«E gli etruschi,» continuò Cirone, ansiosamente, «non possono essere sconfitti dalla semplice verità sull’Oscuro, perché a loro non importa nulla che esso esista o meno… Combattono per denaro, e Minosse permette loro di adorare i loro perversi dei, senza curarsi dell’Oscuro.»
Gli occhi di Teseo fissarono l’alta palizzata, il rosso letto di tizzoni che fumava là dove c’erano state le baracche, i ribelli stanchi per la battaglia. Drizzò le spalle, e strinse forte l’elsa della Stella Cadente.
«Se gli etruschi combattono per denaro,» disse, «combatteranno per noi, quando avremo preso il tesoro di Cnosso.»
Cirone spalancò gli occhi, e grugnì dubbioso.
«Cento uomini,» gli disse Teseo, «possono tenere la palizzata fino all’alba, anche contro mille nemici. Lascerò te a presidiarla. Io prenderò sessanta uomini, passerò oltre le linee degli etruschi, e attaccherò il palazzo stanotte.»
«Stanotte?» ansimò Cirone.
Cirone studiò il viso dell’acheo, alla luce dei fuochi, e fissò dubbioso il buio, nella direzione di Cnosso.
«Cento uomini,» disse, «possono tenere il recinto… contro gli etruschi. Ma Minosse può mandare dei fulmini, per incendiare la palizzata! O l’uomo di bronzo ad abbatterla!»
«Non devi temere questo,» gli promise cupamente Teseo. «Io terrò occupato Minosse, con tutte le sue magie, a Cnosso.»
Ma il peloso pirata gli strinse di nuovo il braccio.
«Vorrei che tu non mi lasciassi, capitan Fuoco.» La sua voce era tremante, soffocata. «Siamo stati compagni in molti pericoli.» Inghiottì. «Prendiamo… prendiamo tutti coloro che vogliono seguirci, e apriamoci la strada verso il porto. Saremo in mare all’alba, sulle migliori galere di Creta!»
«Avrai quelle navi, Cirone… quando avremo preso Cnosso,» promise Teseo. «Ora ho intenzione di chiamare sessanta volontari, per assalire Cnosso e porre fine al regno della magia.»
Salì di nuovo sulla pila di stracci, e domandò ai volontari di farsi avanti, e aspettò. Nessuno si fece avanti.
«Possiamo combattere gli uomini,» brontolò il guercio cuoco tirintiano. «Ma tu ci chiedi di muovere guerra ai maghi, agli dei e al gigante di bronzo!»
La Stella Cadente mandò lampi rossi, alla luce dei fuochi.
«Ed essi possono essere distrutti!» gridò Teseo. «L’Oscuro era il più grande dio di Creta… e l’Oscuro era una menzogna! La cieca paura è la spada e lo scudo della magia… ed è la paura dei trucchi e delle menzogne!»
Sospirò, e aggiunse:
«Seguitemi… e ricordate che non esiste l’Oscuro! Gli stregoni e gli dei cadranno davanti a noi. Anche l’uomo di bronzo non può resistere a questa verità. Ora, chi viene con me a prendere il bottino di Cnosso?»
Dopo una breve pausa, carica di disagio, il cuoco guercio si fece avanti, da solo:
«Io vengo con te, capitan Fuoco!» mormorò Vorkos. «Dobbiamo distruggere gli stregoni, come tu dici… o saremo distrutti!»
Teseo indicò il grande paiolo nero.
«È una legge di Minosse,» disse, «che gli schiavi i quali uccidono i loro padroni muoiano per lenta tortura. Il paiolo tace, adesso. Dobbiamo uccidere Minosse stanotte!»
Questo sinistro ragionamento fece muovere un buon gruppo di uomini, decisamente. Si fecero avanti quasi tutti i pirati sopravvissuti, e anche alcune delle guardie ribelli. Sei delle bionde schiave nordiche si fecero avanti con gli uomini. Dapprima Teseo pensò di fermare le donne. Ma quando vide l’espressione dei loro volti, e la maniera in cui tenevano le loro armi, cambiò idea e le accettò.
Quando i sessanta furono radunati, li guidò al cancello, e si voltò, per promettere al pirata dorico:
«Quando vedrai delle fiamme su Cnosso, potrai dire ai mercenari etruschi che essi hanno cambiato padrone!»
Il pirata dorico si avvicinò, battendo le palpebre, per nascondere la commozione che provava in quel momento, e lo abbracciò. Poi il cancello si chiuse cigolando cupamente alle loro spalle. Teseo guidò i suoi sessanta uomini lungo la discesa, una stretta fenditura rischiarata dalla luce argentea della luna, in fila verso il fiume Kairatos.
Rimasero nascosti nel buio, mentre le torce degli etruschi rischiaravano la notte, sfilando su una collina a poca distanza da loro. Poi, silenziosamente… i pirati erano esperti in quelle incursioni notturne sulla terraferma… attraversarono dei campi deserti e dei boschi tenebrosi e le vigne immerse nel buio.
