CAPITOLO XXI

Fuori, nel labirinto dei corridoi e delle sale, Teseo afferrò un servo di palazzo, che era rimasto sorpreso dall’invasione, e gli puntò la Stella Cadente contro la gola.

«Dove sono le camere di Arianna?» domandò.

Lo spaventato artigiano rabbrividì, promise con voce fioca di indicare loro la strada.

Tutto il palazzo era un solo brusio, ora, un alveare umano disturbato nel sonno dalla mano del pastore. Lampade e torce brillavano nei corridoi oscuri. Uomini, donne e bambini, schiavi e liberi artigiani che abitavano e lavoravano in quel groviglio di spazi e di pareti, stavano urlando, fuggivano in ogni direzione. Teseo e i suoi uomini si imbatterono in altre barricate, erette dai preti minoici, e riuscirono a superarle dopo dure battaglie.

I cadaveri cadevano, i lancieri morivano, la Stella Cadente si apriva la strada nei corridoi tenebrosi. Ma la morsa fredda della paura gravava su Teseo, e la sua forza aumentava a ogni passo. Gli parve, di nuovo, che il successo fosse stato troppo, troppo facile.

C’era qualcosa di sbagliato, ed era allucinante. Una dozzina di enigmi insoluti si agitavano nella sua mente. Perché avevano incontrato così pochi uomini armati… se il palazzo non era una trappola? Dov’era Talos? Quale partito avrebbe scelto Arianna? E cosa poteva aspettarsi, dal muro della magia? Perché… ed era l’enigma più angoscioso!… Minosse era cambiato così misteriosamente, dopo la sua morte?

L’artigiano li guidò nei grandi, lussuosi appartamenti di Arianna. Degli alti lamenti li accolsero, ed essi si imbatterono in una dozzina di fanciulle del tempio, dalle lunghe vesti rosse. Esse erano armate con archi e pugnali, ma non opposero resistenza.

Teseo entrò come una furia nella camera da letto. Strappò le tende del letto, spalancò un grande ripostiglio, aprì la porta del bagno. Arianna era scomparsa.

Afferrò per i capelli una delle fanciulle, le sfiorò la gola con la punta della Stella Cadente, e le domandò dove fosse la sua padrona. La fanciulla era muta per la paura. «La dea se n’è andata!» mormorò, alla fine. «È fuggita… non sappiamo dove!»

Teseo lasciò andare la fanciulla, rimase immobile, perplesso.

«Capitan Fuoco!» La sottile voce nasale era familiare. Teseo si voltò rapidamente verso la porta, e vide la forma tozza di Snish. Gli occhi gialli del piccolo babilonese parevano sul punto di schizzargli dalle orbite; nella enorme bocca da rospo, i denti battevano rumorosamente. «Capitan Fuoco!»

«Snish… amico mio!» lo salutò Teseo, con un sorriso di sollievo. «Non hai niente da temere… i miei uomini hanno ricevuto l’ordine di non farti alcun male. Stai bene? Come sei riuscito a fuggire, quella notte, nel bosco d’olivi?»

Il piccolo stregone venne verso di lui, con aria ansiosa.

«Una delle fanciulle del tempio di Arianna mi ha preso a benvolere,» pigolò, «e mi ha tenuto nascosto.» Scoprì i grossi denti gialli, in un debole sorriso. «Entro i loro limiti, le mie infime arti sono utili in amore!» La voce nasale si abbassò. «Padrone, ti ho portato un messaggio della dea… lei stessa me lo ha richiesto!»

Teseo rabbrividì, ansiosamente.

«Di Arianna?» si avvicinò a Snish. «Qual è il messaggio?»

La voce di Snish diventò un mormorio nasale:

«Ti sta aspettando su una torre, sul tetto. Ti chiede di andare da lei. Io ti mostrerò la strada. Ma devi lasciare qui i tuoi uomini.»

Per un istante Teseo rimase immobile, soppesando la Stella Cadente. Ascoltò il brusio minaccioso che aumentava continuamente di volume, all’interno del palazzo, guardò i suoi uomini dal volto duro, poi fissò i lineamenti da rospo di Snish. Prese una decisione.

