CAPITOLO XVIII

Quel terribile corno ferì la sua carne nuda, e cercò di colpirlo di nuovo. Ma Teseo, automaticamente, parò il secondo colpo con la lama della Stella Cadente. Perché il corno veniva contro di lui come una lancia, e l’istinto sviluppato in centinaia di battaglie gli aveva insegnato a sostenere simili attacchi, anche nell’oscurità più profonda.

L’Oscuro combatteva come un uomo. Anche il breve grugnito che accompagnò il terzo colpo del corno, aveva un suono stranamente umano… finché l’eco delle pareti invisibili non lo amplificò, trasformandolo in un lontano muggito.

La fiducia si impadronì nuovamente di Teseo. Un dio che combatteva come un uomo poteva essere ucciso come un uomo. Impugnò la spada d’acciaio, lasciò che la punta del corno gli passasse accanto un’altra volta, e cercò di colpire là dove avrebbe dovuto trovarsi un uomo.

Ma, al momento di colpire, il suo piede scivolò in un crepaccio invisibile. Cadde in avanti. La mano che stringeva la spada colpì un aguzzo dente di roccia, e la spada cadde a terra, con un cupo clangore metallico.

Il dolore al fianco era terribile. Riuscì a mettersi in ginocchio, cercando disperatamente la spada. Trovò soltanto delle fredde lame di pietra. Il terrore lo paralizzò, quando udì dei passi venire verso di lui, sentì l’aria mossa dal terribile corno.

«Ora, mortale di Creta!» Quello strano ruggito era ancora familiare, una familiarità quasi allucinante. «Muori, per nutrire il tuo dio!»

Teseo si gettò a terra, lateralmente, evitando il colpo della strana arma.

«Io non sono di Creta,» ansimò, «e noi greci abbiamo una diversa regola di ospitalità… è l’ospite che deve essere nutrito!» La sua voce si abbassò, divenne un mormorio, una preghiera. «Qui, Stella Cadente!»

L’eco svani nel silenzio, e il silenzio riempì la caverna, un silenzio pieno di stupore. Poi…

«Greco?» ansimò la voce dell’altro. «Stella Cadente?» Il mormorio era umano, umanissimo, ora, e pareva ansioso, attonito. «Tu… tu non sarai… non puoi essere… capitan Fuoco?»

Improvvisamente, Teseo riconobbe quella voce e capì il perché della familiarità che vi aveva ravvisato.

«Cirone!» gridò. «Volpemaestra… sei tu!»

Quel lungo corno pesante cadde sulle rocce… e si spezzò, e Teseo capì che si trattava di una stalattite staccata dalla volta di roccia… e il pirata dorico lo sollevò in aria, in un abbraccio peloso.

«È meraviglioso ritrovarti, capitano,» singhiozzò Volpemaestra, «anche se mi sei costato un pasto!»

«È stato ancora meglio per me,» rispose Teseo, «perché ho pensato… ho quasi creduto… che tu fossi davvero l’Oscuro!»

«Ho deciso di farlo credere a tutti coloro che venivano mandati quaggiù,» mormorò Cirone. «Questo stratagemma è l’unica cosa che mi ha tenuto in vita, per i lunghi anni che sono passati da quando il gigante di metallo mi ha gettato nell’antro… quanti anni sono passati, capitano, da quando la mia galera è stata catturata dall’ammiraglio?»

«Non sono passati degli anni,» gli disse Teseo. «Saranno poco più di due lune, da quando sono salpato a bordo della nave catturata, per affrontare la flotta cretese, in compagnia di quel piccolo mago babilonese… lo ricordi?»

«Due lune!» ansimò Volpemaestra. «Non più di due lune? Capitan Fuoco, io sono rimasto qui, perduto in questa spaventosa tenebra, per metà della mia vita, ne sono certo. Il freddo e l’umidità di questa maledetta caverna oscura mi ha trasformato in un vecchio cadente. Altrimenti, il corno dell’Oscuro ti avrebbe sgozzato al primo colpo!»

«E non hai incontrato nessun Oscuro?» mormorò Teseo. «All’infuori di te?»

«Ero già mezzo morto per il terrore,» disse Cirone, «quando quel mostro metallico mi ha buttato nel Labirinto. Tutti gli stregoni mi avevano promesso che il loro dio mi avrebbe divorato subito. Ma in tutti questi anni… o in queste due lune, se può essere davvero un periodo così breve come tu dici!… l’unico dio delle tenebre sono stato io. Ho giocato all’Oscuro solo perché, perfino qui, un uomo deve pure mangiare!»


