CAPITOLO IV

Quando la vela gialla fu sistemata sicuramente, Teseo si voltò, ed ebbe la sorpresa di vedere che Snish aveva assunto di nuovo il suo travestimento femminile.

Tai Leng gli sorrise, con una luce infuocata negli occhi a mandorla. Un movimento provocante del suo corpo alto e slanciato convinse Teseo a chiedere per quale motivo l’incantesimo non potesse essere realizzato meglio, rendendolo a prova di contatto.

La principessa gialla scosse il capo.

«Il travestimento è solo una misura di sicurezza,» disse, con il suo accento esotico. «Anche una donna è esposta a certi pericoli. Ma con una bellezza sufficiente, in genere, si può riuscire a evaderli.»

Avvicinandosi a lei, Teseo pensò di ravvisare nei suoi lineamenti gialli qualche parodistica indicazione delle fattezze da rospo di Snish. E il suo accento esotico, quando lei parlò di nuovo, aveva un tono leggermente nasale.

«Non dovrò certo ingannare anche te, vero, capitan Fuoco?» domandò. «Le mie modeste arti sono al tuo servizio. E se desideri travestirti a tua volta…»

Teseo scosse il capo.

«Io cerco di distruggere le arti della stregoneria, non di impiegarle.» Si strinse nelle spalle, stancamente. «Comunque, rovesciare il trono di Minosse non è un compito da donne.»

«Il travestimento non deve per forza essere femminile,» gli assicurò la ragazza gialla. «Questo è solo il travestimento che meglio protegge la mia insignificante persona. Posso darti le sembianze di qualunque uomo tu scelga.»

Teseo guardò le vele nere che si avvicinavano, a sud, spinte da quel vento misterioso.

«C’è il sacerdote nero che ho ucciso,» disse, bruscamente. «No,» disse, con decisione. «Più avanti, un travestimento del genere potrebbe essermi utile. Ma ora devo incontrare i cretesi nelle vesti del pirata, capitan Fuoco, con la Stella Cadente a parlare per me.»

I grandi occhi a mandorla di Tai Leng lo fissarono.

«Ma il capitan Fuoco è già ricercato,» protestò. «Minosse ha offerto dieci talenti d’argento per la tua testa…»

La cantilena si interruppe; qualcosa brillò negli occhi imperscrutabili di Tai Leng.

«Cerca di guadagnare quella somma,» l’avvertì Teseo, con aria cupa, «e nessun travestimento magico ti eviterà di assaggiare la lama della Stella Cadente. E allora, a che ti servirebbe il denaro?»

Per dare enfasi all’avvertimento, afferrò la spalla dorata dell’orientale, e la scosse vigorosamente. Il risultato di questo gesto fu una strana trasformazione.

La morbida pelle gialla cambiò sotto le sue dita; divenne bruna e ossuta. Il viso esotico della donna si oscurò, e si trasformò parzialmente nei lineamenti da rospo di Snish, e la voce nasale protestò, lamentosamente:

«Capitan Fuoco, davvero non puoi avere fiducia in me? Perché io ti sono debitore dei miei occhi, e anche della mia vita. Io sono il tuo più misero, più piccolo e più fedele schiavo.»

«Non mi fido di nessun mago… neppure se è tanto piccolo da fare invidia a una pulce,» brontolò Teseo. «In ogni modo, le tue arti magiche potranno essermi utili… per quanto siano misere e goffe, di fronte alla magia di Cnosso. Non ti distruggerò… per il momento.»

La principessa dorata si gettò in ginocchio, davanti a lui, e gli baciò la mano. Sentì che le sue labbra cambiavano, a contatto della sua mano, e per un istante i capelli neri e lucidi e il corpo flessuoso furono sostituiti dal cranio calvo e dal corpo sgraziato di Snish.

«Torna al timone,» gli disse Teseo. «La parola di uno stregone non vale niente; ma, finché saremo entrambi nemici di Cnosso, può darsi che potremo esserci utili a vicenda.»


Lanciò del fieno ai tre grandi tori neri, che muggivano ferocemente nella piccola stalla. Osservando le loro corna così aggraziate e minacciose, pensò ai giochi che avrebbero avuto come posta il trono di Minosse, e non riuscì a reprimere un brivido.