«Aspettami,» disse al cuoco guercio, «ma, se non sarò tornato nel tempo che impiegherebbe un bardo a cantare la canzone di battaglia di Tirinto, prendi tutto il bottino che riesci a raccogliere, e raggiungi Cirone.»

«Sì, capitano,» brontolò Vorkos. «Ma guardati da questi stregoni!»

Voltandosi verso Snish, Teseo disse:

«Sbrigati!»


Muovendosi rapidamente, il piccolo stregone guidò Teseo attraverso una rete di corridoi, di scale e di sale comunicanti, una rete così intricata che Teseo perdette il senso della direzione. Alla fine, premendo sui battenti di una porta, in un punto della parete dove non era visibile alcuna fessura, Snish lo guidò per una lunga scala, buia e tortuosa.

Bruscamente, dietro la porta segreta, tutti i rumori e la confusione del palazzo sparirono. Non c’era alcun suono, su quella nera scala di pietra… ma lo stesso silenzio era teso, minaccioso.

Teseo tenne alta la torcia, con una mano, e strinse l’elsa della spada sguainata con l’altra. Sapeva che i suoi compagni non avrebbero mai potuto seguirlo in quel luogo. Era solo. La sua spada sfiorò la schiena del piccolo mago, che sbuffava e ansimava.

«Se questo è un tradimento, Snish,» lo avvertì, «tu sarai il primo a morire!»

Il piccolo mago babilonese si voltò, e, alla luce della torcia, il suo piccolo volto giallastro lo fissò, livido e spaventato a morte.

«Padrone!» La sua voce nasale tremava. «Pur vedendo che ho rischiato la vita per portarti questo messaggio, ancora non ti fidi di me?» Singhiozzò, e si soffiò il naso. «Non ho provato di essere degno della tua fiducia? Non ti ho salvato la vita una dozzina di volte?»

«Può darsi,» disse Teseo, «Ma ora guidami… presto. Ti ho avvertito!»

La scala nera li portò in alto, e, finalmente, raggiunsero una grande sala immersa nella penombra. La polvere fece tossire Snish, e la torcia gettò strane ombre irreali sulle pareti. Gli angoli erano coperti da tele di ragno. Teseo si guardò intorno, perplesso.

Le pareti tenebrose erano coperte di assi, piene di giare sigillate, etichettate, che contenevano rotoli di papiro. C’erano montagne di tavolette d’argilla. Dei lunghi scaffali erano pieni di strani vasi di metallo, di forma ovoidale ed ellittica. Su di essi si trovavano delle strane targhe, di un metallo che era uguale a quello della Stella Cadente. Altri scaffali erano pieni di cubi trasparenti, di una sostanza che pareva cristallo, ma risultava stranamente opaca, e all’interno si vedevano strani oggetti: rocce, per la maggior parte, ma di colori e di fogge che Teseo non aveva mai visto sulla Terra. C’erano anche strani oggetti che parevano piante e funghi, ma i colori erano diversi e assurdi. E quadri, di strani colori e di sostanze ancora più strane, che mostravano cieli pieni di stelle, costellazioni che Teseo non riconobbe, e paesaggi rossi e cupi, ancor più incredibili delle stelle.

Apparecchi di metallo e di rame rilucevano cupamente in un angolo. E c’era anche una strana verga nera, con un foro al centro, e uno strano cerchio rialzato su un lato, un disco che pareva infilarsi nella verga, ed essere mobile.

Appollaiato su una grande sfera d’argento, levigata, che si trovava su una selva di lunghi tubi neri, di fili sottili e sinuosi di rame, e di specchi della medesima, misteriosa sostanza di alcuni vasi, c’era un nero avvoltoio. L’uccello li fissò, con aria malevola, e occhi iniettati di sangue.

Teseo puntò la spada, tremando, contro la schiena di Snish.

«Aspetta!» ansimò. «Che posto è mai questo?»

Nel veloce sobbalzo del piccolo stregone c’era qualcosa che lo fece somigliare stranamente a un rospo.

«Questo è il laboratorio di Dedalo, chiamato l’artificere,» gracchiò, «ma fidati di me, padrone… e abbassa la tua spada!» I suoi occhi parvero schizzargli dalle orbite. «Veramente, ti sto conducendo dalla dea. C’è solo un’altra rampa di scale.»