Una delle guardie cretesi… che si era unita a loro perché Amur aveva dato una schiava che lui amava ai preti minoici… fece tacere i cani che abbaiavano, con un lancio esperto di frecce. Non fu dato l’allarme, e alla fine la cupa massa di Cnosso si stagliò davanti a loro, sullo sfondo del cielo rischiarato dai raggi argentei della luna.
Il palazzo non era una fortezza. Non era munito di impervi bastioni, né di fossati difensivi, né di torri di guardia inaccessibili. Delle sue triplici mura di cui si era tanto favoleggiato, la prima era costituita dalla flotta che ora stava ancorata nella rada, a tre miglia di distanza. La seconda muraglia del palazzo era il gigante Talos, che ancora non si era fatto vedere (e Teseo aveva cominciato, con una certa inquietudine, a domandarsene il perché…). E la terza muraglia… se davvero Teseo poteva credere alle parole di Arianna… si trovava racchiusa nel talismano che ora egli aveva al collo, appeso alla sottile catenella, quel talismano che il ricettacolo di Cibele gli aveva dato quella notte, nel tempio silenzioso, dove crescevano gli ulivi.
Aveva studiato il piccolo oggetto, quel pomeriggio. Era soltanto un cilindro, apparentemente, di steatite nera, con lunghe scanalature laterali. Il suo disegno, inciso con una perfezione squisita, mostrava un gigante dalla testa di toro, seduto su un trono, con uomini e donne in ginocchio davanti a lui.
Si trattava davvero del muro della magia? La sua mente aveva indugiato sull’enigma. Arianna aveva detto la verità, parlando dei suoi poteri? Poteva veramente dargli Cnosso? Se l’Oscuro non esisteva, quale potere poteva esistere in un semplice disegno?
La bellezza di Arianna aveva ossessionato Teseo, durante il viaggio negli oscuri meandri del Labirinto. Non poteva prendere una decisione, su di lei. Era stata una nemica sprezzante… eppure aveva rischiato molto, dandogli la Stella Cadente, che gli aveva salvato la vita.
Ricettacolo di Cibele, doveva conoscere le illusioni dell’amore. Nei suoi mille anni di vita, doveva avere amato troppi uomini, perché uno di loro potesse contare davvero tanto, per lei. Era una dea dello strano pantheon di Creta, e sapeva che lui intendeva distruggere il suo mondo. Era pura follia, lo sapeva, sperare in qualche aiuto, da parte di Arianna.
Eppure il talismano gli pendeva al collo, e il ricordo della sua bellezza gli sorrideva. C’era qualcosa di ironico, nel sorriso di lei. Teseo cercò di dimenticarla, e mormorò ai suoi sessanta uomini, sotto l’ombra di Cnosso:
«Dobbiamo distruggere Minosse, tutti i suoi preti e i suoi stregoni, e il gigante di bronzo. Dedalo deve morire… è il più terribile dei maghi! Ma risparmiate gli schiavi, gli artigiani, e tutta la gente comune… liberateli, dicendo loro che non esiste l’Oscuro!»
«Sì, capitan Fuoco!» mormorò il cuoco di Tirinto.
«Ci sono altri due che dovete risparmiare,» ordinò Teseo. «Una di loro è Arianna, la figlia di Minosse, sacro ricettacolo di Cibele… lei mi ha dato la Stella Cadente, per uccidere l’Oscuro.
«L’altro che deve essere salvato… se per caso lo troviamo… è un piccolo mago babilonese, chiamato Snish, il ciabattino… perché è mio amico.»
I pirati erano esperti nei trucchi delle incursioni notturne. I sessanta salirono per la collina silenziosi come ombre, e raggiunsero l’entrata degli artigiani. Ci fu una breve, selvaggia battaglia con gli etruschi della guarnigione, ma quasi tutti i mercenari stranieri morirono nel sonno. Prendendo delle nuove armi dall’arsenale degli etruschi, si aprirono la strada, e raggiunsero il primo corridoio.
«Non esiste l’Oscuro!» Il grido di battaglia risuonò tra le antiche mura. «Teseo, detto capitan Fuoco, lo ha distrutto! Unitevi a noi, per prendere i tesori di Cnosso! Perché gli dei sono condannati!»
Uomini e donne attoniti uscirono nei corridoi, e fuggirono. Alcuni artigiani di palazzo si unirono a Teseo, ma la maggior parte di essi era troppo sbalordita per fare qualcosa. Gli etruschi e i sacerdoti neri, sorpresi e assonnati, si radunarono in fretta nei punti strategici da difendere.
Alto cinque piani, ampio sei acri, con il suo intrico di corti e di pozzi e di corridoi e di scale e di magazzini, costruito nel corso di mille anni, Cnosso era un secondo Labirinto, ingannevole come le oscure gallerie del tempio sotterraneo.
Teseo si trovò perduto. Ma gli artigiani, e gli schiavi che avevano servito nel palazzo imperiale, gli indicarono la strada per gli appartamenti di Minosse. I sessanta audaci schiacciarono la resistenza dei sacerdoti e degli etruschi, avanzarono come furie lungo i corridoi, lasciando una scia di morti e di fumo alle loro spalle.