Teseo aveva ritrovato la Stella Cadente. Le sue dita carezzarono l’elsa istoriata, che conosceva così bene, e la fredda lama d’acciaio. A bassa voce disse al suo vecchio amico:

«Allora l’Oscuro non esiste?»

«Non qui, capitan Fuoco,» disse Cirone. «Benché io abbia camminato, strisciato e saltato per queste maledette gallerie per più di una vita… così mi è sembrato… prima che riuscissi a rendermene conto.»

Le sue dita stavano toccando le braccia e le spalle e il viso di Teseo, come quelle di un cieco.

«È magnifico ritrovarti, capitano!» mormorò.

«Così l’Oscuro non esiste!» mormorò Teseo, in tono assorto.

«L’acqua, cadendo sulla pietra, per gli imperscrutabili accidenti del destino, deve avere prodotto questa specie di immagine di un uomo dalla testa di toro,» disse Cirone, «e qualche antico cretese, perduto in queste caverne, l’ha trovata. Sarà stato già spaventato, così nel buio, in questo luogo orribile, e il suo grido involontario di paura è riecheggiato contro la volta, producendo un suono che era come un muggito di un toro infuriato. Così è nato l’Oscuro! O per lo meno, dopo questo lunghissimo tempo passato nelle tenebre, mi sembra questa la verità!»

Teseo strinse a sé la Stella Cadente.

«L’Oscuro è una menzogna!» Una forza nuova risuonò nella sua voce. «E il giogo di Creta… e tutto il dominio della stregoneria… sono basati su una menzogna! È la paura che siede sul trono di Minosse. È la paura che rappresenta la spada della magia. Ed è una paura senza motivo alcuno!» Si alzò in piedi, impugnando la spada.

«Questa verità è l’arma che cercavo, Volpemaestra. La porteremo lassù, nel mondo che ora si trova sopra di noi. Perché è questa la spada che può distruggere la tirannia di Minosse. È questa la torcia che può dar fuoco alla stregoneria di Creta!»

Cirone grugnì, con aria cinica.

«Minosse non ti incoraggerà certo a parlare,» disse. «E neppure i suoi sudditi oserebbero credere alla tua affermazione blasfema.» Il pirata dorico sedette sul terreno viscido e insidioso. «Comunque, è una domanda stupida, perché non possiamo uscire.»

«Possiamo tentare,» disse Teseo, «adesso ne abbiamo un motivo.»

«Per tutto questo tempo ho avuto un eccellente motivo,» brontolò Cirone. «E ho tentato. Non c’è modo di uscire. Solo la porta dalla quale siamo entrati rappresenta la via dell’uscita… e solo il gigante di bronzo può aprirla.»

Teseo si passò una mano sul mento.

«C’è un’altra strada,» disse, «E tu l’hai appena dimostrato.»

«Io?» La speranza si unì al dubbio, nella voce di Cirone. «Come?»

«Quando hai parlato della nascita dell’Oscuro. Prima che l’Oscuro fosse conosciuto, hai detto, qualche cretese il cui nome è stato dimenticato deve avere vagato, disperatamente, per questo tempio maligno.»

«Ebbene?» domandò Cirone.

«Non è certo entrato per il passaggio che il gigante di bronzo ha aperto per noi,» gli disse Teseo. «Perché si tratta di una scala di pietra, che deve essere stata costruita grazie al lavoro di molti uomini, e deve essere stata progettata da molti architetti. I loro padroni dovevano già conoscere l’esistenza di questa caverna. Così, deve esistere un’altra entrata, un’entrata più antica e naturale!»


Il dorico grugnì, sconsolato.

«Forse esiste… o esisteva, duemila anni fa. Ma non abbiamo modo di scoprirla. Io ho seguito almeno cento passaggi interminabili e tortuosi, partendo da questo tempio dell’Oscuro… e sempre, alla fine, mi sono ritrovato qui!»

Batté i denti, e disse, raucamente:

«A volte, capitan Fuoco, penso che ci sia davvero una forza maligna in questa immagine di pietra, che guida qui gli uomini, a morire, perché il suolo della caverna, intorno all’immagine, è pieno di ossa marcite.»

Le sue dita, fredde e tremanti strinsero il braccio di Teseo.

