Amur urlava e ululava di agonia, e disse:

«Uomini e donne! Siete stati schiavi… ma avete combattuto, e ora siete liberi. La cosa che vi ha liberati è una verità che Volpemaestra e io abbiamo portato indietro dal Labirinto. Non dimenticate…

«Non esiste l’Oscuro!»

Un grido di trionfo giunse dai ribelli, in risposta:

«Non esiste l’Oscuro!»

Teseo levò in alto la Stella Cadente.

«Eravate schiavi, e ora siete liberi, ma la vostra libertà è ancora in pericolo. Perché avete degli altri padroni… degli altri nemici. Ricordate… il loro solo potere è la menzogna dell’Oscuro!

«Minosse verrà contro di noi, ora, con i suoi mercenari etruschi. Egli ci attaccherà, con tutti i trucchi della sua falsa magia. Ma non esiste l’Oscuro… questa è la verità che distruggerà gli stregoni.

«Ora curate le vostre ferite. Toglietevi le catene. Armatevi, con le armi degli uomini che avete ucciso. Ma non dimenticate che la vostra arma migliore è questa verità… non esiste l’Oscuro!»

Un canto di vittoria si levò nella notte fumosa:

«Non esiste l’Oscuro!»

Teseo scese dalla pila di stracci, davanti al paiolo urlante, e Cirone gli afferrò il braccio. Rauca, per le grida della battaglia, la voce del pirata era piena di una nuova apprensione.

«Capitan Fuoco!» ansimò. «Le fiamme devono avere avvertito gli stregoni! Perché le vedette che abbiamo mandato in avanscoperta sono già di ritorno. Dicono che gli etruschi stanno già marciando in questa direzione, da Cnosso… forti di quattrocento uomini, e armati fino ai denti… per spazzarci via!»

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