«Avanti,» gracchiò Teseo, «ma se incontriamo lo stregone… egli morirà!»

L’avvoltoio emise un grido rauco e allucinante, e il suo sguardo sinistro li seguì, attraverso la lunga sala polverosa. La torcia illuminò una stretta rampa di scale, e Snish avanzò di nuovo. Salirono su un tetto cintato da un grande parapetto, che si stendeva sotto la luna, e una fredda ventata spense la torcia.

Teseo guardò davanti a sé, incapace di parlare.


Davanti a loro, splendente sotto la luna, c’era una cosa quale lui non aveva mai visto né immaginato. Somigliava vagamente a una nave, perché c’erano delle ampie vele di bianco lino, e degli alberi sottili di legno levigato, e corde di filo sottile e rilucente. Ma le vele erano orizzontali. La cosa poggiava su ruote che parevano di seta. Non c’era uno scafo vero e proprio, ma solo una piccola cabina, al centro della tela di ragno di legno, stoffa e metallo. Una porta si aprì, nella cabina.

«Capitan Fuoco!»

Era la voce di Arianna, chiara e dorata, eppure stranamente velata da un inesplicabile brivido.

«Sei arrivato… lo sapevo che saresti venuto!»

Scese dei gradini quasi trasparenti. La luna piena illuminò il rosso splendore dei suoi capelli. Il suo corpo alto e slanciato era bello come sempre, e indossava una veste verde, rivelatrice e stupenda. La cintura serpentina si attorceva intorno alla sua vita esile, e gli occhi di rubino scintillavano, maligni.

La dea si avvicinò a Teseo. Le sue braccia nude lo circondarono, lo attirarono a lei. Alzò il viso, candido e seducente sotto la luna d’argento. Teseo la baciò… ma continuò a impugnare, con mano ferma, l’elsa della Stella Cadente.

Le labbra rosse di lei si staccarono dalle sue. Gli strinse il braccio che impugnava la spada, lo attirò verso quella fantastica nave argentea ed eterea.

«Sono così felice, capitano!» mormorò, raucamente. «Ti ho aspettato… e ho aspettato Keke, la mia povera colomba bianca, che si è spaventata per il combattimento, ed è volata via. Ma lascerò qui Keke.»

Lo strinse forte, e le sue braccia erano vive e vibranti, si aggrappavano a lui con un’intensità alla quale era difficile resistere.

«Sapevo che saresti venuto da me, quando il tuo lavoro a Creta fosse stato compiuto. Perché me l’hai promesso. E io sono pronta, capitano. Saremo in Egitto prima dell’alba!»

Teseo rimase fermo.

«Che cos’è questo… questo oggetto?»

«Questo è il frutto più prodigioso di tutta la magia di Creta,» gli disse Arianna. «È una macchina, che vola come un uccello. L’ha costruita Dedalo… ed è più sicura della prima, fragile macchina, quella che ha ucciso suo figlio. È mossa da un motore… dalla forza del fuoco,» aggiunse, vedendo che Teseo non capiva. «E può portarci sicuramente oltre il mare, in Egitto, veloce come le ali degli avvoltoi.»

La sua mano calda lo strinse di nuovo.

«Vieni, capitano!»

«Ma perché dobbiamo andare in Egitto?» domandò Teseo. «Stanotte?»

«Ma non capisci?» La sua voce dorata era supplichevole, ansiosa. «È per quello che tu hai fatto. Tu hai distrutto l’Oscuro. Hai ucciso Minosse. Hai sollevato il popolo, contro tutti i maghi e gli dei.»

Il suo corpo caldo rabbrividì, contro il suo, e lui sentì la fredda presenza sinuosa della cintura serpentina.

«Non capisci?» Si strinse a lui. «Devo andare, per salvare la mia vita. Il popolo mi brucerà viva, nel tempio di Cibele.» Le sue labbra tremanti lo baciarono. «Ma io ho aspettato te, capitano.»

Teseo strinse forte quel corpo alto e slanciato, la baciò sulle labbra, fino a quando entrambi non furono storditi, come inebriati da un vino dolcissimo. Ma Teseo riuscì a mantenere il dominio di sé… e con la coda dell’occhio, egli continuò a sorvegliare Snish, che si era ritirato in un angolo, e la sua mano impugnò con forza l’elsa della Stella Cadente.