«Forse esiste un Oscuro!» mormorò. «Forse, la divinità ci permette di negarla solo per gioco, finché, dopo mille circoli viziosi, ci attira a lei, perché noi depositiamo le nostre ossa davanti alla sua immagine.»

«Non dire questo… perché l’Oscuro non esiste!» Ma la voce di Teseo tremava. «Vieni… per lo meno, possiamo cercare una via d’uscita.»

«Io ti aspetterò qui,» brontolò Cirone. «Tra un giorno o due… con l’Oscuro a guidarti… sarai di ritorno… pensando di essere quasi riuscito a fuggire,» grugnì di nuovo. «Forse, quando sarai di ritorno… se gli stregoni avranno di nuovo nutrito il loro dio… ci sarà qualcosa da mangiare, anche per te.»

Teseo tacque per qualche tempo.

«Credo di sapere come potremo trovare la strada,» disse, alla fine. «La Stella Cadente ci farà da guida!»

«Una spada!» brontolò Girone. «Ma non può certo parlare!»

«Mi ha guidato attraverso il deserto e attraverso il mare,» gli disse Teseo. «Mio padre mi ha detto che il suo metallo è caduto dal cielo settentrionale. E ancora, quando è sospesa a un capello, la sua punta cerca la Stella del Nord.»

Girone grugnì, dubbioso.

«Forse potrai dire la direzione, come facevi sul mare,» ammise, «ma a che serve, se non sappiamo da quale parte dobbiamo andare?»

«Forse,» disse lentamente Teseo, «credo di saperlo. In ogni modo, l’Oscuro non potrà farci tornare qui, senza che ce ne accorgiamo.»

Cirone si alzò, riluttante.

«Allora, guidami tu,» disse, cupamente. «Sarà una lunga strada, per due uomini che vanno a tentoni nel buio. E probabilmente… a dispetto della tua spada… terminerà qui, davanti a questa maligna figura.»

Teseo si era portato una mano al capo, e si era strappato un lungo capello rosso. Lo legò attentamente intorno alla lama d’acciaio, nella minuscola rientranza piatta che segnava il punto mediano della spada. Aspettò pazientemente che la spada ondeggiante si fermasse, poi la toccò con le dita.

«Questa è la strada che dobbiamo seguire.» Tenne ferma la spada, affinché Cirone sentisse qual era la sua direzione. «Avanti, oltre la roccia con le grandi corna.»


Il dorico lo seguì. Non era facile mantenere una direzione, anche approssimativa. Giunsero in fondo ai corridoi ciechi, furono costretti a tornare indietro, a interrogare di nuovo la spada, e a scegliere un altro corridoio.

Erano entrambi sfiniti per la fame, e i loro corpi tremavano per il freddo e l’umidità. I piedi dilaniati lasciavano invisibili tracce di sangue sulle rocce. I loro corpi nudi erano martoriati dalle punte aguzze di pietra che sporgevano dovunque.

Cirone voleva tornare indietro.

«Non sono mai stato risoluto quanto te, capitan Fuoco,» brontolò. «Mi piace una buona lotta… ma preferisco molto un buon pasto. E, se torno dall’Oscuro, presto o tardi Minosse me lo manderà, il pasto che desidero. Tu sei troppo duro, capitan Fuoco. Sei duro, di metallo invincibile, come la tua spada… abbastanza duro e ostinato da combattere gli dei.»

«E,» mormorò in tono cupo Teseo, «da vincerli!»

«Allora vai avanti,» gli disse Cirone, «Io torno indietro.»

«Non ora, Volpemaestra,» disse Teseo, e lo toccò con la punta della Stella Cadente. «Tu verrai con me… in un modo o nell’altro.»

Cirone sobbalzò, si rimise in piedi.

«Allora preferisco venire con te, vivo,» ansimò, preoccupato. «Metti via quella spada! So che scherzi, capitan Fuoco… spero che tu scherzi.» Batté i denti. «Ma sei un uomo duro e deciso a ottenere il tuo scopo. Vengo con te, non temere!»

Continuarono a salire, attraverso interminabili passaggi scivolosi e umidi. Passarono a nuoto dei cupi laghi sotterranei, strisciarono dove non era possibile camminare, raggiunsero pareti insuperabili e tornarono indietro, per cercare un’altra strada, e interrogarono sempre la spada per mantenere la stessa direzione.

