CAPITOLO I

«Quali sono gli auspici, capitan Fuoco?» Cirone, il barbuto pirata dorico, aveva l’aria nervosa. Una mano pelosa stringeva uno dei sostegni dell’albero della lunga galera, e il suo viso segnato dalle cicatrici era una maschera d’apprensione, mentre fissava la distesa azzurrina e sfavillante delle acque che i verdi promontori parevano incorniciare. «Dobbiamo fuggire verso le isole?»

Teseo, l’alto acheo, era in piedi, vicino all’alta insegna che si ergeva sulla prua, e raffigurava una testa di lupo. Teneva le gambe divaricate, per sostenere il rollio della galera, e i suoi lunghi capelli rossi si muovevano nel vento. I suoi occhi azzurri si strinsero, ed egli guardò, con Cirone, lo stretto che si apriva davanti a loro, e oltre.

Danzando sull’azzurro dai riverberi bianchi, tra le due punte di terra, scorse due puntini neri e uno giallo. Li studiò attentamente, e guardò il cielo a occidente, dove apparivano delle lunghe nuvole bianche, e poi fissò il mare, seguendo il movimento delle onde sollevate dal vento.

Alla fine il suo corpo abbronzato si raddrizzò. Egli indossava soltanto un perizoma di lino egizio, frutto di un bottino raccolto a bordo di una nave catturata. Scostò con la mano i capelli rossi che gli cadevano sul volto, e la sua voce decisa risuonò al di sopra della stanca cantilena monotona degli schiavi rematori e allo scricchiolio delle vele e del sartiame e al fruscio dei remi.

«Il vento è con noi, Volpemaestra,» disse, «sono soltanto due, contro la nostra galera… possiamo dimenticare il mercantile finché non avremo affondato le galere da guerra. E il nostro becco di bronzo ci rende più forti di tre navi… l’hai detto tu stesso, quando abbiamo speronato l’ultima nave egizia.»

«Sì, capitan Fuoco,» disse l’ansioso dorico. «Ma quella era una nave egizia…»

Il peloso pirata rabbrividì, e serrò ancor più intorno al corpo il fastoso mantello purpureo dai ricami di perle che aveva appartenuto a un ufficiale della flotta cretese. Ma Teseo estrasse dalla cintura la sua lunga spada, e guardò nello specchio dell’acciaio azzurrino.

«Gli uomini hanno fame di bottino,» disse a Cirone, «e la Stella Cadente è assetata di sangue.» Un sorriso nervoso gli illuminò il viso duro. «Io leggo i miei auspici nello specchio della Stella Cadente,» disse, «e li trovo sempre favorevoli.»

Salì sulla plancia di prua, e gridò, rivolgendosi al gigante che sorvegliava gli schiavi, impugnando la lunga frusta:

«Una cadenza più veloce! Dobbiamo tagliar loro la strada prima che riescano a superare lo stretto!»

«Sì, capitan Fuoco!»

La frusta del miceneo sibilò e schioccò. Quarantaquattro schiavi si piegarono sui ventidue remi, undici per fianco. La loro interminabile canzone divenne più veloce, e la galera balzò avanti, seguendo il ritmo.

«Viva, capitan Fuoco!» Giunse il grido dei ventiquattro marinai e guerrieri che riempivano il ponte, a poppa, oltre la fossa dei rematori. «Combatteremo di nuovo?»

Teseo si portò le mani alla bocca, e gridò.

«Combatteremo! E quando la battaglia sarà finita, avremo da dividere del bottino venuto dalle coste di settentrione. Oro, ambra e pelli… e forse anche delle bionde schiave del nord!»

Gli risposero delle grida di giubilo, ed egli ordinò:

«Tutti gli uomini si preparino all’attacco e all’abbordaggio!»

Delle lame di bronzo cantarono. Gli arcieri provarono le corde dei loro archi, un fromboliere provò la sua arma. La squadra d’abbordaggio indossò gli elmi di cuoio, e preparò i lunghi scudi. Davanti al suo focolare, il cuoco guercio, un uomo di Tirinto, cominciò a riscaldare dei paioli di zolfo.

Ma Cirone scosse il capo, cupo e a disagio. Si avvicinò a Teseo, passandosi nervosamente le mani sul volto, e protestò, con un mormorio rauco:

«Ma quelle vele maestre sono nere, capitan Fuoco!»

«Lo vedo anch’io che sono nere, Volpemaestra.»

«Le vele nere significano che si tratta delle galere da guerra della flotta reale di Minosse,» gracchiò l’apprensivo pirata. «Sono protette dagli strani artifizi dello stregone Dedalo, e dalla magia dello stesso Minosse. A bordo ci saranno i sacerdoti neri dell’Oscuro, per annientare i nostri corpi e le nostre anime con la loro mortale magia.»

Con aria d’urgenza, toccò il braccio bronzeo di Teseo:

«Voltiamoci, e fuggiamo verso le isole, capitan Fuoco,» supplicò, «prima che i loro magici trucchi mettano il vento contro di noi, per farci sbattere contro qualche costa ostile!»

In tono rauco, proseguì la sua supplica:

«Aspettiamo qualche galera egizia,» disse. «Protetta solo dagli dèi lontani e sonnolenti del Nilo. O magari un mercantile d’oriente, che confidi nelle divinità polverose della morta Babilonia. O forse potremmo incontrare un altro mercantile, che abbia con sé i deboli semidei di Troia.»

La sua mano pelosa tremò.

«Capitan Fuoco, noi non oseremo certo sfidare gli dei e gli stregoni di Creta… i tuoi attacchi devono averli già adirati, e la loro magia è la più forte del mondo. Un prete egiziano mi ha detto una volta… prima che io lo sbudellassi… che dall’inizio del tempo, tutta la magia viene da quell’isola malefica. Dobbiamo tornare indietro, capitano?»

Teseo toccò la splendente guaina d’oro e d’argento che copriva l’elsa della Stella Cadente.

«Non fino a quando io sarò il capitano che tutti voi avete eletto, Volpemaestra,» disse, seccamente. «Sono venuto sulla tua nave, un anno fa, perché i pirati sono gli unici uomini al mondo che sfidano la magia e le tracotanti flotte di Creta. Anche il grande Faraone si inchina a Minosse, e gli manda molti doni, argento, schiave nere e scimmie.»

Cirone guardò l’alto acheo, con un’espressione di inquieta e riluttante ammirazione.

«So che tu hai compiuto formidabili imprese, capitan Fuoco,» disse, «perché le storie ti seguono. So che tu hai ucciso molti animali selvaggi, e massacrato fuorilegge e tiranni, e combattuto contro gli uomini di lande remote. Ma le tue imprese non sono abbastanza grandi, che tu non debba concederti qualche tempo di riposo? Devi dunque muovere guerra ai maghi e agli stregoni, per attirare su di te l’ira degli stessi dei?»

Teseo annuì lentamente, e il suo volto era molto grave.

«Lo devo fare,» disse, «Perché ho lottato contro i nemici degli uomini. E il nemico più grande non è l’animale predatore, non è il fuorilegge, non è il capo delle tribù barbare. Il nemico più grande non vive nelle lande selvagge, non alberga tra gli alberi, ma regna nel cuore della più grande città!»

Le sue dita si strinsero sull’elsa della Stella Cadente.

«Il più grande nemico dell’uomo è la magia, Volpemaestra. È la stregoneria di Creta, che ha reso schiavo il mondo. Perfino nelle tende del deserto, gli uomini nascondono il capo tra la polvere, atterriti, di fronte a un talismano che porti la doppia ascia di Minosse.» Il suo viso abbronzato si era fatto lievemente pallido. «Tutte le nazioni inviano un tributo di fanciulli e fanciulle, che vengono istruiti per i giochi crudeli di Cnosso. Perfino la mia Attica è soggetta a Minosse… mio padre, ad Atene, deve inginocchiarsi davanti al governatore cretese, e inviare tributi all’Oscuro.»

Respirò più forte, con rabbia.

«La magia di Cnosso è un nero serpente le cui spire si avvolgono intorno agli spiriti degli uomini,» disse in tono amaro. «Il crudele dominio di Minosse è sostenuto, per terra e per mare, dalla paura dell’Oscuro.»

La spada uscì dalla fondina, e brillò sotto i raggi del sole.

«Ebbene, Volpemaestra… Minosse e l’Oscuro devono essere distrutti!»

Cirone strinse il braccio di Teseo, disperatamente.

«Taci, capitano!» ansimò, angosciato. «Questo è un parlare blasfemo… e le orecchie e le corna dell’Oscuro sono lunghe!» Trattenne il respiro, per un istante. «Tu ci fraintendi, capitan Fuoco. È vero che noi siamo pirati, è vero anche che la pirateria è contro le leggi di Minosse. Ma, finché tu non sei venuto tra noi, abbiamo cercato le nostre prede solo tra le navi d’Egitto e di Tirinto, e altri rivali di Creta… cosicché i capitani di Minosse ci strizzavano l’occhio, con benevolenza.»

«Ma ora,» gli ricordò Teseo, «io sono il capitano che avete scelto.»

«E sei un grande capitano… se vorrai dimenticare questa follia di una guerra di un solo uomo contro la nera magia di Creta,» ammise Cirone. «Questo becco di bronzo che tu hai montato sulla galera ha già affondato per noi una dozzina di navi.»

Con aria cupa, Teseo scosse il capo.

«Ho inventato questo ariete per distruggere il potere di Minosse,» disse, lentamente. «Ma, da solo, non basta. La grande isola, dicono, e perfino lo stesso palazzo di Cnosso, non possiedono mura difensive. Ma quel prete cretese mi confessò… prima che gli tagliassi quella sua gola mendace… che il potere di Minosse è guardato da tre mura.

«Per prima c’è la flotta, che essi chiamano la muraglia di legno. E poi, ha detto il prete, esiste un gigante di bronzo vivo, chiamato Talos… è lui la seconda muraglia da superare.»

Cirone si accarezzò la barba, nervosamente.

«Ho sentito parlare di Talos,» ammise, «è grande due volte un uomo, e così veloce che può percorrere tutta Creta in un solo giorno, correndo. Schiaccia i suoi nemici con la forza delle braccia, e li arrostisce contro il metallo rovente del suo corpo. Io non toccherò mai quell’isola del male!»

«A meno che i cretesi non ti portino là, per nutrire il loro Oscuro!» sogghignò Teseo. «Poi c’è un’altra barriera intorno al potere di Minosse, che è chiamata la terza muraglia.» Guardò le lontane vele nere. «L’ariete potrà sfondare la muraglia di legno, forse. Ma ce ne sono sempre altre due da passare.»

Cirone si avvolse nel mantello purpureo, con aria difensiva.

«Tutte le muraglie di Creta,» dichiarò, con fermezza, «è meglio lasciarle stare!»

«Vedremo.» Teseo sorrise di nuovo, e passò il pollice sulla lama della sua spada. «Farai meglio a sfoderare tutto il tuo coraggio, Volpemaestra, e ad affilare le zanne. I cretesi si stanno preparando ad affrontarci!»


Teseo si diresse a poppa, impartendo ordini e sorridendo con aria incoraggiante agli arcieri che si arrampicavano sulla fiancata di maestra, facendo segni d’intesa al gruppo d’abbordaggio che aspettava con i grappini infilati alla cintura, sorridendo anche ai frombolieri, e al cuoco guercio, Vorkos, che tossiva sui suoi paioli di zolfo bollente. Avvertiva il disagio che gelava quegli uomini, come un vento freddo di settentrione.

«State pronti, uomini!» gridò. «Avete forse paura dei brontolii di un vecchio? C’è una magia, nel sangue caldo e nel buon bronzo, che è più forte di tutte le stregonerie di Minosse. Il nostro becco affonderebbe perfino la galera dell’ammiraglio Phaistro!» Roteò la spada al di sopra del suo capo. «E la Stella Cadente ha un incantesimo più forte di quello dell’Oscuro. È stata forgiata da un metallo caduto dal cielo. L’avete vista fendere come carne molte spade di bronzo. Se temete i maghi e gli stregoni, siete già vinti. Se non li temete, i loro poteri non potranno toccarvi! Ora, volete seguirmi?»

Aspettò, nascondendo la sua ansia.

«Sì, capitan Fuoco!» Il grido sgorgò da cinquanta gole. «Ti seguiremo!»

Ma udì il dubbio, il terrore, che si univano a quel grido. Sapeva che questi pirati, benché fossero gli uomini più audaci di una dozzina di coste settentrionali, condividevano ancora il timore di Cirone per la stregoneria di Creta. Lo avrebbero seguito… ma non fino in fondo.

Teseo si rese conto che lui si ergeva, completamente solo, contro gli dei di Creta. E anche nel suo cuore c’era un po’ di timore, freddo e insidioso. Perché lui aveva già conosciuto dei maghi e degli stregoni, e sapeva che essi possedevano dei poteri innegabili.

Fu lieto perciò quando le navi giunsero a distanza di combattimento. Cantando una canzone selvaggia, i marinai abbassarono rapidamente la grande vela rossa, liberando l’albero. La prima salve di frecce partì dagli arcieri cretesi, e cadde nell’acqua, a poca distanza dalla nave pirata.

Il miceneo bestemmiò, e la sua frusta nera schioccò nell’aria, e un sudore rosso scese lungo la schiena degli schiavi curvi sui remi. Teseo impartì un breve, secco ordine a Gothung, l’alto e biondo timoniere. E la nave pirata si diresse verso i cretesi.

Gli ufficiali di Creta seguirono le tattiche convenzionali. Avanzarono verso la nave pirata, prendendola di tre quarti. Poi, all’ultimo momento, gli schiavi sollevarono la fila esposta di remi.

Lo scopo della manovra era di far entrare in collisione le due navi, con la forza dei remi sollevati, per annientare i rematori nemici, e poi cercare subito l’abbordaggio.

Ma Teseo lanciò un rapido ordine al miceneo e al gigantesco timoniere del nord. La nave pirata si allontanò dalla rotta seguita dalle navi cretesi, e descrisse una velocissima curva, del tutto imprevista.

Le due navi di Creta, per un momento indifese, con i remi sollevati, si scontrarono. Prima che gli schiavi, urlando sotto l’incalzare della frusta, riuscissero a separarle di nuovo, la nave pirata si diresse a tutta velocità contro la fiancata della più vicina. L’ariete di bronzo squarciò il legno, al di sotto della linea di galleggiamento.

Gli arcieri cretesi lanciarono una tempesta di frecce. Delle pietre sibilarono nell’aria, lo zolfo bollente produsse un fetore insopportabile. Un gruppo di marinai di Creta lanciò i grappini d’abbordaggio, poi gli uomini si prepararono a salire a bordo della nave nemica, tenendo pronte le reti e i tridenti.

Ma la tettoia eretta grazie agli scudi protesse i pirati. Delle asce recisero i grappini d’abbordaggio, e gli schiavi, con uno sforzo sovrumano, fecero rinculare la galera.

Il becco di bronzo si ritirò, e l’acqua si riversò nella galera cretese. La galera vorticò intorno al gorgo, per pochi minuti, poi, inarrestabile, un’ondata si riversò su di essa, sommergendola con il suo carico di schiavi incatenati, che urlavano supplicando pietà. I guerrieri ricoperti dalle pesanti armature cercarono di dibattersi per qualche istante, poi furono inghiottiti anch’essi dalle acque.

L’altra galera cretese, nel frattempo, aveva di nuovo affondato nel mare i suoi remi. Prima che la galera pirata potesse avanzare di nuovo, le due lunghe galere entrarono in collisione. Teseo gridò un ordine agli schiavi del lato esposto, i quali ritirarono i loro remi un attimo prima dello scontro.

Gli scafi si scontrarono.

I grappini di abbordaggio colpirono, e le corde si tesero. Gli archi vibrarono e le pietre sibilarono nell’aria, e gli scudi pararono i colpi, mentre ovunque si udivano dei tonfi sordi. I fumi di zolfo, le corde e i corpi umani, tutto si confondeva in un odore di bruciato nauseabondo e dolciastro.

«Abbordatela!» gridò Teseo. «Sessanta sicli d’argento al primo uomo che salirà a bordo!»

«Sì, capitan Fuoco!»

Cirone, il dorico dalla barba nera, stringendo la spada e lo scudo, balzò sulla bassa balaustra della nave pirata. Per un istante vi restò immobile, lanciando un alto grido di battaglia. Poi, bruscamente, il grido si interruppe. Cirone rimase immobile, come paralizzato.

Sul piccolo ponte di comando della nave cretese, era apparso improvvisamente uno scuro sacerdote minoico, avvolto nella sua lunga veste nera sacerdotale. Sopra il ruggito e il tumulto della battaglia, la sua voce si levò in una cantilena lamentosa.

Dapprima usò la lingua segreta dei sacerdoti, mentre le sue mani alzavano un vaso d’argento, che aveva la forma di una testa di toro, e ne versavano il contenuto, rosso e fumante, nelle acque del mare.

Poi parlò nella comune lingua cretese, che Teseo aveva appreso tanto tempo prima dai mercanti che erano giunti ad Atene.

«O grande Minosse!» salmodiò il sacerdote, «I cui anni sono venti generazioni, che è dio di tutto il mondo!

«O grande Cibele, madre della Terra e di Minosse e degli Uomini, tu che ora dimori nella bellissima Arianna!

«O grande Oscuro, il cui nome non deve essere pronunciato, tu che racchiudi in te il toro e l’uomo e il dio!

«O grandi dei di Cnosso, distruggete questi vermi che molestano i vostri fedeli schiavi!

«Spada lucente di Minosse, colpisci.»

Il sacerdote nero sollevò il vaso che ancora stillava gocce rosse.

E dalle corna d’argento uscì una lama di fuoco azzurrino. Si udì un tuono assordante. E Cirone, con la spada e lo scudo che gli sfuggivano con cupo clangore dalle mani senza vita, cadde all’indietro, sul ponte della galera pirata.

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