«Vieni, mio capitano,» lo supplicò Arianna. «La macchina è carica dei miei gioielli, e di tutto l’argento che essa può trasportare. Se non sarai felice in Egitto, potremo volare lontano, proseguire il nostro viaggio fino ai confini del mondo.»

Ma Teseo aspettò, vigile.

«Forse è come tu dici. Ma vedi, io non sono sicuro,» mormorò, «che il mio compito a Creta sia finito.»

Il corpo snello di lei si tese.

«Tu hai ucciso Minosse,» protestò, in fretta. «Hai sollevato il popolo contro i maghi, e infranto il potere dell’Oscuro. Cos’altro ti rimane da fare?»

Teseo guardò, e vide una bianca colomba che veniva, battendo lentamente le ali, su dalla scala tenebrosa. La colomba si posò sui capelli profumati di Arianna. Lei sollevò la mano, strinse la colomba, la baciò sulla piccola testa bianca.

«Mia piccola, adorata Keke!» mormorò. «Mia povera, bianca colomba. Ti sei perduta? Hai paura? Vuoi volare con noi, con le ali del mago, vuoi venire in Egitto?»

Tubando piano, la colomba si posò sulla sua spalla. Piegò il capo, e i suoi occhi intelligenti fissarono Teseo. Quegli occhi brillarono, alla luce della luna. C’era qualcosa di familiare in quegli occhi neri, qualcosa di… spaventoso!

Arianna cercò la mano di Teseo.

«Ora, capitano,» disse con ansia la sua voce dorata, «Keke è tornata. Andiamo… prima che il popolo invada la torre, o le dia fuoco!»


Ma Teseo era indietreggiato, in fretta. La Stella Cadente era pronta, nella sua mano. Come una cosa viva, la lama lampeggiò nella luce della luna, e recise il capo della colomba bianca.

L’uccello cadde dalla spalla di Arianna. Rotolò al suolo, e giacque immobile. La voce dorata di Arianna risuonò, secca, piena di dolore e di collera.

«Che cosa hai fatto?» singhiozzò. «La mia bella Keke!»

Ma Teseo rimase immobile, guardando attentamente il bianco uccello decapitato. Lo vide cambiare sotto la luna, i suoi lineamenti si confusero, ingigantirono. Diventò il corpo di un uomo, nudo, curvo, peloso, raggrinzito dagli anni. Era decapitato, come l’uccello, e un fiotto di sangue nero usciva dal collo mozzato.

Teseo trovò la testa nera, sanguinante, vicino ai piedi di Arianna. La mosse col piede, in modo da poter vedere il volto. Orribile nella morte, con una smorfia inumana sulle labbra, vide il viso nero, scheletrico di Dedalo.

Pallida e immobile, Arianna emise un rumore soffocato.

«Non, non sono pronto a venire con te in Egitto,» le disse Teseo, in tono grave e lento. «Credo di avere un altro compito da ultimare. Se mi vorrai aspettare, tornerò da te quando tutto sarà finito.»

Si rivolse a Snish.

«Vieni con me,» disse al piccolo mago, che tremava, con gli occhi sbarrati. «Trovami l’uomo di bronzo, Talos, Voglio vedere qual è il suo aspetto… morto!»

Il viso pallido di Arianna era una maschera di terrore.

«Non puoi,» mormorò, ansiosamente. «Capitano, tu non sai cosa ti aspetta. Tu non capisci che gli dei non sono… di questa terra. Non sono come te, e la loro…»

Socchiuse le labbra. Un’espressione di terrore le gelò il viso. Si portò la mano alla gola, in un gesto disperato. Sollevò gli occhi al cielo, come se volesse invocare un aiuto misterioso, come se le stelle che brillavano negli spazi siderali potessero salvarla da un orribile destino. Poi, parve che qualcosa l’avesse paralizzata. Non finì la frase, ma mormorò qualcosa, e fu come un grido di dolore soffocato.

«Aspetterò,» disse.

E Teseo seguì il piccolo mago tremante, giù per la scala tenebrosa che portava nell’oscuro laboratorio di Dedalo.

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