Poi venne il momento in cui Cirone cadde, e non si rialzò. «Sono finito, capitan Fuoco,» mormorò debolmente. «Tagliami la gola e bevi il mio sangue, poi potrai proseguire. Ma io sono finito. Può esistere una strada… ma solo la luce potrebbe indicarcela.»

«Allora,» disse Teseo, «avremo la luce.»

Avvolto intorno al collo, dove era all’asciutto, riparato dal sudore del corpo, Teseo aveva portato con sé il rotolo di papiro in cui Arianna aveva nascosto la Stella Cadente. All’interno di esso c’era una pietra focaia, che Teseo aveva preso nella caverna dell’Oscuro.

Strappò una parte del papiro, l’arrotolò bene, fece cadere delle scintille dalla pietra focaia, servendosi della lama della Stella Cadente. Il papiro si accese, e ci fu un’esplosione di luce… il primo raggio di luce che Teseo avesse visto in tutto il nero Labirinto.

«Luce!» singhiozzò Cirone. «Una luce!»

«Il libro dei morti,» disse Teseo, «ma può guidare i vivi. Grazie agli egiziani, e ai papiri che possono essere portati dovunque.»

Proseguirono. Teseo spense la minuscola torcia, quando ebbe mostrato loro una possibile strada da seguire. Per una dozzina di volte la riaccese, e la spense… e guardò sempre il fumo. Finalmente, esso fluttuò lievemente, indicando la presenza di una corrente d’aria. Seguirono la direzione opposta. E quando la fievole fiamma si spense, non si trovarono più nell’oscurità completa di prima. C’era una vaga luce grigiastra.

La luce del giorno!

Tremanti e ansanti, si arrampicarono verso la luce. Ma un grande macigno, nel corso dei secoli, per qualche accidente della natura, era caduto e bloccava il passaggio. La sottile fessura aperta non lasciava passare i loro corpi.

Deboli per la stanchezza e la fame, in preda alla disperazione più nera, giacquero sotto quella luce preziosa. Lentamente essa diminuì, e poi ci fu solo il buio. Teseo, scivolando pigramente nel nulla, pensò che quella era stata forse l’ultima luce.

Ma si svegliò, dopo qualche tempo, pieno di forze e di speranze rinnovate. Una pallida luce spettrale filtrava di nuovo dalla fessura, ed essa guidò la punta della Stella Cadente. La pietra, indebolita dal tempo, cadde sopra di loro, mentre la lama scavava nella fessura. Finalmente, Teseo scosse il corpo immobile di Cirone.

«Vieni,» mormorò, «la strada è aperta.»

Le sue parole risvegliarono il dorico, quasi per magia.

Si infilarono nel passaggio che Teseo aveva scavato, e finalmente uscirono, all’interno di un piccolo edificio a forma di alveare.

La luce della luna entrava dalla porta. Batteva sugli scalini dell’altare, sugli sterpi, e rischiarava l’altare, dove si trovavano delle offerte, datteri, dolci, un pezzo di pesce affumicato, una ciotola di olive, e una giara di vino.

«Dove…» ansimò Cirone, «che cosa…» Cadde davanti all’altare, la sua mano afferrò il pesce.

«Questo è il tempio di Cibele,» gli disse Teseo. «I cretesi credono che la loro dea sia nata dalla terra e dall’Oscuro, attraverso la fessura dalla quale noi siamo usciti, per essere madre…» La sua bocca era piena di datteri, e non aggiunse altro.

La luna piena splendeva alta nel cielo, quando alla fine essi uscirono, barcollando come ubriachi dal tempio di Cibele. Gli ulivi del bosco sacro erano ombre nere, sotto i raggi d’argento dell’astro. La valle di Kairatos era silenziosa e oscura, sotto di loro, e la città di Ekoros giaceva quieta, sotto la sinistra collina del minaccioso palazzo di Cnosso.

«Siamo usciti vivi dal Labirinto.» La voce di Teseo era bassa, ma piena di esultanza selvaggia, e la sua mano stringeva con forza l’elsa della Stella Cadente. «E abbiamo portato con noi il segreto che ci farà conquistare Creta!»

Barcollando, per l’effetto del vino bevuto con liberalità, Cirone sputò i noccioli di dattero che aveva in bocca, e grugnì, in tono cinico:

«Ma non abbiamo portato con noi alcuna prova,» fu la sua risposta. «E la bestemmia è il crimine più nero. Ci manderanno immediatamente dall’Oscuro… e vorranno essere sicuri che ci restiamo!»

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