Perché molti pericoli si frapponevano tra lui e quel trono, e quelle corna erano anche un simbolo del terribile potere dell’Oscuro.

Spinto dai venti della tempesta, il mercantile avanzò verso sud. La flotta avanzò, sospinta dallo strano vento del sud, e venne loro incontro, e le grandi vele nere si avvicinarono.

Apparvero delle grandi prore, modellate a guisa di teste di toro, e alla fine Teseo poté distinguere la rossa insegna che indicava la nave ammiraglia. Ordinò alla donna gialla di avanzare in quella direzione. Tai Leng obbedì, silenziosamente. Il suo viso giallo era molto pallido, e i suoi occhi erano pieni di paura.

Il freddo vento di tempesta esitò e morì, quando la flotta si fece più vicina. La galera ondeggiò, la vela gialla si afflosciò, e intorno regnò un’improvvisa bonaccia. Il vento del sud che aveva sospinto i cretesi aveva cessato a sua volta di spirare, e dei remi sfavillanti sospinsero l’ammiraglia in avanti.

«Ehi, della nave!» gridò un ufficiale dalla splendida armatura di bronzo. «Quale vascello batte la vela gialla di Amur l’ittita?»

Teseo si portò le mani alla bocca, chiudendole a coppa.

«Questa nave è un bottino di guerra,» rispose. «Il suo capitano è il libero acheo, capitan Fuoco. Si dirige a Creta, portando in dono tre tori neri per i giochi minoici, e una gialla principessa del Catai per rallegrare il gineceo di Minosse. Ma quale nave batte la vela nera di Cnosso?»

Ci fu una pausa, piena di sbalordimento, poi giunse la risposta.

«Questa nave,» urlò l’ufficiale, «è l’ammiraglia della Flotta Settentrionale di Minosse, che è dio lui stesso, e compagno dell’Oscuro, che è anche re di Creta e delle isole del mare e delle coste lontane. E il comandante di questa nave è Phaistro, primo nobile di Cnosso e ammiraglio di tutte le flotte di Minosse.»

Le navi entrarono in contatto. Una squadra di marinai cretesi, armati di reti e tridenti, balzò sul ponte del mercantile, e formò un anello intorno a Teseo. Quando le due navi furono saldamente legate dalle grandi funi, Phaistro in persona salì a bordo.

L’ammiraglio era alto, per essere un cretese, ma era magro e ossuto. Il suo volto scuro aveva un profilo aristocratico, ed era quasi bello. Teseo guardò quel mento debole, quelle rosse labbra piene e gli occhi scuri e calcolatori. Vide le rughe della fronte, la tensione nervosa del corpo. Malgrado tutta la sua passione e tutto il suo orgoglio, pensò Teseo, quell’uomo era sempre un debole.

Con un’andatura che possedeva una grazia quasi femminea, Phaistro attraversò il ponte. Teseo sentì il profumo che veniva dai capelli neri dell’ammiraglio, il quale era pettinato secondo l’elaborata foggia cretese, con una treccia alla sommità del cranio, e tre crocchie che scendevano fin sulla nuca.

L’abito dell’ammiraglio era ricco, di un lusso che sconfinava nella civetteria. Il largo costume da cerimonia era del colore rosso del suo rango. Il costume era aperto, sul davanti, e mostrava la stretta cintura dorata e il bianco perizoma di lino. Portava sandali alti e ricoperti di brillanti, e le braccia nude erano coperte di braccialetti d’oro e d’argento.

Circondato da un esiguo gruppo di ufficiali, tutti con la mano posata sull’elsa delle loro spade, in atteggiamento vigile e guardingo, l’ammiraglio si arrestò davanti a Teseo. Il suo viso magro parve riflettere una certa riluttante amminirazione.

«Così tu saresti il famoso capitan Fuoco?»

«Così mi chiamano,» rispose Teseo.

«Allora dov’è la tua veloce galera, che ha catturato tante prede?» Gli occhi neri dell’ammiraglio si strinsero, e scrutarono con improvvisa preoccupazione Teseo. «E dove sono i tuoi uomini feroci e spietati?»

«Domandalo ai tuoi maghi,» disse Teseo.

Phaistro trattenne il respiro, e l’ira fece sfavillare i suoi occhi. «Dov’è l’equipaggio di questa nave?» La sua voce s’incrinò. «E tutto il tesoro delle coste settentrionali, che essa portava a bordo? E dove sono le due scorte reali?»

Teseo sorrise.

«L’ittita e i suoi uomini sono salvi, sul promontorio che si trova alle nostre spalle,» dichiarò. «E in quanto al tesoro e alle scorte, domanda anche questo ai tuoi maghi. Oppure, se preferisci, comincia a pescare sul fondo del mare!»

L’ammiraglio mugolò qualcosa, e tremò di collera.

«Capitan Fuoco!» disse, con voce secca. «Abbiamo sentito parlare di te, a Cnosso…»

«E ne sentirete parlare ancora,» promise con calma Teseo. «Perché io mi dirigo a Creta, portando doni per Minosse.» Indicò i tori selvaggi, che muggivano nella loro stalla, e indicò anche la ragazza dalla pelle dorata, immobile davanti al timone. «E ho intenzione di partecipare ai giochi ciclici,» disse, «presentandomi come candidato al trono di Minosse.»

L’ammiraglio si irrigidì. Per un istante restò senza fiato, spalancando gli occhi per lo sbalordimento. Poi si piegò, convulsamente, e il suo viso magro avvampò, e rise, una lunga risata stridula che parve spezzarlo in due. Si rivolse agli ufficiali cretesi che lo circondavano, piccoli uomini scuri che portavano larghe cinture di cuoio e perizomi neri, e riuscì ad ansimare, tra le risa:

«Il pirata dice che ha intenzione di partecipare ai giochi, per conquistare il trono di Minosse! Non è la cosa più buffa del mondo?»

Evidentemente, lo era. Gli ufficiali si piegarono in due, tanta era la forza delle loro risate… senza dimenticare, però, di sorvegliare Teseo e di tenere la mano sull’elsa della spada.

Alla fine, l’ammiraglio si riprese, ridiventò serio, e fissò Teseo.

«Sono sicuro, capitan Fuoco,» disse, con la voce rotta dalle risate, «che le tue battaglie con i tori, gli uomini e gli schiavi saranno uno spettacolo molto interessante. Ma non credi di essere troppo audace a offrirti volontariamente, quando nessun uomo ha vinto i giochi, negli ultimi cento cicli?»

«Mi sembra,» disse Teseo, «che sia Minosse il più audace, se continua a ripetere i giochi. Ma qual è la cosa comica di cui parlavi?»

Phaistro rise di nuovo, finché non gli vennero le lacrime agli occhi.

«La cosa comica… la cosa comica… ah, è molto semplice,» ansimò, alla fine. «Ci hai detto che ti dirigi a Creta per partecipare ai giochi minoici. E gli ordini della flotta, capitan Fuoco, erano di portarti a Cnosso… per farti partecipare a viva forza ai giochi!»

«Se questa è una cosa tanto comica,» disse Teseo, «non stai forse ridendo un po’ in anticipo?»

Phaistro arrossì di collera. Strinse i pugni, e gli occhi neri sfavillarono. Dopo un istante, però, inghiottì, e cercò di sorridere all’alto acheo.

«Perdono la tua insolenza, capitan Fuoco, perché tu sei un coraggioso,» disse. «E voglio offrirti un consiglio… sempre perché la tua audacia mi ha molto colpito.»

Phaistro si fece avanti, allontanandosi dai suoi ufficiali, e disse in tono incalzante, abbassando la voce:

«Non consegnare la tua spada. Non lasciare che noi ti portiamo vivo a Cnosso! Farai meglio a gettarti sulla tua spada, per morire in maniera gloriosa e lieta, lontano dall’ombra dell’Oscuro!»

Teseo toccò l’elsa della sua spada, e sorrise:

«Grazie, ammiraglio,» disse, sottovoce, «e io non consegnerò la Stella Cadente. Ma non intendo neppure uccidermi.» Estrasse la lunga lama d’acciaio dalla fondina. «Ho intenzione di portare la Stella Cadente a Creta, con me.»

Il viso di Phaistro si oscurò di nuovo.

«Pirata, la tua impudenza ha passato ogni limite,» disse, rabbioso. «Consegna la tua spada… o i miei uomini verranno a prenderla!»

Teseo sollevò la spada.

«Che ci provino!» Sorrise. «Esistono dei maghi, anche al di fuori di Cnosso,» disse piano. «Uno di essi, ammiraglio, è mio schiavo. E la mia spada è stata forgiata da una stella cadente. È una lama incantata, e può spezzare ogni altra lama del mondo. Se la vuoi… prendila!»

Phaistro spostò la sua attenzione, per un istante, sull’alta figura dorata di Tai Leng, in piedi davanti al timone. L’espressione dell’ammiraglio era incerta. Egli studiò il ponte deserto, e poi guardò di nuovo Teseo, che brandiva la Stella Cadente.

Teseo osservò il volto magro dell’ammiraglio. Su quel volto c’era sempre un’espressione irata, ma adesso c’era anche il pallore della paura. Phaistro, evidentemente, aveva paura della magia. E doveva parergli strano, Teseo lo sapeva, di incontrare una nave guidata da due sole persone: un uomo come capitan Fuoco, e una donna come Tai Leng.

Le labbra rosse dell’ammiraglio tremarono. Le sue mani si chiusero a pugno e si schiusero; e alla fine prevalse il suo timore della magia.

«Se la tua arma è davvero protetta da un incantesimo,» disse, alla fine, «allora potrai portarla con te, fino a quando non toccheremo terra, a Creta. Là Minosse e i suoi stregoni potranno spezzare in fretta l’incantesimo. E senza dubbio Talos, il gigante di bronzo, potrà prendertela, se sarà necessario. Perché nessun uomo porta con sé delle armi, nei giochi minoici.»

«Lo vedremo,» disse Teseo, «quando saremo giunti a Creta.»

Phaistro indicò con un ampio gesto del braccio la nave ammiraglia.

«Ora, capitan Fuoco,» disse, «sali a bordo del mio vascello. Tu sarai il mio ospite d’onore, finché non toccheremo terra. Lascerò un equipaggio su questa nave, per portarla con noi. I sacerdoti ti aspetteranno al porto.»

Teseo scosse il capo.

«Questa nave è la mia preda,» disse, sottovoce. «La porterò io a Creta, con i doni per Minosse, e non ho bisogno di aiuto. Tratterò con Minosse e con i sacerdoti quando li incontrerò.»

L’ira fece di nuovo avvampare il viso scuro dell’ammiraglio. Socchiuse le labbra, per lanciare un ordine. Ma il suo sguardo si posò di nuovo sulla spada lucente di Teseo e sulle forme dorate di Tai Leng. Bruscamente, mormorò qualcosa ai suoi ufficiali, e li riportò verso l’ammiraglia.

«Procedi pure, capitan Fuoco!» gridò raucamente Phaistro, dal ponte della sua nave. «Ti seguiremo a Cnosso.»

I suoi marinai tagliarono le corde. Teseo e la donna dorata furono di nuovo soli a bordo della loro nave.

«Sta’ in guardia, capitan Fuoco!» disse Tai Leng, con la voce di Snish. «Coloro che proclamano di avere degli incantesimi che non possiedono, sono veramente in pericolo, di fronte ai maghi di Cnosso. Lo so bene!»

«Lo vedremo,» ripeté Teseo, «quando arriveremo a Creta.»


Il vento del sud che aveva spinto la flotta era caduto, e l’aria era immobile. Ma la nera montagna della tempesta incombeva ancora sull’orizzonte settentrionale, e dopo qualche istante un vento freddo ricominciò a spirare, da quella parte. La vela gialla si gonfiò. E le navi cretesi lasciarono passare il vascello di Teseo, e spiegarono subito le vele, e, seguendo a poca distanza il mercantile catturato, avanzarono sul mare in direzione di Creta.

Questo cambiamento del vento, e Teseo lo sapeva, era un fenomeno del tutto naturale. Per mille volte lui aveva visto il vento soffiare incontro a una tempesta, per poi cadere, e spirare di nuovo nella direzione opposta, dalle nuvole minacciose. Eppure non riuscì a reprimere un brivido, vedendo in qual modo il vento pareva al servizio della magia di Creta.

Il sole non era ancora calato, quando un’altra lunga galera arrivò da sud-ovest. Non aveva la vela spiegata, e l’albero maestro era nudo e spoglio, perché la galera procedeva controvento. Ma il veloce battito dei remi la fece avanzare rapidamente, e dopo qualche tempo Teseo vide che la sua insegna era l’aquila dorata di Amur l’Ittita.

La galera salutò la nera ammiraglia. La vela dell’ammiraglia fu abbassata per breve tempo, e i remi portarono i due vascelli fianco a fianco. Due uomini balzarono dalla nave di Amur sul ponte dell’ammiraglia, poi la vela nera fu rialzata.

Dalla sua nave, Teseo vide che i due stranieri venuti dalla nave di Amur si dirigevano verso il ponte di comando dell’ammiraglia. Vide che uno di loro indossava la lunga veste nera dei preti minoici, e che l’altro portava i colori dorati di Amur.

L’ammiraglio, nel suo sfarzoso costume purpureo, andò incontro agli stranieri, sulla porta della sua cabina. Il prete gli porse un oggetto bianco e sottile. L’ammiraglio lo aprì, e l’oggetto si srotolò e si rivelò per un papiro. Per qualche istante l’ammiraglio restò immobile, come se stesse leggendo. Poi i tre cominciarono a gesticolare vivacemente, agitando e muovendo le mani, come se fossero stati in preda alla più viva eccitazione.

Teseo non riuscì a udire neppure una parola della loro conversazione, naturalmente. Ma vide che ciascuno di loro, a turno, puntava il braccio nella sua direzione. Si stava domandando, con crescente apprensione, cosa mai significasse tutto questo, quando la voce morbida di Tai Leng lo chiamò, piano:

«Capitan Fuoco!»

Teseo si voltò, e si avvicinò alla donna alta e dorata che si appoggiava al timone, con aria noncurante. La donna aveva la fronte corrugata, però, e i suoi occhi a mandorla fissavano intensamente la nave ammiraglia, e il gruppo lontano che stava gesticolando sulla porta della cabina di comando. Teseo trovò di nuovo modo di rimpiangere che quell’aspetto di bellissima donna esotica fosse soltanto un’illusione, e ricordò, con un brivido, il vero aspetto del piccolo stregone.

«Capitano, vuoi sapere quello che essi dicono di te?»

«Naturalmente!» Teseo si avvicinò… e vide i lineamenti di Snish sovrapporsi per un istante, ironici, agli squisiti lineamenti dorati della principessa del remoto Catai. «Puoi dirmelo?»

«Sentire la conversazione altrui è forse il trucco più semplice della magia,» gli assicurò Tai Leng… con l’accento nasale di Snish. «Perfino io sono riuscito a impararlo. Tranne che, naturalmente, non debba ascoltare le conversazioni di un mago più potente di me… ma questo è un altro discorso.»

«Ebbene?» domandò Teseo. «Che cosa stanno dicendo?»

«Il prete ha consegnato all’ammiraglio una lettera di Minosse. Phaistro l’ha letta a voce alta. Contiene dei nuovi ordini che riguardano la tua sorte, capitan Fuoco.»

Teseo guardò il terzetto, con aria preoccupata.

«E quali sono questi nuovi ordini?»

«Evidentemente Minosse ha consultato il libro del futuro… e ha scoperto che non è stato saggio ordinare di condurti a Cnosso per i giochi. Perché la lettera contiene l’ordine di ucciderti immediatamente.»

La mano di Teseo scese automaticamente, a incontrare l’elsa della Stella Cadente.

«Il tuo corpo,» proseguì Tai Leng, «deve essere chiuso in una cassa dai sigilli di piombo, fornita di alcuni potentissimi talismani che il prete ha portato con sé, e poi gettata nel punto più profondo del mare.

«Soltanto la tua spada deve essere portata a Cnosso, come prova della tua morte.» La principessa dorata rabbrividì. «Questo, a quanto sembra, rende molto seria la situazione,» disse, con la voce nasale di Snish, «Per entrambi.»

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