Il rapido successo dell’incursione cominciò ad apparire vagamente minaccioso, a Teseo. Non incontrò barriere magiche, non vide alcuna traccia del bronzeo Talos. E ben presto arrivarono davanti alle stanze di Minosse.
Gli etruschi si erano radunati davanti all’ingresso, per opporre un’ultima, disperata resistenza. Ma l’esaltazione della vittoria aveva trasformato la Stella Cadente in una balenante fiamma di morte, e i pirati la seguivano, come avevano fatto durante cento battaglie. L’ultimo etrusco cadde, e Teseo guidò i suoi uomini nella splendida sala, e nella camera da letto di Minosse.
Lo sbalordito sovrano era seduto, sul suo magnifico letto. Tremante e pallido, si copriva con le lenzuola di lino egizio, come se con esse potesse nascondersi davanti alla spada insanguinata di Teseo.
Il volto fanciullesco era molto pallido, e ora non sorrideva. I piccoli occhi azzurri non scintillavano più, e il terrore li aveva invasi. Sottile e tremante, la sua voce femminea squittì:
«Risparmiami, capitan Fuoco! Risparmiami la vita, e tutto ciò che possiedo sarà tuo. Il mio tesoro, la mia flotta, il mio impero! Solo purché tu mi risparmi la vita!»
Teseo trattenne la spada sollevata. Era venuto per uccidere uno stregone. Ora trovava solo un vecchio grasso, che tremava per la paura. L’ira gli incrinò la voce:
«Cerca un’arma! Combatti per il tuo trono!»
Ma Minosse era muto per il terrore. Come una massa di gelatina tremante, cadde dal letto e si inginocchiò, singhiozzando e squittendo, sul tappeto. Teseo trattenne ancora la spada.
«Così è questo il divino Minosse?» Il disprezzo lo soffocava. «Lo stregone che ha regnato per mille anni, la cui doppia ascia è temuta in Egitto e nel remoto Catai!» La Stella Cadente tremò, tra le sue mani. «Sono venuto qui per ucciderti, Minosse… per porre fine al regno della magia. Ma io non ho mai colpito un uomo in ginocchio.»
«Ma io sì, capitan Fuoco!» Vorkos, il cuoco guercio di Tirinto, si fece avanti. «Prestami la tua spada!»
Prese la Stella Cadente. La lama si abbatté, sibilando. Tagliata di netto, la testa canuta di Minosse rotolò, lontana dal grasso corpo tremante, si fermò a terra, guardò gli invasori con occhi vitrei.
Testa e corpo cambiarono!
Il tirintiano lasciò cadere la Stella Cadente, e indietreggiò barcollando. Spaventati e tremanti, i pirati cominciarono a indietreggiare verso la porta. Teseo raccolse la spada. Strappò una torcia da una mano tremante, e si chinò a esaminare la cosa che era stata Minosse.
Corpo e testa erano ingialliti, cerulei, prosciugati, ridotti quasi a pelle e ossa. Il corpo era stato quasi esangue… solo poche gocce nere uscirono dalle arterie e dalle vene recise. Solo la magia, capì Teseo, poteva avere mantenuto la scintilla della vita in quel rottame.
E il cadavere… questa era la cosa più incredibile… era quello di una donna!
Teseo combatté contro la strisciante paura che quella orribile vista aveva suscitato in lui. Cercò di stringere con fermezza la spada, ma aveva la gola secca.
«Guardate!» disse, ai suoi apprensivi seguaci. «Minosse è morto!» Indicò il cadavere con la punta della spada. «E non era un dio. Non era neppure un uomo. Era soltanto una vecchia, vecchia donna!»
Indicò la porta, con la torcia.
«Abbiamo sconfitto gli dei di Creta!» Strinse le labbra aride, inghiottì di nuovo. «Abbiamo guadagnato il bottino di Cnosso!»
«No, capitan Fuoco!» La voce del cuoco guercio era un rantolo di terrore. «La vittoria non è ancora nostra! Perché c’è ancora il gigante di bronzo, i cui grandi piedi possono schiacciarci come vermi. C’è ancora il mago Dedalo, il cui sguardo può da solo avvelenare gli uomini. E c’è ancora la figlia di Minosse, che è una dea e un’incantatrice!»
Teseo distolse lo sguardo dal vecchio cadavere avvizzito che era stato Minosse.
«Arianna è mia amica… e mi ama!» mormorò, raucamente. «Una volta mi ha salvato la vita. Ora dobbiamo trovarla… perché la sua magia può aiutarci, contro l’uomo di bronzo e contro il mago Dedalo, che ancora vivono!» Pulì la lama della Stella Cadente sulle lenzuola di lino, e guidò il suo gruppo di uomini, spaventati e tremanti, fuori della splendida camera da letto di Minosse.
Il cadavere giallo e grinzoso della vecchissima donna che era stata Minosse giacque immobile, al suolo, dietro di loro.
Poche gocce nere di sangue erano cadute sullo splendido